Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
Il clavicembalo raggiunge nel XVIII secolo il culmine della perfezione costruttiva, della diffusione e del livello artistico e tecnico della produzione. La sua storia è intimamente connessa con quella degli altri strumenti a tastiera (organo, clavicordo e fortepiano), con i quali condivide in parte il repertorio.
Origini e diffusione
Il Settecento rappresenta per il clavicembalo il momento di maggiore diffusione e perfezione costruttiva, frutto entrambe di una storia plurisecolare. Risalgono alla prima metà del XV secolo le prime raffigurazioni di clavicembali, ancora molto simili ai salteri dai quali derivano. I primi esemplari di clavicembalo sono infatti più o meno dei salteri cui è stata applicata una tastiera, ma nessuno di questi strumenti è giunto fino a noi. Il cembalo più antico sopravvissuto è uno strumento italiano del 1521.
La vasta diffusione in tutti i Paesi europei è dovuta alla grande versatilità di questo strumento, sul quale, grazie alla presenza della tastiera, è possibile eseguire senza troppe difficoltà ogni tipo di accordo, compresi quelli formati da molte note e nelle tonalità più difficili. Per questo nel Settecento, con la maggiore complicazione armonica delle composizioni, il clavicembalo viene preferito agli altri strumenti polifonici (liuti, arpe, chitarre) in quella particolare pratica di accompagnamento chiamata basso continuo, che consiste nell’improvvisare gli accordi su una semplice linea scritta di basso.
Il clavicembalo inoltre è lo strumento da studio che non manca in casa di ogni musicista, dal cantante all’organista, ed è lo strumento più usato per comporre.
È dal cembalo che il direttore, che è normalmente anche il compositore, dirige persino le più complesse opere teatrali, sia in Italia sia nei Paesi in cui la musica italiana estende la sua influenza, vale a dire in tutta l’Europa tranne che in Francia, dove, infatti, già dal Seicento, è invalsa l’abitudine di dirigere battendo il tempo con un grosso bastone, pratica, questa, che non esclude la presenza in orchestra del clavicembalo, suonato da un apposito cembalista.
Il dilettantismo
La musica fa parte del normale bagaglio culturale della nobiltà e, nella seconda metà del secolo, anche dell’alta borghesia. I rampolli di casate grandi e piccole si dedicano in prevalenza allo studio del clavicembalo, raggiungendo in alcuni casi un livello tecnico e artistico degno dei professionisti; tuttavia, poiché la musica è classificata tra le arti meccaniche, compromesse cioè con un’attività propriamente fisica e quindi non compatibile con la condizione nobiliare, essi non possono esercitarla pubblicamente. La vicenda di Benedetto Marcello che, nonostante la sua nobiltà, consacra l’esistenza alla musica è una rarissima eccezione. Normalmente i nobili che raggiungono risultati di alto livello si esibiscono solo nei saloni aristocratici ed evitano persino la pubblicazione delle proprie composizioni.
La meccanica
Il clavicembalo è uno strumento a pizzico in cui l’esecutore, contrariamente a quanto avviene su liuti, chitarre e arpe, non tocca direttamente le corde ma agisce su una leva, il tasto, alla cui estremità opposta è il salterello, piccolo parallelepipedo di legno che, scorrendo verso l’alto nella sua guida, pizzica la corda corrispondente tramite una penna infissa nella linguetta, altro pezzetto di legno imperniato all’interno del salterello. Ricadendo, il salterello spegne le vibrazioni della corda grazie allo smorzatore, un pezzetto di feltro incastrato in una fessura ricavata nel corpo del salterello stesso.
Questa meccanica è comune a tutti gli strumenti della famiglia, cioè virginali, spinette, claviciteri, che differiscono tra loro per la forma. Spinette e virginali, normalmente più piccoli dei clavicembali, sono caratterizzati dalla diversa disposizione delle corde, che non sono tese nella stessa direzione dei tasti.
Nelle spinette e nei virginali antichi le corde sono più o meno perpendicolari ai tasti, mentre sono oblique nelle spinette traverse, inventate a metà del Seicento dall’italiano Girolamo Zenti e costruite in grande quantità in Inghilterra durante il Settecento. I claviciteri, i cui primi esempi si possono trovare già in raffigurazioni del tardo Quattrocento, sono dei clavicembali in cui la cassa è posta ad angolo retto rispetto alla tastiera. I clavicembali e i claviciteri sono generalmente dotati di più registri, cioè più file di corde, di norma due o tre, che permettono di variare il timbro (come avviene su scala molto maggiore negli organi), mentre spinette e virginali sono di norma dotati di un solo registro.
Tutti gli strumenti della famiglia non hanno la possibilità di variare in modo apprezzabile l’intensità dei suoni. Tra gli artifici applicati ai clavicembali, quello che ha avuto più fortuna e viene oggi solitamente chiamato liuto, permette di imitare il suono di questo strumento grazie all’azione di pezzetti di cuoio o feltro che, toccando le corde, ne smorzano parzialmente le vibrazioni.
Un altro effetto, tipicamente inglese, si ottiene inserendo una fila di salterelli vicino al ponte dalla parte della tastiera, così da ottenere un timbro più nasale, simile a quello che si produce quando si pizzicano le corde della chitarra molto vicino al ponte.
Gli altri strumenti a tastiera
Tra gli altri strumenti a tastiera i più diffusi in questo secolo sono gli organi, i clavicordi e i fortepiani. Questi strumenti hanno in comune il fatto di essere suonati tramite la tastiera, ma differiscono sostanzialmente tra loro per il sistema di produzione del suono.
L’organo è uno strumento a fiato in cui all’abbassamento dei tasti corrisponde il passaggio dell’aria nelle canne corrispondenti.
Il clavicordo, del quale esiste una documentazione iconografica a partire dalla prima metà del Quattrocento, è uno strumento a percussione in cui le corde vengono colpite da una lamina di metallo, detta tangente, infissa direttamente nel tasto. Il suono prodotto è molto esile ed è difficile immaginare un suo utilizzo al di fuori di ambienti molto ristretti. È un ottimo strumento da studio e in questo secolo ha una larghissima diffusione in Germania come strumento domestico.
Il fortepiano è uno strumento a percussione che nasce da un’innovazione tecnica attuata sul clavicembalo dal costruttore padovano Bartolomeo Cristofori agli inizi del secolo a Firenze. Il nuovo strumento, che a differenza del cembalo può produrre suoni di intensità variabile, viene inizialmente battezzato “gravicembalo col piano e forte”. Nel Settecento si usano entrambi i termini, “forte-piano” e “piano-forte”, con o senza trattino, mentre oggi si utilizza il primo per indicare lo strumento antico e il secondo per quello moderno, con l’eccezione dell’Europa dell’Est, dove lo strumento moderno viene chiamato “fortepiano”.
Esistono particolari strumenti detti “claviorgani”, costituiti da una spinetta o un cembalo combinato in un unico strumento con un organo. Gli ottavini sono invece spinette piccole che suonano all’ottava superiore, spesso dotati di tasti piccoli su misura per mani di bambino. Sono rimasti ottavini, costruiti nel Seicento nelle Fiandre, posti all’interno della cassa di grossi virginali, che possono essere estratti e posti sopra il virginale stesso, combinando insieme i due registri e trasformando il virginale in uno strumento a due tastiere con due registri.
Problemi terminologici
Il clavicembalo è stato chiamato in molti modi: cembalo, cimbalo, gravicembalo, clavacembalo, clavacimbalo; in Francia viene chiamato clavecin o clavessin; in Inghilterra harpsichord, traduzione di “arpicordo”, termine rinascimentale italiano usato ancora alle soglie del Settecento per indicare forse la spinetta.
La terminologia degli strumenti da penna è intricata: nella Francia del Seicento il termine épinette, o espinette secondo la grafia antica, indica non solo la spinetta ma anche il clavicembalo, così come accade in Inghilterra per la parola virginal, abbandonata nel Settecento a favore del termine spinet, usato ora per indicare solo la spinetta.
Nel Seicento in Italia il termine “clavicordo” indica genericamente strumenti a corde con tasti, mentre per indicare il clavicordo si usa “manacordo”, con le varianti “manacordio”, “monacordio” ecc. Cembalo, Kielflügel, Flügel sono usati in Germania per indicare il clavicembalo, mentre Clavier o Klavier indica lo strumento a tastiera con corde, quindi anche il clavicordo.
Anche il termine “clavicembalo” non è esente da ambiguità, venendo usato come sinonimo di fortepiano fino agli inizi dell’Ottocento.
Oggi generalmente si usa definire “clavicembalo” o “cembalo” lo strumento a coda, “spinetta” quello a forma irregolare (pentagonale o esagonale, oppure traversa), “virginale” lo strumento con forma rettangolare.
Le principali scuole costruttive
Caratteristica dei clavicembali, come degli altri strumenti antichi, è quella di non avere standard di costruzione, a tal punto che non è possibile definire con precisione nemmeno elementi essenziali quali la lunghezza e lo spessore della cassa, l’estensione e il numero delle tastiere e dei registri, i legni usati e neppure la lunghezza e la larghezza dei tasti. Si possono tuttavia delineare le peculiarità di fondo delle varie scuole costruttive.
In ogni Paese i cembali assumono caratteristiche proprie che, a un’analisi più approfondita, possiamo ricondurre a due grandi scuole: l’italiana e la fiamminga.
La scuola italiana influenza fin dal Cinquecento i Paesi iberici, la Germania meridionale e perfino l’Inghilterra, spesso attraverso l’esportazione diretta di strumenti. La scuola fiamminga, a partire dal Seicento, influenza tutta l’Europa del Nord e soprattutto la Francia. Qui si diffonde la moda di possedere cembali costruiti nelle Fiandre, in particolare dai Ruckers, dinastia di cembalari attiva tra metà Cinquecento e metà Seicento. Poiché i vecchi cembali fiamminghi hanno un’estensione troppo piccola per le nuove esigenze musicali, i cembalari francesi li ingrandiscono, salvando sempre la vecchia tavola armonica, che costituisce il cuore – ciò che determina suono e timbro – dello strumento. L’allargamento può essere parziale (ravalement) o raggiungere le cinque ottave (gran ravalement), vale a dire l’estensione massima raggiunta dalle tastiere fino agli anni Novanta. Chi non trova un vecchio Ruckers da far ammodernare ne ordina uno nuovo, costruito però secondo questi criteri: è per questo motivo che il tipo originario di cembalo francese scompare totalmente quasi senza lasciare traccia. Il modello che oggi chiamiamo francese non è altro che un’evoluzione del tipo fiammingo.
Alcune differenze essenziali caratterizzano le due principali scuole costruttive. Lo strumento italiano è molto più leggero: quando le fasce (le pareti della cassa) sono in cipresso, hanno uno spessore di 3-6 millimetri e, in tal caso, lo strumento viene spesso custodito dentro una cassa di legno; altri strumenti realizzati in abete o pioppo sono invece spessi circa 10 millimetri. La maggiore robustezza del cembalo fiammingo, che ha le fasce spesse 20 e più millimetri, è funzionale alla maggiore tensione delle corde rispetto all’italiano. In quest’ultimo vengono cambiati pochi calibri di corde, perché la loro lunghezza è calcolata sulla legge fisica secondo cui, a parità di materiale e spessore, due corde lunghe l’una il doppio dell’altra producono l’una l’ottava dell’altra. Questa, che è chiamata proporzione giusta, viene sostanzialmente rispettata per l’intera estensione dello strumento, eccezion fatta per i suoni più gravi, per evitare di costruire strumenti troppo lunghi. È per questa ragione che lo strumento italiano ha la cassa molto più affusolata rispetto al più tozzo fiammingo, che cambia molti calibri e perfino il materiale delle corde. In Italia il cembalo è incordato tutto in ottone o, forse, tutto in ferro, mentre nelle Fiandre si usano entrambi questi materiali per lo stesso strumento. In Italia si usa molto il cipresso, anticamente utilizzato anche per la tavola armonica, che ora viene costruita sempre in abete, come nelle Fiandre.
Un’altra differenza essenziale consiste nella posizione delle catene, quei listelli di legno incollati sotto la tavola armonica in posizione perpendicolare o obliqua rispetto alle fibre di questa, che servono a irrobustirla affinché resista meglio al carico delle corde e a diffondere il suono anche contro-vena. Negli strumenti fiamminghi le catene dividono in due la tavola, determinando a sinistra una zona molto rigida, che agisce quasi da volano: il suono non viene amplificato subito ma dura di più nel tempo, con bassi più scuri dovuti anche al maggiore spessore della cassa armonica. In Italia i tanti tipi di incatenatura usati hanno in comune la caratteristica di lasciar vibrare tutta la tavola armonica nello stesso momento, con la conseguenza di produrre un suono più chiaro, più brillante, più pronto ma di minore durata.
Molto rari sono i cembali a tre tastiere costruiti nell’Europa del Nord, dove sono comunemente usate le due tastiere, così come lo sono quelli a due tastiere prodotti in Italia, dove la norma è una tastiera sola: i cembali che possiedono queste caratteristiche sono per la maggior parte frutto di contraffazioni moderne.
Anversa e Parigi sono i centri in cui si costruisce la gran parte dei cembali rispettivamente delle Fiandre e della Francia, mentre in Italia, probabilmente a causa della frammentazione politica, i cembali si costruiscono un po’ dappertutto.
La maggior parte dei cembali giunti sino a noi è italiana.
Il repertorio
In Italia, dove la costruzione degli organi non ha raggiunto la complessità degli altri Paesi europei, la scrittura per tale strumento non si è evoluta e, potendo suonare qualsiasi pezzo organistico anche sul cembalo, non è possibile dividere nettamente il repertorio cembalistico da quello organistico. Inoltre, sebbene sia lecita la distinzione di fondo tra cembalo per la musica profana e organo per quella sacra, occorre considerare che cembali e spinette vengono utilizzati anche in chiesa, così come vi è una certa diffusione di organi da camera. D’altra parte lo stretto legame tra gli strumenti a tastiera, clavicordo e fortepiano compresi, è dovuto al fatto che gli esecutori, soprattutto i professionisti, suonano indifferentemente gli uni e gli altri.
L’ambiguità è ancora maggiore per il clavicordo, poiché è rarissimo che questo strumento venga chiaramente indicato come destinatario delle composizioni. Lo stesso vale per il fortepiano fino a metà Settecento, quando è più frequentemente esplicitata la destinazione per tale strumento, spesso però seguita dalla specificazione “o clavicembalo”, espediente adottato da compositori ed editori per non perdere gli eventuali acquirenti che non avessero ancora il nuovo strumento nel loro salotto.
La vocalità rappresenta l’ideale estetico cui ogni strumento musicale deve tendere, come recitano i trattati dal Cinquecento al Settecento, ma di fatto in questo secolo si afferma anche un’espressività legata al violino, secondo una moda invalsa nella musica italiana e diffusasi in tutta Europa sull’onda delle arie d’opera nostrane. Così la musica per cembalo ondeggia tra l’espressività vocale e quella violinistica, trovando faticosamente un linguaggio proprio, che prenda spunto da altre esperienze musicali. In questa direzione lavoraDomenico Scarlatti, che ci fa sentire gli accompagnamenti chitarristici, il ritmo delle nacchere e delle danze popolari e persino le influenze arabe mai scomparse della penisola iberica, luogo nel quale egli trascorre gran parte della sua esistenza. Le quasi 600 sonate di Scarlatti sfruttano, come mai è successo in precedenza, le possibilità tecniche dello strumento, passando repentinamente da accordi fortemente dissonanti, composti da molte note, a esili melodie e utilizzando l’incrocio delle mani per passare da un estremo all’altro della tastiera.
Tra coloro che si cimentano nella composizione per clavicembalo, e sono rari i musicisti che non lo fanno, un importante contributo all’evoluzione di uno stile propriamente cembalistico lo dà François Couperin, organista e insegnante di cembalo dei figli di Luigi XIV e poi clavicembalista reale, che pubblica un corpus notevole di musica per cembalo composto da quattro libri di Ordres. Questi libri contengono suite composte da danze e pezzi descrittivi accomunati tra loro dalla tonalità. Sul suo trattato L’arte di suonare il clavicembalo si formano schiere di cembalisti in tutta la Francia.
Johann Sebastian Bach esercita un’influenza indiretta tramite i propri numerosi allievi, lasciando composizioni di ogni genere per il clavicembalo, tra cui alcune con caratteristiche particolarmente innovative, come i 48 preludi e fughe dei due libri del Clavicembalo ben temperato, sperimentazione di tutte le tonalità resa possibile grazie a una particolare accordatura che, sebbene non sia una novità assoluta, non è ancora assurta a sistema di larga diffusione.
Secondo studi relativamente recenti, Bach avrebbe destinato al clavicordo questa sua importante opera.
Le trascrizioni da concerti per violino e per oboe e orchestra dei più famosi compositori italiani inaugurano una felice stagione di trascrizioni per cembalo di brani orchestrali, che accompagneranno il normale repertorio per cembalo e, poi, per piano. Bach è anche considerato l’inventore del concerto per cembalo solista e orchestra, che ha però un precedente nelle misconosciute Toccate secentesche dell’italiano Francesco Spagnoli. Il concerto per cembalo solista e orchestra, assieme alle sonate per strumento solista (flauto, violino e viola da gamba), nelle quali la parte del cembalo non è un semplice basso continuo lasciato all’improvvisazione dell’esecutore, ma una vera e propria parte concertante che dialoga con l’altro strumento, avrà molta fortuna durante tutto il XVIII secolo, divenendo uno dei generi fondamentali nella grande produzione orchestrale e da camera del pianoforte romantico.
L’editoria
Le edizioni delle musiche per cembalo seguono l’andamento generale dell’editoria, che si concentra in tre grossi centri, Londra, Parigi e Amsterdam, cui si aggiungeranno più tardi Vienna e Lipsia. La ragione principale di questa concentrazione sta nella diversa realtà sociale presente in queste città, dove si afferma un ceto borghese che sembra quasi del tutto assente in Italia e in Spagna. Non si tratta solo di una conseguenza della diversa intraprendenza produttiva, quanto piuttosto della maggiore richiesta da parte di coloro che fruiscono delle edizioni musicali. Londra, Amsterdam e Parigi sono le capitali di tre potenze con estesi possedimenti coloniali, e in cui le vecchie manifatture si stanno trasformando nelle moderne industrie; ciò comporta la crescita di una ricca borghesia che fa proprie molte delle abitudini della nobiltà: il dilettantismo diventa un fenomeno più esteso e alimenta anche l’attività concertistica ed editoriale.
In Italia e Spagna, che rimangono ai margini di questa evoluzione europea, la circolazione delle musiche avviene prevalentemente attraverso l’opera dei copisti, a causa dell’alto costo della stampa e della sua scarsa diffusione. La musica italiana a stampa di questo periodo esce spesso dai torchi dell’Europa del Nord. La carenza di edizioni musicali italiane deriva anche dalla consuetudine di non ripresentare in pubblico composizioni già eseguite: la musica viene consumata una volta sola ed è poi accantonata per sempre. In Francia e Inghilterra invece si fissano dei repertori di musiche che vengono periodicamente rieseguite: questa consuetudine, che prende le mosse dalla riproposizione delle opere di Lully in Francia e delle composizioni di Händel in Inghilterra, attecchirà sempre più, dando vita nella seconda metà dell’Ottocento alla fissazione di quel grande repertorio internazionale che ancora oggi domina la programmazione delle sale da concerto e dei teatri.
Per loro natura i trattati sono opere destinate a durare nel tempo, così anche in Italia, dove peraltro vi è una vasta circolazione di trattati e trattatelli manoscritti, se ne stampano un certo numero. Tra questi avrà molta fortuna il trattato, interamente dedicato al basso continuo, L’armonico pratico al cimbalo, scritto dal famoso compositore Francesco Gasparini, che viene ristampato ben otto volte tra il 1708 e il 1802.
L’opera didattica di Bach non va totalmente perduta con la morte del suo autore, che purtroppo non ci ha lasciato nessun trattato. Possiamo infatti ritrovare i suoi insegnamenti nei trattati dei suoi allievi e, tra questi, godrà di grande popolarità il Trattato sulla vera arte di suonare il clavicembalo del figlio Carl Philipp Emanuel.
La convivenza con il fortepiano
La storia del fortepiano corre parallela a quella del cembalo per tutto il Settecento. Poco si sa della fortuna del fortepiano in Italia nella prima metà del secolo, tanto che si è pensato a una rapida scomparsa proprio laddove era stato inventato. Nota è invece la fortuna che il fortepiano ha nei Paesi germanici, dove vengono apportate varie innovazioni. Saranno proprio i costruttori tedeschi trasferitisi in Inghilterra a dare inizio alla tradizione costruttiva inglese, che sarà caratterizzata da una meccanica differente da quella cosiddetta viennese, tipica dei Paesi germanici, e da una produzione su scala industriale quale nessun altro Paese europeo sarà in grado di attuare.
In Italia, a partire dagli anni Ottanta, si assiste a una massiccia importazione di fortepiani dall’estero, soprattutto da Vienna, cosa che induce a pensare a una totale assenza di costruttori locali. Recenti studi mettono in luce come invece, sia pure in maniera limitata, anche in Italia si continui a produrre fortepiani e a comporre pensando anche a tale strumento.
Negli ultimi decenni del XVIII secolo il fortepiano riscuote sempre più successo, fino a soppiantare il cembalo. È in questo periodo che, nel tentativo di competere con le maggiori possibilità espressive del fortepiano, i cembalari apportano modifiche che non varranno a salvarlo da una sorte già segnata. Nasce così un nuovo effetto, il peau de buffle, realizzato sollecitando le corde con plettri in pelle invece che con la tradizionale penna: il suono prodotto è più dolce, più cantabile, in una parola sembra imitare quello del fortepiano. Un’altra modifica apportata ai clavicembali consiste nell’applicazione delle ginocchiere (leve poste sul fondo dello strumento che si azionano con le ginocchia) già usate nei fortepiani per alzare gli smorzatori e inserire altri effetti. È chiaro lo scopo di questo meccanismo, chiamato dai francesi che lo hanno inventato, machine: permettendo di cambiare i registri mentre si suona, contrariamente a quanto avveniva prima con i registri azionati da manopole, consente di creare più varietà cambiando spesso timbro e intensità, nel tentativo di colmare il divario espressivo tra cembalo e piano. Ma l’artificio che più di tutti denuncia la chiara volontà di competere con il fortepiano è la veneziana, un meccanismo composto da listelli di legno piatti, tra loro paralleli, posti sulla tavola armonica che, azionati da un pedale, si aprono e si chiudono con gradualità, facendo uscire più o meno suono, simulando quindi il piano e il forte progressivo ottenibile sul fortepiano.
Il crepuscolo del clavicembalo
Nonostante questi artifici, i fortepiani si affermano sempre più e allora, come ultimo tentativo di conservare i vecchi cembali già presenti nei salotti, viene attuata la loro trasformazione in fortepiani, a volte applicando semplicemente del cuoio sui salterelli, che vengono a questo scopo accorciati diventando dei rudimentali martelletti, altre volte sostituendo direttamente la meccanica.
Emblematico della fine del clavicembalo è quanto avviene durante la Rivoluzione francese: gli esemplari di questi strumenti che vengono trovati nei palazzi e nei castelli abbandonati dalla nobiltà sono volutamente distrutti come simboli del vecchio sistema feudale che si vuole abbattere.
L’eclissi del cembalo è totale e definitiva e avviene nello spazio di pochi anni, già alla fine del Settecento. In Italia continuerà fino a metà Ottocento la produzione di spinette, che ora prendono la forma dei fortepiani rettangolari inventati in Germania nella prima metà del Settecento; sembra che la loro unica funzione sia quella di accompagnare i recitativi delle opere liriche, il solo ambito nel quale lo strumento da penna viene ancora preferito al fortepiano.