Il comitato internazionale olimpico
La fondazione del Comitato internazionale olimpico (CIO) avvenne nel giugno del 1894, in occasione del Congresso internazionale di Parigi per lo studio e la diffusione dell'attività fisica amatoriale. In quei giorni fece notizia non tanto il Congresso quanto il fatto che esso fosse ospitato nei locali della più prestigiosa istituzione culturale francese, la Sorbona, notoriamente non incline a mescolare il suo alto profilo letterario e scientifico con dibattiti su esercizi muscolari. Non è certo, neppure oggi, se a convincere i responsabili della Sorbona a offrire alcune loro sale ai convenuti fosse stato il barone Pierre de Coubertin, promotore del Congresso.
Di sicuro de Coubertin non era un atleta né un uomo di sport: semmai un pedagogo, meglio ancora un filosofo e, si direbbe oggi, un sociologo. Lo interessavano i fatti della vita, di cui era attento osservatore. Lo interessava soprattutto la condizione della gioventù che, nei suoi anni giovanili, in Francia non era brillantissima. De Coubertin guardava con apprensione al futuro del suo paese, sfibrato dalla sconfitta nella lunga guerra con la Prussia. Della gioventù francese lo colpivano, in particolare, una certa debolezza costituzionale e una mancanza di determinazione e di forza che egli andava attribuendo all'assenza di educazione fisica. Essendo un avido viaggiatore e dunque curioso degli usi e dei costumi delle altre nazioni, il barone non aveva potuto non comparare i sistemi scolastici vigenti all'epoca in Inghilterra e in Germania con quelli francesi. E da tale osservazione aveva tratto la convinzione, che si fece via via più profonda, di un errore pedagogico di fondo nell'educazione dei suoi concittadini: l'esclusione dell'attività fisica dai programmi d'insegnamento, quasi che qualunque cosa riguardasse l'apparato muscolare del giovane fosse una distrazione alla sua crescita intellettuale.
Di ritorno dai soggiorni all'estero, de Coubertin maturò il convincimento che ‒ come avveniva in Inghilterra ‒ le associazioni sportive avrebbero dovuto continuare ad aggregare i giovani anche dopo il tempo della scuola, così da diventare una stabile ed efficace innervatura della società. Riteneva poi che fosse indispensabile compiere un passo ulteriore: creare delle occasioni di confronto tra queste associazioni nell'ambito non soltanto nazionale ma soprattutto internazionale. Da queste riflessioni a quella di ridare vita ai Giochi Olimpici, che aveva studiato nella sua frequentazione dei classici greci, il passaggio fu naturale. Così come fu naturale legare l'ideale olimpico a quello della 'tregua', cioè la sospensione di ogni guerra e la concessione di un salvacondotto di libero passaggio per tutti quelli che si recavano ai Giochi, come era prassi nella Grecia antica.
Con fervore missionario de Coubertin andò diffondendo una serie di scritti tra i suoi compatrioti e in effetti, magari soltanto per coincidenza, sul finire degli anni Ottanta del 19° secolo le scuole parigine cominciarono ad accettare la pratica delle competizioni sportive, soprattutto il calcio, mentre nello stesso periodo nasceva a Parigi il Racing Club, che a lungo sarebbe stato uno dei più gloriosi club di Francia.
Gli ultimi decenni di quel secolo videro un fiorire di iniziative sportive. In Inghilterra, la fondazione della Much Wenlock Olympian Society portò alla creazione dei Much Wenlock Games, mentre un tentativo di far rivivere le Olimpiadi antiche era stato compiuto ad Atene già nel 1859 per impulso di due greci, Panayotis Soutas ed Evanghelios Zappas. In Francia, attraverso l'opera organizzativa di Georges de Saint-Clair, segretario generale del Racing, si affermava l'idea di fondare dei club polisportivi; dopo il Racing nacque lo Stade Français e infine fu fondata la prima federazione di podismo, l'Union des sociétés françaises de course à pied.
De Coubertin si trovò, dunque, a operare in questo quadro, in un ambiente che diventava lentamente propenso ad accogliere le sue idee e pronto per nuove iniziative. Era però ben consapevole che per concretizzare le sue ambizioni avrebbe avuto bisogno di appoggio sul piano dell'elaborazione teorica, su quello di un quotidiano lavoro di promozione, o lobby, tra i personaggi influenti dei vari paesi, e infine su quello del collegamento con atleti e istruttori, cioè con la materia prima e con quanti quella materia erano qualificati a plasmare.
Tra coloro che furono vicini al barone in quegli anni meritano una particolare menzione Jules Simon, un politico repubblicano molto più anziano di de Coubertin, e il frate domenicano Henri Martin Didon, che fu assai influente sotto il profilo spirituale. Nel 1891 il Comitato per la propaganda degli esercizi fisici, del quale Simon e padre Didon facevano parte con de Coubertin, concretizzò il proposito di organizzare un primo campionato atletico. Il motto del Comitato, che sarebbe diventato quello del CIO e dei Giochi Olimpici, era Citius, altius, fortius ("Più velocemente, più in alto, con più forza"). Il vero inventore di questa formula fu padre Didon, che la predicava dal pulpito della sua chiesa.
L'ambito nazionale non era tuttavia sufficiente. Occorreva avere una rappresentanza di altri paesi e il barone trovò nell'americano di origini scozzesi William M. Sloane un valido appoggio negli Stati Uniti e nell'ambiente della diplomazia americana. Sloane, dopo gli studi alla Columbia University di New York, si era perfezionato a Berlino e a Lipsia per poi occupare il posto di segretario d'ambasciata in Germania. Ritornato negli USA, era stato prima professore a Princeton, quindi alla Columbia University, per poi diventare presidente dell'Ivy collegiate faculty committee, precursore dell'attuale NCAA (National collegiate athletic association) per gli sport atletici. De Coubertin ne sollecitò la collaborazione per far rivivere, attraverso un apposito Comitato, i Giochi Olimpici.
In Inghilterra, il barone francese ebbe un alleato in Charles Herbert che, figlio di un alto funzionario britannico in India, dopo aver fatto ritorno nella madrepatria era divenuto segretario della Amateur athletic association. Herbert fu designato da de Coubertin come suo rappresentante per l'Inghilterra e le colonie britanniche.
In Svezia, invece, si individuò l'uomo giusto in Viktor Gustav Balk, che gli storici dello sport indicano come il padre dello sviluppo dell'educazione fisica nel paese scandinavo. Balk, militare di carriera discendente da una famiglia di modeste origini, già nel 1875 aveva fondato l'Associazione ginnastica di Stoccolma.
De Coubertin riuscì poi a coinvolgere, con un attento e pressante lavoro di lobbying, altri eminenti personaggi, come l'inglese Arthur Oliver Viller Russell, barone di Ampthill, un aristocratico nato a Roma ai tempi in cui suo padre era ambasciatore, e Karl August Willibald Gebhardt, un biochimico tedesco trasferitosi per lavoro negli Stati Uniti. Ex schermidore di buon livello, Gebhardt era un ambientalista ante litteram, convinto della necessità di creare, al fine di migliorare la qualità della vita e soprattutto il benessere fisico dei suoi concittadini, le condizioni perché potessero praticare un'attività sportiva. Le sue perorazioni in favore dell'esercizio fisico trovarono in Germania un fertile terreno. Gebhardt divenne l'avvocato della partecipazione della Germania alla prima Olimpiade e fu anche il primo membro tedesco del CIO.
Nell'Impero austro-ungarico de Coubertin trovò un alleato in Jiri Guth-Jarkowski, mentre toccò al generale ucraino Alexei Dimitrievic Butowski farsi ambasciatore dell'olimpismo in Russia. Il barone riuscì a fare proseliti anche in Australia e Nuova Zelanda, coinvolgendo nell'impresa Leonard Alber Cuff, di Christchurch, fondatore della New Zealand amateur athletic association.
Settantanove delegati, in rappresentanza di appena dodici paesi, una cifra non esaltante ma neppure deludente, presero parte nel giugno del 1894 al Congresso della Sorbona, chiamato a deliberare sulla riorganizzazione dei Giochi Olimpici, sulla creazione di un Comitato per l'organizzazione dei Giochi (Comité international des Jeux Olympiques) e sulla definizione di dilettante, ovvero sullo status di amateur.
Il greco Demetrios Vikelas fu nominato primo presidente del Comitato internazionale olimpico. L'intesa era che la presidenza dovesse essere affidata al paese che avrebbe organizzato i Giochi e tutti si dichiararono d'accordo che fosse Atene a ospitare la prima Olimpiade moderna. Come motto dei Giochi venne ufficialmente scelta la formula Citius, altius, fortius coniata da padre Didon. Il Congresso decise anche di approfondire ulteriormente la questione del dilettantismo, nominando un apposito gruppo che redigesse una sorta di codice inviolabile. Risale dunque al 1894 la querelle sul professionismo sportivo che, se da un lato poteva esser spiegata con la cultura e l'aristocratica posizione sociale dei fondatori del movimento olimpico, dall'altro generò una serie di severe decisioni a svantaggio di atleti che a quel movimento avevano invece offerto il loro talento e la loro passione.
Il primo executive board del CIO si riunì nella casa parigina del presidente Vikelas al termine del Congresso. De Coubertin venne nominato segretario generale della nuova organizzazione nonché vicepresidente, assieme a Sloane. Fu inoltre stabilito che, dopo Atene, le Olimpiadi sarebbero state disputate a Parigi nel 1900 e in una città degli Stati Uniti nel 1904.
Le linee-guida del CIO, illustrate da de Coubertin in uno dei suoi numerosi scritti, sono rimaste sostanzialmente immutate sino alla fine del 20Þ secolo, quando le decisioni da alcuni definite rivoluzionarie prese da Juan Antonio Samaranch hanno effettivamente cambiato le regole olimpiche e la struttura politico-organizzativa del movimento. Secondo de Coubertin il CIO era un club costruito in tre cerchi concentrici: il primo rappresentato da un ristrettissimo gruppo di appassionati guadagnati alle idee olimpiche e con una forte capacità di lavoro e impegno; il secondo costituito da personaggi di buona volontà desiderosi di imparare; il terzo, infine, composto da uomini di immagine, magari inutili dal punto di vista operativo come nella produzione di idee, ma importanti per soddisfare le ambizioni di paesi e individui. In verità, con il trascorrere del tempo, fu proprio questa idea del CIO quale associazione di aristocratici e miliardari a venire propagandata dai media nell'opinione pubblica: un'idea che rafforzò l'opinione ‒ specie in quanti operavano quotidianamente nei luoghi di sport per reclutare e allenare la gioventù, e per trovare i mezzi finanziari che consentissero di organizzare un calendario di competizioni ‒ che il Comitato internazionale olimpico fosse un'assemblea di persone distaccate dalla realtà e dalle concrete difficoltà della vita sociale. E fu questa percezione ‒ se si va al fondo delle cose ‒ a creare un così forte antagonismo, specie nella seconda metà del 20Þ secolo, tra il CIO e le Federazioni internazionali.
Vikelas era nato nel 1835 e aveva trascorso i primi anni della sua fanciullezza a Costantinopoli. Sedicenne, era stato inviato a Londra a lavorare presso gli zii, che gestivano un importante commercio di cereali, e nella capitale britannica lavorò e studiò fino a laurearsi all'Università di Londra. Portato alla conoscenza delle lingue come tutti i suoi compatrioti, era perfettamente a suo agio nel conversare in inglese, tedesco, italiano e francese. Appassionato studioso di botanica e di architettura, divenne anche un pedagogo influente e scrisse su questa materia non pochi libri, sia in inglese sia in greco. Uomo, dunque, di grande cultura, incline alla letteratura, non disdegnava nemmeno di poetare, dopo aver tradotto in greco molte opere di Shakespeare. Le sue condizioni finanziarie, già buone, migliorarono in maniera consistente con il matrimonio: da quel momento non ebbe più alcuna preoccupazione materiale. Il suo coinvolgimento nel CIO avvenne in coincidenza con la malattia della moglie, che costrinse la coppia a vivere a Parigi per seguire speciali cure. Quel che stupisce è che Vikelas non aveva nessuna conoscenza dello sport, né dimestichezza o interesse per l'attività fisica. Tutta la sua vita era stata quella di studioso, al limite di finanziere innamorato dell'arte. Nulla faceva pensare che sarebbe diventato il primo presidente dell'organizzazione che doveva far rivivere i Giochi Olimpici. Così, la questione ‒ non risolta ‒ è se de Coubertin fu abile nel servirsi di lui o se, al contrario, Vikelas riuscì a soddisfare le sue ambizioni servendosi del barone francese. Quel che è certo è che il greco era un personaggio notissimo nell'alta società europea, potente e riverito in Grecia, e che svolse un ruolo importante nella scelta di Atene come sede delle prime Olimpiadi.
In verità, su questo punto ‒ dove e quando far disputare i primi Giochi ‒ de Coubertin aveva nutrito dubbi. In un primo tempo, infatti, aveva puntato su Parigi e pensato che l'Olimpiade potesse aver luogo nel 1900, per salutare l'inizio del secolo. Poi, il barone ‒ che in Francia faticava a trovare consensi e appoggi ‒ si rese conto che sei anni d'intervallo tra la deliberazione del Congresso e l'effettiva concretizzazione dell'idea sarebbero stati troppi: nell'attesa l'idea sarebbe potuta sfiorire ancor prima di sbocciare. Per quanto riguarda Atene, invece, rimane incerto se l'appoggio del re Giorgio I di Grecia arrivò per intercessione di Vikelas o grazie a sotterranei contatti diplomatici di de Coubertin. In verità, la questione appare irrilevante ai fini della storia del CIO. Piuttosto si può sostenere con maggior ragione che la concessione della Sorbona ai partecipanti al primo Congresso fosse dovuta, più che alle conoscenze o al prestigio di de Coubertin, all'intercessione di Vikelas che in quei circoli di raffinati cultori della sapienza era considerato uomo di rispetto nonché di pari intelletto.
In Grecia non tutti erano favorevoli all'organizzazione dell'Olimpiade. Il primo ministro Charilaos Tricoupis era, anzi, assolutamente contrario a causa delle condizioni economico-finanziarie del paese e della cronica debolezza del bilancio dello Stato, aggravata di recente dalle conseguenze di un terremoto e di un'inondazione. Per vincere le resistenze all'interno del paese furono determinanti l'influenza del principe Costantino, erede al trono, e il lavoro svolto da Vikelas, che ad Atene poteva contare su una rete vastissima di conoscenze. De Coubertin, invece, pareva completamente estraneo a questo faticoso lavoro, tanto da voler rassegnare le dimissioni come segretario generale. Ma il presidente Vikelas le respinse. Il terreno per la costruzione dello stadio olimpico venne donato da Giorgio I, il denaro necessario fu trovato grazie al mecenatismo di Georgios Averof, un mercante greco che viveva ad Alessandria. Fu il suo milione di dracme a permettere al sogno di de Coubertin e dei padri rifondatori dell'Olimpismo di avverarsi.
Le prime Olimpiadi furono, sotto ogni punto di vista, un buon successo, ma proprio in ragione di questo successo nacquero problemi tra Vikelas e de Coubertin. All'indomani dei Giochi i greci chiesero che Atene divenisse la sede permanente dell'Olimpiade. De Coubertin si dichiarò subito fieramente contrario: tra l'altro, i Giochi del 1900 erano già stati assegnati a Parigi. Vikelas, invece, sostenne la richiesta dei suoi concittadini, salvo poi proporre il compromesso di Giochi intermedi da tenersi ad Atene. Ma anche questo compromesso fu respinto da de Coubertin che assunse la presidenza del CIO, in base alla norma della Carta Olimpica del tempo relativa all'affidamento della carica di presidente nel quadriennio precedente l'Olimpiade al paese organizzatore dei Giochi. Vikelas fece un'ultima mossa chiedendo la convocazione di un congresso per discutere la proposta. Ancora una volta de Coubertin si oppose e Vikelas decise di dimettersi da membro del CIO.
Il rapporto tra i due personaggi naturalmente si guastò in seguito a questa controversia. De Coubertin ritenne che la fiducia che aveva riposto in Vikelas non fosse stata totalmente contraccambiata, ma soprattutto rimase sfavorevolmente colpito dal tentativo dei greci di appropriarsi di ogni momento olimpico, senza ricordare chi, in fondo, era stato la scintilla e il motore del movimento.
La costruzione olimpica, in verità, quasi crollò negli otto anni seguenti le Olimpiadi di Atene: de Coubertin affermò più volte che la sopravvivenza del CIO e della sua creatura era un miracolo. Ma il barone aveva, tra le sue qualità più spiccate, la tenacia nel perseguire le proprie idee e nel combattere sino a che esse non avessero trionfato.
Al Congresso del CIO del 1897, tenutosi a Le Havre, de Coubertin riuscì a convincere gli altri membri del Comitato che, sebbene fosse importante mantenere viva l'attenzione attorno all'ideale olimpico nei quattro anni intercorrenti tra i Giochi, l'idea di tornare ad Atene, come quella di far disputare dei Giochi intermedi fosse un errore. Il CIO doveva puntare tutte le sue carte su Parigi per il 1900 e quindi su una città statunitense, possibilmente New York, per il 1904.
Purtroppo per de Coubertin e per il CIO, l'Olimpiade di Parigi fu un disastro, un'enorme confusione dettata dalla noncuranza francese per quello che un suo concittadino andava organizzando, e gli anni che portarono ai Giochi del 1904 non furono meno difficili: il CIO, che aveva scelto Chicago quale sede di quella Olimpiade, dovette subire molti voltafaccia americani, segnatamente da parte di James E. Sullivan, segretario dell'Amateur athletic union e anche capo del Dipartimento di cultura fisica del governo degli Stati Uniti. Alla fine i Giochi andarono a St. Louis, abbinati a una grande fiera dimostrativa. Per protesta de Coubertin decise di non recarsi a St. Louis, andò invece in vacanza in Libano. Nessuna assemblea venne tenuta dal CIO in occasione di quei Giochi, ai quali assistette un solo delegato del Comitato, l'ungherese Ferenc Kemeny. Non appare dunque eccessivo parlare di un boicottaggio dell'aristocrazia olimpica alle Olimpiadi, causato anche dalle difficili relazioni con le Federazioni internazionali e i club atletici, che costituivano la base dello sport specie negli Stati Uniti e in Gran Bretagna.
Neppure ai Giochi intermedi del 1906 ad Atene il barone de Coubertin fu presente. Nello stesso anno Roma, che era stata scelta per ospitare i Giochi del 1908, si dichiarò indisponibile per via dei costi che il paese doveva affrontare a seguito dell'eruzione del Vesuvio. Subentrò dunque Londra. Nel Congresso di Le Havre del 1907 fu anche stabilito che i vincitori delle gare olimpiche sarebbero stati premiati con una medaglia d'oro. Sempre in quel Congresso, de Coubertin fu rieletto presidente per altri dieci anni. Si era intanto evidenziato uno scontro con quanti organizzavano l'attività sportiva nel mondo, cioè le Federazioni internazionali. Ogni loro richiesta veniva rigettata e si consolidava quindi quella rivalità che, con il tempo, avrebbe quasi opposto CIO e organismi federali. In effetti, le parole di de Coubertin suonavano offensive per i dirigenti delle Federazioni, specie là dove essi venivano accusati di svolgere il ruolo di 'poliziotti dello sport'. Sosteneva infatti il barone che le Federazioni "si occupavano più di ordinare e proibire che di incoraggiare la pratica sportiva. E per aumentare il loro potere, vogliono che i loro leader abbiano l'ultima parola". I Giochi di Londra, tuttavia, furono un successo e ancor di più lo furono quelli di Stoccolma del 1912.
Dopo Londra e Stoccolma, il CIO vide enormemente rafforzati il suo prestigio e la sua forza contrattuale, nonostante non si placassero le dispute con le altre organizzazioni sportive, il cui numero andava aumentando anche grazie alla spinta generata dai Giochi.
Un nuovo dibattito, poi, si era aperto: quello relativo alla partecipazione delle donne. De Coubertin era un misogino e tali apparivano anche i personaggi che formavano il ristretto circolo del CIO, in grado di influenzare le decisioni del presidente. La volontà di tenere le donne il più possibile al di fuori del Movimento Olimpico aveva motivazioni molteplici, di carattere storico, culturale ed estetico: storico, perché nei Giochi antichi le donne non erano ammesse; culturale, perché il principio di parità fra uomini e donne era lontanissimo dalla cultura del tempo; estetico, perché il ruolo allora attribuito alla donna era di ornamento nelle classi agiate, di fattrice-lavoratrice in quelle più umili.
L'Olimpiade del 1916 era prevista a Berlino. Nonostante la minaccia della guerra incombesse sull'Europa, de Coubertin era fiducioso che, alla fine, la Germania avrebbe evitato il conflitto o, meglio, che l'ambizione e il desiderio di ospitare i Giochi avrebbero convinto l'imperatore Guglielmo a rinunciarvi. Sulla profonda propensione culturale dei tedeschi verso l'ellenismo e sulla loro passione nell'individuare le origini della pratica sportiva al tempo dei greci, non esistevano dubbi, come non ne esistono oggi. Molto di quello che si conosce attualmente sulla storia delle Olimpiadi antiche è dovuto alle ricerche di studiosi tedeschi, fra cui quelle compiute sulla spinta di Willibald Gebhardt e in seguito coordinate da Carl Diem. Ad aumentare l'ottimismo di de Coubertin contribuì l'inaugurazione da parte dell'imperatore di un grande stadio in Berlino, cerimonia nella quale fu introdotta la bandiera olimpica con i cinque cerchi, disegnata dallo stesso barone. I cinque anelli, ispirati a un rilievo scolpito su un altare di Delfi, intendevano simboleggiare l'armonica unione dei cinque continenti attorno all'ideale olimpico.
La storia provò quanto l'ottimismo di de Coubertin fosse infondato, anche se i tedeschi continuarono nella preparazione dei Giochi a conflitto iniziato. De Coubertin, con la Francia schierata contro la Germania, ebbe giorni difficili ma prese anche una decisione importante: dare casa stabile al CIO in un paese neutrale. Vi era infatti il rischio che la Germania, facendo leva sulla tradizione secondo la quale il CIO prendeva sede nel paese designato a ospitare l'Olimpiade, richiedesse al Comitato di trasferirsi in territorio tedesco. Nel 1915 si decise dunque di spostare in maniera permanente la sede del CIO a Losanna, e al proposito fu stabilito un accordo con il municipio della città svizzera.
Vi era poi il caso personale del barone che come ufficiale dell'esercito francese, seppure nella riserva (non venne per ragioni di età chiamato a combattere contro i tedeschi, ma assegnato a servizi di educazione morale dei giovani in periodo di guerra), non poteva certo rimanere presidente di un ente sovranazionale. Nominò dunque il barone Godefroy de Blonay, membro svizzero del CIO, deputy president, per svolgere le sue funzioni mentre era impegnato nei suoi doveri di ufficiale francese.
Alla fine del conflitto, de Coubertin convocò rapidamente i suoi pari per riprendere la strada olimpica. Nonostante le devastazioni subite dalla guerra e dall'invasione tedesca, il Belgio e Anversa si dissero capaci di mettere in piedi l'organizzazione dei Giochi. Germania, Austria, Ungheria e Turchia, come nazioni responsabili della Prima guerra mondiale, non vennero invitate. Nel frattempo il CIO aveva anche dovuto prendere atto della rivoluzione bolscevica. L'URSS aveva rifiutato ogni rapporto con il CIO e il suo sport borghese. Nell'Unione Sovietica sarebbero nate le Spartakiadi e sino al 1952 non vi sarebbe stata partecipazione sovietica alle Olimpiadi. Il CIO dovette difendere le proprie prerogative contro l'intenzione delle organizzazioni sovietiche di rilevarne, o surrogarne, i compiti.
Negli anni che precedettero i Giochi di Parigi, per la cui assegnazione de Coubertin aveva molto brigato arrivando infine al compromesso di decidere, contemporaneamente, per le Olimpiadi del 1924 e del 1928 ad Amsterdam, il CIO andò migliorando la sua organizzazione interna con la nomina del nuovo segretario generale, il cecoslovacco Juri Guth-Jarkowski, anche membro del CIO per quel paese, e la definizione di un vero executive board, cioè un organismo che affiancasse il presidente nel prendere le decisioni politico- amministrative; fu inoltre creato un ufficio per i rapporti con le Federazioni internazionali (Bureau des fédérations internationales sportives), precursore di tutta una serie di associazioni-ponte tra le singole Federazioni e il Comitato internazionale olimpico. Si stabilì anche un diverso e meno ostile approccio allo sport femminile e all'ammissione delle donne nel movimento olimpico, soprattutto grazie al lavoro di proselitismo svolto dalla francese Alice Milliat.
Un'altra decisione fondamentale riguardò la fondazione dei Giochi Olimpici invernali, che può essere vista come un'inevitabile conseguenza dello sviluppo del turismo di massa e dunque della pratica, da parte di un sempre maggior numero di persone, delle attività sportive legate a specifiche condizioni climatiche. In verità, l'universalismo olimpico poco ha a che vedere con gli sport invernali i quali, per propria natura, sono regionali. I promotori di queste competizioni furono, infatti, per evidenti ragioni soprattutto rappresentanti dei paesi alpini o con parte di territorio montagnoso, e dei paesi nordici. Già nel 1897 lo svedese Viktor Gustav Balk aveva sostenuto la necessità di prevedere la creazione di eventi invernali, trovando però opposizione in de Coubertin. La situazione sociale, un quarto di secolo più tardi, era completamente cambiata e il CIO non poteva non tenerne conto. Ai paesi nordici, infatti, si erano andati aggiungendo quelli alpini ‒ Francia, Svizzera, Italia, Austria ‒ dove lo sci, soprattutto di discesa, non era soltanto una necessità per i locali, ma stava diventando una piacevole pratica anche per i 'cittadini'. In verità, alcuni sport su ghiaccio ‒ il pattinaggio e l'hockey ‒ erano già stati inclusi nei Giochi di Anversa: nulla di strano, considerato che in Belgio, ma ancora di più in Olanda, il pattinaggio era comune attività nei mesi invernali, anche tra chi viveva in città. Il problema, a quel punto, era se mantenere le attività su ghiaccio come parte dei Giochi estivi e considerare per i Giochi invernali soltanto gli sport alpini e lo sci di fondo. I paesi del Nord Europa si opponevano all'unione, ritenendo che avrebbe finito con il togliere attenzione ai loro sport. Alla fine si decise che nei paesi in cui si tenevano le Olimpiadi si sarebbe svolta anche una Settimana degli sport invernali: tutti i paesi, compresi quelli nordici, approvarono. La prima edizione, che ebbe luogo a Chamonix nel 1924, non poté ancora fregiarsi dell'appellativo di Olimpiade. Questo venne concesso, retroattivamente, due anni più tardi.
Quando alla sessione di Losanna annunciò la creazione dell'executive board, de Coubertin lasciò non poco sorpresi i colleghi. La spiegazione ufficiale fu che era obbligato a fare un lungo viaggio per il mondo e non avrebbe potuto occuparsi degli affari del CIO. In realtà, aveva consumato tutte le sue risorse per finanziare l'ente, che non aveva alcuna entrata propria. A mano a mano che la pianta dell'olimpismo cresceva, estendendo e rafforzando le sue radici, aumentavano anche le necessità finanziarie. Nessuno, sino a quel momento, aveva pensato a dare una qualche base economica all'iniziativa, ma il tempo era arrivato, ora che il fondatore e presidente si era ridotto quasi in povertà. Ai colleghi, ignari dello stato delle sue finanze, de Coubertin disse: "Noi abbiamo sempre lavorato basandoci su poche risorse, ma adesso dobbiamo cominciare a pubblicizzare la nostra causa. Sarebbe una buona idea organizzare uno speciale fondo olimpico". L'executive board nacque dunque con lo scopo di cercare i finanziamenti per garantire al CIO la sopravvivenza. Accanto a questo compito primario, se ne assunse poi altri: indirizzare le scelte dei membri del CIO, in occasione delle sessioni e del congresso, far fronte alla corrispondenza, confrontarsi con le eventuali dispute, mantenere gli archivi, sovrintendere all'applicazione delle regole del CIO, preparare l'agenda per le sessioni. De Blonay assunse la presidenza dell'executive board di cui furono eletti membri lo svedese Sigfrid Edstrom, il cecoslovacco Guth-Jarkowski, il francese Melchior de Polignac, il belga Henri de Baillet-Latour.
Ma proprio a causa dell'estensione dei compiti che l'executive board si era prefisso inevitabilmente cominciarono le tensioni con il presidente del CIO. In particolare si manifestarono tra de Coubertin e de Blonay, giacché le due cariche di presidente non potevano che essere, alla lunga, conflittuali. In occasione del Congresso olimpico di Praga, il 25 maggio 1925, de Coubertin, allora sessantunenne, decise dunque di lasciare la carica di presidente del CIO. Nel suo discorso d'addio sottolineò la necessità di continuare a lavorare duramente perché l'attività sportiva diventasse davvero un elemento sociale, a disposizione di tutti i cittadini, indipendentemente dalla classe di appartenenza, dalle ideologie, da ogni altra sorta di divisione. Nessuna illusione che i successi ottenuti potessero essere duraturi: affidarsi soltanto alla forza di promozione dei campioni non era sufficiente. Quella forza sarebbe svanita in breve tempo, nessun vantaggio ne sarebbe venuto alle future generazioni. Il fondamento era convincere le municipalità, come le città antiche, a istituire ginnasi, grandi centri polisportivi, dove l'educazione atletica dei cittadini potesse davvero concretizzarsi. Al centro del suo discorso vi fu anche l'argomento del dilettantismo: i tempi ‒ disse ‒ erano sfavorevoli all'ideale dell'atleta non professionista, ma per evitare un declino morale occorreva battersi contro i truffatori, i falsi dilettanti, i bugiardi. Contro il lassismo delle Federazioni internazionali e contro l'intenzione di molti ‒ in particolare di certi tecnici ‒ di trasformare le Olimpiadi in campionati del mondo, un modo sicuro per distruggere la costituzione olimpica e "prendere quel potere che essi credono spetti a loro", soltanto il Comitato internazionale olimpico aveva l'energia, la forza, il disinteresse necessari per resistere. Perché ‒ sosteneva il barone ‒ "il CIO è l'unico ente indipendente, non deve cercare i voti di nessuno, né i favori di alcuna nazione, non ha mai chiesto finanziamenti ad alcuno e dunque non deve nulla agli interessi delle potenti corporazioni. Se il CIO fosse stato composto, invece che da personaggi al di fuori di ogni influenza, da delegati dei Comitati nazionali olimpici o delle Federazioni internazionali, sarebbe morto in pochi anni". Il prosieguo della narrazione dirà quanto, invece, il CIO sarebbe cambiato e come la forza dei tempi, più che la volontà di questo o quello, abbia determinato il cambiamento. Ma in quegli anni, e ancora per oltre mezzo secolo, la politica del CIO andò là dove de Coubertin l'aveva indirizzata.
De Coubertin morì il 2 settembre 1937, su una panchina del Parc des Eaux-Vives a Ginevra, colpito da infarto cardiaco. Il barone era ormai povero, avendo speso tutto per sostenere il CIO negli anni difficili. A Losanna era stato costretto a lasciare il suo appartamento, riducendosi ad abitare in una modesta camera d'albergo. Come da testamento, il suo cuore venne portato e interrato a Olimpia antica. Alla cerimonia prese parte il principe ereditario di Grecia, Paolo.
Il 28 maggio 1925 si tenne l'elezione del nuovo presidente del CIO. Dopo una serie di votazioni, il conte belga Henri de Baillet-Latour, un fedelissimo di de Coubertin, risultò eletto terzo presidente, con 19 voti, sconfiggendo sonoramente de Blonay. Ma fra questi e il barone, come si è detto, vi era un'accesa rivalità, nata nel momento della formazione dell'executive board, e cresciuta nei mesi seguenti, quando lo svizzero aveva compiuto passi irritanti per de Coubertin. Questi, per quanto uomo d'ideali, non era tuttavia alieno dai sotterfugi della politica e, in effetti, manovrò in maniera che l'ambizioso de Blonay venisse bocciato alle votazioni: iniziava così al CIO una tradizione, tuttora in vigore, per la quale è il presidente uscente a designare il suo successore.
De Baillet-Latour, aristocratico d'alto lignaggio ‒ figlio dell'ex governatore della provincia di Anversa e della contessa Carolina d'Outremont e Duras ‒, aveva studiato alla celebre Università di Lovanio e aveva poi intrapreso la carriera diplomatica; come sport praticava l'equitazione. In qualità di presidente del Comitato organizzatore aveva magnificamente contribuito alla riuscita delle Olimpiadi di Anversa. L'ambiente in cui venne educato e la cultura alla quale si improntò lo portavano al conservatorismo in politica, e tale linea seguì anche come presidente del Comitato internazionale olimpico. Costretto a subire piuttosto che a guidare, non fu quindi capace di incidere sull'evoluzione dell'ideale olimpico in nessuno dei campi che erano in quel momento in discussione, il dilettantismo e l'apertura verso lo sport femminile.
Per quanto riguardava il primo punto, il CIO e de Baillet-Latour, in un certo qual modo, si legarono le mani quando al Congresso di Praga fu approvata questa definizione (a cui tutti i partecipanti dell'Olimpiade dovevano giurare di essere rimasti fedeli): "Un atleta è devoto allo sport per lo sport stesso, senza derivare da esso, direttamente o indirettamente, i mezzi per l'esistenza. Un professionista, al contrario, è chi fa derivare dallo sport, interamente o parzialmente, i mezzi per vivere". Relativamente all'accettazione di competizioni femminili, de Baillet-Latour dovette rassegnarsi all'inevitabile: sotto la pressione dell'organizzazione creata da Alice Milliat, nel 1928 furono introdotte gare femminili di atletica e ginnastica nelle Olimpiadi estive e di pattinaggio artistico su ghiaccio in quelle invernali.
La clausola sulla definizione di dilettante e professionista provocò un duro scontro con alcune Federazioni internazionali, in particolare del calcio e del tennis, da cui derivarono conseguenze che sarebbero durate fino alla fine del 20Þ secolo, e in parte permangono ancora. Ai Giochi di Los Angeles del 1932, per via di una presa di posizione del CIO ancora più dura ‒ avvenuta alla sessione del 1930 e riguardante i pagamenti di compensi da attribuire ai calciatori per via del loro impegno olimpico ‒ la FIFA (Fédération internationale de football association) decise di non partecipare. La FIFA aveva d'altro canto già varato i propri campionati del mondo, che avrebbe protetto in seguito dalla concorrenza olimpica, e dunque per il calcio non fu una grande rinuncia. Senza contare che quello sport, nella California degli anni Trenta, era praticamente sconosciuto.
Ma tutta la politica del CIO, in apparenza aliena dal volersi mischiare con faccende troppo 'terrene', quale l'umanissimo desiderio di trarre profitto dalla propria abilità e dalle proprie fatiche, cominciava a provocare seri problemi. L'ente, infatti, era ricco di prestigio ma povero di denaro: poiché ognuno doveva pagarsi le spese di viaggio e di soggiorno di tasca propria, alle Olimpiadi del 1932 a Los Angeles dei 66 membri del CIO ne furono presenti soltanto 18, di cui 3 erano americani.
Nella sessione del 1931, il CIO aveva votato per l'aggiudicazione dei Giochi 1936 a Berlino, dopo un ballottaggio con Barcellona, terminato in favore della capitale tedesca per 43 a 16. Sulle intenzioni della Germania di preparare una grande edizione olimpica ‒ che comprendeva, anche, i Giochi invernali a Garmisch-Partenkirchen ‒ non c'erano dubbi. Purtroppo, ben altre nuvole si profilavano all'orizzonte: nuvole che il CIO fece a lungo finta di non vedere e che, infine, per ingenuità o per una sorta di inconscia complicità, affermò essersi diradate.
La presa del potere da parte di Hitler e del partito nazionalsocialista avvenne nell'estate del 1933. Già prima di quella data, una dichiarazione del portavoce di Hitler aveva fatto sapere che "i nazionalsocialisti condannavano lo sport moderno infestato da francesi, belgi, polacchi e da ebrei e negri". Ma, dopo aver richiesto a Hitler un chiarimento, il membro tedesco del CIO, Karl Ritter von Halt, aveva inviato una lettera dicendo che "non vi erano difficoltà da parte del partito nazionalsocialista tedesco a ospitare manifestazioni come i Giochi Olimpici, né si sarebbe opposto alla partecipazione di 'colorati' in quelle competizioni". La dichiarazione, che suonava tutt'altro che tranquillizzante visto quel riferimento ai 'colorati' come ad atleti diversi dagli altri, venne invece considerata dal CIO come la fine di ogni perplessità su eventuali discriminazioni durante i Giochi di Berlino.
Ma sorsero altri problemi: il tentativo da parte del nuovo regime di allontanare da capo del Comitato organizzatore Theodore Lewald e da segretario Carl Diem fece seguito a violenti attacchi di Goebbels contro i due personaggi, accusati di essere 'ebrei bianchi'. De Baillet-Latour scrisse ai tre membri tedeschi ricordando loro le norme contenute nella Carta del CIO: "I Giochi sono assegnati a una città, non a un paese, ed essi non hanno né carattere né identificazione politica, razziale o nazionale; il comitato organizzatore è direttamente responsabile di fronte al CIO e se tali condizioni non sono rispettate, i Giochi devono esser trasferiti". De Baillet-Latour chiedeva che del contenuto della lettera venisse informato Hitler in persona e che una risposta fosse data per la sessione di Vienna. La riposta arrivò: i membri del CIO non sarebbero stati esautorati dal ministro dello Sport, von Tschammer.
Nella sessione di Vienna del 1933 ‒ durante la quale de Baillet-Latour fu rieletto presidente per altri otto anni ‒ fu comunque sollevato il problema ebraico. Il CIO fece richiesta al governo tedesco di garantire agli ebrei gli stessi diritti di concorrere alla partecipazione dei Giochi che avevano tutti gli atleti tedeschi. Anche queste garanzie furono date e la questione sembrò risolta. Ma in America parte dell'opinione pubblica diffidava delle promesse tedesche e tale posizione fu largamente appoggiata da Ernest Jahncke, uno dei membri statunitensi del CIO. Le sue dure prese di posizione contro l'acquiescenza di de Baillet-Latour e di gran parte dei colleghi ‒ tra i quali si distingueva l'americano Avery Brundage, così schierato a fianco dei tedeschi da attirarsi accuse di antisemitismo ‒ portarono non a riesaminare il problema, in particolare dopo l'avvenuta proclamazione delle leggi razziali antiebraiche, ma all'espulsione dal CIO del denunciante.
In seguito de Baillet-Latour ebbe due incontri con Hitler e si convinse che in Germania non esisteva un problema ebraico. Come questo sia potuto avvenire, non è chiaro. Del resto non è esagerato sostenere che il clima dell'epoca e l'orientamento delle classi colte e agiate erano, in Europa, largamente inclini all'antisemitismo. Ne è una riprova quanto scrisse lo svedese Sigfrid Edstrom, potentissimo membro del CIO e presidente della IAAF (International amateur athletic federation) a Brundage: "Io non sono certo in favore della persecuzione [degli ebrei] ma ciononostante comprendo pienamente che un cambiamento doveva avvenire [...] perché una gran parte della nazione Germania era guidata dagli ebrei e non dagli stessi tedeschi. Anche negli Stati Uniti, il giorno dovrà venire in cui voi sarete obbligati a mettere un fermo alle attività degli ebrei. Essi sono intelligenti e senza scrupoli".
I mesi che precedettero i Giochi di Berlino furono uno dei periodi più neri della storia del CIO. Osservando i comportamenti dei dignitari dell'Olimpismo, a distanza di molti anni, si può constatare come essi ostinatamente non vollero vedere, sino a negare che la Carta Olimpica fosse violata nel modo più clamoroso dalla Germania con l'approvazione delle leggi di discriminazione razziale. Questo può essere considerato lo scandalo peggiore nel quale sia incorso il CIO in tutta la sua esistenza. Tutti gli altri, compresa la corruzione che metterà in discussione la stessa esistenza dell'organismo olimpico sul finire del 20° secolo, appaiono poca cosa: in questo caso si trattò infatti di un comportamento individuale e, per quanto riprovevole sotto il profilo morale, di certo non danneggiò nessuno. La cecità collettiva di fronte alla mostruosità nazista, invece, fu una scelta deliberata della gran maggioranza dei membri del CIO e in particolare di coloro ‒ a cominciare dal presidente ‒ che ne determinavano le decisioni. Di certo, Hitler non si sarebbe fermato di fronte allo spostamento dei Giochi da Berlino a una città di un paese libero, ma sicuramente un simile provvedimento avrebbe di molto alzato il livello d'allarme delle democrazie: nel 1936, infatti, i Giochi Olimpici godevano già di un elevato prestigio.
Il 2 gennaio 1942 de Baillet-Latour morì, nel Belgio occupato dalle truppe tedesche. Si dice che a provocarne l'attacco cardiaco fatale fu la notizia della morte del figlio, avvenuta durante un'esercitazione militare con le Forze libere del Belgio, negli Stati Uniti. Il vicepresidente Edstrom diventò acting president. Nel 1946, in occasione della prima sessione plenaria dopo la guerra, fu eletto quarto presidente del CIO. Il suo posto alla IAAF fu preso da lord Burghley, marchese di Exeter, anch'egli membro eminente del CIO.
Nel 1952 Edstrom, già avanti negli anni, non ripresentò la sua candidatura al Congresso di Helsinki. Nei mesi precedenti aveva lavorato in modo sotterraneo per fare in modo che fosse Brundage a succedergli, nonostante l'americano fosse avversato da molti membri del CIO, specialmente quelli che più avevano criticato le sue prese di posizione in favore dei Giochi di Berlino del 1936. Il blocco dell'Est sostenne, in opposizione a Brundage, lord Burghley, ma nella votazione segreta Brundage vinse 30-17, a riprova del potere di persuasione esercitato dal presidente uscente.
Le Olimpiadi di Londra e St. Moritz nel 1948 e quelle di Helsinki e Oslo nel 1952 rilanciarono l'attività del CIO, allargandone l'influenza a parti di mondo sino ad allora escluse dal movimento olimpico. L'ingresso dell'Unione Sovietica e dei paesi dell'Europa dell'Est provocò profonde modificazioni nella conduzione dell'ente, che sino ad allora aveva cooptato i suoi membri con quasi totale indipendenza rispetto alle indicazioni nazionali. L'Unione Sovietica, al contrario, pur rispettando formalmente le procedure stabilite dalla prassi e dalla Carta Olimpica, non era disposta a vedersi imporre membri non graditi al sistema comunista. Un discorso analogo valeva, naturalmente, anche per gli altri paesi appartenenti al Patto di Varsavia. Inoltre, la presenza in seno al CIO di un gruppo così forte e coeso come il blocco comunista modificava la bilancia del potere: il presidente e l'executive board dovevano dunque svolgere un continuo lavoro di mediazione. Tuttavia è onesto aggiungere che i membri del CIO dell'URSS e degli altri paesi comunisti professarono sempre fedeltà alla Carta Olimpica e quasi sempre si comportarono di conseguenza. Di certo, proprio loro furono a lungo alleati di Brundage nella sua lotta contro ogni forma di compenso per gli atleti. Può sembrare strano che un rappresentante del liberismo economico, un sostenitore inflessibile del capitalismo e dell'impresa individuale, avesse nei rappresentanti comunisti i più sicuri alleati, ma in realtà si trattò dell'incontro di due utopie: quella di Brundage, che predicava un modello di sportsman alieno dalle tentazioni umane, pronto a sacrificare la sua giovinezza per la gloria dell'Olimpismo e del CIO, e quella dei comunisti alla Konstantin Andrianov e alla Vitaly Smirnov, che ritenevano ‒ o almeno dicevano di ritenere ‒ che tutto doveva esser dato allo Stato, non all'individuo, perché lo Stato avrebbe ridistribuito ai suoi cittadini, secondo i bisogni e i meriti di ciascuno.
I Giochi di Melbourne non posero problemi al CIO, a parte la crisi politica che seguì la rivoluzione ungherese ‒ schiacciata nel sangue dall'intervento dei carri armati sovietici ‒ e il contemporaneo tentativo di Gran Bretagna, Francia e Israele di approfittare della confusione del momento per costringere l'Egitto a ridare agli antichi possessori il canale di Suez, che aveva nazionalizzato. Alcuni paesi boicottarono quei Giochi (Olanda, Svizzera, Spagna per protesta contro l'invasione dell'Ungheria, Egitto, Iraq e Libano contro l'attacco all'Egitto), ma nel complesso il problema venne risolto evitando spiacevoli conseguenze.
Il lungo regno di Brundage ‒ dal 1952 al 1972 ‒ può essere intitolato all'immobilismo più completo, ove con questo termine s'intenda il rifiuto di qualunque riforma sotto il profilo politico-organizzativo e sotto quello economico. L'immobilismo era obbligato, non volendo il presidente americano deflettere dall'impostazione ideologica data al CIO da de Coubertin. Ma è improbabile che, vivendo nello stesso periodo, il barone, un attento osservatore della società e della sua evoluzione, avrebbe mantenuto inalterata la sua visione. In verità, non esiste costruzione umana che non debba rimodellarsi con il trascorrere del tempo. Ma Brundage aveva dell'Olimpismo un'idea sacra: era, come più volte affermò, una religione la cui interpretazione spettava ai grandi sacerdoti ‒ i membri del CIO ‒ mentre la folla dei fedeli, gli atleti, doveva riverenza e accettazione. La prova di questa sua salda convinzione si ebbe nella sessione del CIO del 1959, quando i membri sovietici proposero una profonda riforma dell'organismo, in base alla quale il CIO avrebbe aumentato il numero dei suoi membri ‒ allora 64 e scelti soltanto per cooptazione su proposta del presidente ‒ chiamando a farne parte i presidenti dei Comitati olimpici nazionali e delle Federazioni internazionali. È ovvio che con tale riformulazione non soltanto la dimensione dell'Assemblea si sarebbe triplicata, ma che tutte le deliberazioni e la politica generale dell'ente non avrebbero più subito l'influsso preponderante, e spesso esclusivo, della volontà del presidente del CIO. Dietro la proposta c'era, neppure troppo nascosta, la volontà dell'Unione Sovietica di costituire all'interno dell'organismo olimpico un forte blocco dei paesi comunisti che, alleato a quello dei paesi del Terzo Mondo, sarebbe in effetti diventato maggioritario. Per rendere la riforma meno indigesta ai membri del CIO di più lunga data veniva suggerito che i rappresentanti delle nazioni storicamente più potenti e di più antica tradizione olimpica avessero diritto a due voti anziché uno. La proposta, ovviamente, venne respinta, anche se alcuni elementi di essa sarebbero stati poi ripresi quarant'anni più tardi. Fu invece accolta un'altra proposta, sempre avanzata dall'URSS tramite Konstantin Andrianov: l'allargamento dell'executive board a nove membri, con la creazione di un terzo vicepresidente. A tale carica fu nominato il bulgaro Vladimir Stoytchev. Un ciclo olimpico dopo sarebbe stato il turno di Andrianov stesso.
L'Olimpiade di Roma 1960 si celebrò in un'atmosfera di totale serenità. L'Italia aveva ottenuto un indubbio riconoscimento internazionale con l'assegnazione dei Giochi, particolarmente importante in quegli anni di intensa ricostruzione del paese. Giulio Onesti, in qualità di presidente del CONI, era stato l'artefice di questo successo diplomatico e nella preparazione ai Giochi fu il garante, grazie anche alla intensa collaborazione con il governo italiano, che Roma non avrebbe posto alcun problema al CIO, aperta com'era alla partecipazione degli atleti di tutto il mondo.
Naturalmente vi erano problemi vecchi e nuovi da affrontare. Il primo era quello della Cina, non essendosi finora raggiunta una soluzione per le conflittuali posizioni di Taiwan e della Repubblica popolare di Cina, aggravate da anni di guerra nella penisola coreana e dalla politica intransigente degli Stati Uniti a favore di Taiwan. Nella sessione del CIO del 1959, un compromesso fu trovato sulla proposta presentata da lord Burghley secondo la quale: "Il Comitato olimpico cinese che ha la sua sede a Formosa è stato informato che non può più utilizzare questo nome perché non governa lo sport in Cina. Il nome attuale verrà eliminato dalla lista del comitati olimpici affiliati. Se al CIO verrà presentata domanda di affiliazione sotto un altro nome, il CIO riconsidererà la sua reintroduzione tra i comitati affiliati". Questa decisione, in anni segnati dall'acuirsi della guerra fredda, venne duramente attaccata negli Stati Uniti e Brundage finì sotto il fuoco della stampa. Ma, alla fine, Taiwan accettò di presentarsi come tale e i suoi atleti presero parte sia ai Giochi invernali di Lake Placid sia a quelli di Roma, seppure innalzando durante la cerimonia di apertura un cartello con la scritta: "Sotto protesta".
Non vi furono invece complicazioni sul fronte tedesco: la Germania Est (alla quale non era ancora stato riconosciuto la status di membro indipendente del CIO) e quella Ovest continuarono a presentare squadre unificate. Piuttosto, proprio in coincidenza con le Olimpiadi di Roma, cominciò a emergere il problema dell'apartheid in Sudafrica. Il paese era stato sospeso nel 1957 dalla Coppa d'Africa di football, prima della semifinale con l'Etiopia, per essersi rifiutato di presentare una squadra mista, di bianchi e neri. Il CIO sosteneva che non avrebbe permesso eccezioni alla Carta Olimpica, secondo la quale né un paese né un individuo poteva venir discriminato in ragione della razza, della religione o della politica. In quel caso non si trattava di discriminare un bianco, ma di punire un paese che impediva ai non bianchi di competere insieme ai loro compagni di origine europea. I legami stretti tra Brundage e il membro sudafricano del CIO, Reginald Honey, costituivano certo un vantaggio per quel paese, che tuttavia alla lunga non avrebbe potuto reggere alla pressione di chi era contro il regime dell'apartheid e di interi continenti quali l'Africa, l'Asia e il blocco comunista dell'Europa. Il problema, tuttavia, non si pose ancora per Roma, dove il Sudafrica poté disputare la sua ultima Olimpiade. Ma proprio il fatto che a Roma il Sudafrica avesse presentato una squadra di tutti bianchi portò la situazione a un punto di rottura.
I Giochi di Roma furono particolarmente importanti perché introdussero l'era delle trasmissioni sportive in televisione. Infatti il Comitato organizzatore, coordinato da Onesti come presidente del CONI e presieduto da Giulio Andreotti, firmò il primo contratto per la ritrasmissione televisiva dei Giochi. Brundage non volle trattare la questione poiché gli appariva disdicevole il coinvolgimento in problemi strettamente economici del presidente del CIO. In verità, il CIO ‒ che viveva allora sulla tassa di affiliazione dei Comitati olimpici nazionali, un apporto simbolico, sui contributi delle città organizzatrici dei Giochi ma, soprattutto, su quello che i presidenti versavano di tasca propria ‒ necessitava di fondi, tanto che lord Burghley aveva proposto, nel 1959, un tassa del 5% su ogni biglietto venduto: il 3% sarebbe andato al Comitato organizzatore locale, il 2% al CIO. Burghley lasciò intendere anche, ma fu un gioco più che una minaccia, che se il CIO avesse rigettato la sua proposta, la IAAF ‒ che era l'unica grande Federazione internazionale a non avere propri campionati ‒ avrebbe preso in considerazione questa possibilità. In verità Burghey non avrebbe mai messo in pratica la minaccia per mille ragioni, la prima e più potente delle quali era che si interessava di atletica per un paio d'ore al mese e non avrebbe mai avuto il tempo, né la voglia, di mettere in piedi una simile manifestazione.
Il Comitato organizzatore di Roma cedette dunque i diritti di ritrasmissione televisiva per 394.000 dollari alla CBS americana e per 260.000 dollari all'Eurovisione (altri 50.000 dollari furono pagati dalla CBS per Lake Placid). Al termine dei Giochi, Onesti versò il 5% di questi diritti al CIO. I Giochi di Roma furono teletrasmessi in tutti i paesi dell'Europa occidentale e, per la connessione con l'Intervision, nella maggioranza di quelli dell'Est. Inoltre furono visti negli Stati Uniti e in Giappone, per un totale di 21 paesi.
La questione del Sudafrica si ripresentò ben presto, ancora prima dei Giochi Olimpici di Tokyo del 1964. Il CIO non poteva continuare a ignorare il problema, anche perché era nato ‒ in esilio ‒ un Comitato olimpico sudafricano, denominato South African non racial olympic committee, braccio sportivo della resistenza sudafricana all'apartheid; tra i suoi rappresentanti a Londra aveva Sam Ramsamy che, alla caduta del regime bianco di Pretoria, sarebbe diventato membro sudafricano del CIO. Gli 'esiliati' invitarono il CIO a disconoscere il Comitato olimpico nazionale sudafricano, a meno che non si fosse posto termine alla politica di segregazione razziale anche nello sport. Il CIO, dopo varie esitazioni, chiese un preciso impegno al governo del Sudafrica: nessuna discriminazione, nessuna separazione potevano esistere tra gli atleti del paese. In mancanza di assicurazioni precise in proposito, il Sudafrica sarebbe stato disconosciuto come membro del CIO. Fu ciò che avvenne. Il governo sudafricano non intendeva cambiare la sua politica di apartheid, né poteva mentire in proposito: chiunque poteva constatare che i neri e i coloured non potevano gareggiare con i bianchi, esistevano federazioni differenti per ogni gruppo razziale e gli impianti utilizzati non erano gli stessi. Il CIO non ebbe scelta: nella sessione del 1963, a Baden Baden, si decise di non invitare il Sudafrica ai Giochi di Tokyo. I membri del CIO sudafricani ‒ Frank Braun e Reginald Honey ‒ protestarono e rivendicarono il diritto del loro paese a partecipare, promettendo una politica sportiva non più di apartheid. Si trattava di pura ipocrisia, ma la dirigenza del CIO ‒ oltre a Brundage, lord Killanin, il futuro presidente, e in particolare lord Burghley ‒ ritennero l'assicurazione sufficiente per invitare il Sudafrica ai Giochi del Messico. Allora il Consiglio supremo dello sport africano, guidato da Jean-Claude Ganga, minacciò il boicottaggio dei Giochi. Si arrivò a un voto per lettera: 47 in favore del ritiro dell'invito al Sudafrica, 16 contro, 8 astenuti.
La questione della Germania, al contrario, fu risolta senza problemi, essendo indubbio che la Germania dell'Est era formalmente un paese indipendente. Nel 1966, Heinz Schobel venne eletto membro del CIO per la Repubblica democratica tedesca, che nel 1968 fu dunque presente con una sua squadra. Lo sarebbe stata sino ai Giochi del 1988, cioè sino alla vigilia della caduta del regime comunista (1989) e della conseguente riunificazione tedesca.
Il 1968 fu un anno rivoluzionario anche nello sport. Alla vigilia dei Giochi di Città del Messico vi furono decine di morti in una grande manifestazione studentesca contro il governo del paese, accusato di corruzione, violenza e dispotismo. Si ebbe poi la clamorosa protesta degli atleti afroamericani Tommie Smith e John Carlos in occasione della premiazione della gara dei 200 m e la conferma che il CIO, invece di denunciare l'esistenza di un problema ormai ineludibile come quello dell'integrazione razziale negli Stati Uniti, puniva chi quella questione aveva portato all'attenzione del mondo.
Naturalmente, dal punto di vista formale, Brundage poteva anche avere ragione: ma da un punto di vista sostanziale si poteva dare torto a Smith e Carlos? Inutile, tuttavia, aspettarsi che Brundage ‒ che aveva squalificato Jesse Owens e non aveva mai mosso un dito per riqualificare Jim Thorpe, altra vittima di un sopruso ‒ cambiasse la sua politica e, soprattutto, la sua visione del mondo.
Nel 1972, pochi giorni prima dell'inaugurazione dei Giochi un'altra scottante questione fu sollevata al Congresso: quella della Rhodesia guidata dal regime bianco di Ian Smith, che secondo l'Organizzazione dei paesi africani non doveva esser ammessa a partecipare. Era, questa, una questione più politica che sportiva, perché in verità quel paese nello sport non applicava l'apartheid. Ma l'Africa ‒ compreso il Marocco, solitamente schierato con gli Stati Uniti ‒ con l'appoggio dell'URSS e dei paesi dell'Europa dell'Est, nonché di molti atleti di colore americani, minacciò il boicottaggio se ai membri della squadra rhodesiana fosse stato consentito di gareggiare. Pressato da più parti e anche da Willi Daume, presidente del Comitato organizzatore dei Giochi, alla fine Brundage cedette e la Rhodesia venne esclusa da Monaco di Baviera.
I Giochi di Monaco erano stati superbamente organizzati e si erano annunciati come una manifestazione avvincente sotto ogni aspetto. In Germania si compì invece il momento più tragico della storia olimpica: il sequestro nel villaggio olimpico della squadra israeliana da parte di un gruppo di terroristi palestinesi di Settembre nero. Fu un massacro, con l'uccisione di undici componenti di quella squadra per mano dei sequestratori, anche a causa di un discutibile intervento ‒ almeno per il modo in cui fu organizzato ed eseguito ‒ della polizia tedesca. L'Olimpiade di Monaco avrebbe dovuto rappresentare la felice conclusione del lungo regno di Brundage, che sarebbe restato in carica sino al termine dei Giochi. Al vecchio miliardario americano toccò invece un'ultima, più terribile prova. Il sequestro dei membri della delegazione israeliana avvenne alle 4 del mattino del 5 settembre 1972. All'alba del giorno successivo, la tragedia si era consumata. L'executive board del CIO prima che la notizia dell'uccisione di tutti i sequestrati fosse nota aveva deciso di continuare i Giochi e anche dopo quel tragico annuncio confermò la decisione.
Quale eredità lasciava Brundage al movimento olimpico? Anche contro la sua volontà, alcuni aspetti organizzativi del CIO erano cambiati in meglio, modernizzandosi. Grazie alla pratica della vendita dei diritti TV, iniziata a Roma e proseguita a Tokyo (dove esordì la TV a colori), a Città del Messico ma soprattutto a Monaco, l'ente poteva per la prima volta contare su una certa tranquillità finanziaria, pur tra crisi finanziarie ricorrenti (una delle quali proprio alla vigilia dei Giochi del 1972). Un altro passo in avanti si era fatto nella costruzione di una vera e propria amministrazione. Fu prima istituito il ruolo di 'cancelliere', poi quello di 'segretario generale', con l'assunzione dello svizzero Eric Jonas. Questi venne poi sostituito dall'olandese Johann Westerhoff che si rese subito conto di come fosse difficile, quasi impossibile, governare l'ente con due soli impiegati part time. Occorreva invece creare una struttura impiegatizia, di almeno una decina di persone e vi era anche bisogno di una nuova sede, essendo l'antica ‒ villa 'Mon repos' ‒ troppo angusta. Il comune di Losanna aiutò, mettendo a disposizione il Castello di Vidy. Quando per contrasti con Brundage Westerhoff fu costretto a lasciare, l'ex nuotatrice francese Monique Berlioux, già direttrice dell'ufficio stampa e pubbliche relazioni, assunse il ruolo di segretario generale. L'influenza di Berlioux aumentò notevolmente negli anni a seguire.
Successore di Brundage fu nominato Michael Morris, lord Killanin, un irlandese di Dublino, un gentiluomo, appassionato di giornalismo e regia cinematografica, ma di certo privo dell'energia per dirigere il movimento olimpico. Brundage era un conservatore al di fuori del tempo, ma seguiva una strada che era stata tracciata nei primi anni del 20Þ secolo. Killanin, al contrario, non seguì nessuna strada, finendo con l'essere del tutto dipendente da chi si dedicava con maggiore intensità, e per professione, ai problemi dell'Olimpismo e, cioè, Monique Berlioux.
Forse proprio per questo suo modo indolente di agire Killanin non riuscì mai ad anticipare gli avvenimenti, trovandosi all'ultimo momento di fronte a problemi divenuti irrisolvibili: due Olimpiadi, 1976 e 1980, segnate dal boicottaggio. A Montreal la grande maggioranza degli Stati africani si ritirò dalle competizioni per una controversia un po' bizantina, che si sarebbe potuta prevenire agendo rapidamente e con una qualche perspicacia politica. Era successo che una rappresentativa neozelandese di rugbisti avesse effettuato una tournée in Sudafrica, rompendo l'isolamento sportivo del paese; in conseguenza di ciò i paesi africani chiesero che la Nuova Zelanda fosse esclusa dai Giochi: pretesa giuridicamente sbagliata, perché il rugby non era sport olimpico e il Comitato olimpico di quel paese non era direttamente coinvolto nell'episodio. Il CIO, naturalmente, non poté che respingere la richiesta, cosicché il ritiro della quasi totalità dei paesi africani fu messo in atto.
Nel 1980 il boicottaggio venne invece organizzato dagli Stati Uniti, che svolsero un'azione di lobby intensa su tutti i paesi del mondo occidentale perché non si recassero a Mosca in segno di protesta contro l'invasione sovietica dell'Afghanistan. L'azione fu promossa dal presidente Carter che in quel periodo puntava alla rielezione (da notare che la coincidenza della campagna elettorale USA con la disputa dei Giochi ha spesso determinato problemi, specie in periodi di forti tensioni internazionali). Inevitabile strascico del boicottaggio del 1984 sarebbe stato il controboicottaggio da parte dei paesi del blocco sovietico per i Giochi del 1984 di Los Angeles.
Se non riuscì a far nulla per impedire questi gravi rovesci, Killanin diede qualche timido segno di rinnovamento nei rapporti con le Federazioni internazionali e i Comitati olimpici nazionali (Onesti, presidente del CONI, aveva fondato l'Assemblea permanente dei Comitati olimpici nazionali nel 1970, assumendone la prima presidenza e attirandosi l'ira di Brundage: ma la sua iniziativa fu di notevole peso politico, specie per gli sviluppi futuri), e nella modificazione della definizione di dilettante. La dizione di amateur in riferimento all'eleggibilità di un atleta fu cancellata dalla Carta olimpica al Congresso di Varna del 1973. La nuova formula, approvata nel 1974 a Vienna, recitava: "Gli atleti devono rispettare le regole del CIO e delle loro rispettive Federazioni internazionali; non devono aver ricevuto nessun materiale beneficio dallo sport con l'eccezione di quelli permessi dalla legge".
Durante la presidenza Killanin fu sempre più spesso sollevato il problema del doping nello sport. Nel 1961, sull'onda dell'emozione per la morte del ciclista danese Knut Enemark Jensen nel corso della prova a cronometro a squadre alle Olimpiadi di Roma, attorno alla quale si erano avanzati dubbi sull'uso di sostanze illecite, il CIO aveva creato una commissione medica, presieduta da Arthur Porritt (ne faceva parte anche un italiano, Giuseppe La Cava). Nel 1976, il principe Alessandro de Merode venne nominato a capo della commissione medica e, in occasione delle Olimpiadi di quello stesso anno, il CIO iniziò a testare gli atleti per l'uso di sostanze anabolizzanti.
Nei giorni immediatamente precedenti i Giochi di Mosca si procedette alle elezioni del nuovo presidente, in quanto Killanin aveva confermato di voler lasciare l'incarico, troppo faticoso per lui. Candidati erano l'ambasciatore di Spagna a Mosca Juan Antonio Samaranch (che la decisione del Comitato olimpico spagnolo di esser presente a Mosca aveva molto rafforzato), il canadese James Worrall, il tedesco occidentale Willi Daume, danneggiato però dal boicottaggio del suo paese, e lo svizzero Mark Hodler, anche presidente della Federazione internazionale di sci. Al primo ballottaggio, Samaranch venne eletto settimo presidente del Comitato olimpico con 44 voti, contro 21 di Hodler, 7 di Worrall e 5 di Daume.
Anche i critici più violenti di Samaranch, e ve ne sono stati molti, non hanno tuttavia potuto negare una realtà: nei suoi ventuno anni di governo, dal 1980 al giugno del 2001, il presidente spagnolo ha così profondamente trasformato il CIO da renderlo del tutto differente da quello che il barone de Coubertin aveva consegnato ai suoi successori. L'analisi storica, che richiederà tempo assieme al sopirsi delle più recenti polemiche, dirà se la visione dell'ex diplomatico catalano era corretta. Ma, di certo, il suo impegno, la sua passione, il suo desiderio di rinnovamento e di ricostruzione di un edificio pericolante, sono stati determinanti per consentire al CIO di affrontare il 21Þ secolo nel modo migliore.
Il CIO era vissuto per un secolo basandosi sulle risorse finanziarie dei suoi presidenti e di pochi altri dignitari; con Samaranch è diventato una potenza economico-finanziaria in grado non soltanto di garantirsi la sopravvivenza, ma anche di soccorrere Comitati olimpici e atleti bisognosi, di lanciare iniziative umanitarie, di ridistribuire parte delle sue entrate alle altre componenti del movimento olimpico, i Comitati nazionali e le Federazioni internazionali. Era un club esclusivo di aristocratici o esponenti dei ceti alti, con rari rapporti con quanti operavano nello sport, su base quotidiana, in ogni parte del mondo. Le cooptazioni avvenivano segretamente, i quarti di nobiltà erano pesati con attenzione, le appartenenze a questa o a quell'altra lobby considerate determinanti per la scelta o il rifiuto. I meriti sportivi, le fatiche compiute, le conquiste realizzate sul campo della concreta attività sportiva contavano poco o niente. È vero che alcuni cambiamenti erano già avvenuti, per via forzosa, come l'ammissione dell'Unione Sovietica e dei paesi satelliti. Tuttavia, che mutamento poteva mai essere l'aver sostituito aristocratici con funzionari di partito? La vera ristrutturazione Samaranch la impose, seppure a fatica, allargando la base dalla quale il CIO avrebbe dovuto attingere i suoi membri: una base che, via via, doveva comprendere tutte le forze attive della società internazionale che, in un modo o nell'altro, operavano a favore dello sport. Per un secolo si era carezzata l'idea dell'atleta che praticava lo sport per esclusivo piacere personale, idea certo bella, anche se contraria alla storia dei Giochi antichi dove gli atleti erano professionisti, e in ogni caso non più compatibile con la realtà. Nel 1972 Brundage aveva proceduto a squalificare il grande sciatore austriaco Karl Schranz per professionismo; pochi anni dopo toccò a un altro campione olimpico, il francese Guy Drut (diventato poi ministro dello sport e membro del CIO), subire la stessa squalifica con la stessa motivazione. Appariva evidente che lo sport non era più governabile con le vecchie regole: occorreva il coraggio di cambiare. È ciò che Samaranch ha fatto. Il CIO non si era mai liberato dalla sua originaria impronta di misoginia. Le donne rimanevano rigorosamente escluse dalla cooptazione, quando, in tutti i paesi del mondo, anche i più esclusivi circoli per soli uomini erano stati costretti ad aprire le loro sale alle donne: poteva ancora il CIO tenere fuori dal sancta sanctorum dello sport non soltanto grandi atlete, ma grandi donne che avevano lottato per affermare un evidente, fondamentale, principio di parità? Sotto la presidenza Samaranch, la questione femminile fu affrontata e risolta, dando alle donne le stesse possibilità degli uomini di accedere alla dirigenza del movimento olimpico. Vi è stato un rovescio della medaglia: dopo un secolo almeno in apparenza senza scandali, nel quale l'onestà individuale dell'antica classe dirigente era fuori questione ‒ non soltanto non si sarebbe mai appropriata di un franco svizzero, ma anzi era disposta a versarne per far sopravvivere l'organizzazione ‒, nelle trasformazioni avvenute sotto il governo di Samaranch sia a causa dell'improvviso benessere, sia come conseguenza del forte aumento del numero dei membri del CIO, non pochi hanno mostrato un'avidità e un desiderio di arricchimento personale in contrasto clamoroso con i principi etici dell'Olimpismo. Tuttavia, dalla bufera scoppiata nell'inverno del 1998 ‒ con la denuncia di kickback, o soldi pagati in nero per ottenere voti per le candidature olimpiche (nel caso specifico Salt Lake City, per le Olimpiadi invernali) ‒ uscì un'ulteriore riforma del CIO che, pur non potendo garantire dell'onestà di ciascuno, istituiva almeno alcune reti di protezione contro la corruzione.
La carriera di Samaranch, come dirigente sportivo, era iniziata in gioventù nella Spagna di Franco, di cui egli era, come figlio di una ricca famiglia catalana, un seguace, anche se moderato. Le sue prime cariche furono quelle di presidente della Federazione spagnola di hockey a rotelle, coordinatore della seconda edizione dei Giochi del Mediterraneo nel 1955, membro del Comitato nazionale olimpico spagnolo, capo missione della Spagna ai Giochi Olimpici del 1960 e del 1964. Membro del CIO dal 1966, eletto su proposta di Brundage, divenne capo del protocollo del CIO alla fine degli anni Sessanta, vicepresidente del CIO dal 1974 al 1978. Nello stesso periodo, Samaranch fu anche ambasciatore a Mosca del primo governo spagnolo del dopo Franco, ristabilendo relazioni diplomatiche interrotte da mezzo secolo.
All'indomani della sua elezione, la prima decisione di Samaranch fu quella di stabilire la sua residenza a Losanna per impostare e seguire, giorno dopo giorno, il lavoro del CIO. Al Congresso di Baden Baden del 1981 sostenne che il pericolo di boicottaggio era tutt'altro che scomparso e che i Giochi del 1984 sarebbero stati, sotto questo punto di vista, assai pericolosi. Perciò chiamò tutto il movimento a una stretta unità. Sul piano concreto, propose una completa riorganizzazione della Commissione tripartita, cioè quella che rappresentava le tre colonne portanti del movimento ‒ CIO, NOC (National olympic committees), Federazioni internazionali ‒, praticamente eliminandola e sostituendola con organismi rappresentativi dei Comitati olimpici nazionali e delle Federazioni: si affidò da un lato al messicano Mario Vázquez Raña e dall'altro all'italiano Primo Nebiolo, che nel frattempo era diventato presidente della IAAF. Sempre a Baden Baden fu varata la Commissione per la solidarietà (in sostituzione del Fondo di solidarietà), con maggiori risorse a disposizione, e ne venne nominato direttore onorario lo spagnolo Anselmo Lopez, attraverso cui Samaranch poteva controllare la distribuzione dei fondi, fonte primaria di voti. Fu inoltre dato il via libera alla pratica delle ispezioni dei membri del CIO nelle città candidate alle Olimpiadi (da ciò sarebbe derivato lo scandalo di diciassette anni dopo); fu emendata la regola 26 sull'eleggibilità (il diritto a competere ai Giochi degli atleti), con l'inclusione nella Carta Olimpica della specifica norma secondo la quale "ciascuna Federazione internazionale è responsabile nella formulazione del codice di eleggibilità del suo sport"; furono elette per la prima volta membri del CIO due donne: la venezuelana Flor Isava Fonseca e la finlandese Pirjo Haggman; infine fu varata la CAS (Corte arbitrale dello sport), sulla base di una proposta e di un disegno strutturale giuridico preparato dal giudice della Corte internazionale di giustizia dell'Aia, il senegalese Keba M'Baye.
Il Congresso di Baden Baden decise anche la sede dei Giochi del 1988: a sorpresa, e tra non pochi contrasti, venne scelta Seul, con 52 voti a favore contro i 27 per la giapponese Nagoya. La scelta sembrò a molti azzardata, per via delle complicazioni politiche che potevano nascere, non avendo Seul rapporti diplomatici con l'URSS e vari altri paesi. Alla fine, invece, si rivelò una vittoria strategica importante per il CIO ma soprattutto per la Corea del Sud.
La prima prova difficile per Samaranch fu il boicottaggio dei Giochi di Los Angeles. I suoi tentativi di ammorbidire la posizione sovietica e i frequenti viaggi a Mosca in compagnia di Vázquez Raña e di Nebiolo ‒ che aveva buoni contatti nell'URSS e in genere nei paesi dell'Est, anche come presidente della FISU (Federazione internazionale sport universitari) che proprio a Mosca aveva organizzato le Universiadi del 1973 ‒ non portarono ad alcun effetto. L'Unione Sovietica non intendeva recarsi a Los Angeles e la cosa fu presto chiara a Samaranch. Ciononostante, l'Olimpiade fu un successo grazie all'organizzazione di Peter Ueberroth. Per la prima volta un Comitato organizzatore ricavò dai Giochi un consistente profitto.
I Giochi di Los Angeles rappresentarono dunque una svolta soprattutto sotto l'aspetto mercantile. L'Olimpiade poteva essere venduta a prezzi altissimi, specie alle reti televisive ma anche a un numero ristretto di grandi sponsor. Il CIO riempiva i suoi forzieri e pertanto poteva spendere; Samaranch varò un progetto di ulteriori aiuti ai Comitati olimpici nazionali attraverso la solidarietà olimpica: in pochi anni, sarebbero stati trasferiti a ciascun Comitato sino a 3 milioni di dollari per ciclo olimpico. Nello stesso tempo, il CIO andava esplorando le possibilità di mercato e in questo campo grande importanza ebbe Horst Dassler, proprietario dell'Adidas, e della società di marketing ISL (International sports leisure). La ISL ebbe a lungo il monopolio della vendita dei diritti televisivi e di sponsorizzazione del CIO.
Insomma, tutta la struttura dell'ente si modificava e ampliava la sua attività, paragonabile ormai a quella di una primaria multinazionale. In questo contesto, la presenza di Monique Berlioux al vertice della piramide organizzativa e amministrativa diventava sempre più problematica. La dirigente venne costretta a dimettersi, con un sostanzioso assegno per garantire che non facesse rivelazioni sugli affari interni del CIO. La ristrutturazione portò alla creazione di dipartimenti (finanza, affari legali, marketing, solidarietà olimpica, stampa, relazioni pubbliche, televisione, Internet, relazioni con i Comitati olimpici e le Federazioni ecc.) con responsabilità affidata a un direttore. Françoise Zweifel divenne il nuovo segretario generale, mentre nel 1989 un avvocato svizzero, François Carrard, assunse il ruolo di direttore generale. Infine, Jean-François Pahud fu nominato direttore del Museo Olimpico, che Samaranch aveva deciso di creare a Losanna.
Intanto tra i membri del CIO cresceva l'influenza dell'avvocato canadese Richard Pound, che sarebbe diventato figura determinante nello sviluppo del marketing e nelle trattative di vendita dei diritti televisivi, un affare quest'ultimo capace di portare nelle casse del CIO 894 milioni di dollari soltanto dalla NBC americana per i Giochi di Pechino 2008, e addirittura 1181 milioni di dollari per quelli del 2012. In cinquant'anni, dai giorni del primo contratto televisivo firmato da Onesti in occasione dei Giochi di Roma ‒ 394.000 dollari dalla CBS ‒ il salto compiuto dal CIO nello sfruttare i diritti televisivi dell'Olimpiade appare stellare, considerando che alle cifre pagate dal network americano si devono aggiungere quelle dell'Eurovisione, delle reti giapponesi, australiane e centro-sudamericane.
L'esplosione del mercato sportivo, diventato uno dei business più importanti nel mondo, spingeva ormai un numero sempre maggiore di città a concorrere all'organizzazione dei Giochi Olimpici. Le entrate televisive, parti delle quali erano riversate al Comitato organizzatore, riducevano difatti sensibilmente la dipendenza degli organizzatori dai finanziamenti pubblici. L'edizione di Seul del 1988 fu anche sotto questo aspetto ‒ e, nel caso specifico, con un massiccio intervento dello Stato ‒ un successo. La città ne ricevette un decisivo impulso modernizzatore. Le conseguenze sulla vita politica, sociale ed economica della nazione si sarebbero viste negli anni successivi, avendo i Giochi accelerato la trasformazione di un paese ancora sotto regime quasi militare in una grande, e sempre più democratica, potenza industriale.
Barcellona 1992 fu l'apoteosi di Samaranch, che finalmente aveva portato i Giochi in Spagna e, in particolare, nella sua città natale. La bellezza della capitale catalana, resa ancora più efficiente dagli imponenti lavori pubblici eseguiti in vista dei Giochi sotto la guida del sindaco, Pasqual Maragall, conferì all'Olimpiade un fascino particolare. Al successo politico contribuì la riammissione del Sudafrica (dopo la liberazione di Nelson Mandela e la fine del regime di apartheid con il governo De Klerk) per la quale il presidente aveva abilmente manovrato, in alleanza con Nebiolo, in tempo perché quel paese potesse esser presente a Barcellona.
Diverso fu il caso di Atlanta del 1996. La scelta di una città del Sud degli Stati Uniti, priva di storia sportiva ma sorprendentemente preferita ad Atene, aveva creato molti risentimenti nei confronti dei membri del CIO, già in quell'occasione accusati, neppure troppo sottovoce, di corruzione. Come era stato possibile, se non per il tramite di sotterranee contrattazioni, che Atlanta vincesse la sfida con la capitale greca, dove sarebbe stato logico celebrare il centenario della creazione dei Giochi? La stessa organizzazione dell'Olimpiade lasciò molto a desiderare, nonostante l'imponente affluenza di pubblico. Le polemiche continuarono, così come le insinuazioni da parte di non pochi giornali sul trattamento di lusso assicurato ai membri CIO, da tempo peraltro accusati di preoccuparsi di più di disporre di confortevoli suites negli hotel, di auto e autisti al proprio servizio, di inviti a ricevimenti e pranzi, piuttosto che degli impianti per le gare e dell'efficienza dei servizi a disposizione di quanti all'Olimpiade erano chiamati a lavorare: atleti e giornalisti.
Lo scandalo scoppiò due anni dopo i Giochi di Atlanta, nel novembre del 1998. Il primo atto si ebbe quando una stazione televisiva dello Utah rivelò che il Comitato organizzatore dei Giochi invernali di Salt Lake City (che aveva ottenuto l'Olimpiade nel 1995, dopo essere stata sconfitta da Nagano quattro anni prima) aveva pagato le spese universitarie per la figlia di un membro del CIO del Camerun, Sonia Essomba. Seguì una serie di inchieste di stampa e di mezze ammissioni circa i forti benefici ricevuti da un numero sempre maggiore di membri del CIO dai promotori della candidatura di Salt Lake City. Il CIO convocò allora, per l'11 dicembre, un meeting dell'executive board a Losanna e Richard Pound venne nominato presidente di un'apposita commissione d'inchiesta. Uscendo dal meeting Mark Hodler, vicepresidente del CIO e presidente della FIS, improvvisò una conferenza stampa con i pochi giornalisti presenti, dicendo che tra il 5% e il 7% dei membri del CIO era coinvolto in atti di corruzione, fin dai tempi delle votazioni per Atlanta, Sydney e Nagano.
L'anno che seguì fu uno dei più duri per l'organizzazione olimpica, certamente il più difficile nella sua storia sotto il profilo dell'immagine e della conseguente perdita di prestigio nell'opinione pubblica, che sino a quel momento aveva ritenuto il CIO portatore di ideali al di sopra di ogni sospetto. La campagna di stampa contro Samaranch e alcuni membri del CIO fu implacabile. Occorre riconoscere che, in una situazione tanto delicata, l'anziano diplomatico spagnolo non si lasciò spaventare e anche grazie a un robusto consenso interno ‒ nell'organizzare il quale si distinsero gli italiani Nebiolo e Mario Pescante ‒ seppe mantenere il controllo dell'organizzazione.
Il 23 gennaio 1999, l'executive board, dopo aver ascoltato la prima relazione della commissione Pound (e deciso la formazione di una commissione etica, presieduta dal giudice M'Baye) sospese da membri del CIO Augustin Arroyo (Ecuador), Zein El Abdin Abdel Gadir (Sudan), Jean-Claude Ganga (Congo), Lamine Keita (Mali), Fantini Santander (Cile) e Suili Paul Wallwork (Samoa Occidentali). Altri due membri, Charles Mukora (Kenya) e David Sibandze (Swaziland), si erano nel frattempo dimessi. Sotto inchiesta rimanevano Louis Guirandou-N'Daiye (Costa d'Avorio), Un Yong Kim (Corea del Sud) e Vitaly Smirnov (Russia). Dopo la sessione straordinaria del CIO del marzo del 1999, Arroyo, Gadir, Ganga, Keita, Santander e Wallwork furono espulsi (la camerunese Essomba era intanto morta). Ai dimissionari Mukora e Sibandze si aggiunsero Bashir Mohamed Attarabulsi (Libia) e Pirjo Haggman (Finlandia). Smirnov e Un Yong Kim, presidente anche della GAISF (General association of international sports federations), furono severamente ammoniti e un'ammonizione fu rivolta anche a Guirandou-N'Daye, Phil Coles (Australia), Anton Geesink (Olanda).
Come sempre accade nei momenti di tensione, e quando occorre procedere in fretta per calmare l'opinione pubblica, alcuni di coloro che terminarono la carriera di membri del CIO erano quasi, se non del tutto, innocenti. Il caso più clamoroso fu quello della finlandese Haggman, ex campionessa dei 400 m, prima donna a entrare nel CIO, dimessasi perché il marito aveva avuto un breve periodo d'impiego, per il quale era perfettamente qualificato, come consulente del Ministero delle foreste dell'Ontario, ai tempi della candidatura di Toronto (fallita) per i Giochi del 1996. Nel caso di Geesink, campione olimpico di judo nel 1964, l'accusa era di aver ricevuto 5000 dollari a favore della Geesink Foundation dagli organizzatori di Salt Lake City.
Al contrario, era riuscito a salvarsi il sudcoreano Kim Un Yong, potentissima figura nel suo paese e nel CIO, ex ambasciatore, con legami con i servizi segreti e uomo determinante nel portare e organizzare i Giochi a Seul. Kim Un Yong che era vicepresidente del CIO, ebbe scontri durissimi con Pound; fu poi candidato alla successione di Samaranch nel 2001. Nel 2004 venne coinvolto e arrestato a seguito di una inchiesta per corruzione in Corea del Sud, riguardante anche la sottrazione di fondi dalla Federazione internazionale di taekwondo di cui era presidente, e sospeso dal CIO.
La sessione straordinaria del marzo 1999 non soltanto aveva preso provvedimenti, ma anche discusso il futuro dell'ente olimpico e la sua riorganizzazione. Fu istituita la 'Commissione CIO 2000', che nel dicembre dello stesso 1999 doveva presentare le sue proposte. Tra gli 80 membri chiamati a far parte della Commissione, 36 erano esterni al CIO e tra questi figuravano alcuni nomi famosi: l'ex segretario di Stato statunitense Henry Kissinger, il presidente della FIAT Gianni Agnelli, l'organizzatore di Los Angeles 1984 Peter Ueberroth, l'ex segretario generale dell'ONU Boutros Boutros-Ghali, lo storico John Mac Aloon. Della Commissione facevano poi parte 44 membri del CIO, 12 dei quali anche a capo di Federazioni internazionali, 24 presidenti o ex presidenti di Comitati olimpici nazionali e infine 26 atleti o ex atleti che avevano preso parte ad almeno una Olimpiade. Fra gli italiani che svolsero un ruolo importante occorre citare Franco Carraro, coordinatore della Commissione sulla futura composizione, struttura e organizzazione del CIO, e Pescante, specie nel suo ruolo di segretario generale dell'Associazione dei Comitati olimpici europei. Nebiolo (capo della ASOIF, Association of summer olympic international federations) morì poche settimane prima della sessione straordinaria del dicembre 1999.
Nella sessione ordinaria tenuta a Seul nel mese di giugno 1999 fu fatto divieto ai membri del CIO di visitare le città candidate ai Giochi, nel caso specifico invernali, abolendo la norma introdotta nel 1981, e furono stabilite nuove procedure di votazione, attraverso una prima scrematura della Commissione di valutazione. Fu una sessione importante per l'Italia che aveva la città di Torino candidata ai Giochi invernali del 2006 e contava di rifarsi della delusione patita nel 1997, quando la candidatura di Roma per i Giochi estivi del 2004 era stata respinta a favore di Atene. Il lavoro del team italiano fu, nell'occasione, molto buono. I membri italiani del CIO (Carraro, Nebiolo, Pescante, Bruno Grandi, Ottavio Cinquanta) che avevano sostenuto Samaranch nei momenti difficili ne ebbero in cambio l'appoggio per Torino. A ciò occorre aggiungere un'intensa opera di pubbliche relazioni svolta ai più alti livelli da Agnelli. Il risultato fu che Torino prevalse con 53 a 36 voti sulla svizzera Sion che, da parte sua, contava sulla potente lobby dei funzionari del CIO.
La sessione straordinaria dell'11-12 dicembre, a Losanna, accettò tutte le proposte di riforma avanzate dalla Commissione, cosicché il CIO attuale è sostanzialmente diverso da quello del 20° secolo. Il limite d'età per i membri del CIO è di 70 anni, quello di appartenenza di otto anni, rinnovabili per rielezione. Lo stesso termine di otto anni vale per il presidente, con la possibilità di essere rieletto per altri quattro anni (quindi, limite massimo di 12 anni). Vi sono quattro categorie di membri: 15 atleti in attività (considerando tali gli atleti che abbiano gareggiato negli ultimi quattro anni), eletti dai partecipanti ai Giochi Olimpici; 15 presidenti di Federazioni internazionali; 15 presidenti di Comitati nazionali olimpici; 70 membri eletti individualmente su proposta del presidente e dell'apposita Commissione di selezione, per un totale di membri del CIO non superiore a 115 (sino al 31 dicembre 2007 sono consentiti un massimo di 130 membri). L'executive board è composto di 15 membri.
A Losanna ebbero conferma le disposizioni relative al divieto per i membri del CIO di visitare le città candidate all'organizzazione dei Giochi Olimpici e alle procedure per la selezione delle città candidate anticipate a Seul. Fu inoltre stabilito che le sessioni e i congressi del CIO fossero aperti ai rappresentanti dell'informazione, con trasmissioni a circuito chiuso, e che fossero resi pubblici tutti i dati e i rendiconti finanziari del CIO, nonché le procedure per la vendita dei diritti televisivi e di marketing.
La rapidità con cui Samaranch si era mosso aveva dunque permesso al CIO di recuperare un'immagine credibile non soltanto nei confronti dell'opinione pubblica ma anche degli sponsor che, nei mesi di crisi più acuta, avevano minacciato di rompere i contratti di marketing. Le minacce più pericolose erano arrivate dagli Stati Uniti, che si erano resi conto di non avere forza politica all'interno dell'ente olimpico al cui benessere, invece, contribuivano in maniera sostanziale con l'acquisto dei diritti televisivi e le sponsorizzazioni.
Il passare del tempo e soprattutto l'ottima riuscita dell'Olimpiade di Sydney misero a tacere le più velenose critiche americane e lasciarono spazio a una più serena valutazione dell'operato di Samaranch.
Nel giugno del 2001 a Mosca, nella stessa città dove era stato eletto 21 anni prima, Samaranch lasciò la carica di presidente non senza avere attivamente lavorato per favorire l'ascesa alla presidenza del chirurgo ortopedico belga Jacques Rogge. Questi facilmente batté il canadese Pound e il coreano Kim Un Yong.
Prima della nomina del nuovo presidente, un altro importante passo era stato deciso dai membri del CIO a Mosca: portare i Giochi del 2008 a Pechino, aprendo al movimento olimpico l'immenso territorio e il potenziale umano della Cina. Anche questa decisione fu sostenuta, neppure troppo segretamente, da Samaranch.
Il CIO del 2004 ‒ forte dell'affiliazione di 202 Comitati nazionali olimpici, in rappresentanza di altrettanti paesi (ultimo riconosciuto è stato nel febbraio 2004 quello dell'Iraq) ‒ appare rinnovato dopo la violenta crisi sul finire del 20Þ secolo e ben equipaggiato per reggere l'urto di nuovi bisogni e nuove concorrenze. Rogge ha raccolto un'eredità di rilievo, proponendosi, negli otto anni del suo mandato, di irrobustire ulteriormente il CIO sotto l'aspetto finanziario, in modo da renderlo capace di reggere a qualunque crisi, e di rilanciarlo sotto l'aspetto etico, facendone un ente di cristallina moralità, senza timore di essere sottoposto a severo scrutinio.
Nel suo primo bilancio Rogge indicava che il percorso era cominciato: finanziariamente, in meno di due anni, il CIO ha accresciuto le sue riserve da 110 a 145 milioni di dollari, progredendo sulla strada dei 200 milioni, obbiettivo della presidenza Rogge. Ma i maggiori problemi con i quali il presidente deve confrontarsi e che costituiranno il banco di prova della sua presidenza rimangono sostanzialmente due: la ristrutturazione dei Giochi, nel numero sia degli sport ammessi sia delle gare in programma per ciascuno sport, in modo da mantenere il numero degli atleti partecipanti entro i 10.500, e la lotta al doping, in campo sia olimpico sia mondiale, attraverso il coordinamento di sforzi tra CIO, WADA (World anti-doping agency, presieduta da Richard Pound), Federazioni internazionali e governi nazionali.