Il confine esterno e i limiti interni della difesa d’ufficio
Il d.lgs. 30.1.2015, n. 6 incide sul vizio genetico della difesa d’ufficio, legato sinora ad un discutibile criterio di formazione professionale. Solo in parte sono risolti, invece, i molteplici profili di criticità sia nella proiezione funzionale sia nella proiezione processuale, legati alla disciplina, introdotta con la l. 6.3.2001, n. 60. Ne derivano effetti processuali che hanno creato delle vere e proprie deviazioni dal sistema.
In coerenza con i principi direttivi, indicati dall’art. 16 l. 31.12.2012, n. 247, il d.lgs. n. 6/2015 prevede che l’elenco dei difensori d’ufficio, ora tenuto presso ciascun Consiglio dell’ordine circondariale, venga unificato su base nazionale, attribuendo al Consiglio nazionale forense la competenza in ordine alle iscrizioni e al periodico aggiornamento.
Per assicurare la qualificazione professionale sono, ora, previsti criteri più stringenti per l’iscrizione, poiché è richiesto “almeno” uno dei criteri indicati nel comma 1-bis dell’art. 29. È indicata, così, la partecipazione a corsi biennali, che devono avere la congrua durata di 90 ore e prevedere un esame finale; l’iscrizione all’albo da almeno cinque anni, elevando, in tal modo, la pregressa esperienza professionale in materia penale idonea a consentire l’iscrizione e, in ulteriore alternativa, il requisito del conseguimento del titolo di specialista in diritto penale. È stata eliminata la competenza sulla richiesta dei Consigli locali, ritenendo che il controllo possa essere effettivo solo se “centralizzato” ed attribuito al Consiglio nazionale forense, previo parere del locale Consiglio dell’ordine, cui la domanda va presentata insieme alla documentazione idonea a dimostrare l’effettiva e persistente esperienza nel settore penale. Per assicurare idonea stabilità nell’esercizio della funzione è previsto che il professionista non possa chiedere la cancellazione dall’elenco prima di due anni dall’iscrizione. Quanto alla disciplina transitoria, gli avvocati inseriti negli elenchi tenuti dai Consigli dell’ordine sono iscritti automaticamente nell’elenco nazionale con onere di dimostrare, alla scadenza del periodo di un anno dalla data di entrata in vigore del decreto, la presenza dei requisiti richiesti dalla nuova disciplina per il relativo mantenimento dell’iscrizione. Quanto alla nomina del difensore d’ufficio, il comma 2 dell’art. 97 c.p.p. prevede che il nominativo del difensore d’ufficio venga fornito all’autorità procedente dai locali Consigli dell’ordine, mediante ufficio centralizzato costituito presso le Corti d’appello, che provvedono a predisporre un elenco dei professionisti iscritti all’albo che facciano parte dell’elenco nazionale.
Le modifiche normative intervengono sulla fissità del rapporto tra difesa d’ufficio ed eticità della professione legale per rivalutare il profilo culturale della difesa d’ufficio. Sembra, infatti, che la ratio degli interventi normativi trovi fondamento nel riconoscimento del diritto all’assistenza tecnica quale “mezzo per rendere effettivo il contraddittorio”, per garantire la par condicio tra le parti, contrastando la capacità professionale dell’accusatore con quella di un soggetto di pari qualificazione che assista l’imputato in tutto l’iter del processo1. D’altro canto, il rapporto di assistenza tecnica tra il difensore e l’imputato è indifferente e non ha alcun rilievo solo se si rimane sul piano formale dell’assistenza tecnica. Se, invece, si prende in considerazione, rispetto agli effetti, il rapporto tra il difensore d’ufficio e l’imputato, appaiono chiari i danni che possono essere prodotti da un difensore poco avveduto2.
Nessun intervento ha, però, riguardato il comma 4 dell’art. 97 c.p.p. che consente il ricorso sistematico alle “sostituzioni facili” e che resta, dunque, profilo irrisolto3.
Tra i profili che ancora appaiono problematici, richiede attenzione il meccanismo sanzionatorio “endogeno”; esso è affidato ai Consigli dell’ordine che sinora non hanno mostrato particolare attenzione verso le reiterate assenze dei difensori d’ufficio. Era auspicabile prevedere che tutti i casi di assenza ingiustificata costituissero un illecito disciplinare, sanzionato con la estromissione dall’elenco dei difensori d’ufficio e l’impossibilità di riassumere la difesa per quello di fiducia, ma ciò non si è realizzato sebbene sia entrato in vigore il Nuovo codice deontologico. Lascia perplessi, infatti, che nel Codice nulla sia previsto sul trattamento sanzionatorio nel caso di abbandono della difesa. Ne deriva una possibile applicazione analogica della disciplina prevista per la rinunzia al mandato nell’art. 32 del Codice deontologico.
3.1 Il sistema di reperibilità
Anche il sistema di reperibilità, previsto nell’art. 29, co. 7, disp. att. c.p.p., che “obbliga” i difensori d’ufficio, inseriti nei turni giornalieri, ad essere reperibili per l’intera giornata è del tutto inadeguato, perché non riesce ad impedire, né ad arginare, il fenomeno della irreperibilità. Il problema della reperibilità giornaliera è molto evidente nella sostituzione dibattimentale e in tutti i casi di impellente necessità processuale, o, comunque, in quelle situazioni in cui la presenza necessaria del difensore d’ufficio è richiesta nell’immediatezza della comunicazione. Nel caso in cui alla designazione provveda il giudice, invece, questi può designare come sostituto ex art. 102 c.p.p. un altro difensore immediatamente reperibile, per il quale non è prevista la concessione del termine a difesa. Peraltro, la giurisprudenza internazionale, in più occasioni, ha sottolineato che il diritto ad una difesa d’ufficio effettiva si può ritenere soddisfatto solo qualora al difensore sia concesso un termine a difesa congruo, tale, cioè, da consentirgli di preparare una difesa adeguata4.
3.2 La retribuzione
Resta complesso e irrisolto anche il meccanismo di recupero del credito. È onere del difensore d’ufficio attivare le azioni occorrenti per ottenere il pagamento del credito sorto in dipendenza del rapporto di prestazione d’opera professionale. Tuttavia, la farraginosità del sistema per accertare l’irrecuperabilità dal debitore obbligato comporta che, solo a seguito dell’infruttuoso tentativo di conseguire l’adempimento dell’obbligazione gravante sull’imputato, la responsabilità sussidiaria dello Stato per il pagamento delle spese e dell’onorario diventi operativa. Infatti, seguendo un indirizzo rigoroso, la giurisprudenza ha affermato che il difensore debba munirsi di titolo per procedere nei confronti del suo assistito e dimostrare di aver inutilmente esperito tutte le procedure per il recupero del credito. Dunque, per accertare l’irrecuperabilità del credito dal debitore obbligato, è necessario produrre il decreto ingiuntivo notificato all’ultima residenza o domicilio noto, ai sensi dell’art. 143 c.p.p.; oppure che si produca verbale di pignoramento negativo o che si manifesti l’impossibilità di effettuarlo; oppure che si esibisca la sentenza di chiusura del fallimento, o una dichiarazione di mancanza di attivo da parte del curatore del fallimento dell’imputato.
1 Cfr. Ferrua, P., La difesa nel processo penale, Torino, 1988, 16 ss.
2 Sul punto cfr. Cass., S.U., 10.6.2015, n. 24630, in Proc. pen. giust., 2015, 5, Maritau, rel. Cassano, secondo cui l’omesso avviso dell’udienza al difensore di fiducia tempestivamente nominato dall’imputato o dal condannato integra una nullità assoluta ai sensi degli artt. 178, co. 1, lett. c) e 179, co. 1, c.p.p. La Suprema Corte aderisce all’orientamento secondo cui si ha assenza della difesa tecnica non solo nei casi in cui all’udienza non partecipi alcun difensore, ma anche qualora il difensore, non presente perché non avvisato, venga sostituito dal difensore d’ufficio.
3 Nello schema di decreto legislativo, approvato il 30.10.2014, era stata accolta la proposta dell’UCPI di modifica dell’art. 97, co. 4, poi eliminate perché ritenute non comprese nella legge-delega dalle commissioni parlamentari.
4 Su questo profilo, cfr. C. eur. dir. uomo, 21.04.1998, Daud c. Portogallo, in Dir. pen. e processo, 1998, 97.