Il contenzioso catastale e il riparto di giurisdizione
Tre recenti decisioni della Cassazione hanno affrontato la questione del riparto di giurisdizione in materia catastale tra giudice tributario, giudice ordinario e giudice amministrativo. Il rapporto tra giudice ordinario e giudice amministrativo è stato esaminato con riguardo alla legittimazione del Comune ad impugnare il classamento, riconosciuta presso il giudice tributario, e in materia di atti generali, per le quali controversie è stata affermata la giurisdizione del giudice amministrativo. In materia di intestazione catastale, invece, si sono precisati i confini tra giudice ordinario e giudice tributario.
L’art. 2, co. 2, del d.lgs. 31.12.1992, n. 546 recita che appartengono alla giurisdizione tributaria le controversie promosse dai singoli possessori concernenti l’intestazione, la delimitazione, la figura, l’estensione, il classamento dei terreni e la ripartizione dell’estimo fra i compossessori a titolo di promiscuità di una stessa particella, nonché le controversie concernenti la consistenza, il classamento delle singole unità immobiliari urbane e l’attribuzione della rendita catastale.
L’art. 19, co. 1, lett. f), dello stesso testo legislativo, ammette la proposizione del ricorso avverso gli atti relativi alle operazioni catastali indicate nel menzionato art. 2. L’art. 7, co. 5, statuisce che le commissioni tributarie, se ritengono illegittimo un regolamento o un atto generale rilevante ai fini della decisione, non lo applicano, in relazione all’oggetto dedotto in giudizio, salva l’eventuale impugnazione nella diversa sede competente. Intorno a queste norme si sono sviluppati almeno tre filoni giurisprudenziali. In particolare, la giurisprudenza è tornata a pronunciarsi sulla legittimazione degli enti locali ad agire in giudizio presso il giudice tributario (ovvero presso il giudice amministrativo), impugnando il classamento (Cass., ord., 21.7.2015, n. 15201); si è posta la questione del rapporto tra giudice ordinario e giudice tributario con riguardo alla materia catastale (Cass.,16.2.2016, n. 2950); infine, ha trattato il rapporto tra giudice tributario e giudice amministrativo (Cass., 18.4.2016, n. 7665).
Procedendo in ordine cronologico, il primo punto da affrontare concerne la legittimazione del Comune ad instaurare un giudizio in materia catastale (dinanzi al giudice tributario o a quello amministrativo), affrontato da ultimo dalla ordinanza n. 15201/2015.
Il classamento consiste nella determinazione della categoria e della classe, e della conseguente rendita, di un singolo immobile; è determinato dall’Agenzia delle entrate1 ed è poi utilizzato ai fini impositivi, perchè su di esso basano le loro determinazioni gli uffici locali (oltre che erariali) che gestiscono le imposte, quali l’Imu, la Tasi, e la Tari, considerato che nella visura catastale risulta ormai la superficie da utilizzarsi ai fini della commisurazione del tributo. Occorre, quindi, verificare, se l’ente locale possa impugnare il classamento per farne valere l’illegittimità, e in caso di risposta positiva, presso quale autorità giudiziaria. Sul punto è sorto un contrasto giurisprudenziale che ha visto due decisioni particolarmente rilevanti.
L’ordinanza del Cassazione n. 675 del 19.1.2010 ha affermato la giurisdizione del giudice amministrativo, riconoscendo che il Comune nel giudizio tributario non può né impugnare né intervenire adesivamente in quanto nel processo tributario non è previsto l’intervento adesivo dipendente, il quale è incompatibile con la natura impugnatoria del giudizio. Ne discenderebbe la tutela dinanzi al giudice amministrativo2.
L’ordinanza n. 15201/2015 ha, invece, riconosciuto al Comune la legittimazione ad impugnare il classamento dinanzi alle commissioni tributarie, sottolineando che la giurisprudenza della Cassazione in materia è in rapida e continua evoluzione3. Per la Corte negare la legittimazione al Comune condurrebbe ad un inammissibile sacrificio del diritto di azione presidiato dall’art. 24 della Costituzione.
Quanto al giudice competente, l’inciso «promosse dai singoli possessori» non sembra idoneo a rivestire le caratteristiche di chiarezza ed univocità circa il soggetto titolare dell’azione, non emergendone l’intento di delimitare la giurisdizione del giudice tributario anche sotto il profilo soggettivo, avendo carattere esclusivamente esplicativo – ricognitiva trattandosi dell’ipotesi tipica, ma non unica, del ricorso. Escludendosi la giurisdizione del giudice tributario vi sarebbe quella del giudice amministrativo, con il rischio di decisioni irrimediabilmente contrastanti, con l’effetto di compromettere la certezza e la stabilità delle situazioni giuridiche nonché la stessa funzionalità del processo.
Proseguendo nell’ordine cronologico, la Cassazione, con la sentenza n. 2950/2016 ha affrontato la questione del rapporto tra giudice ordinario e giudice tributario con riguardo alla materia catastale. In catasto, per ogni unità immobiliare, è individuata la categoria, la classe, la consistenza, la rendita, l’indirizzo e gli intestatari del bene con l’indicazione del relativo diritto reale. L’intestazione catastale, da un punto di vista strettamente fiscale, è da tempo irrilevante, in quanto non consente l’iscrizione a ruolo dei tributi immobiliari. Ne deriverebbe, secondo autorevole dottrina, l’inammissibilità di controversie sull’intestazione in assenza di interesse ad agire4.
Invero, a favore della ammissibilità del giudizio de quo, oltre alla lettera della legge, anche la constatazione pratica che i comuni fanno riferimento alle intestazioni catastali per individuare, in prima battuta, i soggetti passivi dei tributi locali. Dal 2010 l’intestazione catastale ha acquisito una limitata rilevanza civilistica, in quanto il notaio5, prima della stipula degli atti tra vivi aventi ad oggetto diritti reali su fabbricati, individua gli intestatari catastali e verifica la loro conformità con le risultanze dei registri immobiliari6. In questo contesto, ritorna di attualità la giurisdizione in tema di intestazione catastale in forza dell’art. 2, co. 2, del d.lgs. n. 546/1992, per il quale appartengono alla giurisdizione tributaria le controversie promosse dai singoli possessori concernenti l’intestazione. La norma fa riferimento esclusivamente all’intestazione dei terreni e non a quella dei fabbricati, ma si può riconoscere in capo al giudice tributario la relativa giurisdizione in quanto l’omessa previsione appare frutto di una svista del legislatore priva di giustificazione7. Riconoscimento ammesso dalla Cassazione, che sottolinea come non «sia configurabile una sostanziale diversità di disciplina, quanto, ad esempio, alla intestazione, in ragione della natura – terreno o fabbricato – dell’immobile interessato».
La Cassazione ha riconosciuto al giudice ordinario la giurisdizione in ordine alle controversie tra privati, o anche tra privati e p.a., aventi ad oggetto la verifica della esistenza e della estensione del diritto di proprietà. Appartengono invece alla giurisdizione del giudice tributario le controversie con le quali si contesta, nei confronti degli organi competenti, le risultanze catastali esistenti. Il dubbio sollevato dal ricorrente consiste nell’individuare la giurisdizione nel caso in cui non si contestano i dati catastali con riferimento agli elementi oggettivi relativi alla rendita, ma quando la questione investe l’accertamento della proprietà e la connessa intestazione catastale.
Affermata la giurisdizione del giudice ordinario, si avrebbe un unico giudizio; affermata la giurisdizione del giudice tributario per l’intestazione catastale, si avrebbe prima un giudizio ordinario, e poi, se l’amministrazione catastale non esegue le conseguenti volture, un giudizio dinanzi al giudice tributario.
Resta da esaminare il rapporto tra giudice tributario e giudice amministrativo, questione egregiamente trattata dalla sentenza della Cassazione n. 7665/2016. Nell’ambito del cd. accertamento catastale intervengono sia atti generali, in particolare le tariffe d’estimo, con le quali sono determinate le rendite astrattamente attribuibili a ciascuna categoria e classe di fabbricato, sia atti individuali, in particolare il classamento, con il quale sono attribuite la categoria e la classe di appartenenza e conseguentemente determinata la relativa rendita catastale. La presenza di atti generali comporta la rilevanza anche dell’art. 7, co. 5, del d.lgs n. 546/1992, per il quale le commissioni tributarie, se ritengono illegittimo un regolamento o un atto generale rilevante ai fini della decisione, non lo applicano, in relazione all’oggetto dedotto in giudizio, salva l’eventuale impugnazione nella diversa sede competente. Poiché la diversa sede competente è il giudice amministrativo, ne discende il problema del rapporto tra le due giurisdizioni.
Sulla questione, pregevole appare la sentenza laddove sottolinea che «si viene a delineare un sistema coerente che collega l’attribuzione e la modificazione delle rendite catastali alla specifica norma processuale tributaria di riferimento (art. 2, nuovo co. 2) e la disapplicazione di un regolamento o un atto generale (art. 7, co. 5) con la generale cognizione incidentale del giudice tributario (art. 2, nuovo co. 3) in piena coerenza logica e giuridica. Ne emerge chiara la distinzione tra le cd. operazioni catastali individuali – devolute alle commissioni tributarie dagli artt. 2, co. 2 (già 3) e 9, lett. f), proc. trib., e gli atti generali di qualificazione, classificazione, etc., devoluti al giudice amministrativo in sede d’impugnazione diretta e al giudice tributario solo in via di mera disapplicazione». «Nessuna disposizione del decreto legislativo 31.12.1992, n. 546, attribuisce alle commissioni tributarie un potere direttamente incisivo degli atti generali in deroga alla tipica giurisdizione di legittimità costituzionalmente riservata agli organi della giustizia amministrativa. Non vi è spazio per l’impugnazione di atti che possano coinvolgere un numero indeterminato di soggetti con pronuncia avente efficacia nei confronti della generalità dei contribuenti… La controversia sugli atti amministrativi generali esula pertanto dalla giurisdizione delle commissioni tributarie, il cui potere di annullamento riguarda soltanto gli atti indicati dall’art. 19 del predetto d.lgs, e non si estende agli atti amministrativi generali… Né è sostenibile che, per quanto riguarda gli atti generali di formazione, aggiornamento e adeguamento del catasto l’art. 74 della legge 21.11.2000 n. 342 voglia derogare al normale riparto della giurisdizione tra giudice tributario e giudice amministrativo. Una volontà di tal genere non ha certamente espresso tale disposizione laddove, per un verso, richiama l’art. 2, co. 3 (ora 2. del ridetto d.lgs., atteso che la disposizione richiamata resta nell’ambito dell’ordinaria impugnazione degli esiti fiscalmente rilevanti delle cd. operazioni catastali individuali, per un altro, il nuovo testo del co. 3, regola la risoluzione in via incidentale di ogni questione da cui dipende la decisione delle controversie rientranti nella giurisdizione delle commissioni tributarie, da cui non è ricavabile una giurisdizione tributaria di legittimità sugli atti amministrativi generali con pronuncia avente efficacia nei confronti della generalità dei contribuenti pur se territorialmente stabiliti».
La tesi per la quale la legittimazione a contestare la correttezza del classamento compete solo al possessore dell’immobile, negando un’autonoma legittimazione del comune sia presso il giudice tributario sia presso quello amministrativo, appare ancora preferibile, nonostante le pregevoli argomentazioni della Corte, per almeno due piani di argomentazioni8.
Sul piano dell’argomento letterale, sembra decisiva la lettera della legge per la quale il classamento e l’attribuzione di rendita sono impugnabili, come è testualmente previsto dall’art. 2, co. 2 del d.lgs. n. 546/1992 (e dai testi previgenti), dal possessore del bene9. Soprattutto in materia processuale, le norme non hanno carattere esplicativo, ma specificano i soggetti legittimati ad impugnare. Ne è conferma la mancata previsione della notificazione dell’atto all’Ente locale (ma solo appunto al possessore), dalla quale dovrebbe decorrere il termine per l’impugnazione.
Sul piano ricostruttivo, non si condivide il richiamo all’art. 24 della Costituzione, che secondo la Cassazione sarebbe violato e imporrebbe pertanto una lettura “costituzionalmente orientata”. La norma recita che tutti possono agire in giudizio per la tutela dei propri diritti e interessi legittimi. In primo luogo pertanto, bisognerebbe chiedersi se il Comune è soggetto contemplato dal precetto costituzionale. Al riguardo, il pronome “tutti” non sembra applicabile agli Enti locali, in quanto la norma è posta nell’ambito della parte I della Costituzione, che è rubricata «Diritti e doveri dei Cittadini», e del titolo I, «rapporti civili». Il Comune non è un gruppo di cittadini, una società, un’associazione, ma un Ente locale, un ente pubblico, al quale si riferiscono ben altre norme della Costituzione. Sembra difficile sostenere che il Costituente abbia inteso tutelare l’Ente locale nei confronti dell’Agenzia delle entrate10. In secondo luogo, la norma non riconosce la tutela per qualsiasi interesse genericamente azionabile, ma solo al fine di tutelare diritti soggettivi e interessi legittimi. Occorre quindi riconoscere in capo al Comune un diritto soggettivo o un interesse legittimo. Sotto questo profilo, rispetto al quale la motivazione dei Supremi Giudici appare carente, il Comune non è soggetto passivo di tributi, non è titolare di diritti soggettivi o di interessi legittimi. Non è titolare di diritti soggettivi in quanto non è soggetto titolare di diritti reali sul bene oggetto del classamento; ma non è titolare neanche di interessi legittimi, in quanto non è un soggetto che vanta una pretesa alla legittimità dell’atto rispetto all’esercizio di un potere discrezionale11. In primo luogo, in quanto non vi è un potere discrezionale, ma un potere certativo; in secondo luogo, perché il Comune non si ritrova in una posizione differenziata o legittimante dalla quale discenda la pretesa alla legittimità dell’atto. Il Comune, infatti, non è in una posizione differenziata rispetto al provvedimento, perché non vi è un preesistente rapporto giuridico, tra lo stesso e l’Agenzia, su cui viene ad incidere il potere stesso, ma un mero interesse ad incassare più tributi derivanti dall’applicazione di norme di legge. Pertanto, anche ad ammettere che l’art. 24 Cost. sia applicabile al comune, manca il diritto soggettivo o l’interesse legittimo, che non sono, si ribadisce, riconoscibili in un qualsiasi interesse di fatto12. Infine, ammettendo il ricorso del Comune diretto ad ottenere una classificazione più onerosa per il possessore, avremmo un caso di giudizio tributario, assolutamente atipico e in contrasto con l’intera disciplina processuale, dove contribuente e Agenzia sarebbero dalla stessa parte processuale, in contrasto con l’ente locale.
Relativamente al rapporto tra giudice tributario e giudice ordinario, la sentenza appare condivisibile e nel solco di un consolidato orientamento13. La commissione tributaria può solo verificare il rispetto da parte dell’Agenzia delle entrate (già Agenzia del territorio, già Ute) delle norme concernenti l’intestazione iniziale e le successive volture. Non vi è spazio neppure per un accertamento incidentale della proprietà, in quanto il giudice deve solo accertare l’esistenza del titolo idoneo all’intestazione e alla voltura14; si pone, semmai, il problema se il giudice debba solo accertare l’esistenza e l’autenticità del titolo o debba anche rilevarne – d’ufficio – la nullità15.
Restano, però, tre aspetti sui quali porre attenzione.
Il primo riguarda il litisconsorzio necessario con il preesistente intestatario16. Parti del giudizio sono sicuramente l’Agenzia e colui che reclama l’intestazione o la sua cancellazione. Nella generalità dei casi, vi saranno anche uno o più soggetti che risultano o che risulteranno intestatari. Si possono perciò riscontrare intestatari controinteressati, con conseguente litisconsorzio necessario e, con riferimento a vecchie intestazioni, anche con difficoltà a integrare il contraddittorio. Il secondo profilo riguarda l’atto impugnabile, anche perché la stessa sentenza discorre di giudizio di tipo impugnatorio. L’art. 19, d.lgs. n. 546/1992, fa riferimento agli atti relativi alle operazioni catastali. Da un punto di vista formale l’unico atto soggetto di notifica è il classamento o attribuzione di rendita, mentre per gli altri “atti” non è prevista autonoma notificazione, ma sono notificati insieme al classamento, in quanto operazioni cronologicamente preliminari. Impugnando il classamento, si possono investire i molteplici dati rilevanti dell’accertamento catastale, dall’intestazione alla consistenza alla rendita. Non v’è dubbio, però, che l’intestazione può essere contestata indipendentemente dalla notificazione del classamento, in quanto la voltura, o omessa voltura, non comporta la notificazione di un classamento. Al riguardo si ricorda l’art. 71 d.P.R. 1.12.1949, n. 1142 che faceva riferimento ai reclami contro i dati dell’accertamento, e precisamente «sulla intestazione e sulla misura della consistenza delle rispettive unità immobiliari, nonché sull’applicazione alle medesime della categoria e classe». Il terzo profilo riguarda la natura del giudizio. Si discute se il giudizio catastale vada ricostruito come giudizio di annullamento17 o come giudizio di accertamento del classamento corretto18. Soluzione quest’ultima che sembra preferibile anche con riguardo alle controversie aventi ad oggetto l’intestazione catastale19, dove può essere addirittura difficile ravvisare l’impugnazione di un atto e dove non si annulla un provvedimento, ma si accertano gli intestatari catastali dell’immobile. Non ne deriva, pertanto neanche una condanna in senso proprio. Sul punto, potrebbe rilevare anche l’art. 69 d.lgs. n. 546/1992, come sostituito dalla lett. gg) dell’art. 9 del decreto legislativo 24.9.2015, n. 156, rubricato «esecuzione delle sentenze di condanna in favore del contribuente», che dispone che le sentenze di condanna al pagamento di somme in favore del contribuente e quelle emesse su ricorso avverso gli atti relativi alle operazioni catastali, sono immediatamente esecutive, e che è esperibile il giudizio di ottemperanza. La norma, nella sua nuova formulazione, potrebbe essere richiamata per riconoscere natura costitutiva al giudizio catastale, ma l’accostamento tra le sentenze di condanna e quelle catastali ha solo la funzione di consentire, pur in contrasto con i principi, l’immediata applicazione di quanto, appunto, accertato20.
Sul rapporto tra giudice amministrativo e tributario, resta poco da aggiungere rispetto a quanto evidenziato dalla Suprema Corte. Si può solo ricordare che è discussa la natura giuridica degli atti generali. Parte della dottrina vi riconosce natura normativa e non amministrativa, sostenendo che avrebbero efficacia innovativa dell’ordinamento giuridico21, ovvero affermando che rientrerebbero tra gli atti espressione di potestà discrezionale normativa avente ad oggetto una valutazione tecnica22. Indipendentemente dalla tesi che si voglia accogliere, indiscussa è la natura generale e non individuale. Ne consegue che la tutela nei confronti delle tariffe d’estimo e degli altri atti generali si ritrova certamente nella disciplina posta nell’art. 7, co. 5, del d.lgs. n. 546/1992, con la precisazione che possono essere impugnati anche con il ricorso straordinario al capo dello Stato.
Un ultimo punto da evidenziare è il riconoscimento, da parte della Cassazione, della legittimazione ad agire, presso il giudice amministrativo, delle associazioni dei consumatori. Si tratta di uno dei pochi casi nei quali è ammissibile una class action in materia tributaria, appunto perché associazioni di tutela di interessi diffusi non potrebbero mai attivare un ricorso dinanzi alla giustizia tributaria, non essendo destinatari di alcun provvedimento previsto dalla legge sul contenzioso tributario. Talvolta le associazioni dei consumatori hanno provato a promuovere azioni di classe in materia tributaria, richiamando sia il d.lgs. 6.9.2005, n. 206, sia il d.lgs. 20.11.2009, n. 198. Sul punto, la Cassazione sottolinea che si tratta di soggetti esponenziali di interessi diffusi che non sono legittimati ad agire dinanzi al giudice tributario ma che, quali associazioni a tutela di interessi collettivi, possono presentare la domanda di annullamento erga omnes degli atti della p.a., in materia catastale, dinanzi al giudice amministrativo.
In senso contrario, altra giurisprudenza per la quale tali associazioni possono agire in ordine ai fondamentali diritti previsti dai vari testi normativi, ma non si può riconoscere una legittimazione ad agire in giudizio così vasta da ricomprendervi qualsiasi attività di tipo pubblicistico che si riverberi economicamente in modo diretto o indiretto sui cittadini non in quanto consumatori e/o utenti, ma in quanto contribuenti; altrimenti opinandosi, verrebbe ad ammettersi che la legittimazione alla sollecitazione del sindacato giurisdizionale possa risolversi nella consentita sottoponibilità a verifica di qualunque atto della p.a. che possa determinare un pregiudizio per i contribuenti. In questa prospettiva, anche la disciplina del d.lgs. n. 198/2009 va letta nel senso che la legittimazione ad agire in giudizio delle associazioni a tutela dei consumatori sussiste solo ove i provvedimenti che si impugnano abbiano effettivamente pregiudicato un interesse collettivo dei consumatori e degli utenti; ed uno degli indici che denunciano la presenza di un interesse collettivo è sicuramente dato dal fatto che un tale interesse deve essere in grado di soddisfare, una volta realizzato, l’intera categoria a motivo della sua omogeneità ed indivisibilità23. La questione appare di sicura rilevanza perché da un lato dette associazioni tendono ad affermarsi come soggetti che tutelano i contribuenti; dall’altro lato il contribuente non è configurabile né come consumatore né come utente di un servizio.
Note
1 Fino alla sua soppressione era determinato dall’Agenzia del territorio, con la conseguenza che il problema si poneva anche nei rapporti tra Agenzie.
2 Negata da Cons. St., IV sez., 16.4.2014, n. 1903.
3 In Corr. trib., n. 2015, n. 40, 4073 ss. con nt. di Comelli A., La legittimazione ad impugnare la (nuova) rendita catastale da parte di un Comune. Condivide l’orientamento dell’ordinanza Del Vaglio, M., Delega del Catasto ai Comuni: “revirement” delle Sezioni Unite sull’impugnazione delle rendite catastali, in Gt Riv. giur. trib., 2016 , n. 1, 50 ss.
4 Cfr. Fransoni, G., Giudicato tributario e attività dell’amministrazione finanziaria, Milano, 2001, 427.
5 Ai sensi dell’art. 29, co. 1bis, l. 27.2.1985, n. 52, come introdotto dall’art. 19, co. 14, d.l. 31.5.2010, n. 78, conv. dalla
l. 30.7.2010, n. 122.
6 Cfr. Petrelli, G., Conformità catastale e pubblicità immobiliare, Milano, 2010; Coscia, G., Stato dell’arte in tema di coerenza catastale oggettiva, Studio del C. N. del Notariato, n. 8462014/C del 1.10.2015; Busani, A.Morello, U., Passaggio in catasto per i nuovi requisiti di forma ad substantiam degli atti immobiliari, in Contratti, 2010, 916.
7 Cfr. Salanitro, G., Profili sostanziali e processuali dell’accertamento catastale, Milano, 2003, 129.
8 Tesi già sostenuta in Salanitro, G., In tema di liti sulla rendita catastale e sulla liquidazione dell’imposta locale sugli immobili, in Tributimpresa, 2005, 25, ove si riconosce all’ente locale solo un interesse patrimoniale indiretto che, in quanto parte dell’amministrazione pubblica, può fare valere solo in via endoamministrativa. Conforme Tesauro, F., Liti catastali: riflessi sull’Ici, in Tributimpresa, 2005, 17, che critica l’affermazione che il Comune fa parte dell’amministrazione pubblica perché è soggetto distinto dallo Stato e, in specie, dall’Agenzia del Territorio. Ma con amministrazione pubblica ci si riferisce non allo Stato – ente, ma all’insieme degli enti pubblici che costituiscono la Pubblica Amministrazione (principio del pluralismo della p.a). Certamente è da escludersi la tutela del Comune dinanzi al giudice amministrativo, in forza della riserva di giurisdizione a favore delle commissioni tributarie ex art. 2, d.lgs. n. 546/1992.
9 Destinatario della notificazione del classamento. Al riguardo è opportuno ricordare che l’art. 74, co. 1, l. 21.11.2000, n. 342, ne dispone la notificazione ai soggetti intestatari e la tempestiva comunicazione dell’avvenuta notificazione ai Comuni interessati. In base all’art. 74 sostiene la legittimazione del Comune Trimeloni, M., Catasto fabbricati e Ici: la posizione del comune. Interrogativi sulla tutela giurisdizionale dell’ente, in Fin. loc., 2003, 835 ss. Favorevoli alla legittimazione dei Comuni Del Vaglio, M.Lupi, R., Classamento degli immobili da parte dell’UTE: un ordine sparso dei Comuni, in Dialoghi trib., 2013, n. 3, 340 ss.
10 Più utile sarebbe stato il richiamo all’art. 113 Cost., che nell’ambito della Sezione II, norme sulla giurisdizione, recita che contro gli atti della p.a. è sempre ammessa la tutela giurisdizionale dei diritti e degli interessi legittimi dinanzi agli organi di giurisdizione ordinaria o amministrativa.
11 Cfr. Virga, P., Diritto amministrativo, Milano, 1999, n. 2, 167 ss; Caringella, F., Manuale di diritto amministrativo, Roma, 2016, 9 ss..
12 In senso critico sembra Buccico, C., Per le rendite catastali e il classamento degli immobili il Comune può adire il giudice tributario?, in Innovazione e diritto, 2015, n. 2, 319 ss, per la quale l’ordinanza prospetta un panorama operativo del tutto nuovo che necessita di importanti chiarimenti circa le modalità di notifica degli accertamenti catastali, anche ai Comuni, e dei relativi ricorsi, proprio nell’ottica della certezza del diritto invocata dalla Corte, nega la legittimazione al Comune (Cass., 21.7.2010, n. 17054).
13 Cfr. Cass., 14.11.1972, n. 3369. In dottrina cfr. Buccico, C., Il catasto. Profili procedimentali e processuali, Napoli, 2008, 223; Randazzo, F., Sub art. 2, in Commentario breve alle leggi del processo tributario, Padova, 2012, 25; Pace, A., Le controversie catastali, in Basilavecchia, M. Funzione impositiva e forme di tutela, Torino, 2013, 339.
14 Cfr. Castaldi, L., Assistenza tecnica gratuita, in Il nuovo processo tributario, a cura di Baglione, T.Meschini, S.,Miccinesi, M., Milano, 1997, 137.
15 Cfr. Salanitro, G., Profili sostanziali e processuali dell’accertamento catastale, Milano, 2003, 130.
16 Con riguardi al giudizio ordinario di accertamento della proprietà, l’Agenzia non è, normalmente, parte del giudizio in quanto non è titolare di un diverso e autonomo interesse: cfr. Fransoni, G., Precisazioni sulla giurisdizione in tema di liti catastali, in Riv. dir. trib., online, 2016.
17 Per una ricostruzione come giudizio di annullamento vd. Glendi, C., L’oggetto del processo tributario, Padova, 1984, 403.
18 La ricostruzione come giudizio di accertamento corrisponde alla qualificazione del classamento quale atto di certazione: cfr. Salanitro, G., Profili sostanziali e processuali dell’accertamento catastale, cit., 133 ss.. Per La Rosa, S., Principi di diritto tributario, Torino, 2012, 429, nelle controversie sulle operazioni catastali, l’oggetto della domanda è costituito da una pronuncia dichiarativa, che positivamente accerti il diritto del contribuente ad un certo classamento; il mero annullamento non può in questi casi costituire soddisfacente risposta alle esigenze di giustizia che vengono dedotte in giudizio, posto che esse postulano il positivo accertamento di una situazione giuridica diversa da quella dall’Amministrazione affermata. Per una tesi intermedia, Uricchio, A., Il contenzioso catastale: la difficile convivenza di più giurisdizioni, in Rass. trib., 2005, n. 5, 1403 ss., il quale, pur aderendo alla ricostruzione dichiarativa degli atti e delle operazioni catastali, afferma che il giudice tributario deve vagliare, nei limiti dei motivi addotti dalle parti, la legittimità formale dell’atto impugnato, potendo il giudizio anche sfociare in una pronuncia di annullamento dell’atto.
19 Anche all’intestazione può riconoscersi, almeno volgendo lo sguardo alla ricostruzione storica dell’istituto, una funzione di attribuzione di certezza, che operava nella fase della formazione dei ruoli, in quanto l’esattore non aveva bisogno di rintracciare il titolo da cui risultava il proprietario dell’immobile moroso, risalendo fino al termine dell’usucapione (probatio diabolica), ma poteva limitarsi alle risultanze dei registri catastali: così Parlato, A., Il catasto dei terreni. Profili giuridici, Palermo, 1967, 154. Sulla natura di atti di certazione riconoscibile agli atti catastali cfr. Farri, F., Forma ed efficacia nella teoria degli atti dell’amministrazione finanziaria, Padova, 2015, 585 ss.
20 Per Glendi, C., in Abuso del diritto e novità nel processo tributario, Glendi, C.-Consolo, C.-Contrino, A., a cura di, Milano, 2016, 280, la nuova formulazione della norma conduce a inquadrare le sentenze in materia catastale nella categoria delle pronunce costitutive caratterizzate da una particolare intensità sul versante “attuativo”, perciò anche qualificabili come pronunce di condanna. Lo stesso Autore ammette che difetta una vera e propria azione di condanna, il che significa, a nostro avviso, che la norma, lungi dal condurre a qualificazioni contraddittorie, è sul piano sistematico incoerente e va letta solo come uno strumento per accelerare la tutela effettiva del contribuente.
21 Di Pietro, A., I regolamenti, le circolari e le altre norme amministrative per l’applicazione della legge tributaria, in Trattato di diritto tributario, Amatucci, F., diretto da, tomo II, Padova, 1994, 636.
22 Cfr. Bafile, C., Il nuovo processo processo tributario, Padova, 1994, 112.
23 Cfr., con riferimento alla connessa materia dell’Imu, TAR Lazio, Roma, 20.3.2013, n. 2843.