di Giuseppe Campesi
Mare nostrum è un’operazione interforze lanciata dal governo italiano il 18 ottobre 2013, all’indomani della tragedia di Lampedusa del 3 ottobre in cui persero la vita oltre 350 migranti, e conclusasi nel 2014 dopo 364 giorni di attività. L’operazione ha interessato un’area molto vasta del Mediterraneo centrale, spingendosi fino in prossimità delle acque territoriali libiche. Secondo i dati forniti dal governo, essa ha avuto un costo di oltre 114 milioni di euro, consentendo di intercettare 100.250 persone e denunziare 728 ‘scafisti’ in occasione di 558 interventi. A partire dal mese di ottobre 2014 Mare nostrum è stata sostituita dall’operazione congiunta Triton, coordinata dall’agenzia europea Frontex. Quest’ultima ha una portata più limitata rispetto all’operazione condotta dal governo italiano, non si spingendosi oltre le nostre acque territoriali, oltre che un budget notevolmente ridotto (circa 5 milioni di euro). Triton si sovrappone alle due operazioni congiunte, denominate Aeneas e Hermes, che sin dal 2007 Frontex conduce nella regione del Mediterraneo centrale, operazioni costate in media 6 milioni di euro all’anno.
L’obiettivo dell’operazione Mare nostrum era quello di sorvegliare un tratto di mare che dal 2011 era rimasto sostanzialmente sguarnito a causa dell’incapacità delle autorità libiche di svolgere attività di pattugliamento, portando ad una decisa ripresa degli sbarchi. Essa si è inserita nel quadro di accordi di cooperazione tra Italia, Tunisia e Libia che da tempo caratterizzano le attività di controllo del Mediterraneo centrale. Per quanto l’Italia, dopo la condanna da parte della Corte europea dei diritti dell’uomo nel caso ‘Hirsi’ (2012), sembri aver cessato di condurre operazioni di push-back, le forze coinvolte in Mare nostrum hanno collaborato con le autorità di frontiera libiche, assistendole nell’intercettare natanti in transito nelle loro acque territoriali o in acque internazionali. Secondo i dati resi noti dal ministero dell’interno, al giugno 2014 oltre 5000 migranti erano stati intercettati e presi in carico dalle autorità libiche con l’assistenza delle autorità italiane.
Benché possedesse i tratti tipici di un’operazione di sicurezza, basti pensare che tra i suoi obiettivi dichiarati vi erano il contrasto dell’immigrazione illegale e la repressione del traffico di esseri umani, Mare nostrum è stata presentata al pubblico come un’operazione umanitaria. Ciò ha fatto guadagnare molti consensi all’azione del governo, tanto che numerose Ngo hanno visto in Mare nostrum l’apertura di un corridoio umanitario ‘di fatto’ attraverso il Mediterraneo centrale. Per tali ragioni, la decisione di terminare l’operazione, con l’evidente obiettivo di stimolare una presa in carico europea del problema, è stata salutata da un coro di proteste. L’atteggiamento dell’Eurispetto all’azione del governo italiano è stato invece ambivalente. Inizialmente salutata come un’azione che si inseriva nel solco delle linee strategiche tracciate dalla Task Force Mediterranean istituita all’indomani della tragedia di Lampedusa, Mare nostrum ha con il passare del tempo suscitato perplessità nei partner europei, preoccupati che le regole di ingaggio adottate si stessero rivelando un fattore di attrazione per i migranti ‘illegali’. Tali preoccupazioni sono state espresse da Frontex, la quale ha suggerito che la presenza delle navi italiane nei pressi delle coste libiche avesse incoraggiato i potenziali migranti ‘illegali’ a tentare la traversata. I governi degli altri paesi membri hanno, da parte loro, manifestato riluttanza a partecipare all’operazione europea Triton, nel timore che anche questa finisse per funzionare quale pull factor. Quest’ultima è stata infine approvata solo a condizione che la sua area operativa fosse strettamente limitata ai margini delle acque territoriali italiane.
A dispetto della retorica umanitaria che ha circondato l’operazione Mare nostrum, uno degli aspetti più problematici delle politiche di controllo dei confini adottate negli ultimi anni è dunque rimasto sostanzialmente immutato. Come ha sottolineato la Fundamental Rights Agency dell’Eu, per quanto si tenti di giustificarle con il riferimento a scopi umanitari, le politiche che mirano a prevenire la partenza dei migranti pattugliando i confini marittimi con la collaborazione dei paesi terzi rischiano di essere lesive del diritto d’asilo, limitando grandemente le possibilità di fuga. Nonostante ciò, all’indomani della tragedia di Lampedusa la Commissione continuava a sostenere che la strategia migliore fosse quella di impedire ai migranti potenziali di intraprendere pericolosi viaggi (Com(2013)869). I vincoli imposti dalla Corte europea dei diritti dell’uomo e le limitate capacità operative delle forze di polizia libiche, non consentono più di perseguire con decisione la politica di respingimento in mare che tra 2008 e 2010 aveva portato alla ‘chiusura’ della rotta centro-mediterranea, imponendo di assumerci l’onere di assistere i migranti intercettati. Ciononostante, non sembra che la filosofia di fondo che ispira il regime di controllo della frontiera euro-mediterranea sia sostanzialmente mutata. L’Italia e l’Europa appaiono attori umanitari piuttosto riluttanti, pronti a scatenare controversie sulla corretta distribuzione dell’onere dell’accoglienza, controversie che hanno infine portato alla chiusura dell’operazione Mare nostrum ed al lancio di un’operazione europea le cui finalità e il cui ambito operativo sono limitate al pattugliamento nei pressi delle acque territoriali italiane.