Il corpo come oggetto artistico: la Body art
La tematica della corporeità, grazie a un inusuale utilizzo del corpo, è strettamente legata agli avvenimenti storici della fine degli anni Sessanta. È, infatti, all'interno dei processi di cambiamento storico e sociale che gli eventi estetici si collocano come momento di indagine profonda del sé, e nella proliferante ondata di spinte conoscitive la corporeità si afferma come il territorio privilegiato di ricerca identitaria. Ciò accade esattamente nel momento in cui, socialmente e politicamente, il mettere in discussione il soggetto, attraverso i movimenti liberatori, coincide con l'affermazione di filosofie, di ricerche culturali e psicoanalitiche che vanno a concentrarsi sulla soggettività in costruzione. Tali ricerche non sono avulse dalle contestazioni giovanili legate al movimento del '68, anzi, le correnti sperimentali artistiche di questi anni manifestano una nuova sensibilità estetica. Non è estraneo, infatti, all'espressione del corpo il discorso del cosiddetto 'terzo teatro' legato ad Antonin Artaud e alle esperienze di Jerzy Grotowsky, del Living Theatre e dell'Odin Theatre, così come confluiscono nella tematica corporea pratiche orientali come il Mudra (che regola i gesti simbolici delle mani) e lo Zen (filosofia che si basa sulla concentrazione e sul controllo corporeo). Inoltre, su questo percorso influisce soprattutto il fondamento psicoanalitico. La Body art è, dunque, la corrente artistica che, attraverso il suo eccessivo codice visivo, si pone il problema dell'In-der-Welt-sein, ossia dell'essere al mondo e del collocamento dell'individuo all'interno della società. Grazie a un'estremizzazione linguistica, gli artisti della Body art indagano le contraddizioni dell'essere.
Non c'è una data precisa che attesti la nascita della Body art, poiché le manifestazioni legate a questa sensibilità che utilizza e sfrutta tutte le possibilità della corporeità nascono dal superamento di alcuni dati acquisiti dalle avanguardie artistiche. È possibile, semmai, rinvenire in alcuni eventi artistici del passato alcune ascendenze che collimano nella codificazione di quella che sarà la Body art. Sicuramente importanti per gli artisti della Body art sono le esperienze dadaiste, totalmente slegate dal concetto di arte tradizionale, così come decisiva appare l'esperienza degli happening della corrente Fluxus, affermatasi nei primi anni Cinquanta come una delle esperienze azzeratrici del linguaggio artistico classico, sia attraverso la vanificazione dell'oggetto artistico sia attraverso lo scompaginamento di quella che era stata, da sempre, l'idea del fare arte all'interno del suo stesso sistema. L'happening è la prima esperienza estetica che tenta di uscire fuori dalla canonizzazione dell'asfittico circuito artistico. Fluxus, infatti, attraverso i suoi happening, unifica per la prima volta, nell'esperienza artistica, specificità come la danza, la musica, il teatro, la poesia e, attraverso eventi come i Festum Fluxorum Fluxus (interminabili maratone multimediali), apre l'arte visiva ad altre contaminazioni estetiche. Legati all'humus poliedrico di Fluxus sono gli artisti George Maciunas, Dick Higgins, Nam June Paik, George Brecht, Wolf Vostell, Yoko Ono, Terry Riley, Robert Filliou, Daniel Spoerri, John Cage, La Monte Young. Ciò che è importante sottolineare nell'esperienza di Fluxus è la trasformazione linguistica e la sua incontrollabile messa a punto nel sistema dell'arte fin troppo codificato in una serie di ruoli fin qui mai violati.
L'affinità sostanziale tra Fluxus e la Body art sta nella volontà comune, benché esplicitata attraverso pratiche diverse, di operare una forte rottura all'interno del sistema. La Body art, infatti, si segnala tra le esperienze estetiche degli anni Sessanta-Settanta come una sorta di forte trauma espressivo, come il radicale svuotamento dei canonici fondamenti artistici esistenti, raccogliendo, in qualche modo, tutta la fenomenologia di esperienze estreme legate all'idea di corpo come luogo del simbolico: il corpo viene utilizzato dagli artisti per sondare le esperienze dell'essere umano, per indagare le forze produttive dell'inconscio, per esplorare le pulsioni di vita e di morte e per liberare tutti i flussi del desiderio repressi da una società rinchiusa in tabù atavici. La Body art è dunque il linguaggio artistico 'esperenziale' che, per la prima volta, scava nei recessi dell'essere umano e li rende manifesti.
All'interno di questa nutritissima corrente si intrecciano discorsi e paradigmi differenti. La Body art, infatti, raccoglie molte esperienze sul corpo che esplodono in Europa e in California, e all'interno della sua poliedrica fenomenologia si può distinguere una linea più fredda e analitica, in cui l'azione sottolinea le funzioni del corpo stesso servendosi di mezzi di riproduzione meccanica come la fotografia, il video e il film. Le azioni di questi artisti vengono viste attraverso la loro riproduzione, senza quindi una loro diretta fruizione fisica. L'azione, infatti, viene rigorosamente concettualizzata e realizzata attraverso la 'freddezza' del mezzo tecnico: è la sua documentazione a divenire opera. A questo versante 'freddo' appartengono le azioni di Bruce Nauman, Klaus Rinke, Ketty La Rocca, Arnulf Rainer, Lucas Samaras, Katharina Sieverding, Luigi Ontani e alcune azioni di Gilbert & George, Michel Journiac e Urs Luthi. Sebbene sia impossibile generalizzare le esperienze, ciò che lega e avvicina queste ricerche è la rappresentazione del corpo che si espleta tramite la sperimentazione del mezzo tecnico. In qualche modo, questi lavori, per radicali e simbolici che siano, rientrano ancora nella produzione di oggetti estetici: fotografie, video e film. È una sorta di primo livello di esperienza corporea che ne annuncia un altro molto più devastante dal punto di vista sia morfologico sia linguistico.
La performance è appunto il momento più estremo in cui si esplicano le esperienze della Body art. Come scrive l'antropologo V. Turner: "La materia base della vita sociale è la performance, la presentazione di sé nella vita quotidiana, il sé è presentato mediante la performance di ruoli, mediante la performance che li infrange, e mediante la dichiarazione a un pubblico della trasformazione di stato salvata o condannata, innalzata o liberata" (Turner 1986). La performance è il territorio in cui è possibile autorappresentarsi, scardinando tutte le forze pulsionali dell'io. Al tempo stesso la performance, in quanto produzione di effimero, tende a vanificare il sistema dell'arte ancorato alla produzione di bene e, in quanto atto estetico, è, in realtà, produzione di sensibilità. La codificata produzione di oggetto artistico viene ribaltata dalla performance proprio perché ciò che viene evidenziato e messo in discussione è, per la prima volta nella storia dell'arte, il soggetto. Tale rovesciamento riconduce all'acquisizione della centralità del soggetto nei confronti dell'oggetto.
L'estremismo del gesto accompagna dunque il versante più radicale della Body art che si autoevidenzia attraverso la performance. A questa sensibilità pulsionale è ancorato il lavoro di Gina Pane, Vito Acconci, Chris Burden, Marina Abramovic, Rebecca Horn, Coum Transmission, degli slavi Petr Stembera, Jan Mlcoch e Karel Miler e degli esponenti del Wiener Aktionismus della prima generazione, come Hermann Nitsch, Otto Muehl, Gunther Brus, Oswald Wiener, Rudolf Schwarzkogler, e della seconda generazione, come Valie Export, Wolfgang Ernst, Peter Weibel, Dominik Steiger e il regista Ernst Schmitd. Il lavoro degli artisti viennesi rappresenta, forse, il più perturbante esempio di indagine dell'io attraverso pratiche scioccanti di autodistruzione fisica. Nelle performance del Wiener Aktionismus c'è, infatti, una sorta di scatenamento di pulsioni distruttive che il performer manifesta violentandosi e autotorturandosi. In realtà la performance diviene il luogo simbolico dove viene catturata la conflittualità sociale e culturale. Attraverso l'espediente rappresentativo e proiettivo, il performer sconfessa l'aggressività esterna scatenandola sul proprio corpo.
Accanto a queste dominanti psicologiche e patologiche altre variazioni tematiche si legano al linguaggio corporeo: è il caso delle politiche di genere che affiancano i temi del femminismo degli anni Settanta, in cui convergono i lavori delle americane Carolee Schneemann, Hannah Wilke e della cubana Ana Mendieta. Tale ricerca si situa in un territorio di conflittualità legate al ruolo e alla sessualità femminile, nel mettere in crisi un'identità stereotipata. La diaspora identitaria strettamente connessa alla dominazione colonialista è invece il motivo centrale del lavoro sul corpo operato dal brasiliano Helio Oiticica, mentre Lygia Clark, anch'essa brasiliana, affronta il postcolonialismo all'interno delle tematiche della differenza sessuale. La corporeità diviene dunque una sorta di cartina di tornasole in cui sembra confluire tutto l'insieme dei conflitti, dei piaceri e dei desideri dell'essere contemporaneo.
Se negli anni Ottanta il postmodernismo ha, per certi versi, sospeso il discorso corporeo, congelando tutte le spinte sperimentali legate a un discorso di ricostruzione dell'esistente, negli anni Novanta la sperimentazione tecnologica e la pulsione fortissima verso la reiscrizione di una soggettività complessa hanno tradotto l'interesse per il corpo in uno dei grandi temi di fine secolo. Le pratiche di ricostruzione corporea legate allo sviluppo delle biotecnologie, alle tematiche del biopotere e alla frantumazione del soggetto, avvenute in seguito alla deriva esistenziale contemporanea, hanno ridato vigore all'ipotesi del corpo in divenire. Il soggetto contemporaneo, avvolto nelle paure di fine secolo ‒ epidemie, guerre etniche, stermini nazionalisti ‒, si è posto l'agghiacciante problema dell'essere umano di fronte alla morte, sicché la filosofia del postumano ha rappresentato, all'inizio del decennio Novanta, la paura del soggetto in caduta, polverizzato da una socialità devastante. Il corpo, da luogo simbolico e intimo degli anni Settanta, è così divenuto estensione socializzata.
A questi aspetti così emblematici e così dolenti della nostra epoca rivolgono costantemente uno sguardo attento molti artisti che utilizzano lo strumento del corpo come nodo paradigmatico del reale: dalle intense analisi artistiche della ricerca di Louise Bourgeois ai lavori installativi o fotografici di una generazione, nata anagraficamente negli anni Cinquanta, che ha come centro di riferimento la corporeità e assembla la visionarietà propulsiva che va dagli Stati Uniti al Canada, dall'America Latina fino all'Europa. Su questa riscoperta del corpo fanno perno Andres Serrano, Cindy Sherman, Charles Ray, Felix Gonzales-Torres, Nan Goldin, Cady Noland, Kiki Smith, Matthey Barney, Mike Kelley, Paul McCarthy, Janine Antoni, Robert Gober, Mona Hatoum, Shirin Neshat, Doris Salcedo, Jana Sterbak, Juliao Sarmento. Ed è in questo passaggio epocale, in cui il corpo come materia organica si incontra con quella artificiale, che avviene la trasformazione e la ridefinizione dell'identità. "La performance ha cambiato pelle, è camaleontica e ossessiva ma staccata dalla sua violenza inconscia. Non ha l'assolutezza ancestrale degli anni Settanta, salta quasi l'aggancio con la ritualità, sorvola qualsiasi legame con la teatralità, con l'organico come materia privilegiata" (Macrì 1996). A questa fase delicata e avvincente tentano di dare visibilità le tecnoperformance degli artisti anni Novanta. Performer, come Orlan e Stelarc, che pure lavorano da oltre vent'anni sul tema del corpo, e Marcel Lí Antúnez Roca, che deve le sue ricerche alle esperienze teatrali con il gruppo catalano della Fura Dels Baus, hanno modificato i termini del fare arte, proiettandola in un contesto molto più ampio e complicato come quello del sentire contemporaneo che tenta di rimappare il sé: il sé, dunque, che si riplasma in un orizzonte in piena mutazione, il sé che si confronta con le sperimentazioni della chirurgia plastica contemporanea, che invera altri modelli del Leib, che si amplifica attraverso il sistema di comunicazione globale, che si modifica, infine, attraverso i dispositivi molteplici dell'era cyber in cui viviamo. Ecco che le performance di Orlan presagiscono un'identità alterata dalla manipolazione chirurgica, che le cyberperformance di Stelarc propongono l'estensione planetaria della corporeità, ecco che il corpo 'infografico' e digitalizzato di Marcel. Lí Antúnez Roca replica l'invadenza della tecnologia nella vita contemporanea.
Questo nuovo sentire, dunque, che viene estremizzato dalle azioni dei performer contemporanei, in fondo non rappresenta altro che una sorta di percezione estetizzata della mutazione contemporanea. Una sensibilità così alterata fornisce, in realtà, dati di trasformazione sociale, trasferendo sul piano esistenziale il salto economico e culturale nel passaggio dal moderno al postorganico. Nel sistema 'infosferico' si stanno espletando le dinamiche di rimodellamento del territorio dell'identità, ed è attraverso nuovi parametri e altre perimetrie che si tenta di cartografare l'esistente nelle sue modificazioni. L'ibridazione tra materia vivente e materia artificiale è, in sostanza, il dato più esemplare di quello che è oggi il corpo contemporaneo, con la progressiva ricostituzione della soggettività all'interno dei dispositivi del biopotere.
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