Il Corpus Hermeticum
Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
Con il nome di Corpus Hermeticum si indica una raccolta di scritti di argomento filosofico-religioso redatti da autori diversi in tempi diversi, a partire dal I secolo, e poi raccolti e sistematizzati tra il VI e il IX secolo. Il nome deriva dal dio Hermes, utlizzato come principio di autorità, per inscrivere, quindi, la raccolta all’interno di una tradizione divina e antica; gli scritti, vari ed eterogenei, uniscono motivi platonici, neopitagorici e stoici, biblici, egiziani e gnostici.
I Greci avevano attribuito il nome di Hermes o Ermete (per i Romani, Mercurio) al dio egiziano Toth. Troviamo questa divinità citata nel Fedro platonico come l’inventore della scrittura. Identificato con la Luna, Toth era stato adorato nel Medio e Basso Egitto come il dio della cronografia. Nel ciclo dei miti di Osiride Toth era lo scriba del dio e in quanto tale appariva come inventore della scrittura e del linguaggio. In seguito appare anche come inventore della magia, dell’astronomia e dell’astrologia, dell’alchimia. Negli inferi Toth, analogamente al Minosse dantesco, scrive il risultato del giudizio su delle tavolette.
Appena entrati in contatto con la mitologia egiziana, i Greci avevano assimilato Toth a Hermes, il messaggero degli dèi. Platone nel Fedro lo presentava come inventore della scrittura ma non lo identificava ancora con Hermes; l’identificazione pare però assestata alla fine del IV secolo a.C. nella Aritmetica di Aristosseno e diventa pressoché normale nel II secolo. Nel II o nel I secolo a.C. l’ebreo Artapane assimilerà Toth a Mosè, “che ha insegnato agli Egiziani la navigazione, le gru per sollevare le pietre, le armi, le pompe ad acqua, le macchine da guerra, la filosofia, la scrittura”. A quel punto si costruisce l’etimologia di Hermes da hermeneuein, vale a dire da “esprimere, interpretare”.
È pertanto comprensibile che quando si crea una tradizione che riguarda una sapienza segreta e privilegiata la si attribuisca a Hermes-Toth. Hermes funziona come principio di autorità e chiunque scriva qualcosa che vuole attribuire alla tradizione intemporale della sapienza divina e antica sarà portato ad attribuire le proprie parole a Hermes. Inizialmente questi scritti pseudo-ermetici non volevano essere un falso, così come non erano un falso i dialoghi di Platone che mettevano in scena Socrate come autore delle teorie esposte. Si trattava di una finzione letteraria, in cui il personaggio di Hermes interveniva come protagonista per conferire autorità alle affermazioni dell’autore reale.
Scritti ermetici di varia natura, dovuti a conventicole egiziane, appaiono nei secoli precedenti la nascita di Cristo, ma il cosiddetto Corpus Hermeticum è una raccolta che, pervenuta in Italia secoli dopo, nell’epoca umanistica, avrebbe dato inizio al mito di Ermete Trismegisto. Benché la tradizione, e poi gli umanisti italiani, Ficino in testa, lo attribuissero a Ermete Trismegisto, talora identificato con Mosè, in effetti si trattava di una raccolta di scritti di autori diversi, tutti viventi in un ambiente di cultura greca nutrita di spiritualità egizia, e probabilmente circolanti in ambienti neoplatonici. Che gli autori siano diversi è ampiamente dimostrato dalle numerose contraddizioni che si trovano nei vari libelli del Corpus, e che fossero filosofi ellenizzanti e non preti egizi è suggerito dal fatto che nel Corpus non appaiono riferimenti consistenti né alla teurgia né ad alcuna forma di culto o di liturgia egizia.
L’epoca della loro stesura è sicuramente posteriore al I secolo. In effetti la sola testimonianza sicura risale all’XI secolo, e cioè alla data del manoscritto pervenuto nel Quattrocento a Firenze alla corte di Cosimo de’ Medici. A parte si deve considerare uno dei libri del Corpus, l’Asclepius, a noi noto solo attraverso la sua versione latina (che circolò nel Medioevo, mentre l’originale greco è andato perduto). Esiste un manoscritto latino dell’Asclepius, dell’XI secolo.
Prima di allora abbiamo solo citazioni sommarie. Nel II secolo Atenagora e Clemente di Alessandria fanno alcuni riferimenti a scritti ermetici, Origene parla di una sapienza mosaica anteriore ai filosofi greci; nel III secolo troviamo accenni sia in Tertulliano che in Porfirio; nel IV secolo Lattanzio pare riferirsi all’’Asclepius, l’alchimista Zosimo si riferisce a testi attribuiti a Hermes; nel V secolo appaiono probabili citazioni del Corpus nel Contra julianum di san Cirillo di Alessandria e Agostino cita l’Asclepius nel De civitate dei; nel VI secolo Stobeo cita ampiamente alcuni libelli del Corpus, ma non il Corpus come tale, tanto che le attuali raccolte conservano, tra i loro libri, estratti da Stobeo.
Sulla base di questi dati si può avanzare l’ipotesi che la raccolta che conosciamo sia stata composta tra VI e XI secolo. Forse nessuno ha messo deliberatamente questi testi insieme ed essi sono pervenuti nella forma in cui li conosciamo attraverso aggiunte varie.
Se la raccolta è tarda, i singoli testi sono stati certamente scritti prima, anche se – quando ha definitivamente confutato la loro antichità – Isaac Casaubon, nel 1614 (Exercitationes XVI), dimostrava che se il Corpus fosse autentico avrebbe dovuto essere stato tradotto in greco dall’egizio, e che nel corso di qualsiasi traduzione permangono tracce linguistiche, mentre il Corpus non reca tracce di espressioni egizie.
Il Corpus manifesta una mistura di elementi platonici e stoici, e tale sincretismo si verifica solo nel I secolo a.C. Per quanto riguarda le fonti egiziane nulla nel Corpus rivela uno stile di pensiero egizio, tranne alcuni aspetti di ardente pietà, che peraltro erano diffusi nell’ambiente del II secolo e oltre, in tutta l’area imperiale. Per quanto riguarda il pensiero cristiano, mancano nel Corpus alcun riferimento alla figura di Cristo come Salvatore, e il Logos che vi appare (che potrebbe essere persino di origine giudaica) si identifica talora con la sapienza divina. Quanto al “secondo Dio” a cui si accenna, non si tratta del Figlio cristiano, ma del Mondo o del Sole. E questi sono elementi platonici (Timeo) ma non cristiani. Così, per una cauta attribuzione e datazione dell’Asclepius, si è stabilito che l’autore non deve essere stato un prete egiziano perché non vi sono accenni a riti teurgici, vi appaiono influenze platoniche ed elementi di cosmologia stoica e analogie col pensiero del primo gnosticismo cristiano, ma tutto sembra essere il risultato di una compilazione sincretistica di un sapiente ellenizzato.
L’Asclepius parla in toni apocalittici (ma la letteratura apocalittica era consueta nell’età imperiale) dell’invasione dell’Egitto da parte di genti barbare. Ma l’unica invasione dell’Egitto da parte di popolazioni barbare (né romane né greche) avviene solo verso il 270. Questo permetterebbe di datare l’Asclepius nel III secolo avanzato.
Quindi si può avanzare l’ipotesi che i vari scritti del Corpus siano stati stesi individualmente da autori diversi e in tempi diversi tra II e III secolo e che siano stati riuniti nel Corpus tra VI e XI secolo.
Nessuna sistematicità unisce i testi del Corpus. A titolo di esempio riassumiamo soltanto i temi del primo discorso (logos) dei 17 di cui si compone il Corpus, il Poimandres (anche se il titolo generale di Pimander sarà dato da Ficino alla sua traduzione latina dei primi 14 discorsi). È sufficiente per vedere come in questi testi s’intreccino motivi egizi, platonici, stoici, neoplatonici, biblici e gnostici, insieme a influenze astrologiche – così da classificare il Corpus come uno dei prodotti più tipici del sincretismo religioso e filosofico di quei secoli.
Nel Poimandres Ermete riceve la sua rivelazione nel corso di un sogno o visione in cui gli appare il Nous. Nous è un termine greco che nei diversi filosofi può assumere diverso valore: in Aristotele esso designa l’intelletto, attraverso il quale elaboriamo le nostre percezioni e riconosciamo, in parole semplici, un uomo come un uomo, un fiore come un fiore. Nulla di mistico e ineffabile in questa operazione: e tuttavia anche in Aristotele la rapidità, l’intuitività dell’intelletto, che ci permette senza fatica di cogliere l’essenza delle cose, si oppone al lavorio ben più complesso di altre attività spirituali, come la dianoia, che già in Platone era riflessione, attività razionale. Il Nous è più rapido della episteme, che è la scienza, della phronesis, che è riflessione sulla verità. Così, gradatamente, il Nous, che per Platone era la capacità di intuire le Idee e per Aristotele l’azione quotidiana di percepire le sostanze come tali, diventa nel misticismo ellenistico la facoltà dell’intuizione mistica, della illuminazione non razionale, della visione istantanea e non discorsiva.
Nel Corpus il Nous s’identifica con la luce che emerge di fronte alla oscurità inferiore. La luce è Dio Padre e il Logos è suo Figlio. La luce si è organizzata in innumerevoli Potenze. Il mondo luminoso delle potenze è il mondo degli archetipi ideali e il mondo sensibile si forma per una sorta di divisione interna alla volontà di Dio che, ricevuto il Logos, vuole imitare il mondo archetipo. Il primo Nous, Dio Padre, androgino, ne genera un secondo, il Demiurgo, e questi produce i Sette Governatori che presiedono ai sette cerchi planetari, il cui governo è il Destino. Il Logos abbandona la natura umida e va a ricongiungersi col Demiurgo e insieme stabiliscono i sette cerchi del fuoco, il cui movimento trae all’essere gli animali, e ciascuno dei quattro elementi produce i propri.
Il Primo Nous genera come propria immagine l’Uomo archetipo. L’uomo riceve il permesso di essere demiurgo a sua volta. I Governatori lo amano e lo accolgono tra loro. L’uomo si mostra alla Natura, che lo ama, e si unisce a essa. L’uomo è dunque caduto e misto di spirito e di corpo. Fecondata dall’uomo, la natura genera sette uomini terrestri androgini che corrispondono ai Sette Governatori. Alla fine di questo periodo Dio divide tutti gli animali e gli uomini in maschi e femmine. Questi esseri si uniscono e si moltiplicano. L’uomo che si conosce come immortale mira al bene sovrabbondante, mentre colui che ama il suo corpo vive nelle tenebre e nella morte. La presenza del Nous non è accordata che agli uomini virtuosi.
Il corpo è soggetto all’alterazione e, quando la forma visibile scompare, la parte morale è data ai demoni. Ma l’anima umana può risalire attraverso i cerchi planetari rendendo a ciascuna delle sette zone, come vesti smesse, gli accidenti e le passioni di cui è stata rivestita durante la sua discesa. Nuda, raggiunge l’Ogdoade, entra nel coro delle Potenze superiori all’Ogdoade e diventa Potenza essa stessa. Entra in Dio e diventa Dio. Sia la divinizzazione dell’uomo che la nozione di Ogdoade ricordano elementi gnostici. Per Ogdoade si debbono intendere i sette pianeti più una entità superiore, che in diversi trattati appare come il Sole o altro. Il coro delle Potenze è superiore all’Ogdoade. La storia della creazione del Corpus ricorda quella della Genesi, tranne che nel Corpus l’uomo è di natura divina e può diventare Dio.
Un cenno a parte merita l’Asclepius che, ricordiamo, è l’unico testo del Corpus che possediamo solo attraverso la sua traduzione latina, e che era noto anche nel corso del Medioevo e quindi ha potuto avere una influenza più profonda degli altri trattati. Citato da sant’Agostino e da vari pensatori scolastici, l’Asclepius non presenta alcuna cosmogonia mitica, non è ossessionato dal male in generale ed elogia la procreazione. A questi motivi probabilmente si deve la sua traduzione e la sua sopravvivenza nell’ambiente patristico e poi medievale.
I temi fondamentali dell'Asclepius sono: (1) Immortalità dell’anima. (2) Unità del Tutto (tutto ciò che discende dall’alto è generatore e tutto ciò che si esala verso l’altro è nutritore). (3) Organizzazione dei generi e delle specie. (4) Posizione intermedia dell’uomo tra Dio e il mondo, suo elogio. (5) Piccolo numero degli eletti. (6) Dualità dell’uomo, anima e corpo, e sua duplice funzione, prendersi cura delle cose terrestri e adorare Dio. (7) Disprezzo del corpo ma al tempo stesso positività della procreazione. (8) Pietà, premi e castighi, metempsicosi per quelli che avranno commesso il male. (9) Cauto dualismo: all’inizio c’erano Dio e la materia. La materia, ingenerata, ha tuttavia potenza generativa. (10) In quanto generatrice la materia non è negativa: il male è nel mondo ma non è il mondo. Il mondo è immagine di Dio e quindi è buono. Il mondo è eterno. Il mondo è pieno, non esiste vuoto nell’universo. (11) Come conseguenza, burocrazia dell’invisibile, gerarchia degli dèi intellegibili e degli dèi sensibili: tutte le cose sono connesse le une alle altre, per mutui rapporti in una catena che si estende dall’alto al basso. L’universo è popolato di demoni. (12) Dio ha tutti i nomi e possiede i due sessi. (13) L’uomo per virtù della sua intelligenza ha facoltà di creare dèi terrestri, e cioè le statue e le altre immagini delle forze superiori: statue provviste di anima, piene di soffio vitale, e che compiono infinite meraviglie; statue che conoscono l’avvenire, che inviano e guariscono le malattie, che ci donano dolore e gioia secondo i nostri meriti. L’uomo è stato reso capace di conoscere la natura degli dèi e di riprodurla. I nostri antenati hanno inventato l’arte di fare gli dèi, aggiungendovi una virtù naturale e mescolando questa virtù alla sostanza delle statue, siccome non potevano creare delle anime, dopo avere evocato anime di demoni o di angeli, le introdussero nei loro idoli attraverso riti santi e divini, in modo che questi idoli avessero il potere di compiere il bene e il male. La virtù che viene immessa nelle statue risulta da una composizione di pietre e aromi che contengono virtù di efficacia divina. (14) Teoria del tempo e dell’eternità. (15) Apocalisse. (16) Teoria dell’Ordine, della Necessità e del Destino. (17) Interdizione di liturgie e preghiere, il solo modo di onorare Dio è di conoscerlo e di rendergli grazie attraverso la conoscenza della sua maestà.