Il debitore insolvente fatto a pezzi
Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
Una disposizione delle XII Tavole, tanto singolare quanto enigmatica, prescrive che il debitore di più concreditori sia ucciso e fatto a pezzi. Molti autori antichi e moderni, sconcertati dalla atrocità di tale previsione, hanno cercato di dimostrare che essa non va intesa alla lettera, e hanno fornito interpretazioni ben più miti del testo. Alla luce di alcune ben documentate credenze antiche, tuttavia, la possibilità che il debitore insolvente fosse effettivamente squartato non deve essere affatto scartata.
Le XII Tavole – le più antiche leggi scritte di Roma, redatte nel 451/450 a.C. da una commissione di decemviri e giunte a noi tramite numerose citazioni di molti autori antichi – conservano, rubricato come frammento 6 della III tavola, una disposizione del tutto singolare e di difficile comprensione: “al terzo giorno di mercato vengano divise le parti. Se abbiano diviso di più o di meno, sia impune”. A che cosa o a chi si riferiscono queste oscure parole? Che cosa sono le "parti" da dividere? Chi è incaricato della divisione? E che cosa prescrive, in generale, la disposizione citata?
Per cercare di dare una risposta a queste domande è opportuno analizzare le disposizioni precedenti della medesima tavola, nelle quali viene descritta la procedura esecutiva relativa al debitore insolvente: trascorsi 30 giorni dal giudizio in cui il suo debito sia stato confessato ovvero accertato, il debitore sarà trascinato dal creditore al suo domicilio; qui, il creditore provvederà al suo sostentamento – a meno che il debitore non voglia vivere del suo –, tenendolo legato con corde o catene di cui le XII Tavole stabiliscono il peso minimo. Durante la sua prigionia il debitore verrà condotto a tre successive adunanze di mercato – lo stesso mercato di cui si parla anche nel frammento in esame –, in modo da consentire a chiunque di pagare il suo debito; qualora nessuno si presenti, tuttavia, al terzo giorno di mercato il debitore sarà condannato a morte, oppure venduto oltre il Tevere (in terra straniera, dunque: questo perché le leggi di Roma non ammettevano che un cittadino romano divenisse schiavo in patria). Aulo Gellio, l’autore che riporta le disposizioni delle XII Tavole delle quali ci stiamo occupando, aggiunge tuttavia che in presenza di più creditori giudizialmente riconosciuti, il corpo del debitore poteva essere fatto a pezzi e diviso. Le "parti" di cui parla la disposizione citata, dunque, sarebbero proprio i pezzi del corpo del malcapitato debitore di più creditori, che questi ultimi potranno dividere e spartirsi; era giudicato non punibile il fatto che ai diversi concreditori fossero distribuite parti di corpo più o meno grandi; in altre parole, era irrilevante che la parte da attribuire a ciascun creditore fosse proporzionale all’ammontare del suo credito.
Ma è davvero legittimo interpretare in questo modo le parole del frammento decemvirale sopra riportato? Già molti autori antichi, sconcertati dalla sua crudezza e dalla sua apparentemente ingiustificata atrocità, si premurano di sottolineare che nella storia di Roma non si conserva alcuna notizia di debitori squartati, e che, comunque, questa disposizione delle XII Tavole ha solo funzione deterrente, e viene ben presto abolita. Sulla base delle medesime considerazioni, anche buona parte della dottrina moderna ha cercato di interpretare il testo in modo differente, fornendo di esso letture più miti e razionalistiche che però, nella maggior parte dei casi, non sono suffragate da argomentazioni solide, e finiscono talora per essere soltanto fantasiose.
Si è pensato, per esempio, che le "parti" oggetto della spartizione tra i concreditori fossero non già quelle del corpo del debitore, ma piuttosto quelle del suo patrimonio; se così fosse, tuttavia, non si spiegherebbe come possa essere "irrilevante", spartire il patrimonio in modo quantitativamente approssimativo (“se abbiano diviso di più o di meno, sia impune”). Ancora, si è proposto di intendere la clausola "vengano divise le parti" come descrittiva non già di un’esecuzione capitale, ma di un atto rituale: in forza di essa, cioè, i creditori sarebbero stati autorizzati ad asportare dal corpo del debitore, e successivamente a spartirsi, parti non vitali ma accessorie, come unghie o capelli, da usare poi in riti magici per produrre malefici contro l’insolvente. Non vi sono dubbi che anche questa ipotesi vada scartata, tanto perché essa è priva di fondamento testuale, quanto anche perché comporterebbe una conseguenza paradossale: mentre il debitore di un unico creditore era condannato a morte, quello di più creditori sarebbe stato lasciato in vita.
Molto più plausibile è piuttosto l’ipotesi di chi, mantenendo l’idea che oggetto della spartizione fosse il corpo del debitore, giustifica la sanzione alla luce delle conseguenze che essa avrebbe comportato: lo smembramento del corpo del debitore aveva lo scopo di impedire la celebrazione dei riti funebri, e sarebbe pertanto da intendere come un’aggravante della condanna a morte. La lesione dell’integrità corporea del debitore si presenterebbe dunque come sanzione collegata al culto funebre, e atta a impedire la sepoltura; in questo contesto non sarebbe ovviamente rilevante una distribuzione quantitativamente proporzionale all’ammontare del credito.
Accanto a questa, esiste forse un’altra possibile e argomentata interpretazione della legge in esame; prima di esporla, è opportuno ritornare, per confutarla, alla notizia delle fonti che negano recisamente l’esistenza di squartamenti nella storia della Roma più antica; questa notizia, in effetti, non è del tutto vera, dal momento che sappiamo di almeno un individuo fatto a pezzi, anche se poi la sua vicenda non ha nulla a che vedere con la sanzione per il debitore insolvente.
L’individuo in questione è il primo re di Roma, Romolo, in merito alla cui morte si tramandano due differenti versioni. In base alla tradizione più accreditata egli sarebbe stato assunto in cielo; ma vi era, accanto a questa, una tradizione meno diffusa, che nondimeno è ricordata da alcuni autori latini – Tito Livio e Valerio Massimo – e greci – Plutarco e Dionigi di Alicarnasso. Secondo costoro, Romolo venne squartato nella curia dai senatori, i quali, dopo aver nascosto i pezzi del corpo del re sotto le loro vesti, provvidero a seppellirli nel loro campo, al fine di incrementarne la fertilità.
È evidente che proprio questa meno nota tradizione relativa alla scomparsa di Romolo e alle finalità della sua orribile morte può forse giustificare l’accostamento tra questa vicenda e la disposizione delle XII Tavole: come i senatori intendevano trarre vantaggio dalle parti del corpo sotterrato del re, così anche i creditori potevano sperare di ottenere il medesimo beneficio dal debitore, il cui corpo, aumentando la fertilità del suolo, avrebbe potuto ripagarli dell’ammontare del loro credito. Questa ipotesi, che appare indubbiamente lontana dalla nostra sensibilità, può ciononostante inserirsi compiutamente nella mentalità arcaica, nella quale dovevano essere senza dubbio radicate le credenze magiche e i simbolismi di carattere magico.
Qualunque sia il valore della disposizione, è comunque innegabile che essa rappresenti una delle norme di sapore più antico che le XII Tavole abbiano conservato.