Il declino della legge statale
L’eccessiva complessità della legislazione e, più in generale, la crisi della legge si configurano come una rilevante questione politico-istituzionale nell’evoluzione degli ordinamenti giuridici democratici, ponendosi come punto critico nel rapporto tra Stato e cittadini. A dispetto della perdita di centralità del Parlamento nella funzione legislativa, la regolazione legislativa o, più in generale, la normazione risulta disordinata, sovrabbondante ed eccessiva. Si parla comunemente di inflazione normativa, nel senso che gli atti normativi risultano quantitativamente sempre più numerosi e in costante crescita. La complessità della legislazione non deriva unicamente dall’aumento vertiginoso del numero di leggi e di altri atti normativi, ma anche dallo scadimento della qualità della stessa, mal redatta, spesso modificata, stratificata, scarsamente fattibile. Il legislatore degli ultimi anni ha cercato di porre rimedio a ciò attraverso diversi interventi di semplificazione normativa, soprattutto al fine di garantire la certezza del diritto.
La legge è comunemente considerata fonte del diritto per antonomasia1.
Tale idea non è che un riflesso della concezione della legge come espressione della “volontà generale”2 – del sommo potere, del potere sovrano – caratteristica del pensiero giuridico europeo (specialmente francese) del XVIII e XIX secolo e della prima metà del XX, fino al generalizzarsi del fenomeno delle Costituzioni rigide3. In regime di Costituzione flessibile, infatti, la legge godeva dello statuto di fonte (non unica forse, ma certo) suprema e primaria. La legge era fonte suprema nel senso che – data la natura flessibile della Costituzione – era fonte sovra-ordinata a ogni altra (concretamente alla consuetudine e ai regolamenti dell’Esecutivo, così come al diritto giurisprudenziale). La legge era, poi, fonte primaria4, nel senso che la funzione legislativa era logicamente pre-ordinata a ogni altra funzione statale: la sola che non costituisse applicazione di norme preesistenti, mentre tutti i rimanenti poteri dello Stato erano dalla legge conferiti e, pertanto, dalla legge derivati. La previa esistenza di una legge era dunque condizione necessaria di validità per qualsiasi atto dei rimanenti poteri statali (ivi inclusi gli atti a contenuto normativo del potere esecutivo)5.
D’altra parte, l’idea che la legge sia fonte del diritto per antonomasia è inscindibile dalla concezione del diritto (e della funzione legislativa) largamente diffusa nel pensiero giuridico moderno a partire della Rivoluzione francese: da un lato, la concezione del diritto come insieme di norme generali e astratte, rivolte ai cittadini e suscettibili di applicazioni ripetute a una pluralità indefinita di casi concreti futuri; dall’altro, la concezione della funzione legislativa come potere di disciplinare precisamente la condotta dei cittadini mediante norme generali e astratte.
Siffatto modo di concepire la funzione legislativa, a sua volta, involge una duplice conseguenza. Per un verso, la disciplina della condotta dei cittadini è riservata all’organo legislativo: concretamente, negli ordinamenti democratici a poteri divisi, a un’Assemblea elettiva e perciò rappresentativa dei cittadini stessi. Per un altro verso, l’organo investito della funzione legislativa può creare esclusivamente norme generali e astratte, nel senso che gli è vietato assumere provvedimenti singolari e concreti.
Ciò nonostante, nell’ordinamento vigente (così come in altri ordinamenti contemporanei) la legge non può più considerarsi fonte del diritto “privilegiata”. Per rispondere ai molteplici, variegati e settoriali impulsi di una società diversificata e in tumultuosa crescita, la regolazione legislativa è divenuta, negli anni, disordinata, sovrabbondante ed eccessiva. Si parla comunemente di inflazione normativa: leggi e atti normativi quantitativamente sempre più numerosi e in costante crescita. Preso per sé, ciascun atto legislativo mostra poi vistosi difetti nella forma del testo, nella sua consistenza e chiarezza, ossia nella sua qualità6. Vi è di più. Non è più soltanto la legge parlamentare a dettare le regole, ma lo sono una molteplicità di atti normativi, la cui crescita tipologica risulta sempre più incontenibile. Ciò per diverse ragioni concorrenti.
La prima ragione attiene alla rigidità costituzionale che limita in diversi modi il potere legislativo: sotto il profilo formale, dettando al legislatore norme inderogabili sul procedimento di formazione della legge; sotto il profilo materiale, dettando al legislatore limiti inderogabili di competenza e di contenuto.
La seconda ragione è che, ai sensi dell’art. 117 Cost., così come riformulato dalla l. cost. 18.10.2001, n. 3, la legge statale non è più fonte a competenza generale “residuale”: la competenza a dettare norme in tutte le materie – salvo quelle espressamente enumerate nel secondo comma – è ormai attribuita alla legge regionale.
In terzo luogo, per giurisprudenza pacifica, sia della Corte costituzionale sia della Corte di giustizia europea, i regolamenti comunitari prevalgono in caso di conflitto sulle leggi nazionali (sia anteriori, sia posteriori).
Da ultimo, rileva il ruolo crescente (e forse ormai preponderante) acquisito dall’Esecutivo nella produzione normativa. Tale fenomeno (politicamente contingente) si manifesta in molte forme.
Anzitutto la legge è sempre più frequentemente sostituita di decreti-legge, adottati dal Governo come strumento “ordinario” di legislazione, in modo del tutto indipendente da quei requisiti di straordinarietà, necessità e urgenza della decretazione con forza di legge previsti dall’art. 77 Cost.7.
Inoltre alla legge si sostituiscono spesso i decreti legislativi (delegati), alla cui adozione il Governo è autorizzato da leggi di delegazione (art. 76 Cost.) che definiscono con rigore l’oggetto della delega e vincolano il Governo al rispetto di principi e criteri direttivi precisi e circostanziati8.
Infine, è in atto nell’ordinamento un vasto processo di delegificazione, in virtù del quale la disciplina di rango legislativo è sempre più largamente sostituita da regolamenti governativi, in forme molto spesso palesemente incostituzionali9.
Siffatta “crisi” della legge statale10 – nei suoi profili distintivi: a) troppe leggi e troppi atti normativi; b) leggi e atti normativi di scarsa qualità; c) pluralità di “tipi” di leggi e disordine nei rapporti tra i tipi di fonti del diritto – emerge chiaramente dall’esame della produzione normativa statale degli ultimi anni.
La quantità e la qualità degli strumenti normativi di rango primario utilizzati a livello statale (leggi, decreti legislativi e decreti-legge) negli anni più recenti palesano la perdurante crisi “tipologica”, “funzionale” e “di posizione” della legge parlamentare11.
Nella XVI legislatura la produzione legislativa statale risulta significativamente più bassa rispetto alle legislature precedenti, che di certo scontano l’entrata in vigore del nuovo riparto di competenze legislative tra Stato e Regioni previsto dalla legge di riforma costituzionale n. 3/2001. Il diverso assetto delle competenze stabilito dal nuovo Titolo V ha difatti determinato un’importante riduzione della produzione legislativa statale.
Sono 497 gli atti normativi di rango primario o derivanti da processi di delegificazione approvati nel primo triennio della XVI legislatura12: 226 leggi (54 leggi “ordinarie”, 3 leggi comunitarie, 65 leggi di conversione, 88 leggi di ratifica, 12 leggi finanziarie, 5 leggi collegate alla manovra di finanza pubblica), 135 decreti legislativi, 74 decreti-legge e 62 regolamenti in delegificazione.
Per quanto concerne la produzione legislativa, due dati, in particolare, meritano di essere messi in luce:
a) la netta prevalenza di leggi che per la loro tipologia discendono dall’iniziativa del Governo: leggi di conversione (65), di bilancio (12), collegate (5) e di ratifica (88);
b) la regolarità nell’approvazione delle leggi ad andamento ciclico: le leggi che compongono il ciclo di bilancio (finanziaria e poi di stabilità, di bilancio, di assestamento e rendiconto) e, con qualche ritardo ma con regolare scansione, la legge comunitaria annuale.
Peraltro, poco più dell’80 per cento delle leggi approvate nella XVI legislatura derivano dall’iniziativa governativa, nell’ambito delle quali un notevole peso percentuale è rappresentato dall’insieme delle leggi di conversione e delle leggi di ratifica, che costituiscono complessivamente il 66,81 pe cento delle leggi approvate.
Nello stesso arco di tempo risultano approvate 13 leggi contenenti disposizioni di delega al Governo, di cui: 5 leggi collegate alla manovra di finanza pubblica; 2 leggi comunitarie (quella per il 2008 e quella per il 2009); 2 leggi che concernono anche la ratifica di un trattato internazionale; 1 legge che reca un complesso di misure in materia di sicurezza pubblica; 1 legge di iniziativa parlamentare che riguarda la riforma della contabilità pubblica; 1 legge recante il piano straordinario contro le mafie; 1 legge recante norme in materia di università.
Nello stesso periodo il Parlamento ha conferito al Governo 194 deleghe “primarie”, delle quali: 134 investono l’attuazione delle leggi comunitarie e 60 danno attuazione alle altre leggi delega. Alle deleghe primarie vanno aggiunte 153 deleghe integrative e correttive; 120 di tali deleghe correttive sono relative all’attuazione delle leggi comunitarie 2008 e 2009.
Dei 135 decreti legislativi pubblicati 103 sono attuativi di leggi comunitarie.
Le leggi di conversione dei decreti-legge ammontano a 65 e sostanziano il 28,76 per cento della produzione legislativa in esame. Risultano emanati 74 decreti-legge, con una media mensile pari a 2,05.
L’eccessiva complessità della legislazione e, più in generale, la “crisi” della legge statale si configurano come una rilevante questione politico-istituzionale nell’evoluzione degli ordinamenti giuridici democratici, ponendosi come punto critico nel rapporto tra Stato e cittadini13. Si tratta di un fenomeno dalle molte facce, originato da molteplici cause, alcune delle quali di natura strutturale e fisiologica14, dettate dalla stessa conformazione politico-sociale delle società contemporanee e, come tali, mai del tutto risolvibili15.
È una “crisi” che trova origine nell’estrema divaricazione delle domande di regolazione conseguenti all’espansione delle politiche di intervento normativo tipiche del modello democratico-sociale, ossia nell’emergere, di fronte allo sviluppo della società, di una molteplicità e complessità di interessi pubblici da tutelare16. Per rispondere ai variegati impulsi di una collettività intrinsecamente diversificata e in tumultuosa trasformazione, alla legge generale – impersonale, imperativa, universale e astratta, intesa come garanzia dei diritti individuali e come limite esterno alla libera attività dei cittadini – si sono progressivamente affiancate leggi a contenuto settoriale (se non, addirittura, provvedimentale) ritenute più adeguate a favorire l’integrazione e la promozione sociale, a rispondere ai bisogni concreti dei soggetti deboli e dei ceti svantaggiati. La legge è così divenuta uno strumento per eliminare e ridurre le diseguaglianze economiche e sociali, per attuare una più equa distribuzione di beni e di servizi, per realizzare l’intervento sempre più incisivo del diritto nell’economia17.
Alla crescita della complessità normativa contribuiscono, in maniera altrettanto fisiologica nei decenni più recenti, la continua necessità di aggiornamento e di adattamento specialistico della legislazione a una realtà in forte evoluzione sul terreno economico-sociale e su quello tecnologico, oltre il policentrismo normativo derivante dall’internazionalizzazione della regolazione nel mercato globale18 e dalla presenza di diversi livelli di governo (sovrastatale, statale e sub-statale) e delle Autorità di regolazione indipendenti.
A ciò devono aggiungersi altri importanti fattori. Il riferimento è, tra l’altro, all’esigenza di visibilità politica del regolatore (l’idea che un buon Parlamento o un buon Governo siano tali se producono un gran numero di leggi); al fenomeno delle pratiche negoziali tra organi istituzionali e soggetti sociali, che inevitabilmente incide sul prodotto legislativo; alla mancanza di meccanismi automatici di revisione della normativa, con il conseguente effetto di stratificazione delle norme introdotte; alla difficoltà di rinvenire alternative alla regolazione o di monitorare il funzionamento delle regolazioni esistenti; alla scarsa attenzione nel considerare i costi della regolazione nei confronti delle imprese e dei cittadini che dovranno adeguarvisi, nonché delle strutture amministrative che dovranno applicarla19.
A tali profili della complessità normativa tipici degli ordinamenti dei Paesi più industrializzati si sommano alcune ragioni intrinseche e tipiche dei singoli ordinamenti, qual è ad esempio – con specifico riferimento all’esperienza italiana – il ricorso esasperato alla legge e, in genere, alla norma, con l’effetto (opposto rispetto a quello atteso) di ingenerare confusione ed arbitrarietà.
Benché un tasso minimo di complessità normativa sia inevitabile nell’organizzazione delle società complesse, tale elemento (fisiologico) è divenuto oramai una patologia, alla cui diagnosi si perviene attraverso l’indagine di un duplice ordine di sintomi, quantitativo e qualitativo.
A dispetto della perdita di centralità del Parlamento nella funzione legislativa, la regolazione legislativa o, più generale, la normazione risulta (paradossalmente) disordinata, sovrabbondante ed eccessiva. Si parla comunemente di inflazione normativa, nel senso che gli atti normativi risultano quantitativamente sempre più numerosi ed in costante crescita.
La complessità della legislazione non deriva unicamente dall’aumento vertiginoso del numero di leggi e di altri atti normativi (spesso primari), ma anche dallo scadimento della qualità della stessa, mal redatta, spesso modificata, stratificata, scarsamente fattibile20.
Le leggi – sempre meno generali e astratte e progressivamente affiancate da altri strumenti regolatori – si susseguono in maniera alluvionale, contraddittoria, lacunosa e con scarsa chiarezza di formulazione; alle leggi si sovrappongono, in quanto pariordinati, gli atti con forza di legge del Governo, il cui impiego pratico li rende sempre più distanti dal disegno costituzionale; la successione cronologica delle diverse tipologie di norme primarie diventa difficile da ricostruire e l’intero impianto di fonti normative finisce per perdere coesione e coerenza.
In quest’ottica si inserisce l’esigenza di semplificazione21, per depurare un sistema normativo divenuto negli anni sempre più farraginoso e stratificato e, quindi, garantire la certezza del diritto. Diversi sono stati gli strumenti per mezzo dei quali il legislatore ha inteso perseguirla22. Vi è stata dapprima la stagione della delegificazione, poi quella (effimera) dei testi unici misti23, infine quella – tuttora in corso – dei codici di settore24. Più recente è l’introduzione di un inedito meccanismo “taglia-leggi”25. Il tutto affiancato dal consolidarsi di atti di indirizzo (quali sono, ad esempio, le circolari sulla redazione degli atti normativi26) e di strumenti di accompagnamento degli atti normativi finalizzati alla loro migliore qualità (come l’AIR e la VIR).
Proprio la diversità e la varietà degli strumenti di riordino tentati (e poi abbandonati) costituisce esempio lampante di come sia difficoltoso semplificare il sistema normativo. Al tempo stesso, la pervicacia con cui negli anni si sono proposti e sperimentati nuovi strumenti mostra in maniera altrettanto inequivocabile quanto sia necessario riuscire nel riordino normativo.
1 Cfr. Modugno, F., Legge, ordinamento giuridico, pluralità degli ordinamenti. Saggi di teoria generale del diritto, Milano, 1985, 4.
2 Così Rousseau, J.J., Du contrat social, ch. VI, ed. Paris, 1869. Al riguardo non si può non ricordare l’incipit dell’art. 6 della Déclaration des droits de l’homme et du citoyen (1789): «La loi est l’expression de la volonté générale».
3 Cfr. Guastini, R., Le fonti del diritto. Fondamenti teorici, Milano, 2010, 90 ss.
4 «Une puissance primaire, initiale ou spontanée … une puissance antérieure», così Carré de Malberg, R., La loi, expression de la volonté générale. Étude sur le concept de la loi dans la Constitution de 1875, Paris, 1931 (rist. Paris, 1984), 32. È un’idea – quella della forza vincolante della legge – ben sintetizzata, oltre che nel titolo dell’opera di Carré de Malberg, nella celebre frase di Jean Louis De Lolme per cui il legislatore «può far tutto tranne che trasformare l’uomo in donna» (cfr. De Lolme, J.L., citato in Dicey, A.V., Introduzione allo studio del diritto costituzionale. Le basi del costituzionalismo inglese, Bologna, 2003).
5 Cfr. Modugno, F., Legge in generale, in Enc. dir., XXIII, Milano, 1973, 875.
6 Cfr. Di Benedetto, M.-Martelli, M.-Rangone, N., La qualità delle regole, Bologna, 2011.
7 Cfr., per tutti, Celotto, A., L’“abuso” del decreto-legge. Profili teorici, evoluzione storica e analisi morfologica, Padova, 1997.
8 Cfr. Ruotolo, M.-Spuntarelli, M., Art. 76, in Bifulco, R.-Celotto, A.-Olivetti, M., a cura di, Commentario alla Costituzione, Torino, 2006, 1484 ss.
9 Cfr. Demuro, G., Le delegificazioni: modelli e casi, Torino, 1995 e Tarli Barbieri, G., Le delegificazioni (1989-1995), Torino, 1996.
10 V. Modugno, F., Appunti per una teoria generale del diritto. La teoria del diritto oggettivo, Torino, 2000, 327 ss.
11 Di seguito è riportata una sintesi dei dati forniti dall’“Osservatorio sulla legislazione” presso la Camera dei deputati e pubblicati nel “Rapporto 2011 sulla legislazione tra Stato, Regioni e Unione europea”. Il Rapporto è consultabile sul sito web della Camera dei deputati.
12 Dal 29 aprile 2008 al 28 aprile 2011.
13 Cfr. Modugno, F.-Nocilla, D., Crisi della legge e sistema delle fonti, in Dir. soc., 1989, 411 ss. e, ora, Modugno, F.-Celotto, A.-Ruotolo, M., Considerazioni sulla “crisi” della legge, in St. parl., 1999, n. 125-126, 7 ss.
14 Cfr. Ainis, M., La legge oscura. Come e perché non funziona, Roma-Bari, 2010.
15 In proposito v. Carnelutti, F., Tecnica e arte legislativa, in Dir. econ., 1957, 263 ss. Cfr. anche Giannini, M.S., Rapporto sui principali problemi dell’amministrazione dello Stato, in Foro it., 1979, V, cap. 290 ss. V. Rescigno, G.U., Tecnica legislativa, in Enc. giur. Treccani, Roma, 1993.
16 Cfr. Cassese, S.-Mattarella, B.G., L’eccesso di regolazione e i rimedi, in Cassese, S.-Galli, G., a cura di, L’Italia da semplificare, I, Le Istituzioni, Bologna, 1998, 29 ss.
17 V. Raveraira, M., a cura di, “Buone” regole e democrazia, Soveria Mannelli, 2007.
18 A questo proposito v. Ferrarese, M.R., Le istituzioni della globalizzazione. Diritto e diritti nella società transnazionale, Bologna, 2000.
19 V. Bassanini, F.-Paparo, S.-Tiberi, G., Competitività e regolazione: un intralcio o una risorsa? Metodologie, tecniche e strumenti per la semplificazione burocratica e la qualità della regolazione, in Torchia, L.-Bassanini, F., a cura di, Sviluppo o declino. Il ruolo delle istituzioni per la competitività del Paese, Firenze, 2005.
20 V. Ainis, M., Una finestra sulla qualità della legge, in Rass. parl., 1996, 191 ss.
21 V. De Caprariis, G.-Vesperini G., a cura di, L’Italia da semplificare, Bologna, 1998.
22 V. Celotto, A.-Meoli, C., Semplificazione normativa (dir. pubbl.), in Dig. pubbl., Agg. III, Torino, 2008, 806 ss.
23 V. Lupo, N., La prima legge annuale di semplificazione: commento alla legge n. 50 del 1999, Milano, 2000.
24 Sul tema sia consentito rinviare a Meoli, C., La codificazione di settore. Modelli, casi, problemi, Napoli, 2010.
25 Cfr. Celotto, A., La “abrogazione-ghigliottina” nella legge di semplificazione 2005 (o dell’impotenza del Legislatore), in www.giustamm.it.
26 Su cui v. Lupo, N., Tecnica e politica nelle circolari sulla redazione degli atti normativi, in Quad. reg., 2004, 94 ss.