Il dibattito sul digitale
La sempre crescente diffusione delle tecnologie e degli strumenti digitali nella diffusione della cultura e della conoscenza non ha mancato di sollevare interrogativi e di suscitare un vivace dibattito tra i sostenitori e i detrattori dei cambiamenti che il progresso tecnico porta con sé: se da un lato non si possono negare le straordinarie opportunità offerte dalla rete e dal digitale per la diffusione e la circolazione della cultura, come ausilio all’istruzione, alla divulgazione e alla stessa ricerca scientifica, dall’altro il rischio – nell’era della sovrainformazione e di un eccesso incontrollato di notizie e di nozioni – è quello che vada per- sa l’esperienza della lettura profonda, meditata, continuativa e critica di un testo. Se già alla metà degli anni Ottanta nelle Lezioni americane Calvino si chiedeva «quale sarà il futuro dell’immaginazione individuale in quella che si usa chiamare la ‘civiltà dell’immagine’? Il potere di evocare immagini in assenza continuerà a svilupparsi in un’umanità sempre più inondata dal diluvio delle immagini prefabbricate?», di fronte ora alla rivoluzione digitale alcuni intellettuali assumono posizioni di netta chiusura e di rifiuto: da Jonathan Franzen, che scorge nei social network l’annullamento del pensiero individuale, a Milan Kundera, che sembra abbia vietato persino a livello contrattuale la pubblicazione elettronica dei suoi romanzi. Tenendo conto che l’evoluzione tecnologica è una costante inevitabile della storia dell’umanità – scandita da passaggi quali quello dall’oralità alla scrittura, dal rotolo al codice, dal manoscritto al libro a stampa, ciascuno dei quali ha inciso profondamente, nel bene e nel male, sul modo di produrre e diffondere la conoscenza –, un approccio più produttivo e realistico è quello proprio di coloro che si sforzano di cogliere le opportunità offerte dal nuovo senza lasciare che esso si sostituisca interamente all’antico, ma favorendo una loro coesistenza e integrazione reciproca.
di Francesco Ursini