Il dibattito sull’art. 19 st. lav. dopo C. cost. 231/2013
Il contributo analizza gli effetti della dichiarazione di illegittimità costituzionale dell’art. 19 dello Statuto dei lavoratori ad opera della sentenza n. 231/2013 della Corte costituzionale e la ricaduta sul canone di rappresentatività delle associazioni sindacali anche alla luce dell’accordo interconfederale del 10.1.2014. Il regime dei presupposti per la costituzione di rappresentanze sindacali aziendali (RSA), quale tutela differenziata in favore del sindacato effettivamente rappresentativo dei lavoratori in azienda, è esaminato diacronicamente in riferimento al principio di eguaglianza (art.3, co. 1, Cost.) ed a quello di libertà sindacale (art. 39, co. 1, Cost.).
Il dibattito sulla rappresentatività sindacale è stato ravvivato dal recente intervento della Corte costituzionale che con sentenza 23.7.2013, n. 2311, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 19, co. 1, lett. b), della l. 20.5.1970, n. 300 (Statuto dei lavoratori: d’ora in poi art. 19 tout court), nella parte in cui non prevede che la rappresentanza sindacale aziendale possa essere costituita anche nell’ambito di associazioni sindacali che, pur non firmatarie dei contratti collettivi applicati nell’unità produttiva, abbiano comunque partecipato alla negoziazione relativa agli stessi contratti quali rappresentanti dei lavoratori dell’azienda.
In una prospettiva diacronica può dirsi che si sono succedute nel tempo tre formulazioni di tale disposizioni che regola, nel regime privatistico del rapporto di lavoro, i presupposti per la costituzione di rappresentanze sindacali aziendali e quindi, derivando da queste la titolarità di prerogative sindacali previste dallo Statuto di lavoratori e segnatamente dalla sua terza parte, pone un canone generale di rappresentatività sindacale in azienda: quella originaria della l. n. 300/1970; quella modificata dal referendum del 1995; e da ultimo quella integrata dal dispositivo additivo della citata pronuncia della Corte costituzionale (2013).
1.1 Il criterio originario della rappresentatività sindacale
L’art. 19 nella sua formulazione originaria del 1970 prevedeva un duplice criterio di identificazione del sindacato nel cui ambito era possibile costituire rappresentanze sindacali aziendali (RSA) ad iniziativa dei lavoratori in ogni unità produttiva dell’azienda alle quali il titolo III dello Statuto dei lavoratori assegnava alcune prerogative di sostegno dell’attività sindacale che andavano al di là della generale tutela dell’attività sindacale nei luoghi di lavoro garantita a tutti i lavoratori in azienda dall’art. 14 st. lav. in diretta derivazione dall’art. 39, co.1, Cost. sulla libertà di organizzazione sindacale. I diritti sindacali di tale titolo III si specificano come disciplina differenziata di sostegno dell’attività sindacale nell’ambito di sindacati ritenuti dal legislatore maggiormente qualificati – per così dire, maggiormente «meritevoli» – rispetto ad altri sindacati per essere destinatari di un rafforzamento di tutela rispetto al generale riconoscimento della libertà di organizzazione sindacale di cui gode qualsiasi sindacato.
Questa differenziazione, che fin dall’origine ha fatto l’art. 19 e che è ancora il proprium di tale disposizione, in tanto è compatibile con il principio di eguaglianza, operante anche tra sindacati, in quanto sia riconducibile a quella differenziazione che fa lo stesso art. 39 Cost.; norma questa che, dopo aver garantito in generale, e quindi a tutti i lavoratori ed a tutti i sindacati, la libertà di organizzazione sindacale, prevede in particolare che i sindacati registrati possono, rappresentati unitariamente in proporzione dei loro iscritti, stipulare contratti collettivi di lavoro con efficacia obbligatoria per tutti gli appartenenti alle categorie alle quali il contratto si riferisce. È quindi la connotazione dimaggiore o minore rappresentatività del sindacato, insita nell’art. 39 Cost. e rapportata al numero di lavoratori iscritti, che consente una disciplina differenziata di tutela. Il legislatore ordinario nel regolamentare l’attività sindacale non necessariamente deve trattare tutti i sindacati allo stesso modo nel rispetto del principio di eguaglianza; può anche porre una disciplina differenziata di maggiore tutela per alcuni sindacati rispetto ad altri.
Ma tale differenziazione è possibile solo se rispettosa dell’unico criterio distintivo che, per il fatto di esprimere un valore di rango costituzionale, si colloca sullo stesso livello del principio di eguaglianza e ne legittima la deroga: è il criterio della rappresentatività che costituisce quindi una nozione ontologica desumibile direttamente dall’art. 39 Cost..
L’art. 19 fin dalla sua formulazione originaria ha individuato criteri legali di riconoscimento di tale rappresentatività che fungono anche da canoni ermeneutici della tipizzazione legale di tale “qualità” del sindacato, espressione altresì, in questo ambito, di scelte discrezionali del legislatore ordinario quanto alla regolamentazione delle relazioni sindacali.
Inizialmente i sindacati maggiormente qualificati ad essere destinatari di una tutela rinforzata sono stati individuati secondo un duplice criterio, rispettivamente con riferimento alle associazioni sindacali aderenti alle confederazioni maggiormente rappresentative sul piano nazionale (lett. a dell’art. 19, co. 1) ed in quelle, non affiliate alle predette confederazioni, che fossero firmatarie di contratti collettivi nazionali o provinciali di lavoro applicati nell’unità produttiva (lett. b dell’art. 19, co. 1). La tipizzazione legale della rappresentatività secondo questo disegno coerente ed equilibrato coniugava il livello più elevato, quello confederale, ad un livello meramente categoriale, ma pur sempre nazionale o provinciale, non anche solo aziendale, fissato con riferimento alla relativa contrattazione collettiva applicata nell’unità produttiva.
1.2 La rappresentatività sindacale dopo il referendum del 1995
Questa formulazione dell’art. 19 ha governato le relazioni sindacali per oltre venticinque anni, fino a quando l’esito affermativo del referendum abrogativo (in realtà, manipolativo) del 1995 (nel suo quesito cd. minimalista, che si affiancava al quesito di più ampia portata per il quale invece non fu raggiunto il quorum), svoltosi in un contesto sociale e politico profondamente mutato, ha radicalmente trasformato il contenuto normativo della disposizione con la tecnica del ritaglio in cui si sostanzia il referendum manipolativo piuttosto che abrogativo, ammesso entro certi limiti dalla giurisprudenza costituzionale.
È venuto meno del tutto il riferimento alle associazioni sindacali aderenti alle confederazioni maggiormente rappresentative sul piano nazionale, mentre il riferimento alla stipulazione della contrattazione collettiva applicabile al rapporto è stato ampliato dal livello nazionale o provinciale a quello anche solo aziendale2.
La nuova formulazione dell’art. 19, risultante dal referendum del 1995, va comunque letta nel contesto del modello di rappresentatività accolto dal costituente nell’art. 39 Cost., che, seppur mai attuato dal legislatore ordinario quanto alla registrazione del sindacato, individua comunque il sindacato effettivamente rappresentativo mediante il ricorso ad un criterio di proporzionalità numerica dei lavoratori iscritti che non va disgiunto da quello di necessaria categorialità dell’associazione sindacale.
Il criterio legittimante che risulta nell’art. 19 dopo il referendum del 1995 fa riferimento, per individuare il sindacato rappresentativo in azienda, all’associazione sindacale che abbia stipulato un contratto collettivo (nazionale, provinciale o anche solo aziendale) applicato nell’unità produttiva. Vero è che non ogni scostamento dal modello dell’art. 39 Cost. – non essendo questo né esclusivo, né generale, ma mirato soltanto alla stipulazione di contratti collettivi efficaci erga omnes – comporta una incompatibilità con il precetto costituzionale, che non inficia diversi canoni che siano espressivi o indicativi del consenso dei lavoratori, mentre solo non tollererebbe criteri rigidamente presuntivi. Ma un’interpretazione adeguatrice, costituzionalmente orientata al rispetto del parametro dell’art. 39 Cost., conduce a ritenere che la stipulazione di un contratto collettivo, anche aziendale, applicabile nell’unità produttiva in tanto può costituire idoneo presupposto per la tipizzazione delle condizioni legittimanti per la costituzione delle RSA in quanto concretamente espressione di rappresentatività dei lavoratori; sicché il mancato conseguimento del risultato dell’azione sindacale, costituito dalla stipulazione del contratto collettivo, non può essere condizione escludente dell’associazione sindacale pur in concreto rappresentativa dei lavoratori.
La stipulazione del contratto collettivo costituisce sì un indice di meritevolezza del sindacato che abbia concluso positivamente la trattativa contrattuale così approntando una regolamentazione collettiva al rapporto di lavoro; ma non costituisce per altro verso altresì un canone di esclusione ex se del sindacato che tale trattativa non abbia concluso nella misura in cui anche quest’ultimo possa dirsi rappresentativo dei lavoratori.
1.3 La dichiarazione di incostituzionalità dell’art. 19
La terza – ed attualmente vigente – formulazione dell’art. 19 è quella risultante dalla citata sentenza della Corte costituzionale che ha tradotto questa interpretazione adeguatrice in un dispositivo additivo che indubbiamente fa maggiore chiarezza: le RSA possono ora essere costituite nell’ambito sia delle associazioni sindacali che siano firmatarie di contratti collettivi di lavoro applicati nell’unità produttiva, sia di quelle che, pur non firmatarie dei contratti collettivi applicati nell’unità produttiva, abbiano comunque partecipato alla negoziazione relativa agli stessi contratti quali rappresentanti dei lavoratori dell’azienda. Il criterio legale della stipulazione di un contratto collettivo non ha la funzione di sovrapporsi a quello risultante dalla nozione ontologica di rappresentatività; non ha una valenza rigidamente inclusiva e simmetricamente esclusiva del sindacato meritevole, o no, della tutela rinforzata; ha invece la valenza di una presunzione legale che non esclude che la rappresentatività sindacale sia rinvenibile in altre azioni sindacali quale appunto la partecipazione alle trattative del contratto collettivo applicabile ai lavoratori nell’unità produttiva, che è la fattispecie emersa ora anch’essa a livello di tipizzazione legale per effetto della citata pronuncia additiva di illegittimità costituzionale. La quale non solo consente di predicare un generale canone di rappresentatività ex art. 39 Cost., ma, nel finale monito al legislatore, reca un chiaro riferimento ai possibili indici di rappresentatività, quale il numero degli iscritti al sindacato.
Insomma nell’attualmente vigente formulazione dell’art. 19 sono ora rinvenibili due indici di rappresentatività: la stipulazione del contratto collettivo applicabile nell’unità produttiva e la partecipazione alle trattative per la stipulazione di tale contratto collettivo. Ma l’uno e l’altro sono il riflesso della nozione ontologica di rappresentatività sindacale che discende direttamente dall’art. 39 Cost, sicché non può escludersi che essa possa manifestarsi in altro modo.
Come riconosce la citata pronuncia e come si è già osservato in passato3, il criterio identificativo del sindacato maggiormente rappresentativo dopo il referendum del 1995 (quello della stipulazione di un contratto collettivo applicato nell’unità produttiva) – ove fosse inteso solo secondo il dato testuale della formulazione risultante dall’abrogazione referendaria – sarebbe sbilanciato sia per eccesso, sotto un profilo, sia per difetto, sotto un altro; infatti tale criterio – se di norma è pienamente coerente con l’intento referendario di estendere la rappresentatività anche a livello aziendale (eliminando quella riflessa, e quindi meramente presuntiva, dell’affiliazione ad una confederazione maggiormente rappresentativa) ed ha altresì il pregio di essere meglio identificabile e riconoscibile di quello della (abrogata) lett. a) del primo comma dell’art. 19 – ha però (in una lettura meramente testuale della disposizione) da una parte il difetto di essere eccessivamente restrittivo, perché esclude che abbiano la legittimazione a costituire RSA sindacati che possono risultare in concreto maggiormente rappresentativi; dall’altra il difetto di essere eccessivamente ampio perché è dubbio che sia pienamente giustificata una più favorevole disciplina differenziata di sostegno ove il sindacato, ancorché firmatario di un accordo collettivo, associ solo lavoratori di una particolare qualifica o con determinate mansioni.
È il maggior consenso, riconosciuto attraverso criteri rivelatori espressi in forma solo strumentalmente definitoria e quindi presuntiva, a giustificare la maggiore tutela ed a consentire di risolvere affermativamente il giudizio di meritevolezza sotteso all’art. 19. L’esito favorevole di un’azione di lotta sindacale del sindacato che alla fine riesce a stipulare un contratto collettivo rivela ex post il carattere effettivamente rappresentativo del sindacato stesso.
Ma l’eventuale mancata stipulazione del contratto collettivo, a conclusione della trattativa, non può schermare, in chiave quasi sanzionatoria, una rappresentatività sindacale che esiste in concreto perché è nel consenso dei lavoratori addetti all’unità produttiva.
Il dibattito sull’art. 19 ha visto in particolare questioni di legittimità costituzionale che si sono poste sia con riferimento alla sua originaria formulazione che a quella risultante dal referendum manipolativo. Possiamo quindi distinguere una duplice fase: prima e dopo il referendum del 1995.
2.1 Il primo intervento della Corte costituzionale
Poco dopo l’entrata in vigore della norma la Corte costituzionale è stata chiamata a valutare la conformità dell’art. 19 agli artt. 3 e 39 Cost. e, con la sentenza 6.3.1974, n. 544, ha dichiarato infondata la relativa questione, sottolineando, fra l’altro, che l’art. 19, nel prevedere i due suddetti criteri alternativi per la costituzione delle RSA rispettivamente nelle lett. a) e b) del suo primo comma, doveva considerarsi il frutto di una scelta compiuta dal legislatore – nella sfera della sua discrezionalità – razionale e consapevole, nonché adeguata a consentire il soddisfacimento delle reali esigenze economico-sociali poste alla base dello Statuto dei lavoratori. La Corte – nel riconoscere la razionalità della scelta compiuta dal legislatore nell’adottare un criterio selettivo per limitare l’applicabilità della normativa sindacale di sostegno al sindacato connotato da maggiore rappresentatività secondo i criteri fissati dall’art. 19 nell’originaria formulazione – ha posto l’accento sul carattere effettivo e concreto della rappresentatività sindacale, sottolineando che ai poteri riconosciuti alle RSA deve far «riscontro un’effettiva capacità di rappresentanza degli interessi sindacali»; inoltre, ha evidenziato che la confederazione di riferimento di cui alla lett. a) del primo comma dell’art. 19 doveva aver raggiunto «una reale effettività rappresentativa sul piano nazionale» e che i requisiti che la definivano non erano «attribuibili né dal legislatore né da altre autorità», ma dovevano essere «conseguibili e realizzabili da ogni associazione sindacale per fatto proprio o in base a propri atti concreti». Con tale scelta il legislatore, nel riconoscere ai lavoratori dell’unità produttiva il potere di costituire rappresentanze sindacali aziendali, ha mostrato di volere «evitare che singoli individui o piccoli gruppi isolati di lavoratori, costituiti in sindacati non aventi requisiti per attuare una effettiva rappresentanza aziendale possano pretendere di espletare tale funzione compiendo indiscriminatamente nell’ambito dell’azienda attività non idonee e non operanti per i lavoratori e possano così dar vita ad un numero imprevedibile di organismi, ciascuno rappresentante pochi lavoratori, organismi i quali, interferendo nella vita dell’azienda a difesa di interessi individuali i più diversi ed anche a contrasto fra loro, abbiano il potere di pretendere l’applicazione di norme che hanno fini assai più vasti, compromettendo o quantomeno ostacolando l’operosità aziendale, quella dell’imprenditore ed anche la realizzazione degli interessi collettivi degli stessi lavoratori».
2.2 L’indice rivelatore della rappresentatività sindacale
L’azione sindacale deve essere diretta a salvaguardare l’interesse di tutti i lavoratori addetti all’unità produttiva e non già soltanto di una loro parte. Questa esigenza – evidenziata dalla giurisprudenza costituzionale – si coniuga poi sia con quella di non favorire la moltiplicazione degli interlocutori sindacali in azienda che possano spendere la legittimazione a costituire una RSA sia con quella di non aggravare eccessivamente la posizione del datore di lavoro, il cui diritto di impresa ha rilievo costituzionale (art. 41 Cost.). Questo bilanciamento di contrapposte esigenze veniva in passato operato tramite il requisito dell’intercategorialità e della pluricategorialità della confederazione sindacale di riferimento, richiesto per il riconoscimento della maggiore rappresentatività; requisito questo che è stato in particolare valorizzato dalla Corte costituzionale nella sentenza 24.3.1988, n. 3345, che – nel fondare il giudizio di meritevolezza del sindacato maggiormente rappresentativo – ha in particolare rilevato che tale specifico indice è giustificato dal «carattere indivisibile degli interessi dei lavoratori» ed è funzionale ad «un processo di aggregazione e di coordinamento degli interessi dei vari gruppi professionali, anche al fine di ricomporre, ove possibile, le spinte particolaristiche in un quadro unitario»; finalità questa che è coerente con il complessivo disegno costituzionale che vede la libertà dell’azione sindacale (art. 39 Cost.) coniugarsi con il principio solidaristico (art. 2 Cost.) e con quello partecipativo (art. 3, co. 2, Cost.). Si tratta in fondo di quella stessa esigenza selettiva, già evidenziata da C. cost. n. 54/1974, a giustificare e richiedere «una equilibrata consistenza associativa in tutto l’arco delle categorie che essa [l’associazione sindacale] è istituzionalmente intesa a tutelare, e perciò esclude che per tale possa qualificarsi un’organizzazione, anche confederale, di tipo monocategoriale»; in particolare, la Corte ha rimarcato l’esigenza di evitare la frammentazione dell’attività sindacale e quindi il rischio di una microconflittualità diffusa in ambito aziendale. Invece, un sindacato di categoria o di mestiere non può spendere questa qualità; quella di aver operato al suo interno un bilanciamento degli interessi di tutte le categorie dei lavoratori addetti all’unità produttiva e di presentarsi di fronte al datore di lavoro con questa forte investitura, che giustifica il riconoscimento di una tutela di sostegno, ulteriore rispetto a quella generale della libertà sindacale. La Corte ha poi sottolineato che «la garanzia del libero sviluppo di una normale dialettica sindacale è assicurata dallo Statuto, non solo attraverso il divieto dei sindacati di comodo (art. 17), ma anche e soprattutto attraverso il fondamentale strumento di repressione della condotta antisindacale del datore di lavoro previsto dall’art. 28, il cui impiego presuppone una dimensione organizzativa – quella nazionale – che, per non essere legata né ad un’aggregazione a livello confederale-intercategoriale, né alla stipulazione di contratti collettivi, consente concreti spazi di operatività anche alle organizzazioni che dissentono dalle politiche sindacali maggioritarie perseguite a quel livello». Altresì la Corte ha soggiunto che «un meccanismo selettivo di sostegno qualificato dall’azione sindacale nei luoghi di lavoro deve non solo rifiutare logiche puramente aziendalistiche, estranee al ruolo a questa assegnato dalla Costituzione, ma evitare i pericoli di eccessiva frammentazione della rappresentanza sindacale». È possibile individuare indici significativi del requisito della maggiore rappresentatività rapportandoli all’effettività di questa sicché risulta confermata «l’opinione già espressa da questa Corte nel 1974 e condivisa dal giudice di legittimità, secondo cui la formula legislativa prescrive una valutazione non comparativa ma rafforzativa della rappresentatività e delinea una categoria aperta, cui può accedere ogni organizzazione sindacale che raggiunga la consistenza e possieda le caratteristiche evidenziate dagli elementi sintomatici sopra richiamati».
2.3 Inammissibilità di un potere di accreditamento datoriale
La giurisprudenza costituzionale (C. cost., 26.1.1990, n. 306) ha anche ritenuto l’inderogabilità del criterio di accesso alla disciplina di sostegno dell’attività sindacale. Il sindacato maggiormente rappresentativo è quello che tale connotazione rispecchia sulla base di indici oggettivi, mentre «l’accesso pattizio alle misure di sostegno non offre alcuna garanzia oggettivamente verifìcabile». È proprio con riferimento alla lett. b) del primo comma dell’art. 19 che la Corte ha chiarito che è il livello «extra-aziendale» a fissare la «soglia minima della rappresentatività», con ciò lasciando intendere che l’abbassamento di tale soglia a livello aziendale avrebbe potuto far insorgere un (inammissibile) «potere di accreditamento» del datori di lavoro. Inoltre, la Corte, pur formulando un monito al legislatore perché detti «nuove regole» della rappresentatività del sindacato, ha rilevato che l’eventuale possibilità di estensione pattizia delle misure di sostegno dell’attività sindacale si porrebbe in contraddizione con la logica sottesa ad una scelta legislativa «caratterizzata dal ricorso a tecniche incentivanti idonee ad impedire un’eccessiva dispersione dell’azione di autotutela ed a favorire una sintesi degli interessi non circoscritta alle logiche particolaristiche di piccoli gruppi di lavoratori». Ciò che quindi la giurisprudenza costituzionale certamente esclude è che – pur senza che risulti integrata la fattispecie del divieto di sindacato di comodo (art. 17 st. lav.) – possa essere in sostanza il datore di lavoro a riconoscere un determinalo sindacato come maggiormente rappresentativo, determinando a collocarlo in una posizione differenziata di maggior tutela rispetto alle altre associazioni sindacali. La Corte ha sottolineato che, «al di fuori della rappresentatività generale presupposta nella lett. a), la lett. b) dell’art. 19 appresta un congegno di verifica empirica della rappresentatività nel singolo contesto produttivo,misurandola sull’efficienza contrattuale dimostrata almeno a livello locale, attraverso la partecipazione alla negoziazione ed alla stipula di contratti collettivi provinciali. Nel fissare a tale livello extra-aziendale la soglia minima della rappresentatività, il legislatore ha tra l’altro inteso evitare i pregiudizi che alla libertà ed autonomia della dialettica sindacale, all’eguaglianza tra le varie organizzazioni ed all’autenticità del pluralismo sindacale possono derivare dal potere di accreditamento della controparte imprenditoriale.
2.4 Stipulazione di contratti collettivi anche solo aziendali
La seconda fase è quella che si apre per effetto dell’esito del referendumindetto con d.P.R. 5.4.1995 e tenutosi l’11.6.1995; esito sancito dal d.P.R. 28.7.1995, n. 312. In un primo intervento la Corte (C. cost., 4.12.1995, n. 4927) sembra aver recepito una nozione ontologica di «rappresentatività», la quale non può essere cristallizzata in un canone formale, ma richiede una costante verifica della sua «effettività» ossia della sua idoneità ad esprimere il consenso dei lavoratori che si riconoscono in quel sindacato.
Quindi, i criteri rivelatori della rappresentatività costituiscono meri «indici» che hanno carattere essenzialmente «indiziario».Ma si tratta pur sempre di una presunzione di maggiore rappresentatività relativizzata anche in chiave diacronica, non potendo da essa sortire una cristallizzazione nel tempo dell’effettuato riscontro di tale presupposto; sicché, quando l’unico indice rivelatore, come quello previsto appunto dalla disposizione regionale censurata, risulti inadeguato e sia pertanto caducato perché costituzionalmente illegittimo, rimane a nudo il mero criterio della maggiore rappresentatività, che – non essendo una scatola vuota, ma avendo un suo contenuto sostanziale ancorché espresso in una forma analoga a quella di una clausola generale è non di meno autoapplicativo, non dovendo essere necessariamente veicolato da indici presuntivi. D’altra parte il dispositivo della pronuncia innesta nella norma regionale denunciata proprio la nozione di maggiore rappresentatività come canone autosufficiente.
Nella sentenza n. 492/1995 la Corte costituzionale, pur non essendo stata chiamata ad esaminare direttamente l’art. 19 st. lav. nella sua nuova formulazione, ha comunque affrontato, ad altri fini, il tema della “maggiore rappresentatività”, affermando, fra l’altro, che – pur dopo l’abolizione dal testo del citato art. 19 della espressione “confederazioni maggiormente rappresentative sul piano nazionale” ad opera del d.P.R. n. 312/1995 (in esito al referendum indetto col d.P.R. 5.4.1995) – comunque «il criterio del grado di rappresentatività continua ad avere la sua rilevanza in forza dell’altro indice previsto dalla stessa norma, e precisamente di quello che fa riferimento alle associazioni sindacali che siano firmatarie di contratti collettivi di lavoro applicati nell’unità produttiva», venendo «così valorizzata l’effettività dell’azione sindacale, desumibile dalla partecipazione alla formazione della normativa contrattuale collettiva, quale presunzione di detta maggiore rappresentatività».Dall’applicazione dei principi affermati in precedenti pronunzie (in particolare, nelle sentenze n. 388/1988 e n. 30/1990) alla nuova nozione di “rappresentatività” la sentenza n. 492/1995 faceva discendere la conseguenza per cui in presenza di una evidente rappresentatività, derivante dal consenso proveniente da parte dei lavoratori, la mancata stipulazione del contratto collettivo non poteva costituire impedimento alla legittimazione alla costituzione delle rappresentanze sindacali aziendali.
2.5 Dubbi di costituzionalità dopo il referendum del 1995
La Corte costituzionale, con la sentenza 12.7.1996, n. 2448, ha dichiarato non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 19, censurato, nel nuovo testo, in riferimento agli artt. 3 e 39 Cost., nella parte in cui limita il riconoscimento delle rappresentanze aziendali alle sole organizzazioni sindacali firmatarie di contratti collettivi applicati nell’unità produttiva. Secondo i giudici rimettenti l’unico requisito per il riconoscimento della rappresentatività, costituito dallo strumento negoziale allargato alla contrattazione aziendale, comportava che il riconoscimento della rappresentanza sindacale aziendale dipendeva in concreto dall’accreditamento del datore di lavoro che sceglie con quale sindacato stipulare il contratto collettivo. Denunciata era anche la violazione del principio di eguaglianza violato perché si era introdotta la possibilità di costituire rappresentanze a favore di organizzazioni sindacali prive di effettiva rappresentatività, sol che fossero firmatarie di contratti collettivi, e di negarla ad organizzazioni che, pur rappresentative sia esternamente che nell’ambito aziendale, non avessero sottoscritto alcun accordo.
La Corte ha dichiarato l’infondatezza della questione sotto entrambi i profili. Ha ritenuto l’idoneità della contrattazione collettiva quale criterio di accertamento della rappresentatività dei sindacati stipulanti, pur escludendo che, per concessione del datore di lavoro, possano accedere ai benefici del titolo III dello Statuto dei lavoratori associazioni sindacali, prive di rappresentatività. Quindi, secondo l’art. 19, nella versione risultante dall’esito del referendaria, la rappresentatività del sindacato non deriva da un riconoscimento del datore di lavoro, espresso in forma pattizia, ma è una qualità giuridica attribuita dalla legge alle associazioni sindacali che abbiano stipulato contratti collettivi (nazionali, locali o aziendali) applicati nell’unità produttiva. La Corte ha però indicato l’interpretazione adeguatrice, costituzionalmente orientata, del novellato art. 19: non è sufficiente la mera adesione formale a un contratto negoziato da altri sindacati, ma occorre una partecipazione attiva al processo di formazione del contratto; nemmeno è sufficiente la stipulazione di un contratto qualsiasi, ma deve trattarsi di un contratto normativo che regoli in modo organico i rapporti di lavoro, almeno per un settore o un istituto importante della loro disciplina, anche in via integrativa, a livello aziendale, di un contratto nazionale o provinciale già applicato nella stessa unità produttiva.
Ciò comporta che l’art. 19 deve essere inteso nel senso di valorizzare «l’effettività dell’azione sindacale, desumibile dalla partecipazione alla formazione della normativa contrattuale collettiva» (C. cost., n. 492/1995), quale indicatore di rappresentatività già ritenuto dalla sentenza n. 54/1974, come «non attribuibile arbitrariamente o artificialmente,ma sempre direttamente conseguibile e realizzabile da ogni associazione sindacale in base a propri atti concreti e oggettivamente accertabili dal giudice». Con le successive ordinanze n. 345/1996, n. 148/1997 e n. 76/1998 la Corte ha esaminato analoghe questioni di legittimità costituzionale riguardanti l’art. 19, dichiarandole manifestamente infondate, anche con riferimento alla ipotizzata violazione dell’art. 2 Cost.
La citata sentenza della Corte costituzionale del 2013, che ha cambiato i termini del dibattito sull’art. 19, lascia sul campo varie questioni, due delle quali appaiono di maggior rilievo.
3.1 L’accordo interconfederale del 10.1.2014
Innanzi tutto c’è da considerare che le parti sociali sono intervenute in materia subito dopo la pronuncia della Corte costituzionale e con il recente accordo interconfederale del 10.1.20149 hanno posto un’ampia e dettagliata disciplina collettiva della rappresentanza sindacale prevedendo un meccanismo di misura e certificazione della rappresentanza ai fini della contrattazione collettiva nazionale di categoria – sulla base sia del dato associativo (percentuale delle iscrizioni certificate) sia del dato elettorale (percentuale voti ottenuti su voti espressi) – e specificamente regolamentando le rappresentanze sindacali unitarie in azienda (RSU). In particolare le organizzazioni sindacali di categoria aderenti alle Confederazioni firmatarie di tale accordo, nonché dell’accordo interconfederale del 28.6.2011 e del protocollo del 31.5.2013, hanno rinunciato formalmente ed espressamente a costituire RSA ai sensi dell’art. 19. Alle RSA subentrano le RSU elette secondo un procedimento elettorale regolato in dettaglio e con una soglia di sbarramento di rappresentatività che esclude le associazioni sindacali meno rappresentative. È altresì previsto che i componenti delle RSU subentrano ai dirigenti delle RSA nella titolarità di diritti, permessi, libertà sindacali e tutele già loro spettanti per effetto delle disposizioni di cui al titolo III dello Statuto dei lavoratori. Quindi nei limiti di applicabilità di tale accordo interconfederale la portata dell’art. 19 (sulle RSA) è del tutto schermata da questa disciplina contrattuale collettiva (in particolare, sulle RSU), ben più articolata e virtuosamente espressiva di un principio democratico di formazione della comune volontà sindacale.
Il problema che si pone è quello della compatibilità e dell’incidenza di tale disciplina collettiva in rapporto alla menzionata pronuncia di illegittimità costituzionale dell’art. 19 che assicura la tutela rinforzata del titolo terzo anche al sindacato che abbia solo partecipato alle trattative,ma non abbia aderito al contratto collettivo applicato in azienda. Trattandosi di prerogative che discendono direttamente dalla legge, con copertura costituzionale perché espressione del diritto di organizzazione sindacale, queste possono essere rimodellate dalla disciplina collettiva solo per le associazioni sindacali per le quali il menzionato accordo interconfederale risulta essere vincolante. Ad esse pertanto si applicherà anche la clausola contrattuale che espressamente stabilisce che, ai fini del riconoscimento dei diritti sindacali previsti dall’art. 19, si intendono partecipanti alla negoziazione le organizzazioni che abbiano raggiunto il 5 per cento di rappresentanza, secondo i criteri concordati nell’accordo stesso, e che abbiano partecipato alla negoziazione per aver contribuito alla definizione della piattaforma e aver fatto parte della delegazione per la trattativa dell’ultimo rinnovo del CCNL definito secondo le regole del medesimo accordo interconfederale.
Invece nell’ambito del sindacato per il quale l’accordo interconfederale sulla rappresentanza non sia vincolante può non di meno essere costituita la RSA in diretta applicazione dell’art. 19 ove il sindacato abbia partecipato alla trattativa del contratto collettivo applicabile al rapporto pur senza sottoscriverlo.
3.2 Applicabilità del nuovo criterio di rappresentatività
L’altra questione, che si pone a valle di quella appena esaminata, riguarda la residua operatività dell’art. 19 nella misura in cui l’accordo interconfederale citato non sia applicabile alle associazioni sindacali che non aderiscono alle confederazioni firmatarie dello stesso. In questo residuo ambito l’estensione della legittimazione a costituire RSA, conseguente alla dichiarazione di incostituzionalità dell’art. 19 in termini additivi, rende maggiormente convincente, se non addirittura obbligata, quell’interpretazione adeguatrice che già era stata prospettata all’indomani del referendum del 1995. La mera partecipazione alla trattativa contrattuale – sganciata dall’effettiva sottoscrizione del contratto collettivo e quindi dall‘assunzione di diritti ed obblighi che ne derivano e fuori dall’applicabilità degli accordi interconfederali, che disciplinano anche il profilo dell’ammissione alla trattativa e regolamentano l’obbligo del datore di lavoro di trattare con l’interlocutore sindacale – potrebbe significare null’altro che accreditamento del datore di lavoro, il quale potrebbe, anche su un tavolo separato, avviare una trattativa con un’associazione sindacale in ipotesi rappresentativa di una esigua minoranza di lavoratori o addirittura solo di alcuni lavoratori di una certa qualifica. La mera partecipazione alla trattativa sganciata dalla sottoscrizione del contratto collettivo, ove fosse di per sé sola idonea a legittimare la costituzione della RSA ex art. 19, verrebbe in collisione con il principio di eguaglianza (art. 3, co. 1, Cost.) coniugato alla garanzia di libertà sindacale (art. 39, co. 1, Cost.). L’interpretazione adeguatrice dell’art. 19, soprattutto dopo l’estensione conseguente alla sua dichiarazione di incostituzionalità in termini additivi, porta a ritenere che il canone della rappresentatività del sindacato discende direttamente dall’art. 39 Cost. e la partecipazione alla trattativa contrattuale prevista dall’art. 19 «novellato» è un indice di tale rappresentatività che deve in ogni caso sussistere in concreto. Per tale verifica, in mancanza di intervento del legislatore, auspicato dalla Corte costituzionale, il giudice chiamato ad applicare l’art. 19 potrà trovare, in via parametrica, utili elementi di valutazione nell’accordo interconfederale citato che espressamente definisce la partecipazione alle trattative contrattuali ad opera di associazioni sindacali – in concreto e significativamente – rappresentative dei lavoratori.
1 In Foro it., 2013, I, 3041. Per i primi commenti v. Alleva, P., Le radici della democrazia nei luoghi di lavoro, in http://www.dirittisocialiecittadinanza.org; Carinci, F., Il buio oltre la siepe: Corte cost. 23 luglio 2013, n. 231, in WP C.S.D.L.E. “Massimo D’Antona”.IT –182/2013; Maresca, A., a cura di, Le r.s.a. dopo la sentenza della Corte costituzionale 23 luglio 2013, n. 231, in Adapt Labour studies e-book series, 13/13, www.adapt.it. Cfr., anche Opinioni sul «nuovo» art. 19 dello statuto dei lavoratori, in Giorn. dir. lav. rel. ind., 2014, 105; nonché Amoroso, G.-Di Cerbo, V.,-Maresca, A., Il diritto del lavoro - vol. II: Statuto dei lavoratori e disciplina dei licenziamenti, IV ed., Milano, 2014, 1021.
2 De Luca Tamajo, R., Le «ricadute» del referendum modificativo dell’art. 19 l. n. 300/70, in Giorn. dir. lav. rel. ind., 1996, 2, 91.
3 Amoroso, G., Nuovo intervento della Corte costituzionale sulla nozione di «maggiore rappresentatività» delle associazioni sindacali e possibili riflessi sull’art. 19 dello Statuto dei lavoratori, in Foro it., 1996, I, 6.
4 In Foro it., 1974, I, 963. Cfr. Giugni, G., La rappresentatività delle associazioni sindacali nello Statuto dei lavoratori, in Giur. cost., 1974, 589.
5 In Foro it., 1988, I, 1774. Cfr. PESSI, R., «Promozione» delle confederazioni maggiormente rappresentative e «coerenza» al disegno costituzionale, in Mass. giur. lav., 1988, 191.
6 In Foro it., 1992, I, 30.
7 In Foro it., 1996, I, 5.
8 In Foro it., 1996, I, 2968 In dottrina v.Maresca, A,-Santoro Passarelli, G.,-Zoppoli, L., a cura di, Rappresentanze e contributi sindacali dopo i referendum, in Quaderni Argomenti dir. lav., 1996, 1.
9 In precedenza cfr.Treu,T.,L’accordo interconfederale del 28 giugno 2011, in Il libro dell’anno del diritto 2012,Roma, 2012, 490.