Il «diritto» di accesso
Dall’analisi delle più recenti posizioni giurisprudenziali e dottrinali emerge l’insoddisfazione per la parzialità dei risultati conseguiti dal tradizionale dibattito sulla natura giuridica del diritto di accesso quale espressione di diritto soggettivo o di interesse legittimo. Attraverso la valorizzazione del profilo dell’autonomia dell’istituto si è, tra l’altro, tentato un nuovo inquadramento dello stesso nella categoria del munus, ma i risultati non appaiono del tutto condivisibili. Quella in questione pare piuttosto una nuova situazione legittimante ex lege a natura ibrida, della quale non è ancora possibile definire un’adeguata collocazione sistematica nell’ambito delle tradizionali categorie.
Una recente sentenza del TAR Sardegna1 sembra offrire una nuova prospettiva in base alla quale indagare il rapporto tra il diritto di accesso e la posizione giuridica posta alla base dell’istanza, con conseguenze di non poco rilievo – come si cercherà di dimostrare – anche in ordine alla questione circa la natura giuridica da riconoscere a tale istituto. La fattispecie concerneva, in particolare, una domanda di accesso – presentata al dirigente di un istituto scolastico da parte del regista di un cortometraggio girato presso l’istituto – volta a ottenere il rilascio delle liberatorie degli alunni e degli insegnanti che avevano preso parte al film. Per quanto maggiormente rileva in questa sede, l’amministrazione poneva a fondamento del proprio diniego, tra l’altro, la considerazione secondo la quale la richiesta di accesso si sarebbe rivelata ex se infondata in quanto priva della necessaria specifica indicazione della posizione giuridica facente capo all’istante, da tutelare attraverso la conoscenza dei dati per cui si chiedeva l’accesso. In altri termini, a parere dell’amministrazione, il regista non aveva indicato quale fosse il bene della vita alla cui protezione era finalizzata la richiesta di accedere agli atti in possesso dell’istituto e, di conseguenza, risultava privo della legittimazione all’esercizio del diritto. Come noto, l’art. 22, co. 1, lett. b), l. 7.8.1990, n. 241, come modificata e integrata dalla l. n. 15/2005 e succesive modifiche, stabilisce che il diritto di accesso può essere esercitato unicamente da coloro che dimostrano di essere titolari di un interesse diretto, concreto e attuale, corrispondente ad una situazione giuridicamente tutelata e collegata al documento al quale è chiesto l’accesso. La norma pertanto richiede, quale condizione legittimante l’accesso, una posizione sottostante meritevole di tutela, in qualche maniera connessa ai documenti oggetto di domanda: la ratio della disposizione è evidentemente quella di chiarire come l’istituto in esame non sia finalizzato alla tutela di un interesse generico e diffuso alla conoscenza degli atti amministrativi, bensì alla salvaguardia di singole posizioni differenziate, correlate a specifiche situazioni rilevanti per legge, che, secondo giurisprudenza costante, vanno di volta in volta dimostrate dal richiedente2. La puntuale indicazione del legame esistente tra l’atto richiesto e la posizione giuridica che si intende tutelare è, pertanto, preordinata a escludere l’instaurarsi di un modello di accesso strumentale ad un controllo generalizzato da parte di chiunque sull’attività dell’Amministrazione, a scongiurare, in altri termini, il configurarsi di una sorta di azione popolare. Negli anni, tuttavia, la giurisprudenza sul punto ha chiarito che può trattarsi anche di situazioni giuridiche diverse da un interesse legittimo o un diritto soggettivo: in tal senso, l’ accesso si rivela strumentale alla tutela di qualsiasi interesse che l’ordinamento reputi rilevante, affinché l’interessato possa disporre di tutte le informazioni e le difese più opportune per evitare ogni pregiudizio alla propria sfera giuridica3. E’ stata, ad esempio, ritenuta sufficiente la sussistenza di una posizione consistente in un interesse collettivo o diffuso4, in un’aspettativa di diritto e, in alcune ipotesi, finanche in un interesse semplice o di mero fatto5. L’esigenza di dimostrare la connessione tra il documento cui si intende accedere e un interesse (diverso) meritevole di tutela, sembrerebbe configurare il diritto di accesso come un istituto che, più che fornire utilità finali, offra al titolare poteri di natura procedimentale, volti in senso strumentale alla tutela di interessi (sostanziali) ultronei6. Al riguardo, invero, la giurisprudenza ormai dominante sostiene che non debba sussistere necessariamente un legame diretto tra posizione giuridica sottostante e interesse all’impugnativa di un provvedimento amministrativo: la posizione che legittima l’esercizio del diritto di accesso, pertanto, non deve possedere tutti i requisiti che legittimerebbero al ricorso avverso l’atto lesivo della posizione soggettiva vantata, essendo sufficiente che l’istante sia titolare di una posizione giuridicamente rilevante e che il suo interesse si fondi su tale posizione7. Da qui il rigetto della configurazione dell’accesso come istituto avente carattere meramente strumentale rispetto alla difesa in giudizio della situazione sottostante, nella misura in cui, al contrario, esso assume una valenza autonoma non dipendente dalla sorte del processo principale e dalla stessa possibilità di instaurazione del medesimo8. In tal senso è stato in più occasioni affermato il divieto della p.a. destinataria dell’istanza di accesso di procedere alla verifica in ordine non solo alla fondatezza della pretesa sostanziale9, ma anche alla eventuale inammissibilità del ricorso che si intenda proporre una volta conosciuto il contenuto dei documenti10: entrambe le valutazioni, infatti, spetterebbero unicamente al potere giurisdizionale. Quello che, tuttavia, la giurisprudenza ha sempre richiesto è che una posizione giuridica incisa (anche solo indirettamente) dagli atti in ordine ai quali si richiede l’accesso ci sia11, e che il richiedente debba, in sede di presentazione dell’istanza, dimostrarne la sussistenza; si richiede, in altri termini, che la conoscenza del documento sia funzionale alla tutela (anche solo potenziale) di un interesse giuridico protetto dall’ordinamento, e dunque, differenziato rispetto all’interesse generico di ogni cittadino a conoscere dell’attività dei pubblici poteri12. È proprio in ordine a tale passaggio che è possibile registrare l’elemento di novità della pronuncia del TAR Sardegna di cui sopra: i giudici – nel sancire l’illegittimità del diniego manifestato dall’istituto scolastico – dopo aver riproposto le tradizionali considerazioni in base alle quali «l’accoglimento delle domande di accesso non può essere condizionato da valutazioni circa l’esistenza di una posizione di interesse legittimo tutelabile in sede giurisdizionale e tantomeno da valutazioni sulla fondatezza della pretesa alla cui tutela l’acquisizione della documentazione è strumentale» proseguono affermando che – posta l’autonomia del diritto di accesso rispetto alla posizione giuridica posta a base della relativa istanza – il suo esercizio prescinderebbe «da ogni accertamento sull’esistenza di un interesse legittimo da tutelare e da ogni valutazione circa la fondatezza della pretesa sostanziale, eventualmente, sottesa»13. A ben vedere, nel momento in cui si giunge a ritenere meramente eventuale la sussistenza di un interesse sottostante da tutelare (e non più solo la sua fondatezza), si finisce inevitabilmente per rendere del tutto «sfumato» anche il presupposto della concretezza dell’interesse. Laddove dovesse prendere piede tale tendenza non solo ci si allontanerebbe definitivamente da una visione del diritto di accesso quale posizione giuridica strumentale, ma si segnerebbe un decisivo punto a favore della concezione della natura del diritto di accesso quale diritto soggettivo. Ma vi è di più: laddove si ammetta la possibilità che il cittadino sia titolare del diritto di accedere agli atti della p.a. (nei confronti dei quali dimostra di avere un qualche legame) anche a prescindere dalla verifica circa la sussistenza di una posizione giuridica sottostante da tutelare, allora non potrebbe che concludersi per una ricostruzione del diritto di accesso quale istituto finalizzato non solo a difendere gli interessi del cittadino, bensì anche a legittimare quest’ultimo a contribuire al buon andamento dell’azione della pubblica amministrazione14. A tali soluzioni sembra giungere un recente studio15 con cui si è inteso rivisitare la tematica in questione, ponendo tra l’altro in evidenza come «nell’attuale clima di analisi e di ripensamento della legge n. 241/1990 e del codice di procedura amministrativa … sia necessario dare una particolare attenzione al diritto di accesso ai documenti amministrativi ed al suo rito: perché entrambi sono tra gli istituti più anomali del nostro pur variegato ordinamento, con conseguenti non trascurabili potenzialità eversive del tradizionale sistema sia sostanziale che processuale». Le parole testuali appena riportate potrebbero sembrare semplicemente provocatorie o comunque eccessive per la portata che l’ordinamento assegna ad un istituto come il diritto di accesso al quale, come si è osservato, si tende largamente ancora a riconoscere un valore – se non meramente strumentale – comunque funzionale rispetto alla tutela di altri interessi, quelli sì direttamente connessi ad un bene della vita. Eppure l’acutezza di talune riflessioni contenute nel lavoro richiamato – sebbene non del tutto condivisibili – inducono ad un complessivo riesame dell’istituto. Lo studio in questione si fonda su un’attenta considerazione dell’accostamento, operato dal legislatore, dell’accesso agli atti a finalità di pubblico interesse. L’assonanza deriva innanzitutto dal disposto di cui al co. 2 dell’art. 22 della l. n. 241/1990, laddove si dispone appunto che «l’accesso ai documenti amministrativi, attese le sue rilevanti finalità di pubblico interesse, costituisce principio generale dell’attività amministrativa al fine di favorire la partecipazione e di assicurarne l’imparzialità e la trasparenza ». Inoltre, come si è fatto cenno, l’art. 29, co. 2 bis, della stessa legge fa rientrare nei «livelli essenziali delle prestazioni di cui all’art. 117, co. 2, lett. m), della Costituzione le disposizioni della presente legge … concernente gli obblighi per la pubblica amministrazione di assicurare l’accesso alla documentazione amministrativa». La prospettiva che emerge chiaramente dai richiamati disposti legislativi in effetti colloca il diritto di accesso in una condizione profondamente diversa da quella tradizionale: non più una posizione soggettiva a carattere meramente strumentale, atta a soddisfare interessi di natura personale ulteriori rispetto all’atto richiesto, bensì forma di manifestazione del ben più ampio diritto di partecipazione all’esercizio dell’attività amministrativa, con conseguente rilevanza del carattere strumentale limitato alle ipotesi di contrapposizione del diritto di accesso ad esigenze (meritevoli di tutela) di riservatezza16. L’Autore trae dall’esame del testo delle disposizioni dell’art. 22 e 29 cit. il convincimento che il legislatore abbia inteso attribuire all’accesso «un fine obiettivo di giustizia e democrazia amministrativa e quindi specifiche finalità di pubblico interesse, facendone una sorta di super diritto con una forte connotazione pubblicistica che dà l’impressione di voler elevare l’accedente al rango (sia pure inconsapevole) di collaboratore di giustizia amministrativa o … di partecipante esterno al buon andamento della pubblica amministrazione». Ne deriverebbe che un potere finalizzato a perseguire il pubblico interesse, che è necessariamente ultraindividuale, non è né un diritto soggettivo, né un interesse legittimo, bensì una potestà, un munus17, il cui esercizio è doveroso e non disponibile. Nel rinviare ai successivi paragrafi una più attenta disamina di tale innovativa teoria, appare opportuno sottolineare come l’esame sia della citata sentenza del TAR Sardegna sia delle più recenti posizioni dottrinali indichi l’evidente disagio provato dagli operatori del diritto nell’affrontare secondo l’impostazione tradizionale argomenti quali i limiti, i presupposti, le modalità di esercizio e la tutela del diritto di accesso; sembra, in tal senso, emergere con sempre maggiore urgenza l’esigenza di ritornare ad occuparsi «con occhi nuovi» della tradizionale endiadi diritto soggettivo/interesse legittimo in riferimento al diritto di accesso.
L’accesso agli atti costituisce tuttora, nonostante l’ormai non più recente data della sua introduzione nell’ordinamento, un istituto dall’incerta natura dogmatica e collocazione sistematica, oscillante tra differenti qualificazioni ontologiche e munito di una disciplina processuale che con le sue (apparenti) certezze e le sue (evidenti) contraddizioni di certo non agevola il giurista18. Piuttosto, così come invero talvolta accaduto in ordine ad altri istituti del diritto amministrativo, il prevalente approccio ermeneutico, fondato su elaborazioni giurisprudenziali, ha finito con l’offuscare la considerazione della più ampia portata dell’istituto, sino a negargli una funzione propria, per riconoscerne una valenza necessariamente strumentale rispetto ad ulteriori esigenze, per lo più di carattere processuale; esigenze che peraltro, come si è già avuto modo di sottolineare, in talune condizioni possono anche non sussistere affatto. Di questa situazione si comincia ormai ad avere sentore: da qui l’insoddisfazione per i risultati sin qui conseguiti e la ricerca di nuovi percorsi sistematici. Pur senza voler ripercorrere l’ampio dibattito svoltosi in ordine alla controversa natura giuridica sostanziale dell’istituto dell’accesso agli atti, come noto da taluni inquadrato quale diritto soggettivo, da altri quale interesse legittimo, non possono tuttavia sottacersi almeno i principali orientamenti emersi e le relative argomentazioni addotte a sostegno che hanno rinvenuto efficace sintesi o almeno richiamo nella giurisprudenza dell’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato. I primi esiti di quel vivace confronto avevano invero già posto le basi della sentenza n. 16/1999 del supremo consesso giudiziario amministrativo19 che aveva ritenuto a tutti gli effetti equiparabile il «diritto di accesso» ad un interesse legittimo. La conclusione poggiava sulla considerazione che il legislatore «in un’ottica di controllo democratico dell’attività della pubblica amministrazione e dei concessionari dei servizi pubblici ha (avesse) enfaticamente rimarcato il fondamento costituzionale e la notevole dignità sostanziale della posizione di chi formula l’istanza di accesso, il più delle volte riferibile a una posizione direttamente tutelabile ai sensi dell’art. 24 della Costituzione, oppure riconducibile all’esigenza di essere informati sul contenuto dei documenti e sugli aspetti attinenti alla legalità, alla trasparenza ed all’imparzialità dell’azione amministrativa, in attuazione dei valori espressi dagli articoli 21 e 97 della Costituzione». La tutela del diritto di accesso veniva comunque rapportata dalla l. n. 241/1990, nel suo testo originario, all’esercizio di un’attività autoritativa dell’amministrazione, da esercitarsi mediante provvedimento motivato, mentre l’utilizzo della terminologia «diritto di accesso», da parte del legislatore, così come per altri ambiti del diritto amministrativo, andava inteso in senso meramente generico e atecnico. Insomma la circostanza che il provvedimento di diniego di accesso fosse impugnabile necessariamente entro un termine perentorio di decadenza induceva a ravvisare nell’accesso una posizione di interesse legittimo ex art. 103 della Costituzione. Né, d’altronde, l’Adunanza plenaria ravvisava nella sussistenza di «diritti soggettivi contrapposti» all’accesso, quali il diritto alla riservatezza del contraddittore necessario, i presupposti per la qualificazione dello stesso in termini appunto di diritto. La legge 11.2. 2005, n. 15, introduceva profonde modifiche all’art. 22 della l. n. 241/1990, innanzitutto esplicitando espressamente l’accezione stessa di «diritto di accesso ai documenti amministrativi », quale «diritto degli interessati di prendere visione e di estrarre copia di documenti amministrativi». Delimitata l’estensione del concetto di «soggetto interessato» a tutti i soggetti privati, compresi i portatori di interessi pubblici o diffusi, aventi un interesse diretto, concreto e attuale (coincidente con una situazione giuridicamente tutelata e collegata al documento al quale è chiesto l’accesso) e definita la nozione di controinteressato, corrispondente a tutti i soggetti di diritto pubblico o privato, individuati o facilmente individuabili in base alla natura del documento richiesto e che dall’esercizio dell’accesso vedrebbero compromesso il loro diritto alla riservatezza, l’art. 15 della l. n. 15/2005 inseriva la disposizione maggiormente rilevante e innovativa al secondo comma della norma modificata. Ivi si sanciva che «l’accesso ai documenti amministrativi, attese le sue rilevanti finalità di pubblico interesse, costituisce principio generale dell’attività amministrativa al fine di favorire la partecipazione e di assicurarne l’imparzialità e la trasparenza, ed attiene ai livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale ai sensi dell’articolo 117, co. 2, lettera m), della Costituzione. Resta ferma la potestà delle regioni e degli enti locali, nell’ambito delle rispettive competenze, di garantire livelli ulteriori di tutela». Gli interventi legislativi appena richiamati imponevano ben presto un nuovo intervento dell’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato a fronte della riapertura di un ampio dibattito dottrinale e di profondi contrasti giurisprudenziali emersi anche tra le stesse sezioni del Consiglio di Stato in ordine, ancora una volta, alla natura giuridica dell’istituto in questione; contrasti peraltro ulteriormente corroborati dalla entrata in vigore della l. 14.5.2005, n. 80 (di conversione del d.l. 14.3.2005, n. 35, recante disposizioni urgenti nell’ambito del Piano di azione per lo sviluppo economico, sociale e territoriale) che all’art. 3, co. 6 decies, aveva disposto la devoluzione delle controversie in materia di accesso agli atti e documenti alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo (così almeno apparentemente rafforzando l’orientamento ermeneutico alquanto condiviso in dottrina e fortemente sostenuto dalla sesta sezione del Consiglio di Stato20 in base al quale l’istituto dell’accesso costituiva un vero e proprio diritto). Si perveniva così alle note sentenze Adunanza plenaria 18.4.2006, n. 6 e 20.4. 2006, n. 7. Entrambe le decisioni, di contenuto pressoché identico, prendevano atto che la riforma introdotta dalla l. n. 15/2005 e dalla l. n. 80/2005 aveva invero introdotto fattori di motivazione alla qualificazione del diritto di accesso nel novero dei diritti soggettivi sia per l’operata inclusione di esso nell’ambito dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e politici ai sensi dell’art. 117 Cost., sia per la riconduzione delle relative controversie alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, sia, infine, per il nuovo inquadramento proposto dal co. 2 dell’art. 22 della novellata l. n. 241/1990, che aveva ricondotto l’accesso agli atti e ai documenti, al «diritto di informazione» dei cittadini in rapporto all’organizzazione e all’attività della pubblica amministrazione. A queste osservazioni andava poi aggiunta la considerazione del carattere pressoché vincolato proprio dell’operato dell’amministrazione a seguito della presentazione di un’istanza di accesso, il cui agire era sostanzialmente limitato alla verifica della sussistenza dei presupposti di legge e all’assenza di elementi ostativi. Ma gli argomenti a favore del sostegno della qualificazione dell’accesso quale diritto soggettivo non finivano qui: come diffusamente rilevato, i poteri istruttori riconosciuti in materia in capo al giudice risultavano particolarmente ampi, consentendogli la valutazione della sussistenza dei requisiti sostanziali legittimanti l’accesso al di là delle ragioni addotte dall’amministrazione nel proprio diniego21; infine andava considerato, non ultimo, il potere decisorio giudiziario di imporre all’amministrazione l’adempimento all’ordine di esibizione dei documenti ex art. 25, co. 6, della l. n. 241/1990. Tutti fattori, insomma, oggettivamente non propri di un’azione di legittimità. Eppure, nonostante i consistenti argomenti addotti dai fautori dell’inquadramento del diritto di accesso tra i diritti soggettivi, l’istituto continuava ad essere collocato, dall’Adunanza plenaria, tra le situazioni soggettive di natura strumentale che più che fornire utilità finali in sé, risultavano caratterizzate dal fatto di offrire al soggetto che ne risultasse portatore, poteri di natura procedimentale, volti alla tutela di un altro interesse finale giuridicamente rilevante, vale a dire un diritto soggettivo o un interesse legittimo, collegato ad un bene della vita. Insomma, il (presunto) carattere squisitamente strumentale dell’accesso, secondo il supremo giudice amministrativo, finiva col riflettersi fortemente sulla relativa azione posta a tutela della posizione soggettiva, impegnando il legislatore e quindi l’interprete maggiormente sul regime giuridico dell’azione atta ad assicurare tutela dell’interesse e certezza dei rapporti con i controinteressati. Inoltre, sotto un profilo solo apparentemente diverso, si riteneva che il perdurante sistema processuale impugnatorio riservato all’accesso fosse in grado di garantire un migliore equilibrio delle differenti posizioni giuridiche soggettive coinvolte: da qui, il perdurare del carattere decadenziale del termine di impugnazione, la non reiterabilità dell’istanza di accesso in mancanza di fatti nuovi e conseguentemente la inconfigurabilità di un dovere, in capo all’amministrazione, di presa in con siderazione di domande che, rispetto a precedenti aventi il medesimo oggetto, non risultassero supportate da elementi di novità. La soluzione prospettata dall’Adunanza plenaria, sebbene mossa da comprensibili esigenze di ordine pragmatico e di ordine processuale, peraltro in larga parte già direttamente soddisfatte dal legislatore, glissava sugli aspetti sostanziali propri dell’istituto, non contribuendo di certo ad un suo inquadramento sistematico. In fondo l’assetto normativamente predeterminato soddisfaceva le esigenze del giudizio e anche di certezza dei rapporti tra le parti interessate: il mettere in discussione la natura giuridica dell’istituto, optando per la tesi del diritto soggettivo, avrebbe comportato conseguenze forse troppo complesse con inevitabile necessità di un ulteriore intervento legislativo del quale (forse) neanche ci si poteva fidare troppo considerato il precedente. Tuttavia, la diffusa insoddisfazione per l’approdo ermeneutico di cui si era fatta espressione l’Adunanza plenaria non poteva sopire a lungo generando la prospettazione di (nuove) ipotesi ricostruttive più attente al dato sostanziale e normativo, sebbene decisamente «meno comode» sotto il profilo processuale soprattutto in considerazione di talune inevitabili pur ipotizzate conseguenze. Al riguardo appare opportuno prendere spunto proprio dal citato recente studio sul tema, all’interno del quale si partiva dallo stretto legame che l’ordinamento riconosce tra accesso e finalità di interesse pubblico, per poi cercare di inquadrare la natura giuridica dell’accesso in termini di munus. In merito, viene innanzitutto da chiedersi perché mai il diritto di accesso, manifestazione del principio di partecipazione, possa rivestire valenza di interesse pubblico. La risposta all’impegnativo quesito, ad avviso di chi scrive, può essere duplice: da un lato, va considerato in misura più attenta di quanto solitamente accada che l’assunzione del criterio di trasparenza tra i canoni fondamentali dell’azione amministrativa, avvenuta a seguito della modifica dell’art. 1 della l. n. 241/1990 operata dalla l. n. 15/2005, colloca definitivamente l’attività pubblica in una dimensione di necessaria e preventiva «conoscibilità e comprensibilità»22 da parte di qualsiasi soggetto operi nell’ordinamento (neanche più solo il cittadino). Inoltre, e soprattutto, l’acquisita consapevolezza della incapacità della norma giuridica di inglobare e definire da sola gli interessi pubblici concreti da perseguire di volta in volta mediante l’esercizio di poteri pubblici fa sì che la loro concreta conformazione costituisca ormai necessaria prerogativa (riserva) dell’amministrazione pubblica mediante un processo di presa in considerazione e ponderazione di tutti gli interessi (pubblici e privati) coinvolti: è tale indefettibile operazione che finisce col far assurgere l’istituto del diritto di accesso agli atti in una prospettiva a connotazione e valenza anche pubblicistica; tanto più, poi, in considerazione dell’importante ruolo ormai riconosciuto dall’ordinamento agli organismi di rappresentanza di interessi diffusi o collettivi, anche a seguito della costituzionalizzazione del principio di sussidiarietà. La partecipazione al procedimento diviene così fonte di legittimazione dell’esercizio (legittimo) del potere ed è dunque, di per sé, questione rispondente al pubblico interesse in quanto quest’ultimo solo attraverso di essa è in grado di potersi ontologicamente legittimare, persino qualificare tale, in considerazione della circostanza che in una società complessa quale quella contemporanea, nella quale coesistono numerosissimi interessi pubblici e privati, peraltro sovente in contrasto tra loro, il legislatore (così come l’amministrazione in sede di programmazione) non è in grado di definire l’interesse pubblico specifico da perseguire, dovendosi piuttosto ragionevolmente limitare alla indicazione di interessi pubblici generali, la cui consistenza e conformazione concreta passa attraverso quel necessario processo amministrativo di concretizzazione che impone la presa in considerazione e la ponderazione di quanti più interessi possibili fra quelli coinvolti, con la conseguente loro massima soddisfazione o il minimo sacrificio possibili. Nella nostra generica quanto ambigua nozione di interesse pubblico, questo non può ritenersi coincidere solo con quello «di parte», ossia facente capo ad un’amministrazione; per divenire «concreto» deve ricomprendere molto di più23: deve in ogni caso prendere in considerazione e coniugare tutti gli interessi pubblici e privati, di certo non pretendendosi di poter dare a ciascuno di essi la piena soddisfazione, ma nella consapevolezza (in primis sul piano culturale e concettuale) che talora la soddisfazione di un interesse privato coincide con quella di un interesse generale (non valendo più solo l’affermazione contraria). Nel tornare allo studio surrichiamato, se possono condividersi le considerazioni secondo le quali il legislatore abbia inteso attribuire all’accesso «un fine obiettivo di giustizia e democrazia amministrativa e quindi specifiche finalità di pubblico interesse», non appaiono egualmente condivisibili le conclusioni a cui giunge l’autore nel qualificare la posizione giuridica del titolare del diritto di accesso come munus. Deve osservarsi, infatti, che se il munus si connota per i caratteri della doverosità e della indisponibilità del suo esercizio, il richiamo non appare del tutto convincente, non potendosi prospettare oneri (obblighi) di accesso agli atti, ricadenti in capo a soggetti privati anche in assenza di interessi diretti al riguardo. Il munus, insomma, è sì attività compartecipe dell’esercizio di una funzione pubblica, pur tuttavia non pretende la sussistenza, nell’attore, di un interesse diretto e specifico all’espletamento dello stesso: condizione questa persistente nell’ordito normativo vigente concernente l’accesso, ancorché – come è emerso dalla ricognizione giurisprudenziale circa i caratteri della posizione legittimante l’accesso – disancorata da specifici accertamenti amministrativi, tanto più laddove non correlata a interessi contrapposti. Sotto diverso profilo, va rilevato che il giudizio in tema di accesso agli atti presenta un’evidente anomalia: esso infatti pur fondandosi sul rito impugnatorio, «è comunque strutturato come un giudizio di accertamento nel quale il giudice è chiamato in via diretta ad accertare la fondatezza della pretesa, a prescindere dal contenuto del provvedimento di diniego. Pertanto, l’eventuale difetto di motivazione del provvedimento impugnato non può comportare l’annullamento dell’atto per difetto di motivazione, ma impone al giudicante di verificare direttamente se sussistono i presupposti di legge per ordinare l’esibizione di tutti gli atti richiesti»24. Ne deriva che sebbene il giudizio in questione possa trarre origine solo dall’impugnazione di un provvedimento di diniego, in realtà l’oggetto del processo è costituito dall’accertamento del diritto di accesso agli atti, dunque dalla verifica della sussistenza dei presupposti necessari al rilascio. In questa prospettiva, come osservato opportunamente, «l’impugnazione dell’atto degrada a semplice presupposto … per attivare il giudizio amministrativo »25. Ciò che comunque rileva ai fini che interessano in questa sede è che – come emerge anche dal tenore della più recente tendenza giurisprudenziale – il bene della vita al quale aspira l’accedente può (talvolta) essere proprio (ed esclusivamente) il documento o l’atto, che non è detto sia strumentale alla tutela di un’ulteriore posizione giuridica soggettiva (magari da azionare in sede processuale). Ad ogni buon conto, l’azione giudiziaria per l’accesso agli atti nasce a carattere impugnatorio, si sviluppa quale azione di accertamento e finisce col divenire azione di condanna, potendo il giudice ordinare l’esibizione di tutti gli atti richiesti: egli infatti è chiamato in via diretta a verificare la fondatezza della pretesa, indipendentemente dal contenuto del diniego, potendo anche stabilire se sussistano i presupposti di legge per ordinare l’esibizione degli atti richiesti, a prescindere dalla prospettazione delle parti, dunque d’ufficio. Sulla base di queste osservazioni, il lavoro di Giacchetti (in estrema sintesi) si chiede26: a) se venga a mancare l’esigenza del presupposto dell’esistenza di un interesse diretto, concreto e attuale corrispondente ad una situazione giuridicamente tutelata e collegata al documento al quale è chiesto l’accesso, considerato che la finalità di pubblico interesse non è disponibile ed è in re ipsa; b) se, poiché l’interesse pubblico è in re ipsa, l’azione di accesso non vada qualificata come azione popolare; c) se il giudizio in materia di accesso, assumendo natura inquisitiva, non rischi di incidere sul carattere tradizionalmente dispositivo del processo amministrativo; d) se il passaggio ad un processo di tipo inquisitivo, che prescinde dalla legittimità o meno dell’atto impugnato, ridotto a presupposto per l’attivazione del processo, non comporti l’opportunità della previsione di una sorta di volontaria giurisdizione, fondata sull’intesa tra le parti nei casi di comune interesse delle stesse ad un incontestabile accertamento preventivo in ordine al rilascio di determinati atti; e) se la mancanza di sostanziale valenza processuale dell’atto impugnato non debba indurre ad escludere qualsiasi preclusione; f) se la mancanza di necessità di impugnazione dell’atto di diniego e la rispondenza del diritto di accesso a finalità di pubblico interesse, non inducano a doverlo qualificare imprescrittibile27 e comunque il suo esercizio sempre reiterabile.
Orbene, non vi è dubbio che nei quesiti posti si possa scorgere talora una certa dose di provocazione, ma un’analisi non pregiudiziale delle questioni poste almeno consente di introdursi in scenari nuovi, nel tentativo di rinvenire soluzioni adeguate a situazioni che oggettivamente non paiono più inquadrabili nei tradizionali schemi ordinamentali e processuali propri del diritto amministrativo; in ciò tanto più confortati da talune recenti acquisizioni del codice del processo amministrativo che, sebbene non innovative, hanno quantomeno il merito di aver posto un punto fermo al riguardo: ci si riferisce in modo particolare ai principi generali di effettività e di concentrazione del processo, di cui agli artt. 1 e 7, co. 7, ed a quello di giurisdizione sull’esercizio del potere, di cui all’art. 7, co. 1. Invero, è noto che sono molteplici le «spinte» in senso inquisitivo e oggettivo alle quali è sottoposto il processo amministrativo anche in ambiti diversi dal diritto di accesso, anzi gli stessi cardini dell’interesse a ricorrere e della legittimazione ad agire appaiono sottoposti a forti sollecitazioni che cominciano ad incrinare persino in giurisprudenza certezze plurisecolari: si pensi al fenomeno espansivo del concetto di vicinitas o all’introduzione della cd. azione di classe o ancora alle conseguenze dell’applicazione processuale del principio comunitario di precauzione, specie nei settori sensibili, o infine al recente riconoscimento di un principio di generale (quanto discutibile) legittimazione degli enti locali minori ad impugnare atti ritenuti lesivi di interessi della propria comunità28. La previsione di forme di volontaria giurisdizione in tema di accesso agli atti, prospettata in uno dei quesiti, appare fortemente auspicabile in quanto l’incertezza e la complessità del quadro ordinamentale amministrativo vigente inducono – come noto – molte volte l’amministrazione ad assumere comportamenti di tipo oppositivo od omissivo più per il timore di commettere errori, a loro volta fonte di responsabilità contabili e persino penali, che per reale convincimento. Corre l’obbligo, al riguardo, di auspicare un intervento legislativo, magari non limitato al diritto di accesso. L’escamotage legislativo dell’esercizio dell’azione processuale in tema di accesso solo a fronte di un diniego, prescindendosi poi dal contenuto della motivazione dell’atto e persino da qualsiasi sua considerazione appare – allo stato – una situazione assolutamente schizofrenica e non passibile di alcun tentativo di sistematizzazione: in effetti, se l’atto non ha altro valore che di mero presupposto di azione del processo per un giudizio di tipo inquisitorio, che senso ha pretenderne l’esistenza? Quanto poi alla prospettata correlazione del diritto di accesso all’interesse pubblico, se da un lato essa è innegabile, dall’altro non costituisce condizione sufficiente, specie alla luce dell’attuale disciplina che impone comunque la sussistenza di un interesse diretto, concreto e attuale che accompagni l’accesso; interesse che evidentemente non può consistere unicamente nella ricerca di un’astratta, presunta legalità violata, non ravvisandosi in alcun soggetto dell’ordinamento una facoltà di controllo generalizzato sull’operato della pubblica amministrazione29. Il diritto di accesso, che, a questo punto, non è diritto, perché (tra l’altro) si correla anche all’interesse pubblico, e non è interesse legittimo, poiché (tra l’altro) i suoi strumenti attuativi sono diversi da quelli propri dell’azione di legittimità, non rappresenta tuttavia un’ipotesi di azione popolare, almeno nel senso che chiunque, a prescindere da qualsiasi forma di accertamento, sia legittimato ad agire. Non resta allora che constatare l’esistenza, nell’ordinamento, di nuove posizioni giuridiche soggettive o più probabilmente nuove forme di legittimazione procedimentale e processuale, normativamente definite, che utilizzano, fra l’altro, i caratteri propri di più antiche e consolidate categorie, pur non potendo trovare collocazione sistematica in alcuna fra esse se non con forzature tali da mettere a repentaglio quelle certezze proprie dei più antichi istituti che pure necessitano al cittadino, al sistema, in generale, e al mercato in modo particolare. Tutto ciò non deve meravigliare considerata la rapida e persino incoerente evoluzione dell’ordinamento che – occorre considerare – ha subito negli ultimi anni radicali mutamenti. In fondo, a titolo meramente semplificativo, il superamento della classica contrapposizione interesse pubblico-interesse privato, il declino della necessaria omogeneità tra natura giuridica del soggetto e natura giuridica dell’attività (meglio, funzione) esercitata, il venir meno della centralità e della soggettività pubblica, la centralità assunta dal procedimento amministrativo e dagli istituti di partecipazione, l’abbandono di modalità di esercizio dell’azione necessariamente autoritative non possono (e non potranno) non incidere anche in termini di emersione di nuove posizioni giuridiche aventi connotazioni originali, caratteri ibridi propri di categorie differenti: di tanto occorre – per il momento – umilmente limitarsi a prendere atto, almeno finché il loro numero e la loro portata non consentano di pervenire a nuove definizioni di ordine sistematico, magari proprio a partire dal nuovo rapporto cittadino-amministrazione che rinviene nel procedimento la sede privilegiata di manifestazione. Un atteggiamento prudente appare l’ineluttabile destino dei sistemi legislativi fondati sul principio di legalità, oggettivamente impossibilitati (per ragioni che non sta qui trattare) ad essere al passo con i profondi, costanti e repentini mutamenti sociali ed economici che danno luogo a situazioni rilevanti che pure pretendono tutela. D’altronde se è vero – come ricorda lo stimolante lavoro di Giacchetti – che il Vangelo ricorda che non può stare il vino nuovo in otri vecchie, c’è da ritenere che allo stato manchino ancora le otri nuove e tali non possono considerarsi le forzature estreme di antiche categorie che ancora offrono una qualche certezza che sarebbe bene, in un periodo di diffuso relativismo o persino «nichilismo giuridico»30, non porre in discussione, ancorché alla luce di significative eccezioni, se non avendo prima elaborato adeguate e soddisfacenti soluzioni sistematiche che tengano in debito conto anche aspetti di ordine pragmatico, non irrilevanti: pena, la infinita manipolabilità del linguaggio normativo, la crescita a dismisura dell’incertezza giuridica.
1 TAR Sardegna, sez. II, 7.6.2011, n. 534, in www.giustamm.it.
2 Ex multis, cfr. Cons. St., sez. VI, 15.6.2011, n. 3650, in www.giustizia-amministrativa.it; TAR Calabria, sez. I, 15.11.2010, n. 2686, in Foro amm. - TAR, 2010, 11, 3691 ss.; TAR Lazio, Roma, sez. I, 5.8.2010, n. 30112, in Foro amm. - TAR, 2010, 7-8, 2430 ss.; Cons. St., sez. V, 4.8.2010, n. 5226, in Foro amm. – Cons. St., 2010, 7- 8, 1502 ss.
3 Cfr. TAR Puglia, Lecce, sez. II, 3.5.2010, n. 1068, in Foro amm. - TAR, 2010, 5, 1826.
4 Cfr. TAR Lazio, Roma, sez. III, 23.2.2007, n. 1629, in Foro amm. - TAR, 2007, 2, 562 ss.; Cons. St., sez. IV, 13.4.2005, n. 1745, in Foro amm.-Cons. St., 2005, 4, 1091 ss.
5 Cfr. Cons. St., sez. VI, 9.2.2009, n. 737, in Foro amm.-Cons. St., 2009, 2, 507 ss.; Cons. St., sez. V, 10.8.2007, n. 4411, Foro amm.-Cons. St., 2007, 7-8, 2241 ss.
6 In termini cfr. C.g.a., sez. giurisd., 7.3.2011, n. 183, in Foro amm.-Cons. St., 2011, 3, 1026 ss.
7 TAR Campania, Napoli, sez. VI, 15.11.2010, n. 24420, in Foro amm. - TAR, 2010, 11, 3620 ss.
8 Cfr. TAR Puglia, Lecce, sez. II, 3.5.2010, n. 1068, cit., ove si afferma che la tutela cui è preordinato l’esercizio del diritto di accesso non necessariamente deve tradursi in un’azione giudiziaria.
9 In termini cfr. TAR Marche, sez. I, 10.6.2011, n. 462, in www.giustizia-amministrativa.it; Cons. St., sez. VI, 9.3.2011, n. 1492, in Foro amm.-Cons. St., 2011, 3, 953 ss.; C.g.a., sez. giurisd., 7.3.2011, n. 183, cit.
10 Cfr. TAR Calabria, Catanzaro, sez. II, 6.4.2011, n. 469, in Foro amm. - TAR, 2011, 4, 1392 ss.; Cons. St., sez. IV, 28.9.2010, n. 7183, in Foro amm.-Cons. St., 2010, 9, 1847 ss.
11 Nell’ambito della partecipazione a procedure ad evidenza pubblica, invero, alcune pronunce non richiedono che, ai fini dell’accesso ai documenti di gara, il concorrente dimostri la sussistenza di ragioni giuridiche sottese alla sua richiesta; ma ciò non perché l’esistenza di un interesse da difendere non sia necessaria, bensì solo in quanto tale interesse sarebbe ravvisabile in re ipsa nella stessa partecipazione alla procedura (in termini cfr. TAR Lazio, Roma, sez. III ter, 15.7.2011, n. 6385, in Riv. giustizia amministrativa, 2011; Cons. St., sez. V, 25.2.2009, n. 1115, in Riv. amm., 2009, I, 89 ss.).
12 TAR Lazio, Roma, sez. I, 3.6.2011, n. 5005, in www.giustizia-amministrativa.it; Cons. St., sez. IV, 12.4.2011, n. 2285, in Foro amm.-Cons. St., 2011, 4, 1178 ss.; TAR Piemonte, sez. I, 5.11.2010, n. 4088, in Foro amm. - TAR, 2010, 11, 3421 ss.; Cons. St., sez. VI, 6.7.2010, n. 4297, in Foro amm.-Cons. St., 2010, 7-8, 1581 ss.
13 Nella stessa direzione, anche se con meno «forza» sembra andare TAR Lombardia, Milano, sez. III, 3.3.2010, n. 530, in Foro amm. - TAR, 2010, 3, 764 ss., ove si afferma che «la legittimazione all’accesso va riconosciuta a chiunque possa dimostrare che gli atti procedimentali oggetto dell’accesso abbiano spiegato o siano idonei a spiegare effetti diretti o indiretti nei cui confronti, indipendentemente dalla lesione di una posizione giuridica, stante l’autonomia del diritto di accesso inteso come interesse ad un bene della vita distinto rispetto alla situazione legittimante l’impugnativa dell’atto». Cfr. anche TAR Piemonte, sez. II, 7.7.2010, n. 3019, in Foro amm.-Cons. St., 2010, 5, 1045 ss., ove è stata ritenuta ammissibile un’istanza di accesso non in considerazione delle specifiche ragioni addotte dall’interessato, ma per il semplice fatto di vertere in materia di tutela della salute.
14 In tale direzione sembra portare quella giurisprudenza, invero minoritaria, che tende a valorizzare i profili che configurerebbero l’accesso come «principio generale dell’attività amministrativa, introdotto al fine di favorire la partecipazione e di assicurarne l’imparzialità e la trasparenza » dell’azione pubblica. Cfr. Cons. St., sez. VI, 16.2.2010, n. 857, in Guida dir., 2011, 3, 118 ss.. Contra, da ultimo, Cons. St., sez. IV, 30.8.2011, n. 4883, in www.giustamm. it, ove si afferma che la posizione giuridica da tutelare mediante l’accesso agli atti non può identificarsi con «il generico e indistinto interesse di ogni cittadino al buon andamento dell’azione amministrativa».
15 Giacchetti, Diritto di accesso, processo amministrativo, effetto Fukushima, in www.giustiziaamministrativa. it.
16 È in questa prospettiva che si ritiene vada letta la sentenza del Cons. St., sez. V, 3.2.2011, n. 795, in Riv. giustizia amministrativa, 2011, 2 ss. Sul tema, cfr. anche l’ordinanza del Cons. St., sez. IV, 30.8.2011, n. 4883, cit., in tema di accesso ad informazioni ambientali.
17 Sul munus, Giannini, Diritto amministrativo, I, Milano 1970, 168 ss.
18 In tema di diritto di accesso i richiami bibliografici sono numerosissimi. Per semplificazione si rinvia al recente, interessante lavoro di Baccarini, Posizione giuridico-soggettiva dell’aspirante all’accesso amministrativo: natura giuridica e implicazioni applicative, in Sandulli (a cura di), Codice dell’azione amministrativa, Milano 2011, 1034 ss., contenente appunto un’ampia bibliografia sul tema. L’Autore propende per la tesi ricostruttiva in termini di diritto soggettivo. Di segno contrario, tra gli altri, Cacciavillani, Il diritto di accesso è un interesse legittimo, in Riv. dir. proc. amm., 2000, 148 ss. Si segnala inoltre per la interessante tesi a «geometria variabile » sostenuta al riguardo, Occhiena, Diritto di accesso, sua natura camaleontica e adunanza plenaria n. 6/06, in Foro it., 2006, III, 378 ss. In ogni caso, tra i sostenitori della posizione giuridica soggettiva dell’accedente quale interesse legittimo si segnalano, tra gli altri, Fracchia, Riti speciali a rilevanza endoprocedimentale, Torino, 2003; Morbidelli-Paleologo, La legge 1990 n. 241; procedimenti amministrativi ed accesso ai documenti dell’amministrazione, in Riv. dir. proc. amm., 1991, 8; Police, Riflessi processuali della disciplina generale dell’azione amministrativa, in La disciplina generale dell’azione amministrativa, a cura di Cerulli Irelli, Napoli, 2006, 461 ss.; Sandulli, Accesso alle notizie e ai documenti amministrativi, in Enc. dir., agg., IV, 2000. Per la tesi ricostruttiva in termini di diritto soggettivo, si rinvia a: Caringella-Garofoli-Sempreviva, L’accesso ai documenti amministrativi. Profili sostanziali e processuali, Milano, 2007; Clarich, Diritto d’accesso e tutela della riservatezza: regole sostanziali e tutela processuale, Riv. dir proc. amm., 1996, 430; Ferrara, Diritti soggettivi ad accertamento amministrativo, Padova, 1996; Figorilli, Alcune osservazioni sui profili sostanziali e processuali del diritto di accesso ai documenti amministrativi, in Riv. dir. proc. amm., 1994, 257 ss.
19 La sentenza richiamata è in www.giustizia-amministrativa.it; cfr. anche, nello stesso sito, Cons. St., A.P., 28.4.1999, n. 6; 22.4.1999, nn. 4 e 5; inoltre, 4.2.1997, n. 5.
20 Tra le altre si segnala Cons. St., sez. VI, 12.4.2005, n. 1679 e 27.5.2003, n. 2938, entrambe in www.giustizia-amministrativa.it. Contra, ancorché precedenti alla riforma della l. n. 241/90, operata nel 2005, ma interessanti per le argomentazioni contenute, Cons. St., sez. V, 7.4.2004, n. 1969, in www.giustizia-amministrativa.it e 8.9.2003, n. 5034.
21 Sul punto, cfr. Cons. St., sez. V, 11.5.2004, n. 2866, in www.giustizia-amministrativa.it.
22 Sul punto sia consentito rinviare a Spasiano, Trasparenza e qualità dell’azione amministrativa, in Riv. nuove autonomie, 2005, 945 ss., nonché Organizzazione pubblica e principio di legalità: la «regola del caso», in AA.VV., Studi maceratesi, 2000.
23 Sulla circostanza che l’interesse pubblico legislativamente definito coincida sovente con l’interesse di gruppi capaci di farsene portatori in sede parlamentare, Corso, in Perché la complicazione?, in Riv. nuove autonomie, 2008, 3-4, 328 ss.
24 Cons. St., sez. V, 14.9.2010, n. 6696, in Riv. giustizia amministrativa, 2010, n. 10.
25 Giacchetti, Diritto di accesso, cit.
26 Giacchetti, Diritto di accesso, cit.
27 A proposito di prescrittibilità, merita segnalazione la recente ordinanza del Cons. St., sez. IV, 5 4.2011, n. 1490 (in Riv. giustizia amministrativa, 2011, 4) che afferma che anche il decorso della prescrizione quinquennale per la tenuta degli atti non esonera l’amministrazione dal segnalare all’interessato dove eventualmente gli stessi possano essere reperiti, ossia presso l’Archivio generale dello Stato.
28 Sui temi indicati si rinvia a Lombardi, La tutela delle posizioni giuridiche meta-individuali nel processo amministrativo, Torino, 2008.
29 Sul punto, cfr. TAR Emilia Romagna, Bologna, Sez. I, 20.1.2011, n. 37, in Riv. giustizia amministrativa, 2011, n. 2.
30 Irti, Nichilismo giuridico, Roma- Bari, 2004; Zito, Globalizzazione e concorrenza tra ordinamenti giuridici: il problema del miglioramento della qualità della formazione, in Riv. nuove autonomie, 2008, 3-4, 348.