Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
Per diritto generalmente si intende il complesso di regole che, chiamate norme giuridiche e munite di sanzione, sono introdotte da chi ha il potere di farlo per disciplinare in via generale e astratta le relazioni tra i cittadini, tra i cittadini e le istituzioni, tra l’una e l’altra delle istituzioni stesse.
Il diritto incalzato dalla storia
Il diritto si distingue in settori diversi in base alla materia che ne è oggetto. Così esiste un diritto costituzionale (che riguarda le norme fondamentali dello Stato, e cioè la sua costituzione), amministrativo (a proposito delle regole che disciplinano i comportamenti della pubblica amministrazione e dei cittadini, quando vi entrino in rapporto), civile (relativo ai rapporti tra i privati), penale (il cui oggetto sono le violazioni più gravi alle regole dello stare insieme e le relative sanzioni), internazionale (che attiene ai rapporti che varcano i confini degli Stati) e così via. Si tratta di distinzioni non solo di carattere pratico, ma anche sistematico, perché ciascuna branca del diritto ha (o dovrebbe avere) alcuni principi di fondo, caratteristici del relativo settore, che dovrebbero renderlo omogeneo e contribuire all’esatta interpretazione delle singole norme che lo compongono. Alcune di queste suddivisioni risalgono alla notte dei tempi, altre sono più recenti, altre ancora sono di nuovissima formulazione, dipendendo dai progressi che l’umanità ha fatto soprattutto nel campo scientifico: era assolutamente impensabile, per esempio, che si parlasse di diritto dell’informatica anche soltanto una trentina di anni fa.
L’evoluzione del diritto segue per tanti versi l’evoluzione sociale, le scoperte scientifiche, le invenzioni e le loro applicazioni. Dipende anche dalle trasformazioni che incontrano le relazioni tra i popoli. È influenzata dalla considerazione che la società dedica alla persona umana. È condizionata dalla religione o dall’ideologia.
Tutti questi elementi, nel loro complesso, hanno determinato il percorso seguito dal diritto anche nel XX secolo. Il quale non può, come è ovvio, essere separato con un taglio netto dal secolo che l’ha preceduto. La storia dell’uomo è fatta da un fluire continuo, e gli eventuali sbalzi, le accelerazioni e le decelerazioni, i cambiamenti di rotta (che per quanto repentini, hanno sempre radici profonde nel passato anche prossimo), dipendono dal verificarsi di eventi particolari.
Fin dai primi anni del XX secolo le rivoluzioni, le guerre – e le loro conseguenze –, le scoperte e le invenzioni hanno causato formidabili mutamenti nell’assetto e nel contenuto del diritto, talora a livello locale, frequentemente a livello mondiale. I timidi accenni verso l’organizzazione dello Stato basata su democrazie parlamentari, e la strada già intrapresa precedentemente verso l’elaborazione di costituzioni liberali, sono stati soffocati, qualche volta con variazioni anche formali (e cioè cambiando le leggi), spesso attraverso la modifica delle prassi (e cioè cambiando i comportamenti), in vari Paesi. Ciò è dipeso dall’imporsi di regimi totalitari, tramite i quali i parlamenti, quando mantenuti, sono diventati fantocci nelle mani del potere esecutivo.
La rivoluzione sovietica ha comportato ipso facto l’abolizione di gran parte, se non di tutto il diritto privato per milioni di persone, l’esclusione del diritto di proprietà, l’invasione del diritto pubblico in quasi tutti i settori della vita. L’avvento del nazismo in Germania, e del fascismo in Italia e in Spagna ha rotto qualsiasi principio di uguaglianza tra i cittadini, portando discriminazioni tanto rilevanti da vanificare, per molti, addirittura il diritto all’esistenza, oltre a limitare o a escludere per alcuni segmenti della cittadinanza il diritto di proprietà, il diritto di contrarre liberamente matrimonio, il diritto all’istruzione e via dicendo.
D’altra parte le guerre mondiali hanno provocato, come conseguenza, un impulso eccezionale del diritto internazionale. La Società delle Nazioni – fondata nel 1919 – rivelatasi fallimentare, viene soppiantata dalle Nazioni Unite, costituite nel 1945 con lo scopo di poter interferire nella vita dei singoli Stati, per esempio attraverso l’applicazione di sanzioni. Questo perché con la fine della seconda guerra mondiale l’emergere delle tragiche, macroscopiche fratture dei diritti civili fondamentali ha imposto la ricerca di misure preventive, che evitassero per quanto possibile il ripetersi di analoghe catastrofi.
In primo luogo, quindi, sono state costituite, a scopo di prevenzione generale (ma anche di retribuzione – retribuisco con il male il male che hai fatto – e vendetta), Corti di giustizia internazionali dedicate (quella di Norimberga, 1945-1946; quella di Gerusalemme per il processo a Eichmann, 1961) con il compito di accertare le responsabilità delle più gravi infrazioni commesse durante la guerra; peraltro con applicazioni approssimative di alcuni principi di carattere generale, come quello della terzietà del giudice (il tribunale di Norimberga, per esempio, era composto da giudici rappresentanti delle potenze vincitrici, e perseguiva i crimini contro la pace e i crimini di guerra attribuiti ai responsabili politici e militari della Germania; il giudice Landau della Corte di Gerusalemme che ha giudicato Eichmann era cittadino di Israele, come tale più parte lesa che estraneo) o quello secondo il quale nessuno può essere punito per un comportamento non previsto come reato al momento in cui è stato tenuto, nel luogo in cui è stato tenuto.
L’originaria istituzione di tribunali internazionali ha avuto seguiti di rilievo. Sulla falsariga delle corti criminali, sono state create verso la fine del secolo altre Corti di giustizia per la repressione di crimini contro l’umanità, dapprima dedicate a particolari situazioni verificatesi prima della costituzione della corte stessa (con quantomeno dubbio rispetto del principio della precostituzione del giudice naturale come nei casi della ex Jugoslavia e del Ruanda), e successivamente con competenza generale e astratta come l’International Criminal Court, costituita con l’approvazione dello Statuto di Roma (1998). La corte è competente a giudicare il genocidio, i crimini contro l’umanità e i crimini di guerra, ma soffre alcuni limiti: non tutti gli Stati vi fanno parte; non ha strumenti autonomi investigativi, ma per raccogliere le prove deve procedere attraverso le autorità locali (che possono essere anche non collaborative). Fino a oggi non ha proceduto ad alcun giudizio, e una sola persona è stata, fino al novembre 2006, posta sotto accusa da parte della Procura internazionale, per arruolamento di bambini al di sotto dei 15 anni in Africa.
In secondo luogo, sempre per evitare il ripetersi dei drammi di metà secolo, è stato fatto il tentativo di fissare alcune regole fondamentali, da rispettare in qualsiasi situazione. La comunità internazionale, l’ONU, ha elaborato così, sul piano internazionale, la Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo (alla fine del 1948), che riconosce la dignità della persona in sé e l’esistenza per ciascun individuo di diritti soggettivi insopprimibili. La dichiarazione non ha però efficacia vincolante: si tratta di una specie di raccomandazione rivolta ai suoi membri, il cui rispetto dipende dalla buona volontà degli Stati. Inoltre, la repressione di comportamenti che offendano i diritti fondamentali è finora stata conseguenza – quando attuata – di decisioni politiche dei Paesi dotati di maggior potere in ambito internazionale, decisioni non sempre connotate da coerenza, imparzialità e proporzione.
In Italia, per la verità prima ancora che l’ONU proclamasse la sua dichiarazione, la Costituzione, entrata in vigore il 1° gennaio 1948, è stata elaborata sulla base degli stessi principi. Con una particolarità: facendo parte della legge fondamentale dello Stato, che ha forza di legge e non ammette contraddizioni, quegli stessi principi sono vincolanti per il parlamento, che non può quindi emanare norme giuridiche che li contraddicano, a pena di estromissione dall’ordinamento giuridico. In Europa un’organizzazione continentale, il Consiglio d’Europa, nel 1950 ha promosso la Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (di una apprezzabile ma non esaustiva ampiezza) che vincola gli Stati che l’hanno sottoscritta e ha istituito la Corte europea dei diritti dell’uomo, competente a dichiarare la violazione della convenzione (e quindi dei diritti e delle libertà), ad accordare un’equa soddisfazione alla parte lesa, ma non a comminare sanzioni allo Stato che diritti e libertà abbia violato.
L’esplosione delle comunicazioni a distanza, della capacità di movimento delle persone, della facilità degli scambi commerciali e delle transazioni finanziarie a livello internazionale, hanno determinato da una parte la creazione di una serie di istituzioni internazionali (FMI, WTO, Worldbank, OECD e tante altre, anche continentali o regionali) aventi sostanziale capacità di introdurre disposizioni facilitanti o penalizzanti il comportamento dei loro membri, e incentivato dall’altra la regolamentazione di rapporti privati internazionali, non soltanto di natura commerciale. Talora l’associazionismo internazionale ha portato alla creazione di organizzazioni, aventi competenze sopranazionali, che hanno assorbito parte della sovranità degli Stati che vi partecipano. Così, ad esempio, l’Unione Europea ha la capacità di emanare norme vincolanti per i Parlamenti degli Stati membri, e la Corte di giustizia delle comunità europee a essa collegata ha giurisdizione in ordine alla violazione delle norme sovranazionali della comunità da parte delle legislazioni domestiche, con riflessi di rilievo anche nei rapporti interni. All’interno dell’Unione, 12 membri hanno messo in comune la loro moneta, e l’euro ha sostituito il marco tedesco, il franco francese, la peseta, la lira e altre monete in corso.
Intrusioni
L’introduzione di nuove tecniche ha modificato sostanzialmente il tenore di vita di una parte consistente del globo. All’inizio del secolo l’energia elettrica era scarsamente distribuita; automobili e altri mezzi di trasporto su gomma erano rari, la radio trovava le prime applicazioni, il volo era assai limitato, non esistevano televisione e computer, la plastica era sconosciuta, approssimativi erano i sistemi di riproduzione visiva e vocale; la medicina era, rispetto a oggi, rudimentale. Era un mondo completamente diverso da quello nel quale viviamo.
Le novità intervenute nel corso del secolo hanno determinato eccezionali sviluppi e marcate diversificazioni del contenuto delle relazioni personali e commerciali, che hanno richiesto nuove, specifiche regolamentazioni prima di tutto all’interno dei singoli Stati.
L’intervento pubblico ha frequentemente invaso settori precedentemente riservati al privato: la possibilità di edificare, che in passato costituiva per il proprietario del terreno un diritto illimitato, è stata nei Paesi più sviluppati vincolata dai piani regolatori; la frequentazione scolastica è diventata in vari luoghi in parte obbligatoria; i prodotti commestibili vengono sottoposti a controlli, che ne stabiliscono persino la scadenza. Quasi ovunque il legislatore ha incrementato la produzione di norme, qualche volta lasciandosi prendere la mano e pretendendo di disciplinare anche i più minuti aspetti di alcuni settori della vita umana. Contemporaneamente alcuni diritti individuali tradizionali sono stati affiancati e talora soppiantati da altre forme, alcune delle quali in precedenza sconosciute. Così, prima di fatto e poi nel ordinamento giuridico, il diritto di proprietà, ancora nel secolo precedente fulcro delle relazioni commerciali, è stato sostituito, in questa funzione di pietra angolare del sistema economico, da una serie di diritti di credito variamente disegnati. Dietro l’affermazione di bancomat, carte di credito, leasing, vendite a rate sta l’applicazione di forme di diritto nuove o precedentemente non applicate, anche se esistenti. Contemporaneamente una serie di diritti reali (diritti sulle cose) e di contratti è praticamente scomparsa, tanto che addirittura le generazioni più giovani nemmeno conoscono il significato dei nomi di tali rapporti (per esempio, enfiteusi e soccida).
Il mutamento dei costumi ha rivoluzionato tanti aspetti del diritto di famiglia. La convivenza (ancora nei primi del Novecento chiamata spregiativamente concubinaggio) si è affiancata al matrimonio, sempre meno indissolubile, e nei Paesi più avanzati ha cominciato a essere giuridicamente riconosciuta anche la coppia di persone dello stesso sesso. Tanti dubbi e fermenti attraversano il diritto, coinvolto dagli interrogativi profondi sollevati dalla bioetica.
I principi alla prova
Alla superproduzione di norme ha fatto eco una crescente esigenza di verifica della loro applicazione, resa ancora più urgente dalla ulteriore tendenza del legislatore a punire la stragrande maggioranza delle violazioni con sanzioni penali. La natura della sanzione è andata sempre più indirizzandosi verso la detenzione, nonostante alcune fasi altalenanti soprattutto nei Paesi anglosassoni, che hanno, intorno alla metà del secolo, sperimentato più approfonditamente alcune misure tendenti, più che alla retribuzione e all’afflizione, al reinserimento nella società di colui che aveva violato la legge. Conseguenza del ricorso sistematico alla detenzione è, a lungo termine, l’aumento sensibile dei casi di recidiva; per rendere l’idea, la popolazione carceraria degli Stati Uniti è passata nel giro di pochi anni da qualche centinaia di migliaia di unità agli oltre 2 milioni di oggi.
Contemporaneamente si sono ridotte le sedi tradizionali di mediazione non istituzionali (per stare all’Italia il parroco, il maresciallo dei carabinieri, qualche volta il farmacista) nelle quali si componeva la gran parte delle controversie di minor spessore. Il diritto, dunque, ha subito nel corso del XX secolo una crescita e una espansione formidabili. Gli esperti e gli studiosi, ma anche i cittadini dell’inizio del Novecento si trovavano di fronte a un numero di regole assai limitato: un codice civile, un codice penale, le relative procedure, poche regole a disciplinare le relazioni che coinvolgevano le istituzioni. Esisteva, almeno dal punto di vista teorico, la possibilità di pervenire a una conoscenza universale del diritto, se non altro per quel che riguardava le parti essenziali delle sue varie branche. Oggi è il tempo della specializzazione. Talmente ampio, vario, settoriale è il diritto, che si corre il rischio di perdere il senso della sua unicità e dell’essere un sistema completo coerente a se stesso.
Nel quadro complessivo assume un rilievo particolare la necessità di comporre due esigenze particolarmente avvertite, costituite dalla tutela delle garanzie individuali (e cioè dei diritti fondamentali della persona) e dalla tutela della sicurezza pubblica. La prima delle due è una preoccupazione recente, se paragonata alla complessiva storia dell’umanità: sorge e si afferma dal momento in cui la persona perde lo stato di suddito e acquista la qualità di cittadino, sulla spinta, soprattutto, del pensiero illuministico. La seconda ha radici più lontane e si è modellata diversamente a seconda dei periodi storici, progressivamente ampliandosi sino a comprendere non solo la sicurezza della persona fisica ma anche quella dei suoi beni e del suo stato sociale, anche per le classi meno elevate. Quando la seconda è messa in qualche modo a rischio, la prima tende a essere compressa. Ciò si verifica clamorosamente nel corso di una guerra, in modo meno appariscente nei periodi di grave tensione internazionale e soprattutto – per stare ai tempi più recenti – quando siano diffuse attività di terrorismo.
A partire dall’11 settembre 2001 le garanzie personali negli Stati di diritto nord-occidentali hanno subito una serie di compressioni, talora anche assai rilevanti. I principi secondo i quali le restrizioni della libertà personale sono legittime solo nell’ambito di un processo davanti alla magistratura ordinaria, solo quando siano conseguenza di specifici comportamenti illeciti, e in ogni caso con possibilità di difesa, non sono sempre osservati. La privacy è talora invasa in deroga alle comuni garanzie attraverso, per esempio, intercettazioni telefoniche di massa. Sono introdotte limitazioni più severe alla libera circolazione delle persone. In alcuni casi la violazione dell’integrità personale (si tratti di violenze fisiche o psichiche) è ammessa per legge. Nei Paesi nei quali impera la guerra o una instabilità politica marcata, le garanzie attinenti ai diritti fondamentali della persona sono frequentemente abolite del tutto.
Le garanzie personali, sempre con riferimento alla sicurezza pubblica, vengono poi, di fatto, limitate anche attraverso il sempre più frequente ricorso alla applicazione della detenzione come conseguenza della commissione di reati anche di poca o quasi nulla gravità. Vari commentatori ritengono che il carcere sia oggi utilizzato nella parte più evoluta del mondo come un mezzo per segregare la popolazione problematica, non più sorretta dagli istituti del welfare state, in via di smantellamento nelle politiche di molti Paesi; e che esso sia applicato attraverso sistemi di degradazione e annullamento della persona, tanto da farlo apparire, ai più sensibili al tema, come la “via occidentale ai gulag”.
Un altro fattore (completamente diverso, e in un campo del tutto differente, e ovviamente non paragonabile alle distorsioni ora esposte), mette a rischio alcuni interessi rilevanti della persona. La spersonalizzazione delle relazioni commerciali, che vengono sempre più tenute attraverso contatti telefonici o telematici e sempre meno attraverso contatti personali, unita alla concentrazione di gran parte dell’offerta di prodotti in capo a potenti multinazionali, rende marcatamente sperequata la posizione delle parti nei contratti relativi all’acquisto di beni o alla somministrazione di forniture o servizi. Nei Paesi in cui la legislazione non si è tempestivamente adeguata al nuovo tipo di relazione, il consumatore si trova per nulla garantito nei confronti della controparte, sia per quel che riguarda l’effettiva possibilità di scegliere l’oggetto del suo acquisto, sia per quel che riguarda la tutela in ordine a un esatto adempimento del contratto e ai dovuti rimedi nei casi di contestazioni o controversie.
Osservando le più recenti trasformazioni viene da chiedersi se l’evoluzione del diritto nel prossimo futuro terrà ancora come propria base, almeno per quel che riguarda le affermazioni di principio, le fondamenta del moderno Stato di diritto, vale a dire il riconoscimento dei diritti fondamentali e inalienabili della persona e l’uguaglianza di tutti di fronte alla legge; o se invece altri punti di riferimento sostituiranno quelli solennemente rilanciati alla fine della seconda guerra mondiale, punti di riferimento che spingano nuovamente la società verso un’organizzazione basata sul discrimine e sulla separatezza, che così faticosamente e incompiutamente si è cercato di superare nella seconda metà del secolo scorso.