Il divieto di nova in appello
Il codice del processo amministrativo (art. 104) codifica il divieto di nova in appello per ciò che attiene alle domande, alle eccezioni e ai mezzi di prova (nonché ai documenti), recando una disciplina in tutto simile a quella di cui all’art. 345 c.p.c. Si pone in tal modo fine al vivace dibattito dottrinale e giurisprudenziale relativo al se il divieto di nova in appello nel processo amministrativo dovesse avere la medesima estensione che ha nel rito civile. La giurisprudenza amministrativa successiva all’entrata in vigore del codice si è interrogata in ordine a due aspetti: a) se il divieto di produrre nuovi mezzi di prova e nuovi documenti in appello si riferisca solo alle prove costituende ovvero anche alle prove precostituite; b) se i due presupposti per superare il divieto di nova (indispensabilità ai fini della decisione ed impossibilità di produzione nell’ambito del primo giudizio) presentino carattere alternativo ovvero cumulativo.
Nel corso degli ultimi due decenni almeno, la dottrina1 e la giurisprudenza si erano interrogate in ordine alla più o meno estesa applicabilità nell’ambito del processo amministrativo del cd. divieto di nova in appello di cui all’art. 345 c.p.c. (nella triplice articolazione del divieto di nuove domande, di nuove eccezioni, nonché di nuove prove e nuovi documenti). In particolare, ci si era domandati se il rigido sistema di preclusioni delineato dall’art. 345 c.p.c. prima della novella di cui alla l. 18.6.2009, n. 69 fosse in toto applicabile al processo amministrativo (mercé l’implicito rinvio operato dall’art. 29 r.d. 17.8.1907, n. 642)2, ovvero se le peculiarità del rito amministrativo (e, in particolare, l’applicazione del cd. principio dispositivo con metodo acquisitivo) giustificassero deviazioni più o meno accentuate rispetto al modello processualcivilistico di riferimento. Nel periodo anteriore alle riforme del 2009 (cd. mini-riforma del processo civile) e del 2010 (con l’adozione del codice del processo amministrativo), la giurisprudenza del tutto maggioritaria3 aveva concluso nel senso della piena applicabilità, nell’ambito del rito amministrativo, del principio di cui all’art. 345 c.p.c. Si era, in particolare, ritenuto che la rigida applicazione di tale principio discendesse quale logico corollario del principio devolutivo dell’appello il quale, nell’ambito del rito amministrativo, non conosce significative ragioni di scostamento rispetto al paradigma processualcivilistico di riferimento4. In dottrina, i fautori dell’approccio in questione avevano argomentato talvolta in base al principio cd. della ‘parità delle armi’ da ultimo consacrato nell’ambito della riforma dell’art. 111 Cost. (il quale non tollera eccezioni all’obbligo della piena discovery degli argomenti di prova sin dalla fase introduttiva del giudizio)5; talvolta in base al principio del doppio grado di giudizio di cui all’art. 125 Cost. (il quale non ammetterebbe deroghe al carattere pienamente devolutivo dell’appello attraverso ampliamenti del thema decidendum inizialmente delineato)6. A loro volta, i critici dell’approccio in parola avevano osservato che le peculiarità del rito amministrativo non postulano un’applicazione indistinta del divieto di nova, bensì ammettono taluni temperamenti al principio in parola, da ritenersi quindi soltanto tendenziale. Un primo argomento in questo senso veniva desunto dalla particolare struttura dell’acquisizione probatoria nell’ambito del rito amministrativo (la quale viene tradizionalmente compendiata nella formula del principio dispositivo temperata dall’applicazione del metodo acquisitivo). Si osservava al riguardo che non risulterebbe conforme alle peculiarità del processo amministrativo vietare in modo indistinto l’ingresso di nuove prove in appello, dal momento che il giudice potrebbe comunque disporre ex officio l’acquisizione del necessario materiale probatorio non prodotto in primo grado, se solo la parte interessata si limiti ad allegare l’esistenza di tali prove e il giudice ne apprezzi l’indispensabilità ai fini della decisione ai sensi dell’art. 345, co. 3, c.p.c.7 Un secondo argomento nel senso del carattere non assoluto del divieto di produrre nuove prove e nuovi documenti in appello veniva desunto dall’obbligo comunque gravante in capo all’amministrazione convenuta in primo grado di produrre in giudizio gli atti rilevanti ai fini della decisione: l’applicazione di tale principio sortirebbe l’effetto di attenuare (almeno per quanto concerne la parte pubblica) la latitudine del richiamato divieto8. Un terzo argomento nel senso dinanzi richiamato affermava la non piena applicabilità dei divieti di cui all’art. 345 c.p.c. nell’ambito del rito amministrativo in ragione delle obiettive peculiarità di tale rito, al cui proprium non sarebbe estranea la finalità dell’accertamento della legittimità in se dell’atto amministrativo oggetto di impugnativa, anche a prescindere dalla concreta articolazione dei motivi di ricorso9 (una finalità, questa, che potrebbe essere frustrata laddove si applicassero in modo rigido e indifferenziato meccanismi di preclusione alla piena cognitio in sede giudiziale) 10. Un quarto argomento nella direzione dell’attenuazione del divieto di nova nell’appello dinanzi al giudice amministrativo veniva desunto dalla particolare posizione di supremazia comunque spettante all’amministrazione, la quale gode dell’indubbio vantaggio di detenere ab initio la documentazione rilevante ai fini del decidere. Da tanto discenderebbe la necessità di attenuare il divieto di nova in appello al fine di evitare che il comportamento processuale (in ipotesi, reticente) da parte dell’amministrazione possa avvantaggiare la stessa parte pubblica, senza consentire alla controparte privata di godere di alcuno strumento di reazione processuale11. In definitiva, secondo tale approccio, l’attenuazione del richiamato principio costituirebbe un corollario applicativo del principio di matrice anglosassone dell’estoppel, sintetizzabile nel brocardo nemo auditur suam turpitudinem allegans. Pertanto, alla vigilia dell’adozione del codice del processo amministrativo del 2010 poteva ancora considerarsi largamente prevalente l’orientamento volto ad applicare nel processo amministrativo i divieti di cui all’art. 345 c.p.c. nella loro portata più rigorosa. Del resto, la stessa mini-riforma del processo civile di cui alla l. n. 69/2009 aveva – appena un anno prima l’adozione del codice – modificato il terzo comma dell’art. 345, cit. e, recependo l’approccio più rigoroso delineato dalle sentenze S.U., 20.4.2005, nn. 8202 e 820312, aveva esteso anche ai nuovi documenti il divieto di nova in appello (divieto che, sulla base della pregressa giurisprudenza della S.C., era stato ritenuto applicabile alle sole prove costituende e non anche alle prove precostituite, quali – appunto – i documenti). Pertanto, i primi due commi dell’art. 104 c.p.a., riprendendo in modo sostanzialmente pedissequo il contenuto dei primi tre commi dell’art. 345 c.p.c., stabiliscono ora:
• il divieto di proporre nuove domande (salvo quanto previsto dall’art. 34 in materia risarcitoria) e nuove eccezioni non rilevabili d’ufficio (fatta salva la possibilità di richiedere gli interessi e gli accessori maturati dopo la sentenza impugnata, nonché il ristoro dei danni subiti dopo la sentenza) (co. 1);
• il divieto di ammettere nuovi mezzi di prova e nuovi documenti, «salvo che il collegio li ritenga indispensabili ai fini della decisione della causa, ovvero che la parte dimostri di non aver potuto proporli o produrli nel giudizio di primo grado per causa ad essa non imputabile» (co. 2). In sede di prima applicazione delle disposizioni del codice, la giurisprudenza amministrativa in grado di appello ha affrontato alcune importanti questioni interpretative relative alla portata del divieto in parola, con particolare riguardo all’ammissibilità della produzione di nuovi documenti in grado di appello. In particolare, il Consiglio di Stato ha confermato che il divieto di nova in appello concerne le prove precostituite (documenti) al pari di quelle costituende e che i presupposti per derogare al divieto in questione (indispensabilità ai fini della decisione e impossibilità incolpevole di proporli o produrli nell’ambito del primo giudizio) hanno carattere alternativo e non cumulativo (Cons. St., sez. VI, 9.5.2011, n. 273813).
Una prima rilevante questione sulla quale sono intervenute sia la cd. mini-riforma del processo civile del 2009, sia il codice del processo amministrativo del 2010 concerne la controversa estensione del divieto di nuove prove in appello per ciò che riguarda i nuovi documenti (prove precostituite). Al riguardo, l’evoluzione giurisprudenziale della Corte di cassazione e del Consiglio di Stato si è sviluppata su linee direttrici in parte comuni. Prima della novella del 2009, la giurisprudenza della Corte di cassazione era orientata in modo del tutto maggioritario nel ritenere che il divieto di articolazione e produzione di nuovi mezzi di prova di cui all’art. 345, co. 3, c.p.c. (in modo simmetrico rispetto a quanto previsto dall’art. 437, co. 2, c.p.c. in tema di rito del lavoro) non fosse estensibile anche ai nuovi documenti14. Secondo tale approccio, la produzione di documenti in appello non incontrava limitazioni di sorta in quanto inidonea a nuocere ai valori di concentrazione e celerità del giudizio, dovendosi pertanto ritenere che il richiamato divieto fosse esclusivamente riferibile alle nuove prove costituende e non anche alle prove precostituite, quali i documenti15. Pertanto, era da ritenere possibile l’allegazione e produzione di nuovi documenti in grado di appello anche a prescindere dalla dimostrazione dell’indispensabilità ai fini della decisione e dell’impossibilità di provvedervi nel precedente grado di giudizio. Del tutto minoritario era, invece, l’orientamento secondo cui alla produzione di nuovi documenti fossero applicabili le medesime preclusioni previste in via generale dall’art. 345 c.p.c. per ciò che attiene le prove in generale. Nel 2005, tuttavia, le Sezioni Unite aderivano in modo deciso per la tesi in precedenza minoritaria ed affermavano che l’omessa indicazione, nell’atto introduttivo del giudizio di primo grado, dei documenti e l’omesso deposito degli stessi contestualmente a tale atto, determinano in via di principio la decadenza dal diritto alla produzione dei documenti stessi, salvo che la produzione non sia giustificata dal tempo della loro formazione o dall’evolversi della vicenda processuale successivamente al ricorso ed alla memoria di costituzione (ad esempio, a seguito di domanda riconvenzionale o di intervento o chiamata in causa del terzo)16. Nella tesi delle Sezioni Unite, due argomenti dirimenti militerebbero nel senso indicato: a) in primo luogo, l’ascrivibilità dei documenti al genus dei mezzi di prova di cui agli artt. 345 e 437 c.p.c.; b) in secondo luogo, la circostanza secondo cui anche l’acquisizione di nuovi documenti (al pari dell’acquisizione di nuove prove costituende quali la testimonianza) risulterebbe potenzialmente idonea ad allungare i tempi del processo, in tendenziale violazione del principio – ormai costituzionalizzato – della concentrazione e della celerità del giudizio (corollari del principio di ragionevole durata di cui all’art. 111, co. 2, Cost.). L’approccio in questione, pur fortemente criticato in dottrina17, ha ispirato in modo evidente l’intervento riformatore del 2009. E infatti, nel riformulare il terzo comma dell’art. 345 c.p.c., la l. n. 69/2009 ha assimilato in toto il nuovi documenti ai nuovi mezzi di prova per quanto concerne l’applicabilità del divieto di nova, applicando in ambo i casi le note deroghe dell’indispensabilità ai fini della decisione ovvero dell’impossibilità incolpevole di proporli o produrli. Per quanto concerne, poi, la giurisprudenza del Consiglio di Stato, si osserva che, prima ancora degli interventi normativi del 2009- 2010, essa si era uniformata all’orientamento più rigoroso, affermando (in senso conforme all’approccio tradizionalmente rigido tenuto sul punto dalla giurisprudenza amministrativa) che prevalenti ragioni sistematiche deponessero nel senso dell’adesione alle tesi sostenute dalla Cassazione attraverso il revirement del 200518. Alla vigilia dell’emanazione del codice, quindi, la giurisprudenza amministrativa era largamente incline (ed invero, in assenza delle oscillazioni che sul punto avevano caratterizzato l’evoluzione della giurisprudenza civile) ad applicare in modo rigoroso il principio del divieto di nova anche alla produzione di nuovi documenti in appello.
2.1 I limiti di cui all’art. 345, co. 3, c.p.c. (ora: art. 104, co. 2, c.p.a.) operano in modo alternativo o cumulativo?
Una seconda rilevante questione interpretativa posta dall’adesione, nell’ambito del rito amministrativo, all’approccio più rigoroso in tema di divieto di produzione di nuovi documenti in appello, riguarda l’ambito di operatività delle deroghe di cui è menzione al terzo comma dell’art. 345 c.p.c. Si è osservato in precedenza19 che l’art. 104, co. 2, c.p.a., nel riprendere in modo pressoché pedissequo la previsione dell’art. 345, co. 3, c.p.c., ha sancito il divieto di ammettere nuovi mezzi di prova e nuovi documenti, «salvo che il collegio li ritenga indispensabili ai fini della decisione della causa, ovvero che la parte dimostri di non aver potuto proporli o produrli nel giudizio di primo grado per causa ad essa non imputabile». Ci si è, dunque, domandati se i due richiamati presupposti per la deroga al generale divieto di nova (i.e.: l’indispensabilità ai fini della decisione e l’impossibilità incolpevole di produrli in primo grado) debbano necessariamente operare in via cumulativa, ovvero se essi possano operare anche in via alternativa. È evidente al riguardo che l’adesione al primo approccio enfatizza il carattere di eccezionalità delle richiamate ipotesi derogatorie nell’ambito di un modello processuale nel complesso ispirato alla rigida applicazione del principio dispositivo. Al contrario, l’adesione al secondo di tali approcci risulta funzionale a un’interpretazione di carattere estensivo di una previsione processuale (quella che ammette comunque la produzione di nuove prove e di nuovi documenti in grado di appello) volta, in ultima analisi ad una più compiuta aderenza della verità processuale alla verità storica, ovvero (per dirla con Eugenio Picozza) a consentire che la tutela giurisdizionale risulti effettivamente dimensionata su quella sostanziale, e non viceversa20. La sostanziale convergenza fra il modello processuale civile e quello amministrativo intervenuta in parte qua fra il 2009 e il 2010 rende rilevante, ai fini della presente analisi, l’esame della giurisprudenza civile formatasi sulla previsione di cui al citato art. 345, co. 3, prima e dopo la novella del 2009. Nel paragrafo che segue ci si soffermerà, invece, sulle risposte fornite dalla giurisprudenza amministrativa di appello in sede di prima applicazione delle previsioni del codice. Ebbene, si osserva che la giurisprudenza della Suprema Corte si è saldamente attestata nel corso degli anni nel senso di riconoscere carattere alternativo e non cumulativo ai due richiamati presupposti per consentire la deroga al divieto di nuove prove e nuovi documenti in appello. In particolare, la Suprema Corte ha affermato che nel rito ordinario, con riguardo alla produzione di nuovi documenti in grado di appello, l’art. 345, co. 3, c.p.c. deve essere interpretato nel senso che esso fissa sul piano generale il principio dell’inammissibilità di mezzi di prova nuovi – la cui ammissione, cioè, non sia stata richiesta in precedenza – e, quindi, anche delle produzioni documentali, indicando nello stesso tempo i limiti di tale regola, con il porre in via alternativa i requisiti che tali documenti, al pari degli altri mezzi di prova, devono presentare per poter trovare ingresso in sede di gravame, requisiti consistenti nella dimostrazione che le parti non abbiano potuto proporli prima per causa a esse non imputabile, ovvero nel convincimento del giudice dell’indispensabilità degli stessi per la decisione21.
All’indomani dell’entrata in vigore del codice, la giurisprudenza amministrativa ha dovuto dare concreta applicazione alle innovazioni normative in tema di nuove prove e nuovi documenti in appello, trovandosi a scontare un duplice ordine di difficoltà. Il primo di essi è stato determinato dalla necessità di dare immediata applicazione alla previsione di cui all’art. 104 c.p.a. anche per ciò che riguarda i giudizi già instaurati, difettando in questo settore una disposizione transitoria assimilabile a quella di cui all’art. 58 l. n. 69/200922. Il secondo ordine di difficoltà è stato determinato dal fatto che, mentre la giurisprudenza civile si era misurata da lungo tempo con le eccezioni al principio del divieto di nova in appello (le quali avevano in larga parte anticipato il contenuto della novella codicistica del 2009), al contrario, per i giudici amministrativi, i temperamenti e le eccezioni al richiamato divieto hanno rappresentato una sostanziale novità con la quale si è reso necessario misurarsi solo all’indomani dell’entrata in vigore del c.p.a.
3.1 Divieto di nova e prove precostituite
Venendo alla prima delle due questioni applicative cui dinanzi si è fatto cenno (§§ 2. e 2.1), il Consiglio di Stato ha dovuto affrontare la questione relativa al se il divieto di produrre nuove prove in appello (art. 104, co. 2, c.p.a.) concerna unicamente le prove costituende ovvero (secondo un’opzione invero maggiormente aderente alla littera legis) anche le cd. prove precostituite, e in particolare i nuovi documenti. Ebbene, la giurisprudenza dei Giudici amministrativi di appello si è orientata risolutamente nel secondo dei sensi indicati. Con la sentenza 5.10.2010, n. 729323, in particolare, il Consiglio di Stato ha affermato che il divieto del ius novorum in appello, sancito dall’art. 345, co. 2, c.p.c., opera nella sua interezza nel processo amministrativo, con la conseguenza che il divieto di ammissione di nuovi mezzi di prova in appello riguarda anche le prove cd. precostituite, quali i documenti, la cui produzione è subordinata, al pari delle prove cd. costituende, alla verifica della sussistenza di una causa non imputabile, la quale abbia impedito alla parte di esibirli in primo grado, ovvero alla valutazione della loro indispensabilità. Ne consegue che, in sede di prima applicazione del codice del processo, i Giudici di Palazzo Spada hanno ritenuto di confermare l’adesione al più rigido approccio in tema di ammissibilità dei nuovi documenti in appello. In tal modo, risulta definitivamente superato l’orientamento (invero, minoritario anche prima del 2010) secondo cui la rigidità del principio in questione potrebbe essere temperata in via applicativa quanto meno con riferimento alle nuove produzioni documentali (intese quali prove cd. precostituite), avuto riguardo al carattere eminentemente documentale del processo amministrativo24.
3.2 I presupposti per la deroga al divieto di nova in appello: cumulatività o alternatività?
Come si è osservato in precedenza25, la giurisprudenza della S.C. si è attestata in tempi recenti su un approccio secondo cui i due presupposti per ammettere la deroga al divieto di ammissione di nuovi mezzi di prova e di produzione di nuovi documenti (indispensabilità ai fini della decisione e impossibilità incolpevole di proporli o produrli nell’ambito del primo giudizio) operano in modo alternativo e non cumulativo. Si è, altresì, osservato che l’adesione all’approccio in questione (invero, maggiormente aderente al disposto normativo di riferimento) consente di ampliare in via applicativa i casi di producibilità di nuovi documenti in sede di gravame. Ebbene, le prime pronunce del Giudice amministrativo di appello relative alla previsione di cui al co. 2 dell’art. 104, c.p.a. si muovono in senso conforme alla giurisprudenza della S.C., in tal modo palesando un approccio temperato il quale rifugge dalle interpretazioni più restrittive della disposizione in esame. Con la sentenza della VI sez. 9.5.2011, n. 273826, in particolare, il Consiglio di Stato ha affermato che in tema di ammissibilità, nel rito amministrativo, di nuove prove in appello, è da condividersi la tesi dell’alternatività dei due presupposti di cui all’art. 345, co. 3, c.p.c. (ora: art. 104, co. 2, c.p.a.), in quanto essa si fonda su un dato letterale chiaro e in quanto meglio risponde al principio dispositivo con metodo acquisitivo che connota il processo amministrativo, nel quale, a differenza che nel processo civile, nel processo di primo grado non sussistono limiti temporali alla produzione delle prove. Il Giudice amministrativo di appello ha quindi ritenuto che la valutazione di indispensabilità possa essere compiuta dal giudice di ufficio, senza la prova di impossibilità di produzione in primo grado, sia nel caso in cui le nuove prove possano determinare un positivo accertamento dei fatti di causa (decisivo talvolta anche per giungere ad un completo rovesciamento della decisione cui è pervenuto il giudice di primo grado), sia nel caso in cui dal complesso delle circostanze emerga comunque che non emergono colpe istruttorie della parte in primo grado.
1 Fra i numerosi contributi che si sono occupati della questione ci si limita a richiamare, senza pretesa alcuna di esaustività, Follieri, Il contraddittorio in condizioni di parità nel processo amministrativo, in Dir. proc. amm., 2006, 499, ss.; Satta, Eccezioni nuove in appello, in Foro amm. - Cons. St., 2002, 2168, ss.; D’Angelo, Prove nuove in appello e legittimità dell’azione amministrativa, in Foro amm. – Cons. St., 2008, 612, ss.; Caianiello, Manuale di diritto processuale amministrativo, Torino, 2003, 875, ss.
2 Secondo tale disposizione, «il Presidente o la sezione, nell’ammettere i mezzi istruttori, stabilisce i termini da osservare ed i modi con cui debbono seguire, applicando, per quanto è possibile, le disposizioni del codice di procedura civile».
3 Si ritiene, in particolare, di richiamare la sentenza dell’A.P. 29.12.2004, n. 14, in www.giustizia- amministrativa.it, la quale, pur dando atto che il processo amministrativo è privo di una specifica disciplina dello jus novorum e che, per convinzione largamente condivisa (cfr. A.P., 8.4.1963, n. 6), la funzione integratrice che si riconosce ai principi di portata generale enunciati dal codice di procedura civile nei confronti di altri sistemi processuali si esplica soltanto per aspetti e istituti non specificamente disciplinati, nondimeno conclude in modo netto per l’applicabilità del richiamato divieto nell’ambito del rito civile. Al riguardo, l’Adunanza plenaria dà puntualmente conto dell’orientamento – largamente maggioritario – che afferma la piena vigenza nel processo amministrativo del divieto di cui all’art. 345, co. 1, c.p.c. (vengono citate, al riguardo, le seguenti pronunce: Cons. St., sez. IV, 24.6.1997, n. 675, in Cons. St., 1997, I, 690; Id., sez. V, 2.3.1999, n. 222, Giur. it., 1999, 1524; Id., sez. VI, 21.2.2001, n. 906, in www.giustizia-amministrativa. it; Id., 12.8.2002, n. 4163, in www.giustizia-amministrativa. it; Id., 10.4.2003, n. 1902, in www.giustizia-amministrativa. it).
4 Sul punto, v. Greco-Polizzy, Commento all’articolo 104, in Garofoli-Ferrari, a cura di, Codice del processo amministrativo, III, Roma, 2011, 1427 ss.
5 Satta, Eccezioni nuove in appello, in Foro amm. - Cons. St., 2002, 2168.
6 Sul punto, cfr. Poto, È inammissibile la domanda risarcitoria proposta per la prima volta in appello, in Resp. civ. prev., 2007, 3, 586 e ss.
7 Secondo Cons. St., sez. V, 22.12.2005, n. 7343, in www.giustizia-amministrativa.it, l’art. 345 c.p.c. non esclude in modo tassativo la produzione di nuove prove in appello, poiché ne ammette l’acquisizione quando le stesse siano indispensabili alla decisione della causa. Né va trascurato che, ove la parte interessata, senza produrre il documento che risulti decisivo, ne affermi l’esistenza, il giudice amministrativo potrebbe esercitare i poteri istruttori tipici di un processo basato sul metodo acquisitivo.
8 Si ritiene al riguardo di richiamare Cons. St., sez. V, 11.9.2007, n. 4789, in www.giustizia-amministrativa. it, che ha affermato il carattere non perentorio dei termini per l’esibizione documentale fissati dall’art. 23, IV, l. TAR. Secondo il Consiglio di Stato, in particolare, riguardo ai documenti prodotti dall’amministrazione, purché direttamente connessi con l’oggetto della domanda, non avrebbe alcun senso precluderne l’esibizione dopo lo spirare dei termini suddetti, dal momento che il deposito di tali documenti costituisce addirittura un obbligo (e non un mero potere difensivo) gravante sul soggetto pubblico, indipendentemente dalla circostanza che esso si sia costituito in giudizio per resistere alla domanda, e tenuto conto che di essi può sempre essere disposta dal giudice amministrativo, sia in primo che in secondo grado, la produzione in giudizio, salva restando la facoltà della parte privata di chiedere ed ottenere il rinvio della discussione della causa al fine di apprestare le proprie difese.
9 Sul punto, cfr. Caringella, Il giudice amministrativo alla ricerca della verità, in www.giustizia-amministrativa. it, 2003. Nell’occasione, L’A. sottolinea come il passaggio da un sistema probatorio rigidamente incentrato sugli alligata partium a un sistema volto allo scrutinio della legittimità in se dell’atto oggetto di impugnativa costituisca, a ben vedere, un corollario dell’evoluzione del processo amministrativo nella direzione della centralità dell’assetto in se del rapporto sottostante la vicenda giudiziale (evoluzione che, secondo una terminologia talvolta abusata, viene compendiata nella formula dell’evoluzione dal giudizio sull’atto a quello sul rapporto).
10 Sul punto, v. anche Greco-Polizzy, Commento all’articolo 104, cit., 1427.
11 Sul punto: D’Angelo, Prove nuove in appello e legittimità dell’azione amministrativa, in Foro amm. - Cons. St., 2008, 612 e ss.
12 In Foro it., 2005, I, 1690.
13 In www.giustizia-amministrativa.it
14 Sul punto, Taraschi, La riforma del processo civile, Napoli, 2009, 96 s.
15 In tal senso, ex multis: Cass., 22.1.2004, n. 1048, in Foro it., 2004, I, 1785; Id., 26.8.2004, n. 16995, in Giust. civ., 2005, I, 1547; Id., 13.10.2000, n. 13670, in Giust. civ. Mass., 2000, 2135.
16 L’approccio in questione era stato già affermato dalla Cass., sez. lav., con la pronuncia 20.1.2003, n. 775 (in Foro it., 2003, I, 3262).
17 In particolare Proto Pisani, Nuove prove in appello e funzione del processo, in Foro it., 2005, I, 1699.
18 Secondo Cons. St., sez. IV, 18.6.2009, n. 4004, in www.giustizia-amministrativa.it, una volta affermata l’estensione del divieto dei nova previsto dall’art. 345 c.p.c. anche al processo amministrativo, è poi giocoforza recepirne l’interpretazione fornita dalle Sezioni Unite della Corte di cassazione (cfr. sent. 20.4.2005 n. 8202 e 8203), secondo cui il divieto di ammissione di nuovi mezzi di prova in appello riguarda anche le prove cc.dd. preprecostituite, quali i documenti, la cui produzione è subordinata, al pari delle prove cc.dd. costituende, alla verifica della sussistenza di una causa non imputabile, che abbia impedito alla parte di esibirli in primo grado, ovvero alla valutazione della loro indispensabilità. Sul punto, v. anche (ex multis): Cons. St., sez. V, 7.5.2008, n. 2080, in www.giustizia-amministrativa.it; Id., sez. VI, 22.8. 2007, n. 4476, in www.giustizia-amministrativa. it; Id., sez. VI, 4.6.2007, n. 2951, in www.giustizia-amministrativa. it
19 Supra, § 1.
20 Picozza, Presentazione del libro terzo del codice del processo amministrativo: le impugnazioni (intervento al seminario sul libro III del codice del processo amministrativo, tenutosi a Roma il 30 aprile 2010), in www.giustamm. it.
21 In tal senso: Cass., sez. lav., 14.6.2010, n. 14198, in Guida dir., 2010, fasc. 47, 71; Id., sez. II, 9.4.2008, n. 9274, in Guida dir., 2008, fasc. 21, 46 (ma ancora prima: Cass., S.U., 20.4.2005, n. 8203, in Giust. civ., 2006, I, 143 – richiamata supra, al § 2).
22 «Fatto salvo quanto previsto dai commi successivi, le disposizioni della presente legge che modificano il codice di procedura civile … si applicano ai giudizi instaurati dopo la data della sua entrata in vigore». Si ritiene, comunque, di osservare che per ciò che attiene la portata applicativa del nuovo art. 345 c.p.c., il suo tasso di innovatività risulta fortemente ridimensionato in considerazione del fatto che la novella del 2009 riprende puntualmente in parte qua gli orientamenti giurisprudenziali della Corte regolatrice.
23 In Foro amm. - Cons. St., 2010, 2173 ss.
24 Fra le pronunce che avevano affermato il principio in parola, si citeranno: Cons. St., sez. VI, 13.7.2009, n. 4389, in www.giustizia-amministrativa.it; Id., sez. IV, 18.6.2009, n. 4004. Sul punto, v. anche Greco-Polizzy, Commento all’articolo 104, cit., 1429 s.
25 Cfr. § 2.1.
26 In www.giustizia-amministrativa.it.