Il documento medievale
Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
La nostra conoscenza del Medioevo è affidata ai documenti compilati in quelle epoche lontane che spesso si presentano oscuri a essere letti e intesi; superate tuttavia le difficoltà della comprensione immediata possiamo ascoltare da vicino la viva voce dei rappresentanti di tutti i ceti sociali, dai sovrani al popolo minuto.
La conoscenza della storia dell’alto Medioevo viene resa difficile dalla mancanza di documenti e di fonti relative a questo periodo, in parte distrutti per le tante vicende trascorse, in parte rari per una mancanza di attitudine di società organizzate secondo sistemi ancora poco complessi a trasmettere la propria memoria storica e giuridica con opportune testimonianze. La crisi della società altomedievale, con il perdersi delle strutture amministrative ad ampio raggio dell’amministrazione romana e con l’avanzare di popolazioni barbariche che tradizionalmente non si affidano a documenti scritti per ricordare e tramandare i momenti importanti della propria storia, restringe la nozione di “scrittura” a pochi ed elevati gruppi sociali: pochi sono, infatti, coloro che sanno leggere e scrivere, perlopiù ecclesiastici, e ancora meno sono coloro che masticano nozioni di diritto. Dei tanti barbari arrivati sul suolo europeo, solo pochi, dopo qualche generazione, si avvicinano alla testimonianza scritta che, d’altronde, non considerano come costitutiva di diritti, ma soltanto memoria di un avvenimento, mentre la sostanza del negozio giuridico, sia pubblico che privato, rimane sempre circoscritto al rapporto fra le persone.
Anche per quanto riguarda la storia della documentazione, l’Europa, e in particolare l’Italia del Medioevo, presentano al proprio interno situazioni molto differenti, frutto del diverso stratificarsi di situazioni diverse e complesse. I grandi centri della cultura sono i monasteri, soprattutto benedettini, tramite la paziente opera dei monaci che trascrivono con attenzione gli antichi manoscritti, usando e riadattando gli stilemi di una scrittura che oggi possiamo leggere solo con l’aiuto di paleografi esperti: è così che ci sono pervenute molte, ma non tutte, manifestazioni della cultura classica. Le opere degli scriptoria dei monasteri si riferiscono soprattutto alla cultura letteraria e giuridica dell’Antichità classica e ne sono testimonianza i bellissimi codici miniati e illuminati che costituiscono testimonianze importantissime della storia di quelle epoche e nello stesso momento anche di storia dell’arte.
Ma il Medioevo ci ha lasciato oltre ai codici, agli Exultet, ai rotoli di provenienza monastica, anche numerosissimi altri documenti, e in particolare diplomi, privilegi, chartae, notitiae, giudicati, molto spesso in pergamena e talvolta anche in papiro o carta “bambagina”, che testimoniano i rapporti giuridici fra i detentori del potere, i rappresentanti di stati ante litteram, e i sottoposti, i sudditi, o anche fra le persone libere di stringere negozi giuridici.
Sono quelli che la tradizione tedesca chiama Urkunden e cioè atti giuridici, testimonianze di azioni aventi valore giuridico, fra un sovrano e il suo popolo o fra normali persone, che si distinguono da tutte le altre fonti, anche coeve e talvolta simili nell’aspetto esteriore, che tramandano memorie o informano di fatti, ma con carattere storico narrativo e non giuridico. Questi documenti ancora oggi costituiscono il corpo dei fondi pergamenacei, il cosiddetto diplomatico, che costituisce la parte più antica e più preziosa, a partire dal secolo VII, di archivi monastici, abbaziali o anche di alcuni regni; documenti sopravvissuti fino a oggi agli eventi distruttivi che la storia ha inflitto spesso ad archivi e biblioteche.
Anche nei regni di più antica fondazione la confezione e la spedizione dei diplomi sovrani è affidata al cancelliere del re che ha appunto il compito di reggere la “cancelleria”. Egli è l’ufficiale deputato a organizzare e trasmettere gli atti dispositivi del sovrano, capace di tradurre gli elementi del diritto del tempo e propri del governo del suo signore in determinate forme, stabilite da una tradizione sempre più esatta e dal rispetto di regole e formalità giuridiche nelle quali un po’ ovunque si sente l’eco del diritto romano conosciuto tramite il diritto bizantino e l’esempio di documenti dell’Impero d’Oriente. La lettura diplomatistica di questi documenti ci dice molto della civiltà che ne è alla base.
La scelta del titolo che il sovrano riserva per sé (dux, princeps, imperator, consul, rex) ci informa sulle radici del potere e sul senso dell’organizzazione dello stato che era alla base di ciascuna organizzazione statuale, e anche sulle gerarchie che si creano in esso. I Longobardi, ad esempio, che nei loro precepta si definiscono “ dux gentis Langobardorum ” rimangono fedeli fino all’VIII secolo alla struttura della loro società organizzata in gruppi militari guidati da un condottiero. Carlo Magno e i suoi discendenti, scegliendo l’intitulatio di imperator, definiscono in maniera inequivocabile la radice della propria sovranità come comando assoluto e supremo di diretta discendenza romana. Più avanti, Federico II sarà imperator, ma anche rex Siciliae e anche patricius romanorum, il titolo che spettava ai futuri imperator. L’attenzione all’enumerazione di tutti i titoli nei privilegi solenni e meno solenni ci informa sui possedimenti feudali di ogni autore di documento in un mondo in cui la gerarchia di rapporti feudali invade ogni organizzazione pubblica ed è fonte di ogni legittimazione il possesso di una terra o di un diritto. Ciò rimanda, inoltre, allo stretto rapporto dei documenti – ma di tutta la società – con le raffigurazioni araldiche di stemmi e sigilli, veri e propri mezzi di comunicazione visiva di situazioni di diritto. Il lessico dei documenti, pur nella schematicità del linguaggio giuridico adoperato dai cancellieri e dai notai, illustra tutti gli aspetti della vita giuridica, sociale ed economica, dalle solenni parole dei principi nelle paci e nei capitolati che servivano a definire i rapporti fra gli Stati o i rapporti sempre instabili e mai definitivamente conchiusi fra il sovrano e i suoi vassalli e feudatari.
Ben più ricchi di minute notizie, la cui somma costituisce la viva voce delle popolazioni antiche, si presentano i documenti scritti dai giudici a contratto e dai notai che tramandano fatti e vicende di singoli individui e che costituiscono la stragrande maggioranza dei fondi pergamenacei ancora oggi esistenti. Troviamo in essi testimonianze di ogni genere: dalle compravendite di terreni e di animali, alle definizioni di liti, agli accordi in vista dei matrimoni, alle donazioni pro rimedio animae, fino ai testamenti che sono le tracce più evidenti della sensibilità religiosa dei morenti, e anche a tutti gli strumenti con cui è stato possibile lo sviluppo e l’evoluzione di tanti istituti di diritto commerciale. L’elemento nuovo del diritto medievale è la nascita della figura del notaio, sempre affiancato dal “giudice a contratti”, cosa che determina, soprattutto nell’alto Medioevo, una confusione fra documento giudiziario e documento notarile, di cui l’esempio più famoso è il placito di Capua.
Accanto ai documenti afferenti alla società civile, infine, sono pervenuti innumerevoli documenti ecclesiastici e ciò si comprende con il ruolo avuto dalla Chiesa nella società medievale; questi ben testimoniano l’evolversi e il definirsi del diritto canonico: dalle bolle pontificie che definiscono il pontefice episcopus servus servorum dei, corroborate di sigilli di piombo, alle caratteristiche “rote”, dai documenti episcopali, spesso dalla duplice valenza, ecclesiastica e civile, ai documenti abbaziali o del clero regolare, che sono indici di presenze ecclesiastiche lontane dal clero regolare ma altrettanto vive.
La produzione del documento medievale sottintende una realizzazione cospicua di materiali scrittori: fino al secolo VII viene usato il papiro che proveniva dalla Sicilia o dall’Egitto, poi, quando queste vie di comunicazione sono interrotte dall’arrivo degli Arabi, il materiale per eccellenza diviene la pergamena che, derivando da pelli animali, ha alti costi di produzione; solo nel basso Medioevo diviene di uso comune la carta, che prende origine dagli stracci di cotone, diffusa in Europa dagli Amalfitani e poi prodotta in maniera industriale a Fabriano.