Il fenomeno urbano nel mondo fenicio
di Massimo Botto
Tracciare un quadro esaustivo dell'assetto urbano delle città della Fenicia è attualmente difficile, soprattutto a causa dello stato estremamente lacunoso della documentazione. Infatti, nessuno dei grandi siti della regione è stato indagato in modo sistematico per l'epoca in questione, cioè per la civiltà detta "fenicia", che in termini di cronologia assoluta si colloca fra il XII e il III sec. a.C. Al riguardo le motivazioni sono di diversa natura: innanzitutto i luoghi dove sorsero le città fenicie risultano spesso frequentati senza soluzione di continuità sino ai giorni nostri, per cui l'indagine archeologica è resa impossibile dalla presenza delle strutture moderne; inoltre, dove è stato possibile scavare, la ridotta estensione della superficie indagata non ha quasi mai permesso di raccogliere dati sufficientemente articolati per esprimere pertinenti considerazioni di ordine urbanistico. In proposito andrà segnalata la situazione di Tiro, dove gli scavi condotti da P.M. Bikai hanno fornito un'ingente quantità di elementi sulla cultura materiale del sito a partire dal Bronzo Antico, ma per le ridotte dimensioni del sondaggio (150 m²) hanno aggiunto solo scarni elementi alle notizie che si possedevano sulla struttura dell'abitato. Nonostante queste oggettive difficoltà, alcuni dati emergono dallo studio topografico degli insediamenti, dalle fonti storiche e iconografiche ed infine dai pochi ma pur significativi resoconti di scavo provenienti da siti di minore rilevanza storica, preservatisi dalle devastazioni operate dalle civiltà che si succedettero nella regione dopo le imprese di Alessandro Magno. Innanzitutto andrà osservato che la Fenicia non fu mai un'entità politica centralizzata, ma un insieme di cittàstato con una comune identità culturale, nelle quali si parlava e si scriveva la stessa lingua. Tali metropoli, inoltre, risultano tutte proiettate sul mare, dal momento che le imponenti catene dei monti del Libano e dell'Antilibano che corrono parallele alla costa rendono difficoltosi i collegamenti con le regioni interne, favorendo le relazioni marittime. Di conseguenza, le principali città della Fenicia si dispongono prevalentemente su promontori allungati sul mare, possibilmente muniti di ripari naturali in grado di alloggiarne i porti. I Fenici approfittarono anche della presenza di isolotti prospicienti il litorale per fondare le proprie città: quest'ultima situazione è documentata per Tiro e per Arado. Attualmente Tiro è collegata alla terraferma da una lingua di terra formata dai detriti che si sono accumulati ai lati del terrapieno fatto costruire da Alessandro Magno durante l'assedio della città, nel 332 a.C.; in origine, tuttavia, l'insediamento sorgeva su due isolotti uniti fra loro durante il regno di Hiram I, che intendeva in tal modo ampliare la città. Studi recenti hanno calcolato che l'isola di Tiro doveva avere un'ampiezza intorno ai 700-750 m, il che corrisponderebbe ad una superficie dell'abitato di circa 53 ha. In proposito è stato stimato che la popolazione doveva raggiungere i 30.000 abitanti, cifra destinata a salire in tempo di guerra, quando l'isola accoglieva, come apprendiamo dalle fonti classiche (Arr., II, 20, 10), i rifugiati della "Tiro antica", situata sulla terraferma. Quest'ultimo insediamento, da localizzarsi verosimilmente presso il moderno villaggio di Tell er-Rashidiye, 4 km più a sud, dovette funzionare sino alla definitiva distruzione, operata dagli eserciti di Nabucodonosor, come centro satellite dell'insediamento insulare adibito al rifornimento di acqua potabile e al controllo delle fertili terre disposte a sud del regno in direzione di Akhziv. Per quel che concerne la Tiro insulare, le fonti storiche fanno riferimento a due porti: uno naturale, l'altro artificiale. Il primo, inglobato all'interno delle mura cittadine, era denominato "sidonio", perché collocato a settentrione in direzione di Sidone; il secondo, invece, era detto "egiziano" essendo orientato verso l'Africa. I due porti risultano collegati fra di loro da un canale che attraversava l'abitato, particolarità questa che avvicina notevolmente l'urbanistica della metropoli fenicia a quella di Cadice. Recenti scavi condotti da M.E. Aubet hanno portato all'individuazione di una delle necropoli della città durante l'età del Ferro; l'area indagata si situa sull'antistante terraferma ad oriente della necropoli romano-bizantina, a conferma che all'interno del mondo fenicio lo spazio riservato ai defunti era nettamente distinto dall'abitato. Alcuni interessanti dati relativi all'impianto urbano di Tiro provengono dalla documentazione iconografica assira. Ad esempio, nella raffigurazione più antica della città, relativa ad un bassorilievo delle porte bronzee di Balawat (metà del IX sec. a.C.), Tiro appare su un'isola rocciosa fortificata da alte mura merlate intervallate da torri: le due porte che si aprono nella cinta fortificata potrebbero costituire gli accessi ai rispettivi porti. Su un successivo bassorilievo di pietra rinvenuto nel palazzo di Sargon II (721-705 a.C.) a Khorsabad, è rappresentata una scena marittima in cui le tipiche imbarcazioni fenicie, ben distinguibili dalle prue con testa di cavallo, trasportano enormi tronchi di cedro. Sullo sfondo sono visibili due isole in prossimità della costa: quella di destra raffigura la città di Tiro, mentre quella di sinistra la città di Arado. Tiro appare anche in questo caso protetta da imponenti fortificazioni; all'interno si possono vedere i suoi tre principali templi fatti costruire da Hiram e dedicati a Melqart, ad Astarte e a Baal Shamim. Dal bassorilievo del palazzo di Sennacherib (705-681 a.C.) a Ninive, infine, è possibile ricostruire la fuga del re Luli dalla città. Gli avvenimenti si riferiscono all'assedio portato al centro fenicio dagli eserciti assiri nel 701 a.C.: in pericolo di vita il re viene imbarcato con tutta la sua famiglia su una nave che lo condurrà in esilio nell'isola di Cipro. Sullo sfondo appare Tiro: al di sopra delle mura cittadine si staglia un importante edificio, munito di cornicione, la cui entrata principale risulta fiancheggiata da due colonne terminanti con capitelli a volute. È probabile che si tratti della rappresentazione del tempio del dio Melqart con le sue colonne di oro e smeraldi, così come ci viene descritto da Erodoto (II, 44). Arado, la più settentrionale delle grandi città fenicie, sorse su un isolotto del diametro di appena 1500 m, collocato a circa 2,5 km dalla linea di costa. Vista la limitatezza della superficie edificabile le case di Arado, come quelle di Tiro, erano costruite su più piani, come apprendiamo dalle fonti classiche (Strab., XVI, 2, 13). Purtroppo a causa delle successive sovrapposizioni nulla conosciamo della città del I millennio a.C., ad eccezione di parte del tracciato difensivo, costruito con blocchi di pietra di grandi dimensioni, e di alcuni elementi architettonici provenienti verosimilmente da un importante edificio del V-IV sec. a.C.; le ricerche subacquee inoltre hanno portato all'individuazione dei porti collocati nelle insenature dell'isola, le cui strutture tuttavia sono successive all'epoca fenicia. Analogamente a Tiro, anche Arado aveva un centro satellite sulla terraferma localizzato a Tartous (Antarados), mentre poco più a sud gli scavi francesi hanno messo in evidenza il grande centro religioso di Amrit (Marathos), che conobbe il suo apogeo durante il periodo persiano e fu abbandonato alla fine del IV sec. a.C. Passando alle città disposte su promontori una delle più importanti è senza dubbio Sidone, ubicata su una breve lingua di terra proiettata sul mare costellata da una serie di isolette che la proteggono dalla violenza delle onde; due modesti corsi d'acqua, el-Kamlé ed el- Barghout, scorrono rispettivamente a nord e a sud dell'insediamento. Sidone fu abitata a partire dal IV millennio a.C.; per quel che concerne la struttura dell'insediamento in epoca fenicia, l'acropoli era collocata molto verosimilmente sul promontorio attualmente occupato dal castello crociato detto "di San Luigi", in prossimità del porto sud. Proprio in quest'area gli scavi condotti agli inizi del Novecento da G. Contenau hanno portato all'individuazione di un quartiere industriale riservato alla tintura dei tessuti. L'importanza di tale attività per l'economia del centro è testimoniata dal fatto che il cumulo di gusci di conchiglie utilizzati nella lavorazione presentava un'altezza di 40 m circa. A parte i materiali provenienti dagli scavi sistematici condotti dai Francesi, che però furono interrotti con l'inizio della prima guerra mondiale, da Sidone provengono, grazie a scoperte fortuite, una base di colonna e un capitello a doppia protome taurina che attestano la presenza durante il periodo persiano di un importante edificio sede, verosimilmente, del governatore dei re achemenidi; il dato è di grande interesse e si integra con la notizia dello storico greco Diodoro Siculo, vissuto nel I sec. a.C., che ci informa che i re persiani fecero costruire nella città fenicia un grande parco reale (paradeisos) per i propri svaghi. Alle spalle di Sidone, sulle colline che si dispongono a semicerchio intorno ad essa si trovano numerose necropoli indagate a partire dall'Ottocento. Fra queste spiccano per importanza quelle reali, dove furono rinvenuti numerosi sarcofagi sia di stile egiziano sia di tipo greco. Infine, a poca distanza dalla città presso la località di Bostan esh-Sheikh, lungo il fianco sud della valle del fiume Nahr el-Awali, si distende su terrazze disposte a vari livelli il tempio dedicato al dio Eshmunn in funzione a partire dalla fine del VII sec. a.C. Passando a Biblo, sicuramente uno dei centri più conosciuti di tutto il Paese, andrà osservato che rispetto ai dati relativi al III e II millennio a.C. le indicazioni per la città di I millennio a.C. sono estremamente scarse. Essa comunque doveva insistere sui precedenti insediamenti dell'età del Bronzo disposti su un promontorio di forma grosso modo circolare composto da due colline divise da una depressione. Questo spazio, al cui centro venne costruito fra la fine del IV e gli inizi del III millennio a.C. un pozzo che doveva captare le acque che scorrevano alla base delle alture, fu completamente fortificato. È stato calcolato che lo spazio incluso nella cinta muraria non supera i 5 ha; tale superficie risulta alquanto limitata e induce a ritenere che le mura dovessero difendere solo la parte della città destinata agli edifici pubblici e di carattere religioso, mentre il resto dell'abitato doveva svilupparsi in direzione del mare e in corrispondenza del porto, da collocarsi verosimilmente sotto quello moderno. Il centro fenicio meglio indagato è comunque quello di Sarepta, oggetto di sistematiche campagne di scavo da parte di J. Pritchard nel periodo compreso fra il 1969 e il 1974. Situato vicino a Sidone, su un'altura alta circa 100 m s.l.m. che domina un'ampia e profonda baia particolarmente favorevole ad alloggiare un porto, l'insediamento risulta frequentato a partire dal Bronzo Recente (1550 a.C. ca.). La fase di massima fioritura di Sarepta si situa comunque fra il IX e la metà del VII sec. a.C. In questo periodo la città si specializzò nella produzione della caratteristica ceramica a vernice rossa (red-slip) esportata lungo tutta la costa levantina. Gli scavi hanno messo in luce un vero e proprio quartiere industriale: su una superficie di 20 × 40 m sono stati individuati accanto a numerosi forni da vasaio, spazi riservati alla produzione dell'olio d'oliva, zone per la manifattura e la tintura della porpora e aree destinate alla lavorazione del rame. Mentre mancano ancora da scavare ampi settori dell'abitato importanti, indagini sono state condotte nel porto settentrionale e in una delle aree sacre della città sede del santuario dedicato alla dea Tinnit-Astarte, in funzione durante l'VIII e il VII sec. a.C.
Nonostante la forte proiezione marittima delle più importanti città della Fenicia, ugualmente sviluppato risulta il rapporto con il territorio circostante, fonte di ingenti ricchezze. I testi orientali fanno riferimento in diverse circostanze alle pressanti richieste rivolte ai re fenici da parte dell'Egitto e dei grandi imperi mesopotamici per accaparrarsi le forniture del pregiato legno di cedro destinato alla costruzione di templi e palazzi. Il controllo delle montagne era quindi fondamentale per assicurarsi questo bene prezioso, ma anche per lo sviluppo di altre attività legate allo sfruttamento delle aree minerarie e alla pastorizia. La ricchezza di acque favoriva inoltre l'agricoltura, attuata nelle fertili pianure alle spalle delle metropoli. Data l'esiguità dei terreni coltivabili, disposti nell'area compresa fra la linea di costa e le catene montuose, e non sempre in grado di soddisfare le esigenze della popolazione cittadina, la politica economica delle città-stato fenicie fu molte volte rivolta all'acquisizione di derrate alimentari dai Paesi limitrofi. Nella consapevolezza di tale situazione, inoltre, i sovrani delle maggiori città della Fenicia cercarono in più occasioni di ampliare i propri territori in modo da garantirsi il controllo di zone coltivabili e ovviare in tal modo ai pressanti problemi di deficit alimentare. Purtroppo sino ad oggi poco spazio è stato dato alle ricognizioni di superficie: l'unica eccezione in proposito si riferisce all'analisi di J.-P. Rey-Coquais sul territorio di Arado, a partire, tuttavia, dal periodo greco. Riguardo all'estensione dei regni fenici, quindi, gli unici dati attendibili provengono dalle fonti storiche, in particolare da quelle assire e da quelle relative al periodo persiano. Le prime fanno riferimento alle forti riduzioni territoriali operate a danno dei centri fenici dagli eserciti assiri a partire dal regno di Tiglatpileser III (745-727 a.C.), le seconde si soffermano sulle concessioni fatte dai re achemenidi soprattutto a Sidone, all'epoca la più importante delle città-stato fenicie. Al riguardo andrà ricordato che Serse I donò al re Eshmunazor II, in cambio della sua collaborazione nelle imprese militari contro la Grecia, la piana di Saron dal Monte Carmelo sino alle città di Dor e Giaffa.
H. Frost, The Off-shore Island Harbour at Sidon and Other Phoenician Sites in the Light of New Dating Evidence, in IntJNautA, 2 (1973), pp. 75-94; J.-P. Rey-Coquais, Arados et sa pérée aux époques grecque, romaine et byzantine, Paris 1974; J.B. Pritchard, Recovering Sarepta, a Phoenician City, Princeton 1978; J. Elay, Sidon, cité autonome de l 'empire perse, Paris 1989; E. Lipiński, The Territory of Tyre and the Tribe of Asher, in Studia Phoenicia XI, Leuven 1991, pp. 153-66; P.M. Bikai, The Site, in Tyr et la formation des civilisations méditerranéennes, Paris 1992, pp. 67-85; M. Yon - A. Caubet, Arouad et Amrit, VIIIe - Ier s. av. J.-C. Documents, in Transeuphratène, 6 (1993), pp. 47-67; J.-C. Margueron, L'urbanisme de Byblos: certitudes et problèmes, in E. Acquaro et al. (edd.), Biblo. Una città e la sua cultura, Roma 1994, pp. 13-35; N. Jidejian, Sidon à travers les âges, Beyrouth 1995; M. Yon, Vie des cités et urbanisme partim Orient, in V. Krings (ed.), La civilisation phénicienne et punique. Manuel de recherche, Leiden - New York - Köln 1995, pp. 362-69; M. Gras - P. Rouillard - J. Teixidor, L'universo fenicio, Torino 2000 (trad. it.), pp. 33-55.
di Sandro Filippo Bondì
Con il termine mondo fenicio d'Occidente s'intende il tessuto delle colonie costituite nel bacino del Mediterraneo tra Malta e la Penisola Iberica a partire dall'VIII sec. a.C. Gli studi al riguardo, pur confrontandosi spesso con la tematica dell'urbanizzazione e delle strutture cittadine, si sono occupati in prevalenza di aspetti per così dire estrinseci del problema: il dibattito sui caratteri topografici dei centri impiantati dai Fenici e sulle funzioni che essi furono chiamati a ricoprire nel quadro dell'espansione mediterranea ‒ e in specie per il controllo delle rotte ‒ ha prevalso sulle riflessioni relative al ruolo delle città nel quadro dei rapporti con le genti indigene e sulla stessa organizzazione interna degli abitati. Questo stato di cose deriva dal fatto che solo negli anni recenti si sono conseguite adeguate conoscenze sui caratteri dei centri urbani della prima età coloniale e dall'insistenza, talora acritica, con cui si è posto l'accento sul carattere commerciale dell'espansione fenicia, cosicché un'importanza forse eccessiva è stata conferita al ruolo di punto di controllo sulle traversate mediterranee delle colonie d'Occidente. A questo riguardo, solo di recente si è acquisita la consapevolezza che tale funzione, certo non secondaria, non va comunque attribuita indiscriminatamente a tutti i centri fondati dai Fenici in area coloniale; inoltre, grazie soprattutto all'opera di studiosi spagnoli, è stata evidenziata l'importanza delle attività produttive primarie (l'agricoltura, l'allevamento del bestiame) e con essa quella del rapporto con le risorse ambientali, sicché ne sono stati illuminati i temi dell'origine, delle finalità e dello sviluppo dei più precoci insediamenti fenici d'Occidente.
Superata ormai la tesi, il cui più convinto sostenitore fu B. Pace, secondo la quale le più precoci installazioni fenicie furono niente più che punti d'appoggio lungo la traversata, privi per ciò stesso di strutture archeologicamente percepibili, si è recentemente potuto appurare che le prime città fenicie in Occidente costituirono al contrario un elemento culturale non solo autenticamente caratterizzante, ma spesso di dirompente portata innovatrice. La stessa esperienza urbana, infatti, nasce in Nord Africa come in Spagna, nella Sicilia occidentale come nella Sardegna costiera grazie proprio alle fondazioni fenicie; e talora tale esperienza viene prontamente assimilata da fasce etniche limitrofe: ad esempio i casi di "sinecismo" registrati nell'area culturale tartessica (Spagna meridionale) sono stati a buon diritto riportati a un'influenza diretta degli abitati fenici della costa. La creazione delle città fenicie in Occidente, dunque, non potendosi avvalere di modelli locali (tutt'al più, come nel caso di Malta, si potrà parlare di una qualche forma di utilizzazione di agglomerati indigeni preesistenti) si lega indiscutibilmente ai precedenti della madrepatria; e tale connessione è percepibile sia sul piano degli assetti urbanistici, sia su quello delle situazioni morfologiche e topografiche ricorrenti. Fu merito di P. Cintas, quasi mezzo secolo fa, l'individuazione di una serie di elementi ricorrentemente presenti nelle località prescelte dai Fenici per le loro sedi coloniali. A tale insieme di caratteristiche lo studioso francese assegnò la definizione di "paesaggio fenicio", che ebbe molta fortuna nei decenni successivi per indicare aspetti morfologici tipici degl'impianti fenici d'Occidente (spesso peculiari, peraltro, anche degli insediamenti della madrepatria). Più di recente taluni studi dedicati alla ricostruzione dei caratteri topografici e urbanistici delle città fenicie hanno piuttosto evidenziato l'esistenza di modelli, tutti ugualmente tipici delle installazioni fenicie, ma tali da articolare in modo assai più ricco e circostanziato il "paesaggio" individuato da Cintas. Caratteristici degli stanziamenti urbani fenici d'Occidente, dunque, appaiono dal punto di vista topografico la scelta di un'isola a poca distanza dalla terraferma (Rachgoun in Nord Africa, Mozia in Sicilia, Sulcis in Sardegna, Cerro del Villar in Spagna) o addirittura di un arcipelago (Cadice), di un ampio golfo portuoso (Palermo, Cagliari), di un promontorio allungato in mare (Nora, Tharros). A tali requisiti ‒ che, in verità, erano già stati individuati da tempo ‒ si aggiunge adesso, in base ai risultati di ricerche più recenti, la tipologia dell'abitato disposto presso la foce di un fiume, presente in Nord Africa (Utica, Sala, Lixus per limitarci agli esempi più rilevanti), in Sardegna (Santa Maria di Villaputzu, Cuccureddus di Villasimius, Bosa) e soprattutto in Spagna, dove essa caratterizza la maggioranza dei siti andalusi a est dello Stretto di Gibilterra (Villaricos, Almuñécar, Toscanos, Morro de Mezquitilla per citare gl'insediamenti maggiori). La scoperta, soprattutto in Sardegna, di insediamenti fenici di alta antichità (VIII sec. a.C.) collocati su alture interne e comunque in zone non costiere (Monte Sirai, Pani Loriga di Santadi) è un altro dato suscettibile di chiarire al meglio portata e obiettivi degli insediamenti urbani fenici, per i quali va ormai riconosciuta una varietà di funzioni differenziate. Nel caso dell'abitato su una foce fluviale, anzitutto, la presenza di un porto ivi ospitato si addice certamente a centri con tipica vocazione "marinara"; ma insieme il corso del fiume può costituire un'efficace via di penetrazione verso le fasce sub-litoranee, favorendo in tal modo non soltanto le relazioni di commercio con le popolazioni dell'interno, ma anche ‒ come è emerso in particolar modo per centri costieri della Sardegna sud-occidentale e della Spagna meridionale ‒ lo sfruttamento diretto di risorse primarie (ad es., agricoltura nelle piane pedemontane, utilizzazione del patrimonio boschivo, opportunità di impiego delle zone sub-costiere per l'allevamento del bestiame).
Le due tipologie cittadine da ultimo richiamate contribuiscono a definire con maggiore chiarezza le caratteristiche fondamentali dei centri fenici d'Occidente: nella misura in cui si svincolano dall'esclusiva prospettiva dei traffici marittimi per mostrare un accentuato radicamento nel territorio, essi incarnano la complessità degli obiettivi della colonizzazione fenicia, che non può evidentemente essere riportata alle sole finalità del controllo delle rotte mediterranee in funzione dei traffici di lunga distanza (che pure dovettero essere parte rilevante del loro impegno). Per tale motivo già da tempo si è giunti a concludere che nelle più precoci fondazioni fenicie dell'Occidente mediterraneo si possono riconoscere categorie distinte in base proprio alle funzioni che esse erano chiamate a ricoprire e alle relazioni con il territorio e con le genti indigene. Alcune di tali città mantengono in effetti un sostanziale ruolo di punti di tappa lungo la traversata e sono sovente caratterizzate da una modesta base demografica e talora da una reale coabitazione con elementi locali: i casi di Malta, dove per molto tempo i Fenici rinunciano a costituire propri insediamenti fruendo di quelli indigeni, e di Mozia, ove è ben percepibile in base al repertorio ceramico la presenza di nuclei di locali accanto ai colonizzatori fenici, sono in questo senso assai indicativi. Altrove la maggiore consistenza degli abitati, l'esistenza alle spalle della città di una fascia potenzialmente sfruttabile per attività produttive differenziate, la sostanziale "separatezza" tra Fenici e indigeni che suggerisce una volontà di utilizzazione in esclusiva delle zone costiere prescelte indicano un più accentuato impegno anche in direzione delle risorse del territorio. In tali casi (tra i quali si potranno indicare alcuni esempi rappresentativi come quelli di Palermo, di Cagliari e di Tharros nelle isole italiane) non sarà improprio usare la definizione di "colonia di popolamento". Il rapporto tra i centri fondati dai Fenici e la morfologia dei luoghi da loro prescelti è un altro tema che è giunto a maturazione negli ultimi tempi: sono infatti stati enucleati ulteriori elementi specifici delle città fenicie d'Occidente, talora contraddicendo convinzioni da tempo radicate. A lungo si è pensato che la città fenicia, nella sua organizzazione urbanistica, fosse caratterizzata dal binomio porto-città bassa. Nella sostanza si indicava nelle zone litoranee il luogo di elezione per il primo sviluppo degli abitati coloniali. Le indagini archeologiche degli ultimi decenni hanno consentito di modificare tale giudizio, rivelando l'esistenza di un criterio maggioritariamente applicato: quello dell'installazione degli abitati fenici in aree limitatamente elevate, sfruttando le pendici delle alture litoranee, poste in genere su una linea alquanto arretrata rispetto alla costa. Il dato è riconoscibile in una serie di importanti città fenicie d'Occidente, da Cartagine ‒ dove le pendici di Byrsa ospitano l'abitato dell'VIII secolo da poco messo in luce ‒ a Sulcis (area cd. del Cronicario), da Cagliari (settore di via Brenta) a vari insediamenti iberici (Toscanos, Morro de Mezquitilla, Castillo de Doña Blanca). Emerge quindi, fin dalle origini, un'articolazione topografica complessa delle città coloniali, nelle quali un criterio ricorrente è quello dell'utilizzo a scopo abitativo dei luoghi naturalmente forti (l'esistenza, da poco comprovata, a Nora di materiali assai arcaici sull'altura del Coltellazzo lascia intendere una situazione analoga anche per questa colonia, dove peraltro l'individuazione di un arcaico "quartiere a mare" rende la situazione più variegata).
Nell'ambito degli elementi sin qui richiamati, tanto ricorrenti da suggerire l'esistenza di un'autentica "specificità fenicia", le città d'Occidente si caratterizzano anche per un insieme di elementi interni, che pure contribuiscono a dotare il tessuto coloniale fenicio di proprie peculiarità, nonostante la nostra conoscenza degli abitati arcaici dell'area occidentale sia allo stato attuale ancora limitata. Anzitutto non è difficile riconoscere l'esistenza di necropoli in posizione marginale rispetto alle aree abitative oppure di zone elevate ("acropoli") che sono in grado di ospitare strutture pubbliche o di difesa (si pensi, in Sardegna, al cd. "alto luogo" di Tanit a Nora, al mastio di Monte Sirai e al magazzino di Toscanos); ma certamente non si tratta di caratteri riportabili in esclusiva al mondo fenicio d'Occidente. Tale è invece, già a partire dall'VIII sec. a.C., la presenza del tofet ‒ il santuario destinato a ospitare i resti incinerati di fanciulli ‒ tipica dei soli insediamenti più consistenti in Nord Africa, in Sicilia e in Sardegna (la loro assenza a Malta e nella Penisola Iberica non è stata ancora spiegata in modo sufficientemente attendibile). L'area sacra, oltretutto, si dispone costantemente in posizione periferica rispetto alla città a cui afferisce e, con poche eccezioni, viene collocata verso nord. Quanto alle necropoli, un dato notevolmente caratterizzante, nel caso di insediamenti posti alla foce di un fiume, è la loro collocazione dalla parte opposta del corso d'acqua rispetto all'abitato: è una situazione che ricorre in molti siti dell'Andalusia orientale (Toscanos, Morro de Mezquitilla, Chorreras, Almuñecar) e la sua pertinenza a un orizzonte fenicio è comprovata dall'analoga soluzione adottata in madrepatria per le necropoli di Tiro. Un altro elemento di notevole interesse, laddove noto, è quello della dislocazione dei quartieri industriali o produttivi: anche qui il criterio ricorrente è quello della perifericità, del resto mutuato dall'Oriente fenicio (si pensi all'organizzazione urbanistica di Sarepta). I dati più significativi sembrano in proposito quelli restituiti da Cartagine, con la collocazione degli ateliers metallurgici e di quelli per la produzione della ceramica in settori marginali della collina di Byrsa, rispettivamente a sud e a nord dei quartieri abitativi. Ugualmente a Mozia le attività produttive sembrano, almeno inizialmente, addensarsi nella parte settentrionale dell'isola, dove gli scavi hanno riportato alla luce una vera e propria area industriale. Il più recente dato relativo alla collocazione degl'impianti produttivi è infine fornito da Cerro del Villar, presso Malaga, dove gli scavi degli ultimi anni hanno permesso di individuare un'autentica "cintura industriale" sui margini dell'isolotto che, di fronte alla foce del rio Guadalhorce, ospitava l'antica colonia fenicia (e che ora è riunito alla terraferma). Non sembra invece tipica delle più antiche fondazioni fenicie d'Occidente la presenza di fortificazioni cittadine: talora ‒ come è stato ipotizzato per Toscanos ‒ si può ritenere che vi fosse una qualche forma di difesa stabile, ma in genere si deve notare che le colonie impiantate dai Fenici mancano di apprestamenti fortificati: la città fenicia in Occidente nasce priva di mura, mentre l'erezione di difese cittadine anche di forte impegno strutturale sarà uno degli aspetti più rilevanti dell'azione di Cartagine allorché, nella prima metà del IV sec. a.C., porterà a compimento l'opera di sottomissione delle antiche colonie, dando luogo, in Nord Africa nelle maggiori isole italiane e nella Penisola Iberica, a un dominio politico e militare senza precedenti in questa parte del Mediterraneo.
P. Cintas, Contribution à l'étude de l'expansion carthaginoise au Maroc, Paris 1954; B.S.J. Isserlin, Some Common Features in Phoenician/Punic Town Planning, in RStFen, 1 (1973), pp. 135-52; S.F. Bondì, L'urbanistica e l'architettura, in S. Moscati (ed.), I Fenici (Catalogo della mostra), Milano 1988, pp. 248-83; E. Acquaro - M.E. Aubet - M.H. Fantar, Insediamenti fenici e punici nel Mediterraneo occidentale, Roma 1993; M.E. Aubet, Tiro y las colonias fenicias de Occidente, Barcelona 1994, pp. 188-299; S.F. Bondì, Le fondazioni fenicie d'Occidente: aspetti topografici e strutturali, in S. Mazzoni (ed.), Nuove fondazioni nel Vicino Oriente antico: realtà e ideologia, Pisa 1994, pp. 357-68; S. Lancel, Vie des cités et urbanisme partim Occident, in V. Krings (ed.), La civilisation phénicienne et punique. Manuel de recherche, Leiden - New York - Köln 1995, pp. 370-88; Id., Architecture militaire, civile et domestique partim Occident, ibid., pp. 397-410.
di Massimo Botto
Alcuni dati recentemente acquisiti dall'indagine archeologica risultano di particolare interesse per la comprensione del fenomeno coloniale fenicio nel Mediterraneo centro-occidentale e, conseguentemente, per un migliore inquadramento del rapporto fra colonia e territorio circostante. In precedenza, infatti, gran parte degli specialisti era concorde nell'attribuire alla colonizzazione fenicia una valenza quasi esclusivamente commerciale, in antitesi con la colonizzazione greca motivata da fenomeni di sovrappopolamento e deficit alimentare. Attualmente, invece, le linee di ricerca più accreditate tendono ad avvicinare le due iniziative, mettendo in evidenza i cambiamenti climatici che colpirono l'area siro-palestinese durante l'età del Ferro. Tali cambiamenti portarono nel volgere di pochi secoli ad una drastica riduzione delle terre coltivabili e, uniti ad un crescente aumento della popolazione, provocarono una progressiva crisi alimentare. Il fenomeno, infine, dovette aggravarsi, fra la seconda metà dell'VIII e gli inizi del VII sec. a.C., con la conquista assira della Fenicia, che danneggiò e ridusse ulteriormente i terreni messi a coltura. Per questo motivo la popolazione che partecipò al fenomeno coloniale non fu solo mercantile, ma anche e soprattutto rurale. Fra i primi insediamenti fenici di Occidente vennero quindi fondati sia scali caratterizzati da una forte vocazione commerciale sia centri di popolamento e di coltivazione agricola. Tale stato di cose trova puntuale riscontro nelle indagini condotte nella Penisola Iberica, dove le colonie che si dispongono ad occidente dello Stretto di Gibilterra (Cadice, Castillo de Doña Blanca, Huelva) devono gran parte della loro prosperità al commercio di metalli con l'elemento tartessico, mentre gli insediamenti ad oriente dello stretto (Cerro del Villar, Toscanos, Morro de Mezquitilla, Chorreras, Almuñecar, ecc.) basano le loro ricchezze prevalentemente sullo sfruttamento del territorio circostante. Appuntando l'attenzione sui centri dell'Andalusia orientale andrà innanzitutto osservato che essi sono collocati alla foce dei numerosi fiumi che dalla Cordillera Penibética raggiungono il Mediterraneo; gli insediamenti si trovano in corrispondenza di ampie e fertili pianure, non lontano dai rilievi montuosi che corrono paralleli alla linea di costa ad una distanza di circa 20 km. Tale favorevole situazione permise lo sviluppo di un'intensa attività agropastorale gestita direttamente dall'elemento fenicio, sfruttando mano d'opera indigena proveniente dall'hinterland. Questa è la situazione che traspare dagli studi su Toscanos, attualmente una delle colonie meglio indagate della regione, dove è stata rinvenuta ceramica lavorata a mano di tradizione indigena attribuita alla popolazione del vicino villaggio di Cerca Niebla. Il fenomeno, tuttavia, è documentato anche in altri insediamenti come Cerro del Villar, Morro de Mezquitilla, Casa de Montilla e Almuñecar. Le indagini hanno messo in evidenza come nell'area di più intensa colonizzazione fenicia la popolazione locale risulti debolmente attestata, confermando una tendenza riscontrabile anche in Sardegna, motivata dall'esigenza di non avere in prossimità dei primi insediamenti comunità fortemente radicate sul territorio e militarmente ben organizzate. Da studi condotti sul territorio è stato possibile stabilire la superficie di terreno destinata all'agricoltura intensiva per ogni colonia. La somma complessiva dei territori coltivabili degli insediamenti disposti ad oriente dello Stretto di Gibilterra è stata stimata intorno ai 110 km², cifra che risulta nettamente superiore a quella calcolata per i centri di madrepatria. Ampio sviluppo dovette avere poi l'agricoltura estensiva con la coltivazione dell'ulivo e della vite, conosciuti allo stato silvestre nella regione sin dal periodo neolitico, ma domesticati solo con l'arrivo dei Fenici. Al riguardo andrà osservato che il termine Kotinoussa dato dai Greci a Cadice si riferisce all'abbondanza degli olivi disposti tutto intorno alla baia al centro della quale sorgeva la città. Allo stesso modo la grande quantità di contenitori da trasporto e da stoccaggio rinvenuta negli insediamenti fenici presuppone un'eccedenza di beni alimentari (cereali, olio, vino e pesce sotto sale) destinata alla commercializzazione su ampia scala. Infine, anche la pastorizia e l'allevamento dovettero avere notevole impulso, come testimoniato dagli studi sui resti di pasto condotti a Toscanos e a Huelva, che documentano un consumo preponderante di ovicaprini e bovini. Tali attività si intensificarono notevolmente nel corso del VII sec. a.C. sia per l'arrivo massiccio di coloni dalla Fenicia, a seguito dell'invasione assira, sia per l'avvenuta integrazione di parte della popolazione locale con i nuovi venuti. È stato calcolato che nei 19 insediamenti in funzione in questo periodo nella Penisola Iberica vivevano circa 10.000 individui e che nel secolo successivo la cifra doveva raggiungere le 13.000 unità. Passando alla Sardegna, gli studi recenti hanno enucleato due regioni in cui la presenza fenicia sul territorio risulta particolarmente accentuata sin dalle fasi iniziali della colonizzazione: si tratta delle zone del Sulcis, nella parte sud-occidentale dell'isola, e del Sinis, sulla costa occidentale in corrispondenza del Golfo di Oristano. Nel primo caso la fondazione di Sulcis sull'Isola di Sant'Antioco, intorno alla metà dell'VIII sec. a.C., sembrerebbe rientrare all'interno di una precisa logica di controllo territoriale, con la creazione nello stesso periodo di altri insediamenti. Sull'antistante costa sarda, di fronte alla vicina Isola di San Pietro, è stata recentemente individuata in località San Giorgio di Portoscuso una necropoli fenicia ad incinerazione, con tombe databili fra il 770 e il 750 a.C., riferibile ad un insediamento di cui è stata postulata la collocazione nel tratto costiero compreso fra Porto Vesme e Porto Sa Linna. L'anonimo centro, che si trova in un'area in cui il popolamento indigeno nella prima età del Ferro risulta del tutto sporadico, dista dal più interno insediamento di Monte Sirai circa 7 km. Recenti scavi hanno permesso di rialzare la fondazione di quest'ultimo sito dal VII a poco dopo la metà dell'VIII sec. a.C., dimostrando un precoce interessamento fenicio per il controllo delle vie di collegamento con le più interne aree minerarie dell'Iglesiente. In seguito tale controllo sarà completato con la fondazione, nell'ultimo quarto del VII sec. a.C., di Pani Loriga, insediamento posto alla base dei passi di Campanasissa e di San Pantaleo, che conducevano rispettivamente a nord verso il Cixerri orientale e a nord-est verso il basso Campidano. Per quel che concerne il Sinis andrà osservato che nella parte occidentale del Golfo di Oristano vennero fondate nella seconda metà dell'VIII sec. a.C. le colonie di Othoca e di Tharros. I contatti con le popolazioni locali che presidiavano il territorio interno furono subito molto intensi, come risulta sia dai materiali nuragici messi in luce nelle tombe tharrensi sia dal torcere bronzeo di produzione cipriota rinvenuto nel complesso nuragico di s'Urachi di San Vero Milis (seconda metà VIII - inizi VII sec. a.C.). Quest'ultima testimonianza inoltre non appare isolata, poiché dall'abitato e dalla vicina necropoli ad incinerazione provengono numerosi materiali fittili fenici che si collocano fra la seconda metà del VII e la prima metà del VI sec. a.C. Ulteriori attestazioni di strette relazioni fra l'elemento fenicio e le popolazioni nuragiche provengono dal santuario di Monti Prama; infatti è verosimilmente da imputare a Tharros l'influsso culturale che portò alla creazione della grande statuaria in pietra rinvenuta nel sito. Tuttavia è solo con l'intervento militare in Sardegna di Cartagine, sul finire del VI sec. a.C., che si attua un dominio sulla regione. La politica della metropoli africana nell'isola si caratterizza infatti per un controllo più capillare del territorio, con il prolificarsi di insediamenti rurali nelle fertili pianure del basso Campidano e dell'Oristanese. Nel primo caso segni di tale progetto economico sono la rapida espansione di Cagliari e la creazione di grandi villaggi agricoli nel suo immediato entroterra, di cui attualmente l'esempio più significativo è rappresentato dal sito di Monte Luna. In questo periodo storico nel Golfo di Oristano venne fondata la colonia di Neapolis, mentre nell'interno il controllo territoriale risulta documentato sia da una più diffusa presenza di manufatti punici sia da opere architettoniche, come ad esempio il caposaldo militare di sa Muralla presso Narbolia, per il quale è stata proposta una datazione al V sec. a.C. In Sardegna sono comunque attestati anche insediamenti a vocazione preminentemente commerciale, per i quali il rapporto con il territorio circostante risulta poco sviluppato. Ci si riferisce in particolare ad Olbia e ai centri che si dispongono ad oriente ed occidente del Golfo di Cagliari: nel primo caso andranno segnalati i siti di Cuccureddus di Villasimius e di Santa Maria di Villaputzu, l'antica Sarcapos, nel secondo quelli di Bithia e di Nora, dove recenti prospezioni hanno evidenziato uno sfruttamento territoriale solo a partire dall'avanzato periodo punico. Carattere commerciale doveva avere anche l'insediamento di Mozia, nella cuspide nord-occidentale della Sicilia: fondato sul finire dell'VIII sec. a.C., probabilmente a seguito della chiusura dello Stretto di Messina ai navigli fenici, si configura infatti come uno dei principali scali nella rotta fra Tiro e l'estremo occidente mediterraneo. Il primo nucleo di coloni fenici si stabilì sull'isoletta di San Pantaleo, al centro dello Stagnone di Marsala, in un'area dove sporadiche sono le tracce di una frequentazione indigena per la prima età del Ferro. Recenti studi stanno comunque mutando il carattere delle conoscenze acquisite, evidenziando un precoce interessamento degli abitanti di Mozia per l'antistante costa sicula. Al riguardo particolare interesse riveste la documentazione della necropoli di Birgi, che è stata rialzata alla fine del VII sec. a.C., mentre ricognizioni di superficie attestano la presenza sia di siti rivieraschi che dovevano offrire dei buoni punti di approdo, a volte anche con impianti portuali, sia di insediamenti rurali, alcuni dei quali in funzione molto verosimilmente nel momento di maggiore floridezza della colonia. Un precoce e intenso rapporto con il territorio è sicuramente attestato a Solunto e a Palermo, le altre due colonie fenicie dell'isola. Nel primo caso le ricerche hanno finalmente portato all'identificazione dell'insediamento arcaico collocato sul promontorio di Solunto in un'area ricca di acque e di fertili terreni; l'abitato infatti si trova in prossimità della piana della "Bagharia" decantata dai geografi arabi per la rigogliosa vegetazione e sede di lussureggianti giardini settecenteschi. La scelta del sito comunque sembra rispondere a precise motivazioni di ordine strategico, dal momento che il promontorio di Solunto presidia l'accesso orientale al Golfo di Palermo e allo stesso tempo controlla lo sbocco al mare dei potenti villaggi indigeni disposti lungo il corso dell'Eleutero. I rinvenimenti più arcaici di Solunto sono al momento databili agli inizi del VI sec. a.C., poco dopo le prime testimonianze riferibili a Palermo che si fanno generalmente risalire alla fine del VII sec. a.C. Questi dati uniti alla vicinanza geografica dei due insediamenti presuppongono una precisa strategia di controllo territoriale attuata dai Fenici che si stabilirono nella regione. La fondazione di Solunto risulterebbe quindi funzionale alla difesa di Palermo, collocata al centro di un'area dalle enormi potenzialità agrarie come la Conca d'Oro. Ad eccezione di Cartagine, quasi tutti gli insediamenti fenici fondati sulla costa nordafricana sono da considerarsi come scali nella rotta di collegamento fra Oriente e Occidente. In tal senso andranno interpretati i siti di Leptis Magna in Libia, di Utica in Tunisia e di Mersa Madakh e Rachgoun in Algeria. In Marocco una precoce presenza commerciale fenicia è stata riscontrata nell'area di Tangeri, mentre le fondazioni di Lixus e Mogador, importanti collettori dell'avorio e dell'oro provenienti dalle zone più interne dell'Africa, si devono al forte impulso commerciale sviluppato da Cadice nell'Atlantico nel corso del VII sec. a.C. Le prospezioni condotte intorno a Cartagine hanno evidenziato per le fasi più antiche della città una presenza sporadica sul territorio. Tale atteggiamento mutò radicalmente a partire dal secondo quarto del VI sec. a.C., quando Cartagine diede avvio ad una politica di irradiazione sul suolo nordafricano, a premessa sia della costituzione di uno stato territoriale sia della successiva espansione militare nel Mediterraneo centro-occidentale. Giustino (XVIII, 1-2) infatti afferma che le azioni militari di Malco in Sicilia e in Sardegna, collocabili nella seconda metà del VI sec. a.C., furono precedute da grandiose imprese condotte dallo stesso generale "contro gli Afri". Le moderne indagini archeologiche confermano sostanzialmente le fonti storiche, dal momento che l'assetto difensivo di Capo Bon e le fondazioni di Kerkouane e di Sousse da parte della metropoli nordafricana possono essere senz'altro riportate a questa fase.
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