Il fenomeno urbano nel mondo greco
di Oscar Belvedere
Il dibattito sulla formazione della città nel mondo greco prosegue da molti decenni e non sembra destinato a cessare. L'emergere della polis alla fine di quel periodo comunemente definito "secoli bui" o Dark Age è la conseguenza di un processo culturale, sociale, istituzionale ed economico, che si conclude con la presa di coscienza da parte degli abitanti delle località più progredite e dei distretti più avanzati della Grecia di costituire una unica comunità, la polis appunto, di cui i cittadini sono, come si è detto con felice espressione, gli "azionisti" (Ampolo 1996). La nuova organizzazione politico-istituzionale si esprime a livello territoriale con una nuova organizzazione del centro comunitario, che si configura quindi come centro urbano, forma fisica della nuova polis: la polis come luogo, accanto alla polis come comunità. Nel seguire tale processo di trasformazione, il crescente interesse che la ricerca archeologica ha mostrato a partire dagli anni Sessanta e Settanta per questo problema ha consentito di fare decisivi passi avanti: se prima il fenomeno della formazione della città era oggetto di studio particolarmente da parte degli storici, negli anni successivi hanno partecipato al dibattito anche gli archeologi e i dati archeologici sono entrati a pieno titolo tra gli elementi da valutare. Si è andato delineando, in linea con quanto affermato dalle fonti antiche, in primo luogo Tucidide e Aristotele, il modello "sinecistico". I risultati delle indagini di scavo in molte delle principali località della Grecia (Corinto, Argo, Megara Nisea, Atene, Eretria), sembrano dimostrare che, a partire dalla metà dell'VIII sec. a.C., da un abitato per nuclei sparsi, collocati nei pressi di emergenze significative del paesaggio e lungo percorsi viari ‒ un insediamento per villaggi quindi, ciascuno dotato della propria necropoli ‒ si è progressivamente passati a un abitato addensato, che riserva alle sepolture della comunità aree esterne all'insediamento. In questa trasformazione si è vista la prova fisica del sinecismo tra le diverse comunità rurali, sinecismo che permette l'emergere di un centro civico. Se questo modello si è imposto all'attenzione degli studiosi, anche perché documentato in alcune delle più importanti località della Grecia, ciò non significa che esso sia l'unica tipologia di sviluppo documentata. Innanzitutto va rilevato che non tutti i sinecismi sono uguali, se è vero che si può distinguere tra sinecismi "accentrati" e sinecismi "diffusi" (Musti 1991), ovvero tra i sinecismi di Corinto e Megara da un lato e di Sparta dall'altro, anche se non sempre da un punto di vista archeologico le nostre conoscenze ci permettono di apprezzare sul terreno queste differenze. Inoltre è possibile che in alcune località cretesi, in primo luogo Cnosso, nel passaggio dalla tarda età del Bronzo all'età del Ferro l'insediamento abbia mantenuto il carattere di nucleo accentrato, nettamente separato dalle aree di necropoli, nessuna della quali si trova a meno di 500 m di distanza. Ciò non toglie che, sempre a Creta, sia documentato dalle fonti il sinecismo di Gortina, che sembra essere attestato sul terreno, come ad Argo e Megara, dalla costituzione di una "città bassa". Ma il sinecismo di Gortina va attribuito a una diversa situazione storica dell'area cretese centro-meridionale, dove i centri dell'età del Bronzo sembrano non avere avuto la stessa resistenza di quelli della costa settentrionale. Va segnalata, inoltre, un'altra tipologia di insediamento che, sebbene nota da tempo grazie agli scavi di Zagora di Andros, si è imposta all'attenzione in seguito a ricerche più recenti eseguite a Paro e nelle Cicladi. Si tratta di abitati fortificati, in posizione dominante, che ebbero vita non particolarmente lunga (per ragioni non chiare, forse per un fenomeno di colonizzazione interna, furono abbandonati già alla fine dell'VIII sec. a.C. o poco dopo); generalmente si ritiene che per organizzazione e dimensioni non raggiungessero lo status di centro urbano. Quello che ci preme sottolineare in questa sede è che almeno i principali di essi mostrano con evidenza di essere stati pianificati, come era stato già notato per Vroulià nell'isola di Rodi. Non è, quindi, del tutto esatta l'affermazione che spesso si legge a proposito degli insediamenti coloniali, secondo la quale questi ultimi sono i soli esempi protoarcaici di pianificazione dell'abitato (pur essendo consapevoli della profonda diversità di motivazioni storiche e sociali, che stanno dietro la fondazione di una colonia). Senza dubbio i risultati delle ricerche nelle colonie greche ci permettono di precisare e delineare meglio il quadro che abbiamo finora esposto. Se vogliamo richiamare per l'ennesima volta i versi di Omero nell'Odissea, relativi alla città dei Feaci (VI, 7-10), apparirà chiaro che agli occhi di un greco di età protoarcaica la fondazione ex novo di una polis esigeva la costruzione delle mura, delle case, dei templi e la distribuzione del territorio agricolo, oltre che la delimitazione di un'agorà (VIII, 6-8). L'ecista di una colonia non doveva affrontare il problema del synoikismòs, ma quello della ktisis, cioè della delimitazione, misurazione e assegnazione dello spazio. Gli scavi condotti a Megara Hyblaea, Naxos e Siracusa, Taso e Gela dimostrano che venne delimitata fin dall'inizio un'ampia area urbana, i cui limiti non vennero mai superati, se non nel caso eccezionale della colonia corinzia. Tutta l'area della città, sebbene abbastanza estesa, venne occupata fin dal primo insediamento, naturalmente in forma non intensiva. Essa fu interamente pianificata mediante criteri di suddivisione che non seguivano il principio dell'ortogonalità (fatto che non deve essere considerato una costante della pianificazione più antica, ma che può dipendere dallo stato delle ricerche). I santuari, che seguono terzi, dopo le mura e le case, nell'elenco omerico delle attività dell'ecista, sono distribuiti fin dalle origini in tutta l'area della città, come è evidente nei siti che conosciamo meglio da questo punto di vista, come Gela o Taso. A Megara sono nettamente distinti dalla zona dell'agorà, anche se nell'agorà sono presenti dei luoghi di culto. Le posizioni in cui sono collocati i santuari poliadi sono ben studiate nell'economia dello spazio urbano: a Naxos l'area sacra più antica occupa l'angolo sud-occidentale della città e sembra adeguarsi all'orientamento della lottizzazione entro cui ricade; a Siracusa il santuario di Atena si trova in posizione centrale sulla parte più alta di Ortigia e un punto chiave (sull'istmo che collegava la penisola alla terraferma) occupa anche l'Apollonion, quest'ultimo non lontano, ma comunque nettamente distinto dall'area dell'agorà arcaica, che venne posta in Acradina. Una situazione topograficamente simile è quella di Taranto, dove, come a Siracusa, due santuari sono collocati sulla punta della penisola e sull'istmo e l'agorà si trova sulla terraferma. Similmente, a Taso il culto di Eracle si impiantò nella città bassa, che si incentra sull'agorà e sul porto. A Gela il santuario poliade si trova su una estremità della collina, ben distinta dal resto dell'abitato. La collocazione delle aree sacre, quindi, ubbidisce in primo luogo a criteri di uso razionale dello spazio e di opportunità topografica e non si deve ad altre motivazioni, come la presenza di culti indigeni. Le mura invece non sembrano essere state una delle preoccupazioni degli ecisti delle colonie, sebbene non si possa escludere del tutto la presenza di difese realizzate con materiale deperibile; tuttavia, sembra che esse non contribuiscano alla definizione della città nel momento in cui si costituì la polis. In ogni caso, l'area urbana era ben definita morfologicamente e chiaramente percepibile nei suoi confini, anche perché al di là di essa si collocavano le necropoli. In realtà, a giudicare da quel che sappiamo di Megara in primo luogo, ma anche dalle altre città, le più antiche colonie greche appaiono frutto di una pianificazione complessa, sia dal punto di vista tecnico (data la vastità delle aree lottizzate), sia da quello concettuale. Esse pertanto si configurano fin dalle origini come centri urbani, nei quali le diverse funzioni non soltanto sono nettamente distinte, ma anche razionalmente collocate. Diverso è il problema dell'edilizia monumentale nelle aree pubbliche, che si sviluppò comprensibilmente nel corso del tempo (a Megara, ad es., intorno alla metà del VII sec. a.C.). In questa ottica, anche la fisionomia "rurale" che le città della madrepatria hanno alla fine dell'VIII e agli inizi del VII secolo non significa che queste ultime siano "in ritardo" nel processo di urbanizzazione rispetto alle città coloniali. Quando a Megara Nisea, in un periodo compreso tra il 750 e la fine dell'VIII secolo, si colloca un'agorà in un'area precedentemente destinata a necropoli, o a Dreros intorno al 700 si attrezza uno spazio politico, ovvero ad Atene si costituisce l'agorà arcaica, si compie evidentemente un intervento pianificato e un passo decisivo sulla via dell'urbanizzazione. Senza dubbio la costruzione a Corinto agli inizi del VII sec. a.C. di un edificio templare monumentale marca decisamente in senso urbano il paesaggio e rappresenta l'espressione di una volontà comunitaria ben salda, ma non è un caso che l'area sacra in cui è collocato il tempio si costituisca già alla fine dell'VIII sec. a.C. Se è quindi vero che l'urbanizzazione è un processo di lunga durata, che non si esaurisce nella pianificazione dello spazio, non ci sembra tuttavia del tutto corretto affermare che il passaggio tra la fase preurbana e quella urbana si compia in Grecia solo alla fine del VI sec. a.C., identificando la seconda con la definizione di compiute strutture monumentali (Morris 1991). Del resto, se il carattere sacro dell'area destinata all'heroon dell'ecista, riconosciuto dagli scavatori in un angolo della piazza di Megara Hyblaea, si può fare risalire alla fine dell'VIII o alla prima metà del VII secolo, il significato comunitario e politico dell'agorà di questa colonia appare evidente e ancora una volta trova perfetto parallelo nella Grecia propria, e non solo a Megara Nisea, madrepatria della città siceliota, dove sulla piazza si trovavano le tombe di Orsippo e Corebo (personaggi storici, si noti) oggetto di culto eroico. Il culto eroico e la presenza di un heroon, in associazione con l'agorà, è una costante a partire da questo periodo nelle principali città della Grecia (ad es., a Corinto fin dall'inizio del VII sec. a.C.), anche se non bisogna dimenticare i differenti contesti in cui questi culti ebbero origine e si svilupparono (Malkin 1987). Una fine distinzione operata da R. Martin (1983) tra spazio riservato e spazio costruito ci permette di cogliere bene, ancora una volta, come i caratteri innovativi delle città coloniali coesistano con caratteri propri delle città della madrepatria. Sebbene i limiti della piazza di Megara appaiano ben chiari nel progetto di lottizzazione della colonia, essi furono rispettati con la costruzione di due stoài solamente sui lati nord ed est, mentre sul lato ovest l'area della strada C1 venne acquisita allo spazio politico. Questo lato e quello meridionale presentano, quindi, una dispersione degli edifici, che ricorda quella delle contemporanee agorài della Grecia. Se pertanto è giusto mettere l'accento sulla novità sostanziale del fenomeno coloniale e delle soluzioni adottate, è anche giusto vedere il processo di formazione della polis nei termini di una costante dialettica tra comunità coloniali e comunità della madrepatria. Anche se le poleis coloniali si definirono per separazione, ciò non vuol dire separatezza o isolamento. Si è spesso portato ad esempio della diversità sostanziale tra gli insediamenti coloniali e quelli della Grecia il fatto che nei primi fin dalle origini le necropoli sono poste al di fuori dell'area dell'abitato. È certamente vero e ha grande importanza, ma così i coloni non facevano che portare a compimento un processo di distinzione tra abitato e cimiteri che era già in atto al momento della loro partenza (ad Atene si finisce di seppellire all'interno della città verso il 700 a.C.; a Corinto all'inizio del VII sec. a.C.) ed aveva avuto inizio ben prima della fine dell'VIII sec. a.C. (a Corinto già intorno al 770-750). Anche l'assetto territoriale, in seguito al sinecismo, fu uno dei problemi da risolvere per le comunità della Grecia. Quanto si è detto può dunque aiutare a comprendere che i problemi erano comuni e che le nuove soluzioni adottate nelle città coloniali poterono contribuire ad accelerare il processo di formazione della città nella madrepatria. È solo all'inizio del VI sec. a.C. che compare la pianta urbana ad incroci ortogonali, quella che gli studiosi con termine latino definiscono usualmente per strigas (cioè "a strisce", riferendosi alle dimensioni strette e allungate degli isolati) e che viene comunemente ritenuto il modo usuale dei Greci di pianificare le loro colonie. I casi meglio conosciuti sono quelli di Metaponto, Locri, Elea in Magna Grecia, Selinunte e Agrigento in Sicilia. In tutte si può supporre, sulla base dei risultati delle ricerche, una occupazione a carattere non intensivo, ma diffusa sull'intera area urbana, che appare di notevole estensione. Alcuni percorsi naturali di attraversamento sembrano avere dettato le linee principali e l'orientamento della suddivisione, che aderisce alla morfologia dei luoghi. Locri, Elea ‒ ed anche Caulonia ‒ mostrano un modello di insediamento non dissimile da quello di Taso: un'ampia città bassa, che occupa le pendici collinari digradanti verso il mare, e un perimetro urbano che cinge a monte una serie di colline, coronate da numerosi santuari. Quando, tra gli inizi e la metà del VI secolo, si passò ad un'occupazione del suolo di maggiore intensità e si cominciarono ad attuare programmi di edilizia monumentale, non ci si limitò a "materializzare" le linee della suddivisione iniziale, ma vennero attuati veri e propri piani urbanistici, che dettarono la gerarchia delle strade e l'assetto delle zone funzionali assegnate al momento della fondazione. Programmi urbanistici particolarmente innovativi, come ad esempio quello di Selinunte, non possono non presupporre un potere politico molto forte, probabilmente tirannico, che del resto è attestato in questa colonia dalle fonti storiche. Contemporaneamente, anche in Grecia si deve attribuire ai tiranni una serie di interventi, sia funzionali, volti a dotare le città di servizi pubblici adeguati, sia monumentali. Tra i primi va soprattutto ricordata la costruzione di sistemi di approvvigionamento idrico (acquedotti e fontane); tra gli interventi monumentali ci limitiamo a ricordare la costruzione di edifici templari (come il tempio di Atena Poliàs sull'Acropoli di Atene), talora di impegno così eccezionale che alla caduta dei tiranni rimasero incompiuti, essendo emblematici del loro potere (II tempio di Hera a Samo; tempio di Zeus Olympios ad Atene). Naturalmente dall'attività dei tiranni della madrepatria non ci si possono attendere interventi di piano, volti cioè a regolarizzare l'impianto urbano, che, come si è detto, si era sviluppato lungo le direttrici di collegamento delle varie zone della città, ma la loro politica urbanistica appare senza dubbio di ampio respiro, attenta alla definizione dello spazio privato e pubblico, politico (si pensi all'Agorà di Atene, che da Pisistrato venne sistemata per la prima volta) e sacrale (altari e recinti che ricevono in questo periodo un assetto definitivo), evidentemente in virtù del "segno" che essi imprimevano sul paesaggio urbano. Non va dimenticato, tuttavia, che anche in Grecia sono presenti in età arcaica esempi di pianificazione ortogonale dell'abitato: il più noto è quello di Halieis. La prima metà del V secolo vide in Sicilia la pianificazione ex novo di alcuni centri urbani, diretta conseguenza della politica di sinecismi forzati, espulsione e massacro di intere cittadinanze, ricolonizzazione con nuovi coloni e mercenari, attuata dai Dinomenidi di Siracusa e dagli Emmenidi di Agrigento nel periodo 490-470 a.C. A questi avvenimenti o alla riorganizzazione delle città in seguito alla caduta dei tiranni e al ritorno degli esuli vanno attribuiti i nuovi piani urbanistici di Naxos e Camarina, mentre l'estendersi di Siracusa in Acradina e Neapolis potrebbe essere attribuito al sinecismo di Gelone, che trasferì nella città aretusea gli abitanti di diverse colonie. Caratteri urbanistici simili presenta Napoli, la cui fondazione è stata messa in rapporto con la politica tirrenica di Gerone. Tali caratteri possono essere così riassunti: 1) ripartizione modulare dell'area urbana, con rapporto di 1:4 a Naxos e Camarina e 1:5 a Napoli; 2) rigida articolazione gerarchica della viabilità, tra stenopoi, plateiai secondarie, plateiai principali, la cui ampiezza è determinata in preciso rapporto con il lato corto del modulo; 3) inserimento modulare delle aree pubbliche; 4) occupazione intensiva dello spazio. Si tratta, dunque, di un piano urbanistico modulare, il quale risponde a ben precise esigenze e a una ben precisa concezione della polis, che si considera rifondata per la seconda volta (è questo il senso dei titoli di ecista e di ktistes, assunti in tale occasione dai tiranni), ovvero viene fondata ex novo, come nei casi di Napoli e di Morgantina. Esso da un lato si differenzia dalle piante per strigas di età arcaica, anche se potrebbe essere considerato un coerente sviluppo dell'urbanistica coloniale del VI sec. a.C.; dall'altro va nettamente distinto dalla contemporanea urbanistica pianificata, che Ippodamo da Mileto andava codificando negli stessi anni in Grecia e che venne conosciuta in Occidente tramite la fondazione di Thurii. La nuova Taranto sulla terraferma, programmata e concepita con inusuale ampiezza, sulla base di uno schema di plateiai che delimitano ampie aree rettangolari suddivise in isolati proporzionati da una fitta rete di stenopoi, sembrerebbe rifarsi ai principi urbanistici che la ricerca archeologica ha permesso di rintracciare nella colonia panellenica voluta da Pericle pochi anni prima. Altre più modeste fondazioni dell'Italia meridionale e della Sicilia, come Eraclea e Tindari, sembrano invece muoversi nel solco dell'urbanistica modulare coloniale, anche se filtrata attraverso l'esperienza ippodamea, che detta proporzioni più armoniche del modulo base (1:3 ad Eraclea; 1:2,5 a Tindari). A Ippodamo da Mileto la tradizione antica attribuisce i piani urbanistici del Pireo e di Rodi (per la seconda città senza menzionarne esplicitamente il nome) e i moderni con buone ragioni gli assegnano anche quello di Thurii, sulla base delle fonti che lo definiscono "turio" e che quindi fanno pensare a una sua partecipazione (certo con un ruolo preciso) all'impresa panellenica ateniese, in compagnia di altri qualificati personaggi, come il sofista Protagora e lo storico Erodoto, anch'egli chiamato in seguito Erodoto di Thurii. Nessuna fonte gli attribuisce un ruolo nella ricostruzione di Mileto dopo la fine delle guerre persiane, anche se gli studiosi spesso hanno preferito la cronologia "alta" di Ippodamo, proprio per dargli la possibilità di prendere parte alla stesura del piano della sua città. In realtà basta notare che, anche se Ippodamo non lavorò a Mileto, il patrimonio di idee e di esperienze costituitosi in seguito all'attività di ricostruzione della colonia ionica rimase operante e contribuì certamente a formare il nostro urbanista. Appare quindi superato il problema della cronologia ippodamea, mentre sembra interessante la recente proposta di individuare il tramite tra Ippodamo e Rodi in Dorieo Rodio, esule a Thurii alla fine del V sec. a.C. e turio egli stesso. L'approccio corretto alla figura di Ippodamo di Mileto ci sembra quello di scindere l'urbanista dal teorico della polis. Non si vuole negare l'importanza del pensiero ippodameo sull'organizzazione della città (riferitoci da Aristotele) e ci si rende conto che vi è certamente un nesso tra la struttura sociale della polis concepita da Ippodamo e le realizzazioni sul terreno, ma non è possibile vedere nella pratica urbanistica ippodamea la trasposizione materiale della città ideale. Certamente nell'impresa di Thurii Ippodamo di Mileto appare in qualche modo legato agli ambienti periclei, come Protagora ed Erodoto, ma non è pensabile che per questo il modello ippodameo sia il modello della città democratica, anche se nell'organizzazione delle funzioni, e soprattutto nella gerarchia di esse, l'urbanistica ippodamea si presta ad assicurare un ruolo centrale all'agorà, fatto che potrebbe essere indice di una preminenza delle funzioni politiche, che avevano sede nella piazza (Belvedere 1987). Il procedimento tecnico dell'urbanistica ippodamea si può dunque così riassumere: 1) ripartizione primaria di un'area urbana di ampiezza inusitata in grandi figure geometriche, alla quale è riportata l'ampiezza della rete viaria principale, la cui gerarchia è messa in preciso rapporto con i volumi di traffico che si prevedeva di smaltire, soprattutto in relazione alle attività portuali; 2) ripartizione secondaria in lotti modulari, che indicano la stesura di una rete fitta di strade secondarie al servizio delle aree private e degli isolati abitativi; a tali isolati si danno forme più proporzionate e volumi più coerenti, secondo i modelli estetici e architettonici che si andavano consolidando in quel momento; 3) interesse per i problemi di orientamento e scelta privilegiata per un orientamento a sud; 4) funzionalismo in senso proprio, cioè programmazione del ruolo che ciascuna funzione deve avere e sua collocazione razionale sulla base dei ruoli e delle gerarchie assegnate dal programma, senza dubbio in rapporto con precise esigenze politiche, sociali ed economiche. Nell'attività di Ippodamo di Mileto si può pertanto vedere un tentativo di codificare e di razionalizzare l'assetto urbano, in linea con le tendenze culturali della società greca del V sec. a.C., presenti in primo luogo, ma non solo, nell'architettura. Attraverso Rodi, la pianificazione ippodamea costituì il modello delle nuove città dell'Asia Minore nel secolo seguente e, quindi, delle città ellenistiche. Non è un caso, infatti, che l'urbanista di Alessandria, Dinocrate, fosse egli stesso un rodio. Così i principi dell'urbanistica ippodamea venivano trasmessi al nuovo mondo ellenistico, nel momento stesso in cui erano piegati a fini diversi.
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di Manlio Lilli
Molto sono progredite le nostre conoscenze sugli abitati compresi tra l'XI e il VI sec. a.C. rispetto agli anni Settanta del Novecento, quando lo studio doveva basarsi in gran parte sulle fonti scritte. In questo contesto il ruolo dei poemi omerici, seppure ciascuno con le proprie note caratteristiche, risultava fondamentale per l'età più antica, non limitandosi alla segnalazione dell'esistenza di cinte fortificate oppure di spazi funzionali posizionati in determinate aree dell'abitato o ancora, di assi stradali particolarmente larghi, ma fornendo informazioni ad esempio sul numero degli abitati e sulla loro maggiore o minore importanza (Il., II, 646 ss.; Od., XIX, 174 a proposito di Creta). Invece per quanto riguarda l'VIII e il VII sec. a.C. dati utili per comprendere l'importanza di alcune città della Grecia, nonostante la rilevata genericità, possono essere ricavati interpretando le liste dei vincitori dei giochi olimpici: se ne deduce, ad esempio, che mentre nella prima olimpiade del 776 a.C. sono ricordati come vincitori solamente cittadini dell'Elide, della Messenia e dell'Acaia, alla fine del VII secolo, tutti i Greci ormai partecipavano ai giochi. La realizzazione di scavi sistematici, di non pochi interventi di urgenza (ad es., ad Atene, Asine, Argo), ma anche il riesame dei materiali provenienti da indagini precedenti (ad es. ad Asine), hanno senza dubbio arricchito il quadro conoscitivo sugli abitati di età geometrica ed arcaica, consentendo di accantonare definitivamente la vecchia tesi secondo la quale la storia urbana, anteriormente alla guerra persiana, fosse contrassegnata da esempi di città "caotiche" e "spontanee". Sono stati possibili, da un lato, il riconoscimento di numerosi nuovi abitati, dall'altro, per quelli già noti, puntualizzazioni sulla topografia, sulla presenza di aree funzionali, sulle caratteristiche planimetriche e costruttive di alcune tipologie (abitazioni, santuari), sulla datazione di alcuni edifici ed infine, anche se in maniera più rara, la riconsiderazione della loro cronologia (è il caso di Latò, ricordato spesso nei manuali di urbanistica come un esempio di abitato di VIII-VII sec. a.C. ed invece, recentemente riferito al periodo classico ed ellenistico). La pubblicazione di questi dati, quasi sempre sollecita, è corredata da un apparato illustrativo nella maggior parte dei casi di buon livello, soprattutto per quanto riguarda la documentazione grafica: basti pensare, tralasciando le piante, alle celebri ricostruzioni assonometriche proposte da J.J. Coulton dell'insediamento e di una abitazione di Zagora oppure a quella di E. Akurgal del megaron di Smirne. Questa serie di indagini ha anche permesso una migliore definizione di numerosi altri problemi, alcuni legati ad ambiti regionali, altri alla Grecia nel suo complesso, in una specifica fascia cronologica. Ad esempio è stato messo a fuoco lo sviluppo del Subprotogeometrico dell'Eubea, puntualizzandone le connessioni con la Beozia, la Tessaglia e le Cicladi. Le città dell'Eubea appaiono commercialmente attive nel Vicino Oriente già nella seconda metà del IX sec. a.C.; al fondaco, già noto, di Al-Mina, alla foce dell'Oronte, altri se ne sono aggiunti (Tell Sukas e Ras el-Basit); oppure è stato rilevato come l'interruzione nella continuità di numerosi insediamenti, riscontrata verso la metà dell'XI sec. a.C., in coincidenza con la transizione dalla cultura micenea a quella protogeometrica, in alcuni casi sia più apparente che reale, data la natura non omogenea della documentazione archeologica (il Submiceneo è documentato infatti da corredi funezari, il Tardo Elladico III CI da insediamenti). L'analisi della distribuzione delle varie città note fornisce dati discordanti, restituendo una realtà molto più articolata di quella desumibile dai poemi omerici e solo per grandi linee espressa nella differenziazione tucididea tra "città costruite negli ultimi tempi", poste sul mare e "vecchie città", invece, poste in zone interne (Thuc., I, 7). Per queste età sembrano mancare indirizzi unitari sia nelle scelte insediamentali che in quelle progettuali. La scelta del luogo appare quanto mai differenziata, privilegiando di volta in volta la vicinanza alle antiche cittadelle micenee, la posizione litoranea, quella paralitoranea, promontori, zone interne; indicando come in essa abbiano avuto presumibilmente un'importanza preminente l'osservazione, caso per caso, delle caratteristiche morfologiche, la valutazione delle possibilità economiche che ogni scelta avrebbe comportato e la considerazione dei rapporti politici intrattenuti con gli altri centri. Le piante degli insediamenti generalmente si adeguano alle caratteristiche del sito, sfruttando per quanto possibile la conformazione naturale e ricorrendo solo in determinate circostanze (abitati su altura) alla realizzazione di opere artificiali allo scopo di un migliore utilizzo di determinate aree (muri di terrazzamento). Circa le significative modificazioni che possono apprezzarsi negli impianti di diverse città tra età geometrica ed età arcaica ("città in formazione"), le più frequentemente attestate riguardano una razionalizzazione degli spazi, la loro suddivisione in base alle funzioni e soprattutto la crescente importanza dell'agorà ed il contemporaneo cambiamento funzionale dell'acropoli da cittadella aristocratica a luogo di culto o di difesa comune. Giustamente è stato rilevato come queste modificazioni nell'assetto dei centri urbani debbano essere messe in relazione con gli importanti cambiamenti politici verificatisi in Grecia tra XI e VI sec. a.C., per cui si passò dalla società omerica a quella oligarchica e poi da quella tirannica a quella democratica. Paradigmatico sia dell'incidenza delle strutture politiche nell'organizzazione della città, sia della mancanza di piani organici, è il caso di Atene: può essere quindi utile osservarne alcune caratteristiche per il periodo in questione. Le fonti letterarie sono prodighe di informazioni, descrivendoci, ancora nel III sec. a.C., una città "caotica" con "strade che conducevano alle porte, anguste" (Plut., Pyrrus, 32 ss.). La documentazione archeologica relativa all'arco cronologico compreso tra Protogeometrico e VII sec. a.C., nonostante sia ancora preminente la conoscenza delle necropoli, in particolare di quelle del Ceramico e di quelle dell'area della futura agorà, consente di definire meglio il quadro al quale fanno riferimento le fonti letterarie. Ne emerge una situazione quanto mai articolata, dalla quale tuttavia possono estrapolarsi alcuni "episodi" significativi come, ad esempio, nel Protogeometrico, la presenza di aree nelle quali le sepolture sono alternate ad elementi di abitato (Ceramico interno) e di aree nelle quali sono documentate esclusivamente tombe o necropoli (versante occidentale del Kolonòs Agoraios e parte inferiore delle pendici meridionali dell'Acropoli); oppure, alla fine del VII sec. a.C., l'abbandono degli elementi di abitato sparsi nella città ed in particolare nella zona dell'agorà, ed il contemporaneo sviluppo di nuclei cultuali ai margini di un primitivo tempio di Atena; o, ancora nel medesimo periodo, lo spostamento dell'attività politico-amministrativa dalla sommità dell'Acropoli dedicata a funzione cultuale (Zeus Polieus), alle pendici nord-occidentali (Archaia Agorà o Agorà di Teseo); oppure, attorno al 600 a.C., la monumentalizzazione dell'Acropoli con la costruzione, tra l'altro, di un primo grande tempio con decorazioni frontonali, e la definizione di un nuovo spazio di attività politica per la boulè, con l'impianto dell'Edificio C e più tardi dell'Edificio D. Allargando l'analisi alla regione circostante, il quadro del popolamento risulta certamente più chiaro. Infatti i numerosi rinvenimenti di insediamenti, tra i quali un numero considerevole di età geometrica ed arcaica, sembrano confermare l'informazione fornita da Strabone (IX, I, 16) secondo la quale ai suoi tempi l'Attica contava 174 demi. Resti di abitati geometrici sono stati rinvenuti, ad esempio, a sud della chiesa di Haghios Panteleimon nel territorio dell'antico demo di Aigilià, oppure a Plasì nel territorio di Maratona. Un'area di osservazione privilegiata per comprendere alcune caratteristiche degli abitati di età geometrica ed arcaica, è costituita dall'isola di Creta. Qui, infatti, in coincidenza con un generale incremento demografico si registra un moltiplicarsi degli insediamenti, la cui analisi evidenzia la varietà tipologica che diviene quasi paradigmatica degli abitati del periodo. Celebre è in questo periodo la città di Karphì, le cui caratteristiche a ragione sono frequentemente richiamate per comprendere l'evoluzione della città tra XI e VIII sec. a.C. L'abitato, impiantato in una conca rocciosa, inaccessibile su tre lati, si articola in terrazze, che, tuttavia, a differenza di quelle più recenti di Latò (realizzate con la costruzione di muri in opera poligonale lungo il ciglio esterno delle curve di livello), appaiono più rozze nella costruzione e meno regolari nella forma. Il fulcro è costituito dalla grande abitazione del personaggio politicamente più importante, posta al centro e raggiungibile dalla via pavimentata proveniente da sud: invece manca ancora uno spazio pubblico definito architettonicamente, dal momento che almeno la funzione sembra assicurata dallo slargo che precede la grande abitazione. Informazioni importanti sono fornite anche dall'abitato di Priniàs, posto quasi al centro dell'isola di Creta sulle estreme propaggini orientali della catena dell'Ida. L'insediamento, sorto al centro di un territorio nel quale la frequentazione appare documentata fin dall'età prepalaziale (abitato in località Flega, resti di insediamento con materiali del tipo di Haghios Onouphrios, nell'area della necropoli individuata a 500 m ca. a nord-ovest della Patela), si trova su un ampio pianoro a forma di triangolo (Patela), è datato nella fase iniziale al Tardo Minoico IIIC e si sviluppa ininterrottamente fino alla metà del VI sec. a.C. Anche in questo caso l'andamento scosceso del terreno dovette consigliare almeno lungo il lato nord, dove venne impiantato un complesso di edifici destinati ad abitazione, e soprattutto lungo il lato sud-est, occupato da un altro tratto dell'abitato e da un edificio templare (Tempio C), la realizzazione di alcune terrazze. Sono noti, inoltre, due templi protoarcaici (A e B), all'estremità occidentale dell'abitato. Elementi differenti presenta Thera, la città fondata dagli spartani nel IX sec. a.C., al centro del Mar Egeo. Innanzitutto si trova in posizione paralitoranea, mostrando così la propria vocazione commerciale. Poi, a differenza sia di Karphì che di Latò, si sviluppa su un pianoro di forma oblunga delimitato naturalmente da fianchi particolarmente scoscesi (largo 200 m ca. e lungo 800 m ca.). L'impianto, seguendo le indicazioni dell'orografia, è attraversato nel senso della lunghezza da un asse, il quale, allargandosi al centro della zona abitata, forma l'agorà. Il dato più significativo sembra comunque proporlo l'osservazione della dislocazione dei centri religiosi (tempio di Apollo Carneio, santuario di Apollo Pizio): ne risulta infatti, che essi sono ormai separati dalle abitazioni, indicando così come sia ormai avviato il processo di diversificazione delle funzioni. Di particolare importanza sono gli insediamenti sulle isole di Andros (Zagora, Hypsele) e di Paro (Koukounariès, sul promontorio Kargadoune, sulle colline di Sklevouna e Sarakinika, nella penisola di Oikonomos, sull'isoletta di Philizi), abbandonati alla fine dell'VIII sec. a.C. e non più rioccupati: in entrambi i casi è attestata l'esistenza di numerosi altri insediamenti rispetto a quelli già noti da tempo. A Zagora, la scelta iniziale di impiantare l'abitato su un promontorio naturalmente fortificato sembra indicare ancora una volta l'attenzione per gli aspetti difensivi, ribaditi in questo caso dalla costruzione di una cinta muraria lungo la sella che lo collega con il resto dell'isola. Nel complesso l'abitato, sviluppatosi da vari nuclei indipendenti, appare regolarmente organizzato con gran parte degli edifici orientati secondo l'asse nord-ovest/sud-est. Le mura costituiscono un elemento caratteristico della città geometrica ed uno degli esempi più notevoli di architettura militare di questo periodo in Grecia. Presentano una struttura in scisto e marmo, di spessore variabile (7,25 m max.) a causa di successive aggiunte che trovano giustificazione da un lato nei periodici attacchi nemici e dall'altro nel miglioramento del sistema di fortificazione in relazione alla crescita della città. All'estremità sud-est si apre una porta, raggiungibile dall'esterno attraverso una strada rialzata, sostenuta da un muro di contenimento. La porta, che lo scavo ha permesso di rilevare in una prima fase larga 4,5 m circa ed in una fase più tarda, 3,5 m circa, era arretrata rispetto alla facciata esterna sul lato nord così da formare un bastione. Accanto alle fortificazioni, gli scavi hanno rilevato l'esistenza di numerose abitazioni e di un santuario con il tempio. Per quanto riguarda le abitazioni (in particolare quelle sulla sommità del promontorio, nelle aree D, H e J), l'utilizzo di materiale lapideo (per lo più lo scisto, facilmente reperibile sul posto), almeno nelle parti inferiori, ne ha agevolato la conservazione, fornendo così una serie di importanti informazioni. Sulla base di quanto hanno rivelato finora gli scavi, inizialmente era costituita da un unico ambiente polifunzionale; solo in una seconda fase venne articolata in un ambiente di soggiorno verso est, un cortile con un recinto per gli animali nel centro, dotato di banconi per l'alloggiamento di pithoi e un magazzino verso ovest. Elementi caratteristici sono il focolare centrale di forma rettangolare, rinvenuto nel pavimento di alcuni ambienti, i banchi di pietra lungo le pareti e soprattutto il tetto piatto, comune sia alla prima che alla seconda fase: la sua costruzione e contemporaneamente il mancato rinvenimento, almeno fino ad ora, di sistemi di approvvigionamento idrico all'interno dell'abitato, è stata messa in relazione con la necessità di raccogliere l'acqua piovana. Al centro della città vi è poi un tempio a megaron nel quale sono riconoscibili due fasi: una prima, di età geometrica, durante la quale doveva esserci soltanto un recinto a cielo aperto intorno ad un altare (la cui costruzione potrebbe, tuttavia, risalire ad un'epoca precedente lo sviluppo della città) e una seconda di età arcaica durante la quale fu costruito il tempio. Questo tempio (costituito da un vestibolo chiuso e da un ambiente principale a pianta quasi quadrata nel quale era la statua di culto), che presenta analogie, tra l'altro, con il tempio di Atena a Emporion nell'isola di Chio, è stato realizzato quasi interamente in scisto e, come nelle case, ha il tetto sostenuto da colonne di legno poste su basi di pietra. Più di recente un secondo insediamento geometrico è stato scoperto sulla costa occidentale dell'isola, pochi chilometri a nord di Zagora, in un sito chiamato Hypsele, vicino al villaggio di Aprovatou. Il rinvenimento di un circuito murario costruito con grosse lastre di scisto e di un tempio che richiama quello di Zagora sia nella pianta che nelle dimensioni, ha fatto ipotizzare che si tratti di un insediamento pressappoco contemporaneo a quello di Zagora. Anche nell'isola di Paro, caratterizzata dal punto di vista morfologico da un'elevazione montuosa centrale che digrada con pendii su ogni lato, fino a giungere in prossimità della costa dove sono pianori ondulati, sono noti insediamenti di età micenea e poi geometrica. Tra quelli meglio conosciuti è da ricordare l'abitato geometrico di Koukounariès, vicino al porto di Naoussa, il quale venne rifondato nel X sec. a.C., nell'altipiano di una ripida collina, in parte al di sopra di un piccolo palazzo di età micenea, distrutto nel XII sec. a.C. ed abbandonato per circa due secoli. L'impianto di età geometrica presenta una serie di abitazioni divise da stretti vicoli e nel settore sud un edificio a pianta rettangolare preceduto da una casa absidata la cui interpretazione oscilla tra quella di una sala ufficiale del signore oppure di un tempio. Alla fine dell'età geometrica fu abbandonato l'insediamento posto nella parte più alta del colle e su due terrazze inferiori vennero costruite nuove abitazioni e un tempio dedicato ad Atena. Nella prima età arcaica anche questo abitato fu abbandonato. L'abitato nella penisola di Oikonomos aveva un'estensione di circa 100 m di diametro, come indicano i resti del circuito murario. Al suo interno, i resti delle abitazioni disposte parallelamente tra loro, rivelano l'esistenza di un assetto urbanistico con assi riconosciuti. Tuttavia la città principale dell'isola durante l'antichità è Paro, la quale va localizzata sul luogo dell'attuale Parikia. Il sito, frequentato già in età geometrica, come indica il rinvenimento di ceramica proveniente dalla zona del Kastro, venne urbanizzato durante il VII sec. a.C. Della città riferibile a questa età sono noti non pochi elementi, cosicché è ormai possibile conoscerne le caratteristiche generali oltre ad alcune zone in particolare. Innanzitutto è stato riconosciuto per intero il circuito murario (circondato da numerosi santuari: tra gli altri, celebre il santuario di Demetra e Kore, a sud-ovest, sulla sommità di una collina) e conseguentemente, l'estensione dell'abitato (53 ha) e il numero presumibile degli abitanti (10.000 ca.). Aree di necropoli sono state individuate all'esterno delle mura. Ugualmente nota l'acropoli (nella quale nel XIII sec. i Veneziani impiantarono un castello fortificato, il cosiddetto Kastro), posta in vicinanza della costa e circondata da mura di forma semicircolare: qui, al più tardi nel VI sec. a.C., venne fondato il santuario principale della città e dal 530 a.C. circa fu monumentalizzata con la costruzione di templi in marmo (templi A, B, C, D). All'interno della città sono conosciuti almeno due edifici sacri tardoarcaici di stile dorico. La posizione della città in prossimità della linea di costa e soprattutto il rinvenimento di strutture ormai abbondantemente sommerse, forniscono informazioni sui cambiamenti della linea di costa. In questo contesto di particolare rilevanza è l'osservazione dei resti riferibili ai due porti, dei quali ricordano l'esistenza anche le fonti letterarie: uno aperto, localizzato in un'area a nord dell'acropoli, nella quale sono stati individuati resti di un molo sommerso; l'altro, più riparato, nell'insenatura orientale, al di fuori del circuito murario (diga di protezione e alcuni magazzini). Numerosi sono gli insediamenti noti anche nell'isola di Eubea. Ad esempio, nella zona intorno a Calcide sono stati individuati almeno dieci siti protogeometrici con gruppi di tombe che corrispondono ad altri insediamenti, nonché numerosi altri siti geometrici. Un importante insediamento, del quale si ignora il nome antico, è stato identificato a metà strada circa tra Calcide ed Eubea, presso la moderna Lefkandì, sulla collina di Xeropolis. Dopo lo straordinario sviluppo insediativo documentato almeno a partire dal Medio Elladico e protrattosi fino al Bronzo Tardo (di particolare rilevanza l'insediamento sorto nel Tardo Elladico IIIC nel quale sembrano rilevabili elementi di un piano urbanistico sistematico), è soltanto con il Tardo Protogeometrico che l'abitato viene nuovamente occupato, come testimoniano alcune fosse per materiale di scarto; tuttavia gli unici resti di strutture ritrovati appaiono riferibili al Tardo Geometrico. Comunque, nonostante la probabile contrazione, l'abitato venne frequentato anche durante l'epoca arcaica (resti di abitazioni e delle mura al di sotto del tempio di Apollo Daphnephoros), per essere poi distrutto alla fine dell'VIII sec. a.C., probabilmente nel corso della guerra lelantina, che vide Calcide opposta ad Eretria. In Eretria, nel sito moderno di Nichoria (il nome antico forse identificato nei testi in lineare B di Pilo), ad un insediamento miceneo, dopo una breve cesura, ne segue un altro, forse ancora anteriore all'inizio del Protogeometrico, con una documentazione ininterrotta sino alla fine del Geometrico. Ad Eretria stessa è stato possibile conoscere in maniera più puntuale l'abitato di età geometrica, il quale doveva sostanzialmente trovarsi nel luogo in cui sorse la città classica e quindi occupare, seppur in maniera non intensiva l'area compresa tra l'acropoli e il mare. Gruppi di abitazioni sono state rinvenute sotto le fondazioni del tempio di Apollo e a nord di esso, nella zona del porto. Le tipologie riconosciute, analoghe per molti versi a quelle ad esempio di Lefkandì, sono quelle di forma ovale o absidale e rettangolare in una fase più recente, generalmente aperte verso sud. Per quanto riguarda la tecnica costruttiva, venivano impiegate delle pietre poste in opera a secco, sormontate da corsi di mattoni crudi, mentre per il tetto venivano utilizzate delle fascine. Elemento caratteristico all'interno di esse, in alcuni casi, era la presenza di banchine di pietra. Meglio conosciuto l 'impianto di età arcaica, del quale infatti sono stati riconosciuti un quartiere a sud della porta occidentale, un porticato ad est dell'agorà arcaica, il tempio di Apollo e soprattutto il muro di cinta. La costruzione di quest'ultimo assume particolare rilevanza dal momento che in relazione ad esso è la deviazione verso est di un torrente, i cui straripamenti in età arcaica dovettero costituire seri problemi nei settori nord ed est dell'abitato. Alla metà del VI sec. a.C. il corso fu nuovamente modificato in senso nord-sud e il letto abbandonato venne utilizzato per la realizzazione di una strada. Tra le colonie fondate in Asia Minore, i casi più significativi appaiono quelli di Mileto e Smirne. A Mileto, certamente la più importante delle città dell'Asia Minore, nonché celebre esempio di impianto ortogonale nella ricostruzione successiva alla distruzione persiana, è nota l'esistenza, sulla sommità della bassa platea calcarea che costituisce la sporgenza occidentale, di un abitato geometrico, il quale si sovrappose a quello miceneo. La città arcaica aveva la sua acropoli potentemente fortificata, su Kalabaktepe, mentre avanzi di abitazioni sono stati scoperti nella pianura sottostante verso nord, nella zona dell'Athenaion e in quella alle spalle del bouleuterion oltre che sulla collina stessa. Una torre isolata di vedetta sorgeva nei pressi del teatro. Il numero dei santuari di Mileto a noi noti è ancora ridotto, sebbene se ne possa supporre una notevole quantità dai frammenti di dodici altari arcaici e dalle fonti letterarie, mentre non si conosce l'ubicazione dei santuari di Atena e di Dionisio, ricordati da iscrizioni. La necropoli della città arcaica si dovrebbe localizzare sotto il villaggio di Yeni Balat. Una documentazione più organica è nota per le fasi geometriche di Smirne, localizzata presso l'odierno sobborgo Bayrakli, non coincidente con quello di età ellenistica e romana impiantato invece nell'area centrale della città moderna di Izmir. Lo stanziamento geometrico più antico, recintato da uno spesso muro costruito con blocchi irregolari e a pianta ovale (simile a quello di Melie), aveva al suo interno abitazioni a pianta ovale e rettangolare, con fondazioni in materiale lapideo (pietra), mentre l'alzato era in materiale deperibile (legno e mattoni di argilla). Un secondo stanziamento venne impiantato tra il 770 e il 670 a.C. e recintato con mura in opera poligonale. Alcune delle vecchie case furono restaurate, altre abbattute e sull'area così ottenuta vennero costruite case a pianta ovale, rettangolare e absidata, spesso in relazione con tholoi, interpretabili come magazzini. Prima che l'abitato venisse nuovamente distrutto, nel 600 a.C., questa volta ad opera del re dei Lidi, Aliatte, in relazione ad un aumento demografico che portò la popolazione cittadina a 3000 unità, venne costruito un tempio, del quale rimangono il podio e resti del muro della cella. Dati significativi offre anche l'Argolide, nella quale come in tutta la Grecia, il periodo geometrico segna una fase di generale rinascita: molti siti micenei abbandonati vengono rioccupati. Come in altre regioni della Grecia compaiono in questo periodo numerosi santuari, anche se spesso attestati soltanto da depositi votivi. Al Medio Geometrico risalgono fra gli altri l'Heraion di Argo, il santuario di Posidone a Kalaria, al Tardo Geometrico il santuario di Apollo Maleatas a Epidauro e forse quello di Apollo a Halieis. Durante il VII sec. a.C. nella pianura di Argo la diminuzione della popolazione e l'abbandono di almeno otto siti in pianura, e comunque una generale diminuzione di resti riferibili a questo periodo, sembrano indicare l'esistenza di una crisi. Circa le cause di questa crisi è stata ipotizzata una probabile origine in problemi economici derivati dal sovrappopolamento, oppure da una prolungata siccità, oppure in problemi politici legati all'espansionismo argivo e al conseguente scontro con Sparta. Tuttavia occorre considerare come nello stesso ambito cronologico vada inserita la fondazione di nuovi centri, ad esempio Douka al confine con l'Arcadia. Diversa è la situazione riscontrabile nel settore meridionale della regione, dove solamente tre siti di età geometrica sono abbandonati, mentre ben 13 sono le fondazioni (tra cui spicca quella di Halieis). Importante è anche il sito di Asine, dove la realizzazione di nuovi scavi e il riesame dei materiali provenienti da vecchie indagini consente ormai di conoscere almeno cinque settori appartenenti all'abitato e alle necropoli di età geometrica. Nella pianura ad est dell'acropoli (podere Karmaiola) a partire dal Protomiceneo, quando avviene un significativo cambiamento funzionale dell'area, e certamente fino al passaggio tra il Submiceneo e il Protogeometrico, è documentata (soprattutto attraverso la presenza di ceramica, dal momento che appaiono scarsi i resti murari) l'esistenza di un insediamento. Diversi edifici sia absidati sia rettangolari risalgono al periodo protogeometrico. Il sito venne abbandonato dopo la distruzione del 700 a.C. Lungo il versante sud-orientale del colle di Barbouna, dove già da tempo era documentata una necropoli di periodo geometrico, più di recente sono state rinvenute alcune costruzioni tardogeometriche connesse ai riti funerari della necropoli. Inoltre, sulla sommità del colle di Barbouna si è rinvenuto un sistema di muri di fortificazione attorno al tempio di Apollo Pizio, costruito tra la fine del periodo tardogeometrico e l'inizio di quello protoarcaico. Dati ancora più significativi sono offerti da Argo. L'abitato di età geometrica, non lontano dal golfo di Argolide, a partire dalla fine dell'XI sec. a.C. inizia a divenire il centro di riferimento della pianura argiva, ed è in questo periodo che s'impianta ai piedi della Larissa (l'acropoli maggiore), dove rimarrà sino alla fine dell'antichità. Nonostante siano molto scarsi i resti di abitato, la fitta distribuzione di tombe suggerisce che, alla fine del Geometrico, Argo fosse un insediamento di grande rilievo. Circa le caratteristiche di questo abitato è stato rilevato come non si possa definirlo un complesso urbano organizzato, ma piuttosto un "insieme di cellule d'abitato sparse spesso circondate da sepolture". Un significativo cambiamento è testimoniato per l'età geometrica, che risulta anche nota in maniera migliore grazie ai rinvenimenti avutisi in più punti dell'abitato moderno tra la sommità della Larissa e le rive dello Xerias. L'abitato, costituitosi per sinecismo degli abitati precedenti, si estende ma soprattutto si organizza e diminuiscono gli spazi inedificati. Le costruzioni si moltiplicano nelle zone fino ad allora libere, come quella che si estende tra l'agorà antica ed il centro della città moderna. Nei settori nei quali già in precedenza esistevano delle abitazioni, se ne costruiscono delle nuove, spesso con la caratteristica pianta absidata. Il fulcro dell'abitato sembra potersi localizzare nel quartiere sud, in base alla relativa densità, alla presenza di ateliers e di pozzi. Per quanto concerne la città arcaica, senza dubbio l'elemento più significativo è costituito dall'Aphrodision ricordato anche da Pausania e posto a sud dell'Odeion. In ogni caso i resti, comunque distribuiti in più punti, restituiscono l'immagine di una città di dimensioni ridotte. Anche nell'isola di Chio sono noti numerosi siti di età geometrica ed arcaica, pur rimanendo meglio noto ancora Emporion. Anche a Corinto, nonostante i radicali cambiamenti dell'ultimo terzo del IV sec. a.C. e soprattutto la pianificazione di età romana (Colonia Laus Iulia Corinthiensis) ne abbiano in gran parte obliterate le fasi più antiche, sono state rinosciute testimonianze di una fase datata all'VIII sec. a.C. e soprattutto di un'altra della fine del primo quarto del VII. Quest'ultima, in particolare, appare rilevante, dal momento che si riferisce al rinvenimento del tempio di Apollo, distrutto presumibilmente da un incendio e ricostruito tra il 560 e il 540 a.C. Ad est del tempio è stato individuato un complesso databile al VI sec. a.C. appartenente ad un mercante. I numerosissimi insediamenti, documentati con sempre maggior frequenza in tutta la Grecia, indicano la lenta ma inesorabile crescita del fenomeno urbano tra XI e VI sec. a.C.: tuttavia non si assiste quasi mai a risistemazioni dell'impianto, nonostante in molti casi gli eventi (distruzioni parziali o totali; ad es., significativo il racconto di Tucidide della ricostruzione di Atene dopo la distruzione persiana del 480 a.C.) ne avessero favorito una riedificazione secondo criteri più razionali. Solamente con il secondo venticinquennio del V sec. a.C., con la realizzazione degli impianti ortogonali attribuiti ad Ippodamo di Mileto, questo processo subisce una significativa accelerazione anche in Grecia, dal momento che negli ambiti coloniali (basti pensare ai celebri casi di Mileto e Smirne), già in precedenza erano noti elementi di regolarità.
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di Manlio Lilli
Il tentativo di comprensione del processo di formazione della città nel mondo greco comporta necessariamente anche l'analisi dei rapporti di tensione e antagonismo che si istituirono nelle varie epoche e in diversi contesti geografici tra centro abitato e territorio. Nella ricostruzione di questo processo, del quale sono ormai note le linee guida, accanto a nuovi sistemi di indagine, come ad esempio la rielaborazione delle immagini da satellite, appaiono ancora strumenti imprescindibili, insieme ai dati desunti dalla ricerca archeologica attraverso la ricognizione sul terreno e le indagini di scavo, le fonti letterarie ed epigrafiche: stupisce quindi rilevare come in talune circostanze venga omesso il ricorso ad esse per quello che riguarda i problemi demografici e più specificatamente, quelli dell'estensione delle città-stato e dell'ampiezza delle singole città. Le ricerche degli ultimi anni, consentendo di apprezzare quanto sia forte la relazione esistente in ambito greco tra città e campagna, spazio urbano e villaggi, borghi e fattorie sparse, hanno permesso anche di ridurre ulteriormente lo squilibrio esistente tra città e territorio della città. I Greci stessi hanno spesso affrontato il tema del rapporto cittàterritorio, e con esso il problema della rappresentazione della città: dalle descrizioni utopiche come la città dei Feaci o quella delle Leggi, al modello urbanistico ippodameo. In questo contesto la storia mitologica della fondazione di Atene raccontata da Apollodoro chiarisce ancora meglio il pensiero greco: la tripolarità specifica dell'Attica, rappresentata dalla chora, dalla polis e dall'acropolis risale agli dei stessi (Apollod., III, 14,1). Gli uomini, che dopo aver vissuto dispersi o come nomadi sono assegnati a dodici diverse poleis, ciascuna con la propria chora, sopraggiungono soltanto in un secondo momento. Anche nel nostro immaginario la concezione della città greca dipende da due immagini contraddittorie: la prima urbana, caratterizzata dall'aspetto monumentale; la seconda rurale e paesaggistica, dalle scene di mietitura dello scudo omerico e dal sentimento della natura espresso nel Fedro di Platone, per arrivare alle descrizioni di poeti e geografi ellenistici. A questo proposito giustamente è stato sottolineato come importante sia anche un'esatta comprensione del vocabolario civile impiegato nella descrizione dello spazio: a parte polis appaiono numerosi i termini privi di un'accezione precisa, a partire proprio da chora, la quale può essere intesa appunto nel duplice significato di "territorio circostante la città" e di "zona di dominio che può estendersi al di là dei limiti giuridici strettamente previsti per il dominio civico". Una prima considerazione riguarda, preliminarmente, la macroscopica differenza tra l'organizzazione della chora nella madrepatria e quella in terra coloniale. Al quadro dai profili assai sfumati del rapporto tra città e territorio, all'idea di territorio come spazio geografico o territorio come zona d'influenza, le città greche non forniscono una risposta univoca, come dimostra l'esistenza di vari modelli, tra i quali quelli ateniese e spartano, chiaramente contrapposti, costituiscono senz'altro quelli meglio noti; tuttavia, almeno generalmente, fino al IV sec. a.C., la differenza tra città e hinterland non è molto sensibile. Parafrasando l'acuta analisi tucididea delle diverse caratteristiche delle due città, una loro eventuale distruzione avrebbe consentito ai posteri, osservando i resti delle costruzioni pubbliche, di valutare a pieno l'importanza di Atene, ma non quella di Sparta, "non essendo la città raccolta in un unico insieme, e non possedendo templi ed edifici, ma essendo divisa in villaggi, secondo l'uso antico dell'Ellade" (Thuc., I, 10). L'Atene dell'età di Clistene, alla ricerca di un egualitarismo globale, che dunque oltre ad essere sociale sia anche topografico e geografico, si presenta costituita da tre diverse entità: il centro urbano, la costa e la campagna. Per quanto concerne la campagna le nostre conoscenze sull'Attica appaiono abbastanza puntuali. Se infatti l'analisi delle stele attiche posteriori ai processi relativi alla mutilazione delle erme ci fornisce una serie di termini sulla presenza di campi variamente destinati (campi utilizzati per l'attività agricola, terreni in cui si coltivano cereali, viti e affini; appezzamenti di terra, querceti, giardini; pinete; proprietà fondiaria; terreno edificabile) e di abitazioni tipologicamente differenziate in base alla funzione (residenza privata, casa da rendita con appartamenti multipli), le indagini di scavo hanno permesso il riconoscimento di tipologie abitative diverse dal punto di vista planimetrico (basti pensare, ad esempio, alla fattoria con torre rotonda presso il Sounion oppure alla casa e fattoria a Thorikos). Ben diversa invece è l'immagine offertaci da Sparta dove agli abitanti della città, i quali sono cittadini a pieno diritto, si contrappongono gli iloti, contadini assoggettati, e i perieci, gli abitanti di un territorio sottomesso al dominio della città. Tra due modelli così antitetici vivono altri esempi di soluzioni diverse: a Milo predomina un'occupazione diffusa del territorio per villaggi e borghi e, a partire dalla fine del VI sec. a.C., si assiste ad una progressiva concentrazione della popolazione nel centro abitato più importante. Invece, nell'isola di Ceo, il popolamento si concentra immediatamente in quattro abitati. Accanto a queste città ve ne sono altre le quali hanno lasciato che al loro centro si stabilissero delle vere e proprie parcelle di tipo rurale. Si tratta di edifici con giardini e frutteti rinvenuti ad esempio a Megara Hyblaea e a Colofone, ma già noti attraverso gli atti di vendita, per Tino. Pur variando sia l'ambito storico che quello geografico (dalle prime esperienze coloniali a quelle di età ellenistica nei territori dell'Asia Minore), è unanime la posizione dei vari autori antichi, da Ippocrate a Platone ed Aristotele, da Senofonte ad Isocrate, nel sottolineare l'importanza della campagna nella fondazione della città. Secondo Ippocrate, esponente di quelle speculazioni di ordine igienico alle quali dovette richiamarsi lo stesso Ippodamo di Mileto, l'osservazione degli elementi naturali (vento, acqua, sole, tipo di terreno, clima) appare di estrema importanza, non solamente per la migliore disposizione delle abitazioni, ma soprattutto per la scelta dei siti da abitare. Meglio di altri può chiarire il suo pensiero un brano dell'opera Sul vento, l'acqua ed i luoghi: "... Anche il suolo deve essere esaminato: se nudo e arido oppure boscoso e ricco di acque, inoltre se situato in una depressione e soffocante per il calore, oppure elevato e freddo" (I, 5). La posizione di Platone nei confronti di quello che, con termine moderno, potremmo definire il paesaggio urbano è chiaramente espressa nel Crizia e nelle Leggi. La sua descrizione del paesaggio dell'Attica, con il ricordo del disboscamento delle montagne che circondano Atene e come esso avesse comportato profonde modificazione alla morfoidrografia del territorio, appare emblematica del suo pensiero su questo tema. Così per Platone il fondatore della città, ancora prima di dare inizio alla sua impresa, deve verificare l'ubicazione, il paesaggio, la coltura e la produzione. Anche per Aristotele la scelta del sito è di estrema importanza dal momento che essa deve tener conto della facilità di approvvigionamento e delle migliori condizioni igieniche. La città, per quanto è possibile, deve trarre vantaggio contemporaneamente dal mare, dalle coste e dalla campagna. Il problema è sotto certi aspetti lo stesso che si pose Alessandro quando l'architetto Dinocrate gli propose una risistemazione del monte Athos (Vitr., II, praef. 3): assicurare alla città una gamma di possibilità di sostentamento quanto più possibile diversificata. Ugualmente Aristotele mette in evidenza l'importanza dell'organizzazione territoriale nel funzionamento della polis: la città migliore è quella degli agricoltori, in contrapposizione a quella dei commercianti e degli artigiani. A questo riguardo l'episodio di Epaminonda, che secondo il racconto di Senofonte (Hell., VII, 5, 14), prese Mantinea attendendo che la città fosse deserta per i lavori di mietitura, sembra contraddire quanto detto dal filosofo e allo stesso tempo ribadisce il rapporto di contiguità e complementarietà fra città e campagna. Temi analoghi saranno sostenuti in età ellenistica da Isocrate (Sulla pace, 24; Filippo, 120, 122) e Senofonte (Anab., V, 6; V, 15-18; I-VI, 4; VI, 6; VI, 7), anche se ai loro tempi la colonizzazione, perdute le finalità primitive delle fondazioni d'Occidente, è intesa piuttosto come rimedio alla crisi sociale ed economica. Spesso determinante, e comunque generalmente importante, il contributo delle fonti letterarie antiche sulla chora, anche se si è rilevato come occorra utilizzare un maggior senso critico nella loro valutazione dal momento che in certi casi potrebbero riferirsi a quello che si desiderava che si verificasse piuttosto che a quello che realmente avveniva. Un esempio in proposito è costituito dal passo nel quale Platone afferma di volere che la distribuzione della terra venga fatta in due kleroi distinti, uno alla periferia, uno presso la città: è evidente, infatti, come questo normalmente non avvenisse e come anzi questo potesse creare squilibri nella distribuzione delle terre che portavano alle lotte politiche. A questo proposito il riesame di certi aspetti dell'organizzazione della chora, in particolare relativamente all'aspetto giuridico, è una operazione necessaria. Il primo fra questi è il principio dell'eguaglianza come un'istituzione generalmente accettata (isomoiria). In realtà le stesse testimonianze che si utilizzano a sostegno di questa tesi mostrano come la norma, se tale, non sia generale, né sempre fedelmente accettata. Proprio Aristotele (Pol., II, 1266a 40s), ad esempio, riconosce come Falea di Calcedonia non si nascondeva la difficoltà di attuarla nei riguardi di alcune città. Una disuguaglianza originaria anche dei lotti della divisione primaria sembra attestata almeno da Fidone di Corinto (Arist., Pol., II, 1265b 12-16). D'altra parte quanto questa uguaglianza fosse solamente virtuale lo dimostra l'appropriazione delle terre comuni e soprattutto di quelle marginali e periferiche (eschatia). La documentazione epigrafica, di cui il cosidetto "bronzo Pappadakis" costituisce l'esempio più noto, su terre di riserva o pubbliche e sui diritti di pascolo specialmente in ambito coloniale è sostanzialmente abbastanza ridotta. Il trasferimento del concetto di chora nelle colonie magnogreche ha seguito vie di sviluppo più organiche e programmabili. Una colonia tipo possedeva un territorio (chora) nelle immediate vicinanze della cinta delle mura e un territorio cuscinetto tra i Greci e gli indigeni (eschatia), entrambi protetti da fortificazioni. Forse l'atto più importante successivo alla fondazione della città anche per l'età ellenistica, come dimostrano alcuni documenti da Antiochia di Siria, da Dura-Europos, da Susa e da Arsinoe di Cilicia, era costituito dalla suddivisione in lotti regolari tra i coloni. È stato sottolineato come il sistema e i mezzi di difesa varino a seconda che si tratti di città con caratteristiche commerciali oppure di città agricole, che dunque hanno come condizione indispensabile la salvaguardia e la difesa del territorio. Infatti nel primo caso il sistema di difesa è concentrato e ravvicinato, mentre nel secondo appare disperso e molto più largamente trattato. Una linea di difesa è spesso costituita da fortini isolati (phrouria), posti ai margini del territorio stesso (Metaponto, Gela, Agrigento, Siracusa ad ovest; Teos, Colofone, Chersoneso ad est). Fortificazioni rurali sono conosciute anche in Attica, a partire dall'ultimo terzo del IV sec. a.C. (Eleusi, Panakton, Phylè, Ramnunte e Sounion). Più significativa del nuovo modo di concepire la difesa del territorio è la creazione di linee fortificate lungo le frontiere: casi importanti sono conosciuti, ad esempio, attraverso il racconto di Senofonte nelle Elleniche (V, 4, 38-39), nel territorio dei Tebani nel 378 (anche il Dema attico che gli Ateniesi iniziarono a costruire per impedire il passaggio tra i monti Parnes e Aigaleos aveva la medesima funzione), oppure nel territorio di Termesso in Asia Minore. Dal IV sec. a.C. sono poi documentati recinti territoriali, il cui sviluppo è sproporzionato rispetto alla superficie costruita, come dimostrano, tra gli altri, i casi di Siracusa (27 km al tempo di Dionisio il Vecchio), di Messene e Megalopoli (9 km verso il 370), di Efeso (11 km), di Mileto (8 km). Nel periodo delle creazioni coloniali coesistono quindi due tipi di agglomerato urbano, in cui le differenze di strutture corrispondono a due modi di occupazione e di sfruttamento del territorio. Da un lato le città prive di una chora, orientate verso gli scambi commerciali, esemplificate da Focea e dalle colonie focee; dall'altro le città con un vasto territorio, la cui attività è essenzialmente agricola, di cui gli esempi meglio noti sono quelli di Gela, Metaponto, il Chersoneso nel IV secolo ed Olbia. Al primo gruppo si riferiscono i centri che prediligono una posizione facilmente difendibile: isole (Pithecusa, Ampurias, la Siracusa delle origini), oppure un promontorio dominante una o più baie favorevoli all'istallazione di un porto (Focea, Marsiglia, Velia, Olbia, Taso). Differente è la situazione del secondo gruppo, di cui Metaponto costituisce uno degli esempi più caratteristici oltre che meglio conosciuti. Comprende tutte le città della colonizzazione agraria, legate ad un territorio di sfruttamento dal quale dipendono per la sopravvivenza. Si tratta in generale di città di pianura, di larga estensione, nelle quali il ruolo dell'acropoli è ridotto a funzioni religiose. Le piante di queste città, a differenza delle precedenti, presentano superfici maggiori, spesso tracce di ortogonalità con lotti regolari. Per queste il legame con la campagna passa anche attraverso il rapporto di continuità tra pianta urbana ortogonale e divisione del territorio, evidenziata sia dalla ricerca archeologica sul campo che dalla fotografia aerea a Metaponto, ad Eraclea, ad Agrigento, ma anche nel Chersoneso, oppure in Africa (Tolemaide) e in Italia centrale (Capua). In tutti questi centri è documentata l'esistenza di una pianta urbana con caratteristiche di regolarità e una divisione del territorio in parcelle ugualmente regolari. In particolare l'analisi delle fotografie aeree ha rivelato, ed in alcuni casi confermato, quello che era noto da documenti epigrafici (tavole di Eraclea, atti di vendita di Tenos), cioè come il territorio di un certo numero di città presenti una divisione in lotti uguali, secondo un sistema non dissimile da quello della centuriazione romana. La chiave del problema, nonostante le ricerche sulle città coloniali tanto ad ovest che ad est e a nord-est, è costituita da Metaponto. Il vasto territorio dell'insediamento è stato diviso in lunghe bande regolari, seguendo un asse che è il medesimo della città. Circa la possibilità che entrambe debbano considerarsi contemporanee, nonostante esistano autori i quali ritengono che le due operazioni vadano riferite alla fondazione, si è propensi a preferire una posizione meno estrema e una datazione posteriore per la sistemazione del territorio. D'altra parte tutte le fattorie sino ad ora scavate hanno rivelato una fase di IV sec. a.C., preceduta in alcuni casi da una della seconda metà del VI sec. a.C. Un problema analogo offrono le colonie agrarie del Chersoneso, in Crimea. Quasi tutta l'isola è stata suddivisa in parcelle regolari e le forme di sfruttamento sono legate a questo sistema di divisione. Tuttavia anche in questo caso non sembra possibile istituire un rapporto diretto, tra le operazioni di divisione del territorio e la pianificazione dei centri urbani. È solamente nelle fondazioni di data recente, nell'installazione dei satelliti del Chersoneso (Kalòs Limèn), che il parcellario della chora e la lottizzazione della città appaiono come il risultato di una medesima operazione. Tuttavia, spesso è nella città stessa la chiave di lettura del suo rapporto con il territorio circostante. L'osservazione del tessuto urbano, delle soluzioni architettoniche adottate, illumina sulla loro interrelazione con la natura, il ruolo e i modi di sfruttamento con la chora circostante. Esplicativa in tal senso è anche l'osservazione dei numerosi centri di culto, noti tanto nelle colonie quanto in Grecia. A questo proposito, oltre al celebre Heraion di Argo, sembra opportuno ricordare il grande santuario di Didyma, posto circa 20 km a sud di Mileto. L'importanza del santuario è chiaramente testimoniata dal fatto che la strada che ne permetteva il raggiungimento, nel tratto urbano, risultava di larghezza superiore alle altre (7,5 m contro 4,5 m), proprio per agevolare la processione che vi si svolgeva. Nelle città a carattere agrario gli edifici pubblici mostrano il segno delle preoccupazioni dei grandi proprietari terrieri. Emblematica è al proposito la differenza esistente tra l'agorà di Olinto e quella di Mileto. E in altre città con caratteristiche dichiaratamente agricole, come Colofone, l'abitato presenta dei tratti originali. La pianta della casa rurale si sostituisce al tipo urbano. Alla casa del piano arcaico si sostituisce un tipo di dimora la cui origine è da ricercarsi nelle aziende di sfruttamento agricolo. Infatti accanto alla regolarizzazione e all'ingrandimento della corte, la parte destinata all'abitazione si concentra su uno o due dei lati della corte e soprattutto la parte utilitaristica, disposta su uno dei lati, quello fronte strada, impone degli arrangiamenti. Di grande importanza in questo contesto gli atti di vendita di Tenos, i quali ricordano l'esistenza accanto alle abitazioni, di giardini, di terreni nei quali era possibile costruire. Si tratta, come è noto, di un modello di cui gli scavi hanno rilevato l'applicazione ad esempio nei quartieri primitivi a Megara Hyblaea, dove l'abitazione si trova in un terreno più vasto, delimitato da muri. Un sistema analogo si trova nelle grandi città a dominante agricola dell'Acarnania e d'Italia. Dal momento che l'atto di fondazione ha implicita l'acquisizione del territorio necessario ai bisogni della comunità e alla sua sopravvivenza, un primo problema è costituito dal tentativo di definizione dell'ambito territoriale in cui la comunità coloniale si muove da padrona (la chora politikè) e successivamente dal rapporto con le presenze indigene e quindi dal riconoscimento delle loro eventuali forme di abitato. Per quanto riguarda i rapporti instaurati con le popolazioni locali, le fonti letterarie antiche ci informano su come, ad esempio, gli Ioni abbiano utilizzato modi violenti contro le popolazioni locali (Mimn., fr. 12 Diehl e Phaerec., F. 155 Jacoby, ma anche Strab., XIV, 1, 3; VII, 7, 2), oppure come nella maggior parte dei casi si siano rese necessarie vere e proprie conquiste militari (Cuma, Siracusa, Locri, Taranto), talora addirittura con la conseguente espulsione (Thuc., VI, 3, 3 a proposito dei Siculi dall'isoletta di Ortigia) e solo più raramente si siano raggiunti degli accordi (Leontinoi). Ancora sul problema dei rapporti tra Greci ed indigeni, le testimonianze letterarie ci forniscono alcuni dati che tuttavia non sempre trovano un supporto nella documentazione archeologica. Ad esempio per Sibari abbiamo notizie sul carattere di una organizzazione servile particolare con l'aneddoto del Sibarita che si meraviglia che a Crotone gli abitanti scavino da sé la sabbia, lavorino da sé la terra e non la facciano lavorare da altri (Tim., 566 F 48), che non sappiamo se siano proprio schiavi oppure lavoratori a mercede. Circa il riconoscimento delle eventuali forme di abitato antecedenti lo stanziamento coloniale, nonostante siano ancora pochi gli insediamenti indigeni sparsi, fattorie o piccoli agglomerati dei quali siano stati individuati dei resti, deve ritenersi che i Greci generalmente non trovarono territori vergini. Anzi non di rado le nuove fondazioni sono state realizzate su siti già occupati da agglomerati, villaggi o città che si appoggiavano a territori ben coltivati, come dimostrano ad esempio i sistemi di irrigazione realizzati in epoca precedente alla colonizzazione ellenistica rinvenuti nella piana di Ai Khanum. Soltanto poche colonie greche si stabilirono su un territorio completamente deserto anche se si deve supporre che il mondo indigeno in Sicilia come in Italia generalmente non potette appropriarsi di tutta la terra disponibile. Infatti ad esempio per la Sicilia siamo informati che, già prima del passaggio dei Siculi nell'isola, le genti enotrie della penisola erano note alla tradizione greca (Antioch. Syrac., 555 F 13 Jacoby; Arist., Pol., VII, 9, 1329b 14-15) come evolutesi dal nomadismo pastorale all'attività agricola. Le ricerche intraprese negli ultimi anni a Gela, Imera, nei dintorni di Eraclea Minoa, a Camarina e a Morgantina in Sicilia, andandosi ad aggiungere a quelle avviate ormai da circa quarant'anni a Metaponto, permettono di conoscere la storia delle loro trasformazioni da territori indigeni in territori greci. Le ricerche archeologiche hanno evidenziato come l'appropriazione avvenga nella maggior parte dei casi in maniera graduale, attraverso l'impianto di santuari o lo sviluppo di abitati stabili. I santuari, situati lungo le strade principali che collegavano il centro urbano con le colonie vicine o i centri indigeni, costituiscono i primi segni di vita nelle chorai. Il ruolo funzionale di questi luoghi di culto appare presto evidente alla luce della considerazione che i più antichi risultano essere anche i più lontani dal centro urbano, a garantire immediatamente l'estensione massima di influenza sul territorio. La presenza e il ruolo di questi culti e di questi santuari distanti dal centro urbano possono spiegare anche i rapporti con le popolazioni indigene (santuari di frontiera, santuari di penetrazione in un contesto indigeno, santuari a carattere militare in rapporto ad una posizione di difesa, santuari di incontro). In Magna Grecia è esemplare il caso di Eraclea, per la quale conosciamo l'articolazione dei terreni di due santuari, attraverso iscrizioni su lamina di bronzo. Per quanto riguarda i santuari e più in generale i luoghi di culto, il cui sviluppo sembra determinato dalla dispersione della popolazione nella chora, è stato osservato come in numerosi casi, si pensi ad esempio a quelli riconosciuti in più punti del territorio di Metaponto, siano dedicati a divinità legate alla terra. Le accurate ricognizioni topografiche hanno rivelato come il numero dei santuari aumentò contemporaneamente all'incremento della popolazione rurale. Tra quelli individuati più di una dozzina è databile al VI e V sec. a.C. Essi sono distribuiti in media a 3 km l'uno dall'altro, nelle vallate o lungo le strade più importanti, ad intervalli regolari. Ad esempio lo scavo del santuario di Pantanello ha evidenziato come, frequentato sin dall'inizio del VI secolo, la sua importanza aumentò fortemente intorno al 500 a.C., per essere poi abbandonato tra la seconda metà del V sec. a.C. e la prima metà del IV e nuovamente frequentato nella seconda metà del IV e nei primi decenni del III, fino a sparire nel corso del III secolo. L'unità abitativa di base della chora è costituita dalla fattoria. L'esemplare greco coloniale, da quanto noto dai pochi esemplari scavati, aveva la duplice funzione di residenza e di unità produttiva: presenta una pianta con cortile e con porticato nella quale si riconosce l'influenza delle strutture largamente diffuse nella madrepatria. Buoni esempi di queste particolarità comuni sono offerti dalle due fattorie scavate nella chora di Camarina ed in particolare dalla Fattoria Capodicasa, immediatamente fuori dalle mura ed allineate con il reticolato stradale. Poche fattorie dei più antichi abitati delle chorai coloniali sono conosciute nei particolari: casi eccezionali, come l'edificio scoperto nel retroterra di Siris e quello di contrada Cugno del Pero di Metaponto, dimostrano che consistevano di poche stanze con varie funzioni. Le ricognizioni effettuate nei territori di Imera in Sicilia, di Metaponto e di Crotone in Magna Grecia dimostrano che questi furono densamente occupati durante il periodo coloniale. L'occupazione sembra documentabile nella seconda metà del VI secolo o nella prima metà del V. Una riorganizzazione generale della chora ebbe luogo verso la fine del IV sec. a.C. in coincidenza con un aumento della popolazione ed una ripresa dell'attività edilizia in città. Indicazioni sul popolamento dei vari territori, ma anche sul livello sociale ed economico raggiunto dagli abitanti delle campagne, ci sono fornite dal numero delle sepolture delle necropoli. A questo proposito sembra ormai superata la tendenza a considerare strumento utilizzabile a tale fine la sola presenza di materiale greco nelle tombe o nelle case di un abitato, a vantaggio invece della valutazione della acculturazione delle comunità indigene. Più in particolare, per quanto riguarda l'età nella quale le chorai iniziano a popolarsi e il tipo di abitazione, analogie sono state riscontrate tra Metaponto e Crotone, dove è documentata, a partire dal VI sec. a.C. la presenza di fattorie unifamiliari, che negli esemplari più antichi si trovano a maggiore distanza dalla città. Per quanto riguarda la loro disposizione, inizialmente erano limitate alle valli del Basento e del Bradano, poi si dispongono anche nelle valli degli affluenti e solo successivamente sulle terrazze marine tra i due fiumi. Ad Imera le abitazioni sono poste secondo un criterio che è analogo a quello utilizzato per i santuari: definiscono cioè i limiti dell'insediamento coloniale. Connesso al problema dei rapporti tra città e territorio vi è quello della bonifica delle pianure alluvionali esposte allo straripamento dei fiumi. Le attività di risanamento note, generalmente attribuite all'intervento di una divinità, sono non poche, anche se non tutte documentate archeologicamente. Agli interventi conosciuti per Megara, Agrigento, Selinunte, la cui bonifica dell'Hypsias è celebrata sulle monete, e Metaponto, recentemente si sono aggiunti quelli di Camarina, dove un contratto di compravendita di un lotto di terreno, su lamina di bronzo, attesta l'esistenza di piccole proprietà direttamente confinanti con corsi d'acqua e canali. Qui infatti sono state individuate opere destinate alla irregimentazione delle acque e al controllo del suolo, in particolare un sistema di canali lungo la strada extraurbana, che esce dalla porta di Hybla, attraversa la necropoli arcaica e si dirige nell'entroterra indigeno, un canale da riferirsi presumibilmente ad una rete sistematica di opere che derivano da un progetto di raccolta e ridistribuzione delle acque, forse del fiume Ippari, per scopi irrigui. Nella realtà dei fatti, pur nella molteplicità dei punti di vista scelti per osservare il complesso legame che unisce nei secoli la città al suo hinterland, emerge ancora, anche se solo occasionalmente, un vizio della ricerca, che è quello che induce sempre a scrutare il territorio dall'alto delle mura della città.
A. Schnapp, Città e campagna. L'immagine della polis da Omero all'età classica, in S. Settis (ed.), I Greci. Storia Cultura Arte Società, I, Torino 1996, pp. 117-63; M.H. Hansen, The Polis as Urban Centre. The Literary and Epigraphical Evidence, in M.H. Hansen (ed.), The Polis as an Urban Centre and as a Political Community, Copenhagen 1997, pp. 9-86; C. Morgan - J.J. Coulton, The Polis as a Physical Entity, ibid., pp. 87-144; L. Gallo, La polis e lo sfruttamento della terra, in E. Greco (ed.), La città greca antica. Istituzioni, società e forma urbana, Roma 1999, pp. 37-54.
di Luigi Caliò
Le grandi trasformazioni che accompagnarono l'avvento dell'età ellenistica lasciarono una netta impronta sulla storia urbana delle città del mondo greco. Con forme, modi e tempi diversi l'equilibrio della città classica si spezzò, per dare luogo a nuove e più complesse realtà. Le vecchie poleis conobbero un totale cambiamento nei rapporti con il territorio e con le altre città-stato, attraverso la formazione di grandi organismi territoriali che privarono di vitalità e funzioni le tradizionali strutture cittadine. L'urbanistica delle città risentì fortemente delle mutazioni politiche: nelle nuove fondazioni il palazzo del sovrano, le tombe o i templi dinastici costituirono il nuovo punto focale dell'assetto urbano. Se i principali fattori di mutamento sono da ricercare nel nuovo rapporto con un potere politico regale, altre realtà culturali, pure già esistenti, acquistarono uno spazio e un'importanza nuova; basta citare, ad esempio, il nuovo ruolo del ginnasio nel mondo ellenistico, che finì per essere considerato il simbolo stesso della grecità, o lo sviluppo dell'evergetismo regale e della munificenza dei privati nell'attività edilizia. Un gran numero di nuove città venne fondato a partire dalla fine del IV sec. a.C. nei territori conquistati da Alessandro Magno. I motivi di questa colonizzazione furono di varia natura (militare, politica o economica), ma quasi sempre accompagnati da una politica di celebrazione del dinasta e della sua famiglia. Questo comportò, soprattutto per le città di maggiore importanza, un forte apparato di rappresentanza che si esplicava attraverso la presenza di monumenti particolarmente significativi, come ad esempio la tomba dello stesso Alessandro ad Alessandria d'Egitto, costruita da Tolemeo, o una generale amplificazione degli spazi cittadini attraverso l'uso di grandi vie di scorrimento e di aree aperte. Le fondazioni di Alessandro e dei Diadochi erano state tuttavia precedute da fenomeni di colonizzazione che avevano anticipato, anche se in scala ridotta, alcune delle caratteristiche proprie delle grandi urbanizzazioni del III sec. a.C. Le fondazioni di Megalopoli e Messenia e la ricostruzione di Mantinea, promosse da Tebe dopo la vittoria di Leuttra (371 a.C.), vennero realizzate con una funzione militare e politica dichiaratamente antispartana e probabilmente proprio per questo si caratterizzarono per la grandiosità delle opere di fortificazione. I sinecismi di Rodi, Coo e Alicarnasso furono portati a termine in poco più di un cinquantennio a partire dalla fine del V secolo, nella regione compresa tra le Sporadi meridionali e la costa turca antistante. I caratteri delle tre città sono essenzialmente omogenei: la loro fondazione era stata promossa da gruppi oligarchici o, nel caso di Alicarnasso, da un dinasta con lo scopo di creare un polo urbano importante. In particolare, l'impianto urbanistico di Rodi, tradizionalmente attribuito a Ippodamo di Mileto, presenta un tracciato viario regolare con grandi plateiai di notevoli dimensioni ed occupa la punta settentrionale dell'isola. Recenti ricerche hanno ricostruito un disegno analogo per la sistemazione urbana di Coo. Diodoro Siculo (XIX, 45, 3; XX, 82, 3) usa per descrivere la sistemazione urbana della città di Rodi il termine theatroidès, da intendersi come un riferimento alla situazione orografica del sito, razionalizzata con una serie di terrazzamenti che ha permesso uno sfruttamento del terreno tramite assi ortogonali orientati secondo i punti cardinali. Così anche per Alicarnasso possiamo ipotizzare una situazione analoga: Vitruvio (II, 8) usa infatti un'espressione simile a quella di Diodoro (theatri curvaturae similis). La forma a cavea di teatro del bacino in cui venne costruita la città fu regolarizzata da terrazzamenti per poter ospitare una trama stradale ortogonale. Un altro elemento caratteristico è l'evidenziazione dei monumenti particolari che qualificano immediatamente il carattere dell'abitato: così ad Alicarnasso un posto di notevole rilievo aveva il Mausoleo. Le grandi fondazioni di Alessandro erano state precedute dalla vivace attività di Filippo II: il monarca macedone aveva infatti colto l'importanza politica e propagandistica di nuove fondazioni e rifondazioni di cui era spesso eponimo. Tuttavia le nuove fondazioni dovevano essere città macedoni e lo stesso Isocrate, che nel Filippo esorta il re a fondare nuove città ai confini della Grecia, si riferisce a uno sfruttamento territoriale delle nuove terre conquistate a favore delle popolazioni greche. Alessandro, al contrario di Filippo, si interessò particolarmente al rapporto tra Greci e Asiatici, utilizzando le colonie per popolazioni miste. Secondo Plutarco, Alessandro fondò all'incirca sessanta città; le fondazioni iniziarono immediatamente dopo la battaglia di Isso (333 a.C.) e le città furono per la maggior parte eponime, a partire dalla stessa Alessandria d'Egitto. Questa fondazione è paradigmatica: la città, che doveva esprimere la grandezza del dinasta, si sviluppò sulla base di un tracciato ortogonale che tuttavia venne amplificato nelle dimensioni delle strade e degli isolati, in modo da superare tutte le altre poleis esistenti. Nuove fondazioni furono opera anche dei Diadochi. Il primo fu Cassandro, che fondò Cassandrea e Salonicco nel 316 a.C.; nel 309 venne fondata Lisimacheia. Tuttavia rispetto ad Alessandro le nuove città tornarono ad essere di aspetto assolutamente ellenizzante, con magistrature di tipo greco, ginnasi, teatri, agorài. A partire da questi primi episodi, sinecismi e simpoliteie diventarono molto frequenti, per diversi motivi: da un lato le città, come in periodo classico, cercavano indipendenza e autonomia, assorbendo anche insediamenti vicini con favorevole posizione strategica o economica, dall'altro gli stessi Diadochi, a partire dal 330, favorirono i sinecismi, per creare semplificazioni amministrative e fiscali o per una maggiore efficacia difensiva. Non sempre era facile, tuttavia, progettare un sinecismo e di frequente le integrazioni tra città che conservavano vive le loro istituzioni e tradizioni creavano, soprattutto all'inizio, una certa resistenza. Nei territori orientali la fondazione di nuove colonie ellenistiche era per lo più dovuta alla ricerca di terra coltivabile, che scarseggiava nelle zone già occupate da popolazioni greche; i dati archeologici e le fonti scritte dimostrano che spesso le nuove fondazioni furono realizzate su siti già occupati al centro di territori già sfruttati, che con l'intervento dei Greci vennero coltivati in modo più intensivo. I Seleucidi furono particolarmente attivi nella fondazione di nuove città. Disponevano di un regno troppo vasto e multirazziale per poter concepire lo stesso tipo di architettura e di urbanistica in tutto il territorio, tuttavia le città della zona ad ovest dell'Eufrate presentano caratteri più unitari, anche se alcune di queste (Alessandria in Troade, Nikasa, Antiochia sull'Oronte) furono inizialmente fondate da Antigono Monoftalmo e si è generalmente concordi nel sostenere che molte delle grandi colonie seleucidi furono anticipate dagli Antigonidi. In realtà diverse fondazioni attribuite, soprattutto da Appiano, a Seleuco, appaiono essere rifondazioni su siti più antichi; spesso si trattava solamente dell'aggiunta ad un tessuto urbano già pianificato di un quartiere "macedone", come a Heliopolis (Baalbek), che tuttavia conferiva all'insediamento lo statuto di polis. Una cura particolare Seleuco dimostrò per la Siria che, annessa solo dopo la battaglia di Ipso (301 a.C.), rappresentava lo sbocco sul Mediterraneo dell'impero seleucide. Le quattro grandi città siriane, Antiochia, Seleucia Pieria, Laodicea sul Mare, Apamea, furono fondate seguendo un piano urbanistico originale (anche se la prima nacque sul sito di Antigoneia) e delimitavano una sorta di quadrilatero che segnava il dominio particolare del re, aperto sul mare, attraverso i porti di Laodicea e di Seleucia. Nonostante le scarse informazioni a disposizione per il periodo ellenistico, sembra che queste città presentassero un impianto urbano unitario, a "croce di Lorena", con un asse maggiore e due strade ad esso perpendicolari. All'interno degli spazi così ricavati, in posizione centrale rispetto alla città, venivano sistemati gli edifici pubblici e quelli legati al culto. Lo stesso tipo urbanistico si ritrova anche in altre città, come Gerasa, Dura-Europos, fino ad Ai Khanum, anche se solo per Dura si può pensare ad una nuova fondazione. Questi centri furono realizzati tutti in un breve arco di tempo, intorno al 300 a.C., e la somiglianza tra le piante delle quattro città maggiori è così stretta che si è pensato potessero essere state disegnate da un unico architetto. Anche per Antiochia, a proposito della quale Strabone ci informa come fosse composta da quattro quartieri costruiti successivamente nel tempo, possiamo ritenere che l'impianto urbano sia stato comunque progettato in modo unitario. Fondate in relazione e in funzione delle grandi vie commerciali, le città siriane dovevano essere attrezzate con spazi e strutture adeguate; un tale impianto urbanistico si adattava soprattutto alle esigenze di una città istituita in funzione di un'attività gravitante verso l'esterno. Esempio paradigmatico di una fondazione ellenistica è quello di Dura-Europos, anche se, conquistata nel 133 a.C. dai Parti, ha avuto una breve vita come città greca; l'impianto originario è tuttavia ancora ben riconoscibile. L'abitato occupa un rettangolo di 40 ha circa ed è diviso da un tracciato viario ortogonale. Un'arteria principale, più larga delle altre, attraversa la città da nord a sud e costeggia il lato sud dell'agorà, fiancheggiata nel lati est e ovest da altre due arterie di dimensioni minori; tale doppio incrocio richiama la sistemazione delle città della tetrapoli. Questa griglia di strade determina 68 isolati, di cui 8 formano l'agorà; la città si caratterizzò quindi fin dalla sua fondazione con una divisione degli spazi tipica di una città ellenica. Dopo la conquista partica lo spazio dell'agorà sarà occupato da un mercato. Particolare importanza, per l'influsso sulla cultura romana, rivestì Pergamo in Misia. La città si sviluppò su una rocca frequentata già in età arcaica a circa 30 km dalla costa, grazie a Filetero (283-263 a.C.), custode del tesoro di Lisimaco e fondatore di una nuova dinastia. Il piccolo regno seppe imporsi e consolidare il proprio potere, trasformando la capitale, prima una piccola acropoli fortificata, in una città monumentale degna delle ambizioni di egemonia culturale e politica sul mondo greco coltivate dalla nuova dinastia degli Attalidi. Data la particolare situazione orografica, la città si sviluppò su grandi terrazze, con soluzioni architettoniche e urbanistiche di notevole impatto scenografico e monumentale.
E. Will, Les villes de la Syrie à l'époque hellénistique et romaine, in J.-M. Dentzer - W. Orthmann (edd.), Archéologie et histoire de la Syrie, II. La Syrie de l'époque achéménide à l'avènement de l'Islam, Saarbrücken 1989, pp. 223-50; J.D. Grainger, The Cities of Seleukid Syria, Oxford 1990; J.Ch. Balty, L'urbanisme de la Tétrapolis syrienne, in Ο ελληνισμοϚ στην Ανατολη. Πϱαϰτιϰα Α διεθνουϚ Αϱχαιολογιϰου Συνεδϱιου (Δελφοι‚ 6-9 νοεμβϱιου 1986), Athinai 1991, pp. 203-29; Ph. Gauthier, Les cités hellénistiques, in M.H. Hansen (ed.), The Ancient Greek City-State, Copenhagen 1993, pp. 211-31; A. Giovannini, Greek Cities and Greek Commonwealth, in Images and Ideologies. Self-Definition in Hellenistic World, Berkeley 1993; E.S. Gruen, The Polis in the Hellenistic World, in Nomodeiktes. Greek Studies in Honor of Martin Ostwald, Ann Arbor 1993, pp. 339-54; M. Cohen, The Hellenistic Settlements in Europe, the Islands and Asia Minor, Berkeley - Los Angeles - Oxford 1995; S. Settis (ed.), I Greci. Storia Cultura Arte Società, II. Una storia greca, 3. Trasformazioni, Torino 1998.
di Manlio Lilli
Tra le città ellenistiche un gruppo a sé è costituito da una serie di centri del Vicino Oriente, di prevalente interesse commerciale, che secondo la definizione di M. Rostovzev, non sempre condivisa da quanti negli ultimi decenni del Novecento si sono interessati all'argomento, vennero definiti "carovanieri". Secondo Rostovzev (che dedicò al loro studio, oltre ad alcune pagine di The Social and Economic History of the Roman Empire, Oxford 1926 e di The Social Economic History of the Hellenistic World, Oxford 1941, il noto Caravan Cities, pubblicato a Londra nel 1932), si trattava di centri con piante e caratteristiche interne talvolta molto differenti l'una dall'altra, anche perché non sempre fondati in luoghi privi di abitati precedenti, ma tuttavia accomunati dal posizionamento lungo strade di grande importanza per il passaggio delle carovane che trasportavano le merci. Alla serie di percorsi più antichi, aperti originariamente con fini militari (come nel caso di quelli assiri), se ne aggiunsero progressivamente degli altri, fino a raggiungere durante il II e III sec. d.C., una rete viaria particolarmente fitta. Celebri in proposito le grandi strade carovaniere del Tigri e dell'Eufrate con le loro diramazioni orientali, meridionali (Arabia meridionale), settentrionali (coste del Mar Nero) ed occidentali (coste della Fenicia e dell'Anatolia). Oppure, ad est delle catene montuose che bordano la costa, l'asse di comunicazione nordsud, che riprendendo parzialmente l'itinerario naturale della valle dell'Oronte, metteva in comunicazione Bostra e Damasco, Apamea e Antiochia; oppure, ancora, la complessa rete stradale esistente tra Antiochia e Palmira, la quale si articolava attorno alle città di Calcide d'Eubea, Anasartha, Androna, Seriane e Occariba. La ricostruzione di questa rete stradale non risulta tuttavia uniforme, dal momento che a regioni, come ad esempio la Siria, per le quali è nota una documentazione archeologica adeguata, ne corrispondono altre, ad esempio quelle ad ovest della Siria, per le quali si hanno poche notizie. In questi settori, fatta eccezione per le strade ricordate dalla Tabula Peutingeriana o dall'Itinerario Antonino, come la via costiera, la strada da Beirut a Damasco o quella di Baalbek, è meno facile identificare le strade secondarie e le piste soprattutto nei siti nei quali l'occupazione non ha praticamente conosciuto interruzioni dall'antichità. Il percorrere queste strade non era operazione semplice e priva di insidie. Infatti una delle loro caratteristiche, quasi in ogni tempo, è costituita proprio dalla loro insicurezza cagionata in massima parte da gruppi di predoni, popolazioni spesso divenute celebri per i loro assalti alle carovane. Ad esempio è noto come la strada dell'Eufrate fosse divenuta malsicura, specialmente nel tratto settentrionale, e come allo stesso modo lo fosse divenuta anche quella da Petra a Damasco, soprattutto a causa degli Iturei (anzi a questo proposito è possibile richiamare un passo con il quale Strabone [XVI, I, 27], raccontando come, proprio per evitare gli attacchi dei predoni, venne introdotta una deviazione della strada che andava dai porti della Siria verso Oriente e come lungo questo nuovo percorso ‒ che invece di costeggiare l'Eufrate, passava per il territorio sirio e quindi per quello del principato di Edessa ‒ venne fondata la città di Skenai, sembra evidenziare, accanto al ruolo commerciale, quello strategico, di alcune città poste lungo queste vie). Analoghi problemi di sicurezza esistevano per le strade da Tiro a Damasco e da Arado ad Emesa ed anche in questo caso l'espediente utilizzato per assicurare maggiore protezione alle carovane fu la fondazione di nuove città. In particolare la seconda via (via del deserto) divenne percorribile grazie all'esistenza di una città nell'oasi di Palmira, disposta a garantire sicurezza e rifornimenti: essa costituiva il reale centro di gravità di tutta la Siria centrale. È noto il ruolo essenziale giocato nel commercio carovaniero del Vicino Oriente romano; essa è stata collegata all'Eufrate attraverso delle piste che raggiungono Barbalissos, Sura, Dura-Europos, Circesium e Hit. D'altra parte per comprendere l'importanza anche strategica di molti di questi centri basta richiamare il caso di Dura-Europos, che costituiva senz'altro la chiave strategica della strada dell'Eufrate nella Mesopotamia centrale: la chiusura delle porte della città poteva interrompere le comunicazioni tra l'Alta e la Bassa Mesopotamia. In aggiunta a queste difficoltà, spesso le carovane erano anche costrette a pagare pesanti dazi, imposti dai dinasti della Mesopotamia superiore e dagli sceicchi arabi dei deserti siriaco e mesopotamico. Le nostre conoscenze sulle città che costituivano, di volta in volta, ora i punti di arrivo o di partenza e frequentemente di sosta di queste strade, riguardano nella maggior parte dei casi, piuttosto la fase romana che quella propriamente di età ellenistica. Tra quelle variamente note, le più conosciute sono Dura-Europos, Palmira, Gerasa, Philadelpheia, Bostra, Damasco e Petra. Le informazioni sulla topografia e sui monumenti si sono arricchite nel corso di questi ultimi anni attraverso scavi e pubblicazioni: ad esempio a Dura-Europos, gli scavi, interrotti nel 1938, sono stati ripresi da una missione congiunta franco-siriana nel 1985; a Gerasa è stata intensa l'attività di scavo che vede in azione numerose équipes internazionali; a Palmira, la Direzione Generale delle Antichità e dei Musei di Siria ha condotto scavi e sondaggi nella zona del Tempio di Nebo, mentre la missione polacca ha proseguito i propri scavi all'interno del Campo di Diocleziano e una missione tedesco- siriana ha indagato i cosiddetti "sepolcri-tempio"; a Philadelpheia, dopo gli scavi intrapresi negli anni Venti del Novecento dalle spedizioni italiane, indagini sistematiche legate a progetti di restauro hanno interessato l'acropoli e l'area del foro, mentre i non pochi scavi occasionali, realizzati in zone di espansione dell'abitato moderno perfettamente coincidenti con l'insediamento antico, hanno permesso la conoscenza di nuovi importanti dati; a Bostra, dove operano il locale dipartimento, la Direzione Generale delle Antichità e dei Musei della Repubblica Araba Siriana e le missioni straniere, il tessuto urbanistico della città romana decisamente modificato dall'insediamento moderno, che ha occupato l'intera area della città antica, sta gradualmente venendo alla luce; a Petra le indagini archeologiche e le molteplici discussioni degli ultimi trent'anni del Novecento hanno profondamente mutato il quadro delle conoscenze sulla città. Oltre ai controversi studi specifici sulle evidenze più note della città (tombe rupestri), numerose sono le novità sull'area urbana apportate dalla scoperta di importanti edifici pubblici e religiosi. Alcune di queste città fondate in età molto antica (ad es., allusioni alla città di Tadmor ricordata anche nella Bibbia, poi Palmira, appaiono per la prima volta in documenti assiri come le iscrizioni di Tiglatpileser I e di Assurbanipal) si ridussero a modesti abitati o addirittura scomparvero prima dell'età ellenistica; alcune altre, spesso, sopravvissero (come nel caso, ad es., di Aleppo, Damasco, Hama e Palmira) per l'azione combinata di due fattori: per la presenza del grande traffico carovaniero che collegava la Bassa Mesopotamia da un lato con l'Iran, l'India e l'Arabia, dall'altro con le regioni pontiche e per l'esistenza di zone fertili. Infatti, nonostante queste città, generalmente, sorgessero in luoghi desertici, sono noti anche casi nei quali il territorio era coltivato. Ad esempio questo avveniva a Dura-Europos (ma una analoga situazione è documentata per Susa e Antiochia in Siria), per la quale, attraverso alcuni documenti su papiri, siamo informati dell'esistenza (certamente in epoca arcaica) di una suddivisione del territorio in ekades e poi in kleroi, di kleroi come prospere aziende agricole, con case coloniche, frutteti e vigne e, anche se in epoca più tarda, di molti vigneti e di campi seminati ad orzo. D'altra parte sono numerosi i documenti che ci informano sull'attenzione rivolta durante tutto il periodo alla coltivazione del terreno. Intere regioni desertiche vengono rese fertili attraverso opere di canalizzazione, spesso di grande impegno: e in questo contesto vanno inquadrate, ad esempio, la cura da parte di Alessandro Magno, del canale Pallacopa, alimentato dal fiume Eufrate (Arr., Cyn., VII, 21, 5), oppure la manutenzione dei canali sotterranei (qanāt) derivati dai torrenti del Tauro per fornire acqua sorgiva indispensabile a "mettere a frutto la terra" (Pol., X, 28). Tuttavia è possibile rilevare come queste città presentino alcuni caratteri in comune, a partire dal loro posizionamento. Infatti l'analisi dei diversi luoghi prescelti evidenzia come nella maggior parte dei casi fosse costante la ricerca di luoghi strategicamente significativi per l'attraversamento delle vie di traffico, mentre variabili erano le condizioni morfoidrografiche. Ad esempio Dura- Europos, fondata sull'Eufrate a difesa dell'alta valle, dominava il fiume a nord-est ed era accessibile praticamente solo da occidente. A picco sul fiume era l'acropoli ai piedi della quale era la città vera e propria. Invece, Gerasa occupa, circa 42 km a nord di Amman, lungo l'antica via carovaniera, un'ampia vallata a 600 m circa s.l.m., sulle due rive del fiume Chrysorrhoas. Palmira, poi, nel territorio della quale è nota l'esistenza, attraverso la cosiddetta Tariffa di Palmira, di numerosi villaggi, sorge in un'oasi a metà strada tra l'Eufrate e il mare, nel punto più adatto per il commercio carovaniero. A Petra, infine, ed è forse il caso nel quale più evidenti risaltano le preoccupazioni per la ricerca di luoghi sicuri, si scelse un luogo in pianura, quasi completamente circondato da alture scoscese. Per quanto riguarda gli impianti urbani in alcuni casi sono documentati insediamenti precedenti l'impianto di età ellenistica. Ad esempio a Gerasa, la prima occupazione, determinata dalla presenza della sorgente di Ain Karawan, nell'area nord-occidentale della successiva città romana, è collocabile agli inizi del III millennio. Sondaggi eseguiti in più punti sulla collina detta Camp-Hill hanno dimostrato l'occupazione di questo nuovo settore apparentemente senza interruzioni, dalla metà del II millennio fino all'VIII-VII sec. a.C. Tuttavia, il periodo di massima estensione di questa lunga fase di occupazione sembra potersi riferire alla prima età del Ferro, come indicano alcune tombe rinvenute all'esterno della porta meridionale e la probabile estensione dell'abitato (del quale al momento risulta impossibile ricostruire la tipologia a causa degli scarsi resti rinvenuti) sulla collina successivamente occupata dal tempio di Zeus. A Damasco, centro di un'oasi di fertilità senza pari ai margini del deserto, un primo periodo di splendore, durante il quale fu capitale di un regno aramaico spesso in conflitto con gli Israeliti, è documentato dal X all'VIII sec. a.C., quando soccombette sotto i colpi degli Assiri (732 a.C.). Le origini della città attuale si fanno risalire ad una data imprecisata dell'epoca ellenistica. A Philadelpheia, oltre a sporadici reperti risalenti al Neolitico, gli scavi dell'acropoli hanno dimostrato che la collina fu continuamente abitata a partire dall'età del Bronzo Antico, mentre le prime fortificazioni sono da datare al Bronzo Medio. Scarsi sono i rinvenimenti della prima età del Ferro (riferibili alla Rabbath Ammon menzionata dalla Bibbia), mentre l'importanza acquisita dalla città durante il periodo assiro è testimoniata da significativi ritrovamenti (soprattutto presso l'area del teatro). A Bostra il periodo di occupazione più antico, risalente al Bronzo Medio II e al Bronzo Recente I, interessa la zona nord-ovest, servita da sorgenti perenni, mentre le testimonianze nabatee si trovano quasi esclusivamente nell'ambito dell'area successivamente occupata dalla città romana. A Petra, oltre al preesistente stanziamento edomita a Umm el-Biyara, l'arrivo dei Nabatei non sembra aver comportato, per un lungo periodo di tempo, la nascita di una città vera e propria né tanto meno la realizzazione di strutture monumentali. Tale ipotesi ha trovato una sostanziale conferma negli scavi condotti nel centro della città, a Ez-Zantur, dove le prime abitazioni costruite (risalenti non oltre la metà del I sec. a.C.) sono precedute da una fase di occupazione priva di strutture murarie, ritenuta pertinente ad un insediamento nomade. A questa fase protourbana risalgono semplici tombe rupestri ubicate sul pendio occidentale dell'altura di Khubtha e sulla parete rocciosa opposta del Wadi Musa, successivamente obliterate rispettivamente da alcune case e dal teatro. Infine, la recente scoperta di ceramica assira nell'area del Palazzo della Ridotta, a Dura-Europos, ha rivelato l'esistenza, anche in questo centro, di una occupazione anteriore alla fondazione della colonia macedone. Queste città, che nella maggior parte dei casi conservano solo pochi resti di età ellenistica (ad es., a Dura-Europos la prima fase, in pietra, delle mura della città), nell'aspetto attuale appaiono per la maggior parte riferibili alla monumentalizzazione di età imperiale romana. Tra gli impianti maggiormente noti, oltre a Dura-Europos frequentemente ricordato a proposito di queste città, un bell'esempio è costituito da Damasco. La città, cinta dalle mura lungo cui erano sette porte, delle quali resta solo quella di Oriente (Bab Sharqi), formava un rettangolo di 1330 × 850 m, col lato lungo parallelo al fiume Barada. Sulla via recta centrale era organizzata una rete di strade ortogonali che formava degli isolati di 100 × 45 m e suddivideva i quartieri residenziali (alcuni dei quali dovevano essere riservati a gruppi etnici o religiosi particolari). La città possedeva una piazza pubblica, la cui posizione è ignota, oltre probabilmente ad un teatro e ad un palazzo o cittadella. Una seconda strada a colonnati collegava la piazza all'edificio più importante della città, il tempio di Iuppiter Damascenus, corrispondente all'attuale Grande Moschea (anticamente la basilica di S. Giovanni Battista). Tra gli altri centri elementi particolari presenta l'impianto di Philadelpheia ed in particolare l'area dell'acropoli, articolata in tre terrazze regolarizzate da opere di contenimento e di difesa. Più che la terrazza mediana, la quale ospitava il temenos del tempio di Eracle, risulta interessante quella superiore. Qui, nonostante la presenza del palazzo omayyade ne renda problematica la conoscenza, è chiara la suddivisione in due recinti di ampiezza differente (quello meridionale di 78 × 126 m, quello settentrionale di 48 × 104 m), divisi da un muro decorato da nicchie inquadrate da piccole colonne su podio, la cui decorazione rinvia al periodo antonino. Un altro aspetto caratteristico di queste città, non di rado fornite anche di edifici di grande impegno (ad es., il teatro a Philadelpheia e soprattutto a Petra), è la presenza di grandi vie, in molti casi di impianto ellenistico, recuperate (come dimostra la caratteristica linea spezzata osservabile in alcuni casi lungo le vie principali) e monumentalizzate con colonnati sui due lati in età imperiale. A Philadelpheia risale infatti con tutta probabilità ad età ellenistica l'impianto dei due principali assi viari della città: il cosiddetto "decumano" (orientato in gran parte in senso sud-ovest/nord-est, secondo l'andamento del fiume Sayl Amman) e la via ortogonale (nota come cardo) che corre a ovest dell'acropoli. Tuttavia, in età imperiale le due arterie furono trasformate in vie colonnate (larghe 11 m), in ordine corinzio, mentre il fiume fu arginato da muri continui e, in taluni punti, coperto da volta a botte. Sempre a Philadelpheia, un propileo monumentale (largo 25 m) a tre ingressi in antis segnava l'inizio di una strada che conduceva dalla "città bassa" alla sommità della collina. Ugualmente a Palmira risulta ampiamente accertato che la grande via colonnata e le costruzioni adiacenti furono iniziate nel I sec. d.C. e trovarono il compimento architettonico in età severiana con il cosiddetto Arco Monumentale e le costruzioni annesse a est. A Damasco l'arteria principale, la via Diritta degli Atti degli apostoli (IX, 11), era larga 26 m (di cui 13,7 per il marciapiede), fiancheggiata da colonnati, ma anche sormontata da due archi i quali ne nascondevano alcune leggere inflessioni. Anche a Bostra una connotazione di monumentalità è conferita dalle vie colonnate che in gran parte sono ancora nascoste dalla sinuosa rete dei vicoli dell'insediamento moderno. Qui, è stata estesamente sbancata solo l'arteria principale (ovest-est) nel suo tratto maggiore dalla porta ovest (Porta dei Venti) sino all'altezza del mercato e delle Terme Sud: si è rimessa in luce quasi completamente la sequenza dei resti architettonici dei porticati che la fiancheggiavano. Il "decumano massimo" non presenta un asse lineare, ma varie flessioni: un'irregolarità di tracciato che denuncia la sua esistenza già in epoca preromana come in altre città carovaniere (cfr. Damasco, Palmira, Apamea, Gerasa): a tale irregolarità si sarebbe ovviato mediante artifici ottici, come il tetrapylon e anche un ampliamento ellissoidale della strada, poco dopo la monumentale porta urbica, laddove l'asse è deviato di 7° verso nord. Si potrebbe dunque ritenere che l'urbanizzazione romana sia stata vincolata da un antico asse viario, proprio delle città carovaniere. La via nord-sud, in relazione con il tetrapylon e la sorgente, che doveva verosimilmente collegarsi con le porte nord e sud, avrebbe anch'essa un tracciato che si adatta a un precedente asse viario. Ritornando al decumano, un altro episodio monumentale, in riferimento a un'altra deviazione dell'asse stradale, è l'arco trifornice e quadrifronte d'epoca antonina (Porta della Lanterna) affacciato sul lato sud, che funge da ingresso alla via colonnata che conduce al teatro. A Petra, poi, la strada principale, a partire dalla piscina annessa al ninfeo, fino a giungere all'arco trionfale a tre fornici posto all'altezza dell'edificio generalmente ricordato come Ginnasio Superiore ed invece ormai identificato come Tempio dei Leoni Alati, era colonnata su entrambi i lati. Da qui aveva inizio una zona pavimentata, con orientamento differente rispetto al tratto colonnato precedente, alla cui estremità era il tempio Qasr Bint Firaun. Per quanto riguarda più specificatamente le dimensioni di queste strade, generalmente la loro lunghezza, fatta eccezione per Antiochia che risulta di 3 km circa, si avvicina ad 1 km. Le larghezze, invece, devono le oscillazioni a situazioni locali: a Dura-Europos, ad esempio, la strada principale misura 12,79 m, mentre quelle ortogonali e quelle ordinarie sono, rispettivamente, di 8,45 e 6,3 m circa. Si tratta di un processo che giungerà a compimento in età imperiale quando le vie monumentalizzate raggiungeranno una larghezza che oscilla da un minimo di circa 20 m (22,8 m a Bostra) ad un massimo di 30 m (37,5 m ad Antiochia), anche se più frequentemente si riscontra la larghezza di 25 m (ad es., a Damasco e a Palmira). Il problema dell'inserimento di queste nuove strutture, soprattutto nei casi nei quali il nuovo impianto veniva a posizionarsi nell'area o addirittura al di sopra di un precedente abitato, spesso è stato risolto dal verificarsi di alcuni eventi quali incendi e/o terremoti. In relazione diretta con questi assi urbani si trovano spesso grandi piazze e/o importanti luoghi di culto. Tra le prime possono ricordarsi ad esempio la grande agorà di Dura-Europos, la quale occupava un'area pari a quella di ben otto isolati (148 × 160 m ca.), il cosiddetto Foro Ovale di Gerasa, oppure la vasta piazza porticata a pianta trapezoidale ampia 100 × 50 m (foro) di Philadelpheia. Invece, per quanto riguarda luoghi di culto, esempi significativi sono costituiti dal tempio di Zeus a Gerasa e dal grande santuario di Iuppiter Damascenus, a Damasco. In quest'ultimo caso la pianta che doveva risalire all'antichissimo tempio aramaico aveva ricevuto una veste greco-romana. Il peribolo esterno, di cui rimane ad ovest il cosiddetto Arco di Trionfo, presentava esternamente una costruzione enigmatica chiamata Gamma a causa della sua forma. Il peribolo interno, che costituisce ancora oggi il muro di cinta della moschea attuale, suddiviso all'esterno da pilastri e fiancheggiato da una torre a ciascun angolo, possedeva ad est un'entrata monumentale; intorno al cortile girava un grande portico. Del tempio propriamente detto che sorgeva al centro non resta alcuna traccia. Un buon esempio è offerto anche da Dura-Europos, dove recenti studi hanno chiarito il quadro dell'architettura religiosa della città. I due templi risalenti al periodo seleucide fin qui scoperti, quelli di Artemide e di Zeus Olympios (Megistos), attorno alla metà del I sec. a.C. sembra siano stati interessati da un importante mutamento nel carattere dell'architettura religiosa. Un naiskos di Artemide e di Apollo, di tipo verosimilmente greco, fu abbattuto prima di essere completato, per essere sostituito da un tempio a corte di tipo babilonese, datato da un'iscrizione agli anni tra il 40 e il 32 a.C. circa. Verso la fine del I sec. a.C., poi, secondo un modello di derivazione siriaca, caratteristico di templi dedicati a divinità femminili (Artemide, Atargatis, e Artemide Azzanathkona), il pronao fu trasformato in uno spazio teatrale. Con poche eccezioni, i templi costruiti in questo periodo, in genere dedicati a divinità semitiche, appartengono al tipo babilonese a corte, caratterizzato da numerose cappelle e in genere fornito di torri, reali o simboliche. Circa le fasi successive all'età romana, ed eventualmente l'abbandono degli abitati (talora causato da eventi naturali di particolare rilevanza), le indagini di scavo degli ultimi anni hanno senza dubbio permesso, in molti casi, una loro migliore conoscenza. Ad esempio, a Gerasa sembra ormai possibile sfumare il contrasto tra la presunta decadenza di III sec. d.C. e la ripresa dei secoli successivi. Per quanto riguarda la fase relativa all'occupazione omayyade, è possibile rivalutarne entità e natura, grazie alla scoperta di un ricco quartiere di abitazione a nord del decumano meridionale, di numerose fornaci per ceramica in più parti della città e, elementi politicamente più significativi, di una moschea subito a nord dei propilei del santuario di Artemide e di una zecca. Sembra inoltre confermato che il terremoto registrato dalle fonti per l'anno 746/7 d.C. sia stato la causa determinante dell'abbandono della città; materiali successivi risalenti al periodo mamelucco hanno per il momento carattere estremamente sporadico, difficilmente collegabile a un'occupazione consistente. Philadelpheia mantenne il suo rango di città anche durante il dominio arabo e sotto i Crociati, ma pian piano si ridusse ad un paese e da questa condizione si rialzò solo in tempi moderni. A Petra la progressiva riduzione di importanza, avviata agli inizi del III sec. d.C., ebbe come epilogo il terremoto del 363 d.C., i cui effetti disastrosi sono ora documentati, oltre che dalle fonti scritte, anche dall'evidenza archeologica. Nel periodo bizantino le testimonianze di vita sembrano suggerire un coagulamento dell'area urbana: Qasr el-Bint fu tramutato in chiesa, come anche la Tomba dell'Urna; ulteriori terremoti (551 e 747 d.C.) distrussero definitivamente Petra, occupata in seguito solo da una temporanea presenza di un fortilizio crociato.
A. Perkins, s.v. Dura-Europos, in EAA, III, 1960, pp. 188-94; E. Will, Les villes de la Syrie à l'époque hellénistique et romaine, in J.M. Denzer - W. Orthmann (edd.), Archéologie et histoire de la Syrie, II. La Syrie de l'époque achéménide à l'avénement de l'Islam, Saarbrücker 1989, pp. 223-50; J.D. Grainger, The Cities of Seleukid Syria, Oxford 1990; Ph. Gauthier, Les cités hellénistiques, in M.H. Hansen (ed.), The Ancient Greek City-State, Copenhagen 1993, pp. 211-31; P. Briant, Colonizzazione ellenistica e popolazioni del Vicino Oriente: dinamiche sociali e politiche di acculturazione, in S. Settis (ed.), I Greci. Storia Cultura Arte Società, II, Una storia greca, 3. Trasformazioni, Torino 1998, pp. 309-33; B. Virgilio, "Basileus". Il re e la legalità ellenistica, ibid., pp. 107-76; La ville en Syrie, Damas 1999.
di Luisa Migliorati
La definizione degli elementi costitutivi della città è direttamente collegata alla questione ancora dibattuta sul momento in cui la città assume la sua peculiare fisionomia. L'interrogativo trova i suoi precedenti nell'antichità classica e continua nel tempo, ma vede generalmente concorde l'esito, che possiamo sintetizzare attraverso i concetti espressi da Aristotele nel IV sec. a.C. e da Pausania nel II sec. d.C. (X, 4,1). Il primo, legato a un momento di rinnovamento politico, definisce la funzione urbana attraverso l'autonomia morale e politica dei suoi membri basata sull'autonomia materiale ed economica, affidando a sezioni più specialistiche dell'opera (Pol., V, 1327a; VII, 11, 1330a, 1330b, 1331a, 1331b) l'approfondimento sulle corrispondenti funzioni difensive, economiche e politicoamministrative; riguardo a queste ultime è suggerita l'associazione ai luoghi destinati al culto in modo tale che appaia chiara la consacrazione degli spazi pubblici ai numi tutelari della città. Un secolo prima il legame così stretto tra la sfera del sacro e quella della politica era presentato da Tucidide (VI, 3,1) come un'indiscussa priorità della prima sulla seconda, ricordando come preliminare alla costituzione di Naxos in Sicilia fosse stata la definizione degli spazi sacri, affermazione echeggiata da quanto Platone enuncia nelle Leggi (V, 738b-c) o nella Repubblica (VIII, 848d-e). Pausania, in un periodo critico per la polis, ma ormai consuntivo delle esperienze urbane, individua in modo più conciso gli elementi indispensabili per la definizione di città: agorà, uffici pubblici, ginnasio e strutture di approvvigionamento idrico; in tal modo affianca alla materializzazione del concetto di centralità politica elementi rapresentativi di un miglioramento nella qualità della vita. In termini attuali la questione sulla genesi della consistenza urbana è risolta nella individuazione del superamento della linea di demarcazione tra una riunione di "anziani" e la riunione degli stessi in uno spazio codificato che appartiene alla collettività e diventa il luogo pubblico per eccellenza, l'agorà. Emblematica della città, intesa come sintesi del pubblico e del privato, l'agorà svolge un ruolo primario nella gerarchia spaziale: ne consegue per l'area selezionata una persistenza di funzioni pressoché costante nel tempo rispetto alla restante superficie urbana, che al contrario vede spesso cambiare quadro edilizio e settori di destinazione funzionale. Ciò riguarda anche l'acropoli, il cui iniziale ruolo di arroccamento strategico protetto dal santuario vira rapidamente verso un ruolo storico, poiché si rivela a volte inadeguata alle stesse richieste difensive. Esperienza che in ambito coloniale sembra aver determinato l'assenza di una vera e propria acropoli. La definizione degli spazi di larga massima e cioè in particolare la divisione tra area pubblica e privata è stata sempre presente nella ideologia urbana greca. Se gli horoi, i cippi che alla fine del VI sec. a.C. sono posizionati ai limiti dell'Agorà di Atene, codificano a posteriori il perimetro dello spazio civico, i due gruppi di cippi rinvenuti al Pireo riflettono, anche nei termini utilizzati (nemesis, diairesis), la definizione e la successiva organizzazione interna di uno spazio voluto e misurato sin dalla fase progettuale. Direttamente dipendenti dalle esperienze praticate dalla scuola milesia, attraverso gli anelli di raccordo rodio-alessandrini, le città ellenistiche approfondiscono il tema della ripartizione funzionale e lo attuano su larga scala: da Alessandria ad Antiochia sull'Oronte, a Seleucia sul Tigri, il quartiere residenziale dinastico trova una collocazione autonoma differenziata dai quartieri abitativi, la cui ulteriore distinzione richiama infatti l'esperienza ippodamea di Thurii descritta da Diodoro Siculo (XII, 10, 7), dalla zona commerciale e dai due poli civico e religioso. Esigenze dunque indispensabili per la vitalità funzionale del luogo collettivo sono il permanere dell'immagine e delle relazioni spaziali originali con l'edilizia contermine. Il cambiamento di uno di questi elementi induce ad una nuova selezione dell'area pubblica: l'esempio di Atene, che con buona probabilità colloca la sua Agorà più antica tra l'Areopago e l'Acropoli e definisce la nuova non prima del VI sec. a.C., allontanandola dalla sede del potere politico dinastico, mostra la ricerca di un punto ideale di mediazione tra i raccordi urbani e i vettori territoriali e il consapevole raggiungimento dello scopo si manifesta attraverso la duplicazione di edifici che accoglievano importanti funzioni, quali ad esempio la tholos e la stoà basileios. Pertanto la tendenza della città greca ad identificare la sua essenza in un centro di riunione e dunque di deliberazione porta con sé sin dalle prime esperienze urbane una dislocazione funzionale dell'area pubblica; è pur vero tuttavia che questa inizialmente non appare definita dal complesso di edifici che ne formeranno il quadro monumentale e costituiranno l'ossatura della sua egemonia figurativa. Caratteristico è il caso di Megara Hyblaea, che nella sistemazione monumentale dell'agorà ne rispetta l'originaria forma trapezoidale, segnata da edifici sacri, ma selezionata sin dalla prima occupazione dell'area (VIII sec. a.C.), perché strutturata come zona di cerniera tra settori rispondenti a differenti esigenze di organizzazione territoriale più che riferimento alla memoria storica del sinecismo dei cinque villaggi che avevano formato Megara di Grecia. Posta all'incrocio di due degli assi viari pincipali, l'area comunitaria accoglie nel VII secolo templi, stoài, l'heroon dell'ecista, che coagulano sotto l'aspetto politico-religioso i vari gruppi protagonisti della colonizzazione, in uno spazio conchiuso che vede nel volgere di un secolo il superamento del momento agrario dell'abitato. Per Metaponto invece la funzione urbana dell'insediamento appare già definita dall'inizio (seconda metà del VII sec. a.C.), mediante un muro tra le anse dei fiumi Basento e Bradano che la distingue dalla chora. L'ulteriore organizzazione dello spazio è confermata dalla destinazione univoca della zona ad est del principale asse mare-entroterra per funzioni pubblico-sacrali e dalla mancanza di sepolture, sia entro la linea delle mura sia in area circostante le prime abitazioni. Non è che una conferma della legge che regolava i rapporti di netta differenziazione areale tra i vivi e i morti, riservando a questi ultimi uno spazio esterno, sia topograficamente compatto sia di contorno delle viabilità in uscita dal centro urbano. Infatti, in caso di nuova espansione urbana, la sovrapposizione dell'abitato alle primitive aree sepolcrali vede preliminari opere di bonifica, a volte tradotte anche in operazioni generali di livellamento (ad Acradina per la Siracusa timoleontea), a volte invece in interventi mirati (come sembra essere il caso a Taranto, benché non ancora chiarito definitivamente). Riguardo al rapporto tra sacro e politico nell'area pubblica, la città coloniale di Metaponto offre l'esempio di una più precisa specializzazione areale, riservando un settore al santuario urbano e uno all'agorà attraverso una linea di separazione concretizzata da cippi nel IV sec. a.C. Uno stesso concetto, ma in ambito microasiatico, vede a Priene, nella realizzazione del programma edilizio datato dal passaggio di Alessandro Magno, la costruzione di un'area pubblica nettamente separata dal contiguo santuario di ZeusOlympios. Tuttavia già nel VI secolo a Metaponto nell'area dell'agorà una zona particolare veniva riservata da cippi epigrafi al principale edificio connotante le funzioni della collettività, l'ekklesiasterion, che pur con varianti strutturali è sempre stato presente nella vita della città. Agli elementi tradizionali (prytaneion, bouleuterion, tribunale, zecca, sacello alla divinità o all'ecista) Aristotele (Pol., VII, 11, 1331a) suggerisce di associare il ginnasio, che in effetti dal IV secolo raggiunge una posizione intraurbana (Smirne, Nisa, Assos, Colofone) e comunque pianificata (Mileto, Priene, Megalopoli) all'interno della maglia della città, in virtù della accresciuta importanza rivolta all'educazione in tutti i suoi aspetti. La crescita edilizia del ginnasio in età ellenistica è il riflesso di un nuovo modo di considerare la sua funzione: non solo luogo di formazione della classe dirigente, ma sede di istituzioni civiche, quale anche quella giudiziaria del tribunale, che in associazione ad una posizione centrale fanno del ginnasio l'equivalente dell'agorà e quindi del foro (Alessandria in Egitto, Nicea in Bitinia). È senza dubbio la funzionalità dell'impianto ortogonale programmato a diffondere nelle nuove città la definizione regolare dello spazio pubblico e ad indurre i vecchi impianti con sistemi urbani ad impostazione evolutiva come Atene, Corinto, Colofone, Taso, ad un aggiornamento coinvolgente settori più o meno ampi. Le nuove conquiste, sia politiche sia economiche, permettono di rifiutare i compromessi funzionali caratteristici delle prime fondazioni urbane e, ribadendo la specializzazione delle funzioni, introducono la differenziazione delle attività commerciali e politico-giudiziarie in una duplicazione di aree possibilmente contigue. Olinto, Morgantina, Napoli attuano nel corso del V sec. a.C. le soluzioni che saranno tipiche delle città ellenistiche sorte su siti morfologicamente articolati: la distribuzione delle agorài a destinazione specifica su diversi livelli; Mileto e il Pireo sono legate all'ovvia diversificazione dei punti ottimali di convergenza dei sistemi di scambio dei prodotti e delle riunioni dei cittadini in un organismo urbano che si apre sempre più all'esterno con strutture recettive portuali di immagazzinaggio e vendita, mentre si isola nell'espletamento delle funzioni civiche attraverso le quinte architettoniche dei monumenti pubblici. Si tratta dell'agorà definita "ionica" da Pausania (VI, 24, 2), imbrigliata dalla maglia urbana, geometrizzata secondo multipli del modulo insulare; all'accostamento parattatico di edifici autonomi si sostituisce la continuità di facciata sino alla realizzazione dell'agorà di Magnesia al Meandro, ove alla fine del III sec. a.C. Hermogenes traduce le esperienze costruttive dei peristili dei grandi palazzi, riflesse anche in centri come Efeso o Messene. In queste città appare superato il rapporto diretto con la viabilità quale si verificava ad esempio a Priene, in cui l'asse mediano alla città da est ad ovest definisce il lato settentrionale della piazza e la separa dalla Stoà Sacra. Il legame spazio pubblico-rete viaria in quei centri è ora denunciato soltanto dall'eventuale interruzione nelle stoài, enfatizzata poi in età romana dalla monumentalità dei propyla. Ma la dislocazione dello spazio pubblico è direttamente dipendente dall'obiettivo vocazionale del centro e dunque nelle città carovaniere generalmente per le aree commerciali verrà privilegiato il settore paramuraneo per creare un'area di contatto più immediata con il traffico mercantile (Gerasa, Damasco, Palmira); comunque in seguito l'indispensabile attraversamento urbano vedrà determinare un progressivo trasferimento delle attività di scambio lungo le principali sedi stradali. Le vie colonnate, i cui primi esempi sono oggi datati su base archeologica al II-I sec. a.C., anche se la loro affermazione si nota almeno un secolo dopo, codificano la loro trasformazione in assi attrezzati che arrivano a sostituire l'agorà nelle sue funzioni. Diverso è il caso di Dura-Europos, che mostra il profondo coinvolgimento urbano all'interno dei circuiti commerciali nei dati programmatici dell'agorà: posizione centrale, superficie corrispondente a otto isolati, principale asse di attraversamento urbano tangente ad uno dei suoi lati. Il mancato completamento edilizio dovuto a difficoltà finanziarie dei Seleucidi favorirà la saturazione dell'area con le strutture del sūq partico, che ne confermeranno in tal modo la valenza topografica in rapporto alla viabilità intra- ed extramuranea. La progressiva vanificazione delle attività democratiche conduce l'area civica, particolarmente in età ellenistica, ad assumere una valenza soprattutto culturale, anche in conseguenza della diffusione degli stimoli evergetici artistici e letterari; si assiste dunque all'inserimento nel quadro urbano di edifici rappresentativi delle funzioni intellettuali: biblioteche, accademie, musei si affiancano alle più tradizionali strutture dei ginnasi e dei teatri. Questi ultimi, presenti sulla scena urbana con strutture precarie sin dal VI sec. a.C., vengono fissati tipologicamente nel corso del IV. Confermandosi impositivo il rapporto del teatro con l'edificio sacro, il tentativo di associarlo all'agorà spesso fallisce a causa della sua dipendenza da un fianco collinare al quale si adatta la cavea e certamente il binomio risulta più frequente in quei centri che, edificati su morfologie variamente articolate, attuano soluzioni terrazzate per l'impianto (Kremna, Sagalasso, Termesso). Inoltre nelle città ellenistiche il teatro trova nella volontà di composizione architettonica con il terreno l'elemento di valorizzazione che lo rende talvolta il fulcro urbanistico di un settore areale (Pergamo, Aigai). Risulta tuttavia emergente anche nel tessuto connettivo omogeneo delle città classiche, pur se inserito nei quadri del piano urbano (Priene). Più strettamente intrecciata al tessuto abitativo, la rete viaria si rivela nel corso del tempo ovviamente adeguabile alla fruizione degli spazi privati, avvertibile talvolta anche solo a livello di ambitus nelle lunghe strigae delle città di fondazione. Elementi di mediazione dunque tra lo schema progettuale e il piano attuativo, nella definizione dei moduli insulari gli assi viari si configurano come la variabile che permette una sempre migliore disposizione delle case all'interno dell'isolato. Riguardo alle caratteristiche tecniche iniziali delle strade, è bene dire che si limitano alle dimensioni quasi sempre diversificate in funzione del loro peso nel piano urbano: dalle grandi plateiai dei centri coloniali d'Occidente che raggiungono anche i 30 m circa, come la principale a Thurii, agli stenopoi con variabili da 3 a 6 m, con una media che nelle città greche si attesta tra i 4 e 4,5 m in età classica, per spostarsi su ampiezze maggiori nel periodo ellenistico.
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di Luigi Caliò
Dopo la caduta dei regni micenei la costruzione di fortificazioni urbane diminuisce sensibilmente; tuttavia per il IX e l'VIII sec. a.C. possiamo trovare siti fortificati sulle coste dell'Asia Minore e nelle isole dell'Egeo. Queste fortificazioni costruite ex novo non sorgono su resti dell'età del Bronzo e sono generalmente utilizzate per un periodo relativamente breve; si tratta con tutta probabilità di sistemi di difesa legati a pericoli contingenti. Le fortificazioni urbane sono comuni fin dal periodo arcaico nelle colonie occidentali. Fortificazioni in mattoni rinvenute sulla collina di Policoro (Siris), si datano alla metà del VII sec. a.C. e la loro tecnica di costruzione si confronta con quella di Smirne. A Lentinoi la prima fase della cinta in pietra tagliata si data nella prima metà del VII secolo e la seconda fase è del 600 a.C. circa. In Grecia nel periodo arcaico le nuove fortificazioni sono costruite a partire dal 700 a.C., ma nella maggior parte dei casi difendevano la sola acropoli. Città importanti come Atene alla fine del periodo arcaico non possedevano ancora una cinta muraria. In alcuni casi la linea difensiva dei centri urbani fuori dalle acropoli è ancora costituita dai muri delle case più esterne secondo una pratica che continua in periodo classico ed oltre. Nel periodo arcaico le cinte murarie consistono essenzialmente in una semplice barriera verticale in cui la parte più difesa sono le entrate e il loro scopo è essenzialmente quello di contrastare un attacco frontale. Il disegno delle mura, per il quale ha grande importanza l'orografia, deriva ancora in gran parte dalle fortificazioni dell'età del Bronzo, anche se ci sono alcune innovazioni, come l'uso di costruire in mattoni su uno zoccolo in pietra, mutuate soprattutto dall'Oriente. Le Cicladi, per la loro maggiore esposizione ai pericoli, iniziano ad avere città, come Taso, fornite di un circuito completo già alla fine del periodo arcaico. A partire dall'inizio del V sec. a.C. si trovano diverse innovazioni importanti, tra le quali, su influsso asiatico, la presenza di torri rettangolari ad intervalli lungo il circuito murario; le fortificazioni iniziano a comprendere tutto lo spazio urbano e in alcuni casi anche una porzione di spazio non abitato. La prima metà del secolo vede anche lo sviluppo di una nuova tipologia difensiva: le Lunghe Mura, che permettevano di mantenere i collegamenti tra la città e il suo porto, così da rendere la città stessa indipendente dal suo territorio e permetterle di affrontare anche un lungo assedio. In questo periodo il complesso di fortificazioni urbane più significativo è quello di Atene. La cinta muraria di Atene è costruita tra il 479 e il 459 a.C., anno in cui vennero terminate le Lunghe Mura e le fortificazioni del porto. La porta della Collina delle Muse e la porta del Dipylon hanno una pianta a tenaglia a bracci paralleli che corrono all'interno della cinta muraria; questo è un sistema che permette di controllare un passaggio relativamente ampio, tanto da non impedire il transito in periodo di pace. Lunghe mura sono state costruite anche a Megara, a Patrasso, ad Argo, a Corinto. Alla fine del V secolo si assiste ad un rinnovamento della tecnica dell'assedio soprattutto ad opera di Dionisio di Siracusa che curò in modo particolare le difese della città, fortificando l'altopiano delle Epipole con un muro, nel quale si apre una porta a tenaglia, e con il castello Eurialo. Si tratta di uno degli esempi più antichi di introduzione di un circuito murario che ingloba anche una zona non abitata. Questa nuova tecnica è utilizzata spesso nelle cinte costruite durante il IV sec. a.C.; le nuove impostazioni sono applicate soprattutto dai Tebani dopo la battaglia di Leuttra (371 a.C.) nelle fondazioni di Messene e Megalopoli e nella ricostruzione di Mantinea, ma sono presenti anche in Asia con la costruzione delle mura di Alicarnasso, di Alessandria in Troade, di Eraclea sul Latmo, Seleucia Pieria ed Efeso. Alla fine del IV secolo le opere di difesa si adeguano alle innovazioni delle tecniche di assedio, con la costruzione di torri coperte, ma anche con la creazione di posterule per poter contrattaccare tramite sortite; tuttavia alla fine del IV secolo la gran parte delle fortificazioni urbane erano generalmente obsolete e non riuscivano a contrastare le nuove tattiche di assedio. In questo periodo solo Rodi riesce a difendersi efficacemente da un esercito moderno e organizzato come quello di Demetrio Poliorcete. La crisi demografica ed economica con cui si apre il III secolo non rende più disponibili grandi risorse umane e finanziarie per la guerra. La mancanza di forze militari adeguate rendeva probabilmente inutili i grandi circuiti murari del secolo precedente, che vengono ridotti per mezzo di diatechismata, come quello di Eraclea sul Latmo, che riduce il circuito da 6,5 a 4,5 km. La costruzione di questi diatechismata è attestata archeologicamente, come a Stratos o ad Assos, ma anche epigraficamente, come ad Atene o a Trezene. Gli stessi assedianti non fanno più uso delle enormi macchine progettate tra la fine del IV secolo e l'inizio del III. Le nuove tattiche si basano sulla generale debolezza numerica dei difensori e sulla concentrazione dell'attacco nel punto più debole della cinta. Le nuove costruzioni murarie si adeguano alla diversa situazione e cercano tecniche costruttive più economiche. I problemi difensivi riguardavano in particolare la scarsezza delle guarnigioni, per cui bisognava trovare il sistema di spostare quanto più rapidamente possibile i soldati da un punto all'altro delle mura. Le mura vengono quindi costruite con un tracciato il più stretto possibile e, in alcuni casi, lungo linee rette, come a Side o a Perge. Hanno i camminamenti disposti su più piani, sorretti da archi (Rodi, Perge) o da mensole (Side), per facilitare lo spostamento di truppe e permettere di concentrare la difesa in un solo punto. La presenza di più livelli rendeva inoltre più difficile la scalata delle mura da parte degli assedianti. Spariscono le posterule perché la scarsezza di uomini non permetteva di azzardare sortite. Nelle torri e a livello del terreno lungo i tratti murari potevano trovare posto elementi di artiglieria; in particolare le torri diventano soprattutto poligonali o circolari. La mancanza di difesa attiva da parte degli assediati favorisce lo sviluppo dei fossati, mentre le porte sviluppano complessi sistemi di difesa, con corte interna.
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