Il ferroviere
(Italia 1955, 1956, bianco e nero, 120m); regia: Pietro Germi; produzione: Carlo Ponti per Enic; soggetto: Alfredo Giannetti; sceneggiatura: Pietro Germi, Luciano Vincenzoni, Alfredo Giannetti; fotografia: Leonida Barboni; montaggio: Dolores Tamburini; scenografia: Carlo Egidi; costumi: Mirella Morelli; musica: Carlo Rustichelli.
Sandrino, terzogenito del ferroviere Andrea Marcocci, corre alla stazione Termini dove il papà sta scendendo dalla motrice del rapido di cui è conducente. È Natale, e l'uomo, benché a casa lo aspettino i familiari, tra cui la figlia Giulia costretta dal padre a sposarsi perché incinta, si ferma per qualche bicchiere all'osteria, luogo d'incontro dei ferrovieri romani. Quando rientra a casa ubriaco, la casa è vuota perché Giulia si è sentita male ed è stata portata all'ospedale, dove il suo bambino nascerà morto. Il già fragile matrimonio della ragazza entra in crisi. Andrea, che si sente in colpa per non essere stato accanto alla figlia nel drammatico momento, ha due incidenti sul lavoro: non riesce a evitare il suicidio di un uomo che si butta sotto il suo treno, poi non vede uno stop ed evita di poco lo scontro con un altro treno. Sospettato di ubriachezza, viene rimosso dall'incarico di conduttore del rapido e declassato ‒ a paga ridotta ‒ a macchinista di una vecchia locomotiva a carbone; quando chiede solidarietà al sindacato, non ottiene alcun appoggio. Giulia, che ha una relazione con un altro uomo, viene scoperta involontariamente da Sandrino. Andrea è sempre più spesso in osteria. Isolato da tutti rifiuta, per soldi, di partecipare allo sciopero generale e viene bollato come crumiro. Il figlio maggiore, Marcello, per salvarsi da loschi traffici ruba i gioielli della madre e fugge di casa. Alla scoperta che la figlia ha un amante, Andrea la picchia selvaggiamente. La ragazza se ne va; da quel momento il ferroviere smette di lavorare e inizia a passare le sue giornate, ubriaco, in osteria. È Sandrino che lo aiuta, lo sostiene, lo riporta dai vecchi amici che gli si stringono intorno. Colto da un infarto, Andrea affronta una lunga convalescenza, seguito amorevolmente dalla moglie Sara. La sera di Natale la famiglia si ricompone, tornano anche Giulia e Marcello, gli amici fanno visita ad Andrea. Dopo la festa, rimasto solo con la moglie, l'uomo improvvisamente muore. Sandrino racconta come il fratello prenderà il posto del padre e come ogni cosa continuerà.
"Settembre 1961, a Roma. Da Rosati a via Veneto. Germi lo trovavi sempre lì, al bancone del bar, seduto davanti a un bicchiere di vino. Non era una posa d'artista: era davvero nella sua natura starsene silenzioso a pensare sorseggiando del buon vino. Se non avessi saputo ch'era un celebre regista e anche attore avrei detto, per istintiva sensazione, che poteva essere un ferroviere. Perché mi ricordava mio padre come lo avevo in mente da bambino: anche lui ferroviere. Gente solida, buoni bevitori ma rigorosamente sobri in servizio. Quel giorno di settembre, fu proprio Germi a rivolgermi un saluto. Fino ad allora, io lo incontravo spesso lì (lo ammiravo moltissimo), ma non avevo mai osato importunarlo. Mi disse che aveva visto Il posto, il mio film che era stato alla Mostra di Venezia e che gli era piaciuto. Io gli confidai la grande emozione (e le lacrime!) per il suo Ferroviere. Ma al di là della grazia sublime dell'opera ‒ di una rara potenza poetica! ‒ c'era per me una ragione particolare, che mi faceva amare in modo speciale quel suo film: riguardava la mia stessa vita e quella di mio padre. Per quelle strane, imperscrutabili coincidenze dei destini, le vicende del suo ferroviere ricordavano quelle capitate a mio padre, anche lui macchinista di locomotiva. Convinto socialista, mai iscritto al fascio, venne esonerato dalle Ferrovie e dopo solo due anni da disoccupato trovò un posto nell'Azienda del Gas. Ancora su una locomotiva: ma una piccola locomotiva, di quelle per lo smistamento dei carri col carbon-coke, che pareva un giocattolo in confronto alla potente 691 dei treni a grande velocità! Riconobbi nelle umiliazioni del Ferroviere di Germi le stesse subite da mio padre; e capii il suo dolore, anche se aveva sempre cercato di nasconderlo. Dopo quell'incontro, ci siamo rivisti altre volte al Rosati di via Veneto. Non parlammo più del Ferroviere. Tuttavia quella storia in comune ci faceva sentire in tacita intesa: una sorta di parentela sentimentale" (Ermanno Olmi).
Tra i registi italiani di prima grandezza, Pietro Germi è stato considerato dalla nostra critica come il meno 'procreativo', quello che ha lasciato minore eredità. Queste note inedite di Ermanno Olmi sembrano dimostrare il contrario. Certo è che tutta l'opera di Germi, regista scomodo, antifascista, anticomunista, spesso arrogante e sanguigno, è stata travisata dalla critica dell'epoca, molto spiazzata anche da Il ferroviere. Germi veniva da una serie di insuccessi commerciali e alla ricerca di nuovi soggetti fu conquistato dal racconto inedito di un giovane sceneggiatore comunista, Alfredo Giannetti, che aveva come protagonista un operaio e la sua famiglia. Il produttore, Carlo Ponti, non credeva nel progetto e anche per rallentarne la realizzazione propose, per la parte del protagonista, nomi impossibili come quelli di Spencer Tracy e Broderick Crawford. Fu Giannetti a intuire che Germi avrebbe voluto e potuto interpretare il ruolo principale e fu lui a dirigerlo nei provini che convinsero Ponti.
Con i suoi Nastri d'argento al regista e al produttore, Il ferroviere fu un grande successo, nei piccoli centri ancor più che nelle grandi città. Il pubblico fu colpito dalla sincerità dell'opera, specchio dell'Italia dell'epoca: una Roma in costruzione dove i palazzi rubano spazio al gioco dei bambini, paghe che non bastano, scioperi, crumiri, dirigenti sindacali che non ascoltano, una società dove l'unica salvezza è nel senso di appartenenza a un mondo antico, popolare, capace, con il proprio affetto e le proprie radici, di dare la forza per affrontare i drammi della vita. Come osserva Mario Sesti, Il ferroviere può essere confrontato all'altro grande monumento cinematografico di melodramma e realismo, Rocco e i suoi fratelli, "due film che affrontano un vero corpo a corpo con quello che si può considerare il mito più profondo dell'inconscio, della Storia e della struttura sociale di questo paese: l'unità della famiglia". Una famiglia dove padre e figli non comunicano e la moglie è l'unica a capire, a tentare una mediazione tra le persone amate cercando una strada, con fatica e ragionevolezza. Opera corale sul tempo che passa, il film doveva intitolarsi Un giorno e tutti i giorni perché racconta "lo scorrere lento della vita, il senso amaro, tenero, drammatico e dolce della vita". È probabilmente il film più musicale del cinema italiano, con una colonna sonora di Carlo Rustichelli che sorregge l'onda emotiva degli avvenimenti. Germi fa un uso sistematico delle ellissi e sfrutta ritmicamente due punti di vista narrativi, quello di Sandrino, che addolcisce la durezza degli avvenimenti, e quello del narratore che invece li drammatizza. La grandezza del film sta nel fatto che Germi raccontando i cambiamenti italiani, facendo i conti con la tradizione neorealista, mette in scena una storia universale: il sentimento di gioia infine brevemente raggiunto dai due coniugi non può non ricordare la conclusione di Tōkyō monogatari, dove i due anziani genitori osservano la durezza della vita trascorsa con uno sguardo caldo, disincantato e carico di civile e dignitosa felicità.
Interpreti e personaggi: Pietro Germi (Andrea Marcocci), Luisa della Noce (Sara Marcocci), Sylva Koscina (Giulia), Saro Urzì (Gigi Liverani), Carlo Giuffrè (Renato Borghi), Renato Speziali (Marcello Marcocci), Edoardo Nevola (Sandrino Marcocci), Antonio Acqua, Mirella Fedeli, Franco Fantasia.
G. Bezzola, Il ferroviere, in "Ferrania", n. 2, febbraio 1956.
F. Di Giammatteo, Il ferroviere, in "Bianco e nero", n. 11-12, novembre-dicembre 1956.
G. Aristarco, Il ferroviere, in "Cinema nuovo", n. 96, 15 dicembre 1956.
G. Dell'Acqua, Il cammino della speranza e quello delle ambizioni, in "Schermi", n. 1, aprile 1958.
R. Durgnat, Man of Iron, in "Films and Filming", n. 6, March 1963.
S. Borelli, 'Il ferroviere', 'L'uomo di paglia', in V. Attolini et al., Il cinema secondo Germi, Roma 1990.