FILARETE, il
, Antonio Averlino o Averulino detto con soprannome umanistico il Filarete, nacque a Firenze da Pietro maestro d'intaglio verso il 1400. Forse prima a Firenze tra gli aiuti del Ghiberti nella porta del Battistero, nel 1433 era a Roma avendogli Eugenio IV affidata la maggior porta bronzea della Basilica vaticana, cui egli lavorò per dodici anni, fino al 1445; modificando e completando con aggiunte il progetto primitivo, sia per gli eventi storici, sia per la maggiore maturazione delle sue attitudini artistiche in meditativo contatto con i monumenti dell'antichità classica. È questa l'opera di lui, tanto nelle deficienze rappresentative quanto nelle esuberanze decorative, più caratteristica. Di minore importanza sono alcuni lavori più d'oreficeria che di plastica scultorea: una riproduzione con libertà di varianti della statua di Marco Aurelio (Museo di Dresda) e alcune targhette (ora in varie collezioni europee). Dubbio il busto in bronzo dell'imperatore Paleologo (Roma, Museo Vaticano); e tutt'altro che certa è l'opera da lui data per il monumento funebre al cardinale Antonio Chiaves morto nel 1447. Ad ogni modo se lo incominciò, dovette intralasciarlo, costretto a partirsene da Roma, sotto l'accusa di voler rubare la testa di San Giovanni Battista. Trattenutosi a Firenze nel 1448, peregrino a Lodi, Rimini, Padova, Piacenza, Mantova per fermarsi nel 1449 a Venezia. Ed è di questi tempi la bella croce processionale d'argento per la cattedrale di Bassano. D'ora in poi il F. attenderà a lavori, per i quali davvero sarà giustificato l'appellativo di architetto. Raccomandato a Francesco Sforza da Piero de' Medici il suo intervento ai lavori della fronte del castello di Milano, nel 1451, risultava opportunissimo per attenuarne, con la decorazione architettonica, l'aspetto troppo grave e minaccioso verso la città. L'opera dell'artista fiorentino alla torre centrale suscitò presso gli altri ingegneri e maestri resistenze e contrasti tali, ch'egli si licenziò dopo meno di tre anni dal duca. Così che, della torre denominata dal F., e ricostruita in memoria di Umberto I, poco o punto rimane di suo. Ma l'opera d'architettura alla quale è legata sicuramente la fama del F. è il progetto organico, anche se di poi variato, e la parte originaria dell'Ospedale di Milano, commessagli dallo Sforza nel 1456. Lo elogia anche il Vasari, per lo più assai severo verso l'Averlino. Il F., assunto regolarmente nel 1460, diresse i lavori per cinque anni, portando quasi a compimento tutto il corpo di fabbricato a crociera verso destra e il corrispondente piano terreno; dove svolse un arioso portico sovralzato con gli archi di cotto e, al sommo, un'alta fascia ricorrente fra due cornici, anch'essa di terracotta, nella quale rivela con la minuta artificiosità del motivo le sue origini di orefice decoratore. Nel 1465 lascia spontaneamente i lavori dell'Ospedale: né di lui si ha più notizia sicura, nemmeno dell'anno della morte. Forse lo stancarono i dissidî, le malevolenze, e i contrasti in materia tecnica e artistica con i colleghi fedeli alle tradizioni lombarde. Tant'è vero che Guiniforte Solari, successogli all'Ospedale, fece a sesto acuto le finestre del piano superiore cambiando totalmente ritmo e tono all'edificio iniziato dal F.
È tuttavia molto notevole il fatto, che l'artista godette della costante fiduciosa protezione del duca: già nel 1452, per volere di lui, era stato assunto come ingegnere della Fabbrica del Duomo tanto a malincuore dei rispettivi deputati, che dopo due anni lo licenziarono; ed ecco Francesco Sforza mandarlo a Cremona, perché s'occupasse dell'arco che questa città aveva deliberato d'erigergli in onore. Come non si ha traccia di questa opera, così nessuna ne rimase, se non uno schizzo nel suo Trattato, di quanto egli fece per il duomo di Bergamo nel 1457 e qualche anno innanzi. Si sa pure che il duca, tenendolo quasi come suo consulente, ebbe a mandarlo a Venezia, a Varese, a Bellinzona. Pertanto, l'Averlino gli dedica non solo una medaglia con la propria effigie e una rappresentazione allegorica, ma anche il suo Trattato d'architettura, scritto fra il 1460 e il 1464; nel quale immaginando che lo Sforza lo abbia incaricato della costruzione dell'intera città di "Sforzinda" fa sfoggio d'ogni cognizione tecnica e artistica: sfoggio né erudito né equilibrato, né pratico né elegante. Lo strano libro può nondimeno interessare. Da orefice, il F. diventò scultore, architetto, e con incarichi, attribuzioni e lavori che richiedono dottrina e perizia non comune. Non sempre ebbe le doti richieste dall'importanza delle opere a lui affidate, ma cercò di supplirvi con l'intuito e con la pratica attività. (V. tavv. LIII e LIV).
Bibl.: A. Averlino, Trattato d'architettura: dal codice magliabechiano conservato a Firenze, trasse la sua edizione W. von Oettingen, Vienna 1896; G. Vasari, Le Vite, II, Firenze 1878, pp. 453-463; L. Beltrami, Il castello di Milano sotto il dominio dei Visconti e degli Sforza, Milano 1894; L. Beltrami, Indagini e documenti riguardanti la Torre principale del castello di Milano ricostrutta in memoria di Umberto I, Milano 1905; G. Gerola, Una croce processionale del Filarete a Bassano, in L'Arte, IX (1906), pp. 292-96; M. Lazzaroni-A. Muñoz, Filarete scultore e architetto del secolo XV, Roma 1908; P. Schubring, in Thieme-Becker, Künstler-Lexikon, XI, Lipsia 1915 (con bibl.); V. Rakint, Une plaquette du F. au musée de l'Ermitage, in Gaz. des beaux-arts, (1924), II, pp. 157-66; A. Venturi, Storia dell'arte ital., VI, Milano 1908, pp. 523-44; VIII, ii, Milano 1924, pp. 172-73; P. Pecchiai, Guida dell'Ospedale Maggiore di Milano e degli Istituti annessi, Milano 1926; id., L'Ospedale Maggiore di Milano nella storia e nell'arte, Milano 1927.