di Andrea Plebani
Al-Qaida ha sempre operato su molteplici livelli e ha unito caratteristiche proprie di un’organizzazione fortemente strutturata (quantomeno sino alla caduta del santuario afghano seguita agli eventi dell’11 settembre) a elementi ideologici che – secondo molti analisti – avrebbero un valore superiore all’impostazione strutturale del movimento.
Ciò su cui tutti gli esperti hanno sempre concordato, però, è la fortissima vocazione internazionale di al-Qaida che, sin dal 1998, con la proclamazione della nascita del ’fronte islamico globale per la lotta ai crociati e agli ebrei‘, ha posto la creazione di un network jihadista su scala globale al centro del proprio programma. Se, come affermato da Jason Burke, l’organizzazione qaidista consolidatasi in Afghanistan tra il 1996 e il 2001 era scomparsa sotto i colpi delle forze statunitensi, il suo sistema di relazioni internazionali non solo è sopravvissuto, ma si è esteso esponenzialmente negli ultimi dodici anni. Questo processo, avviato con successo già ai tempi di Osama Bin Laden, ha subito una significativa accelerazione con l’avvento di Ayman al-Zawahiri alla guida di al-Qaida tra il maggio e il giugno del 2011. Durante la tenure del primo emiro, il processo di affiliazione all’organizzazione richiedeva un tempo lungo, durante il quale le azioni, le capacità e l’impegno dei gruppi candidati a entrare nella galassia qaidista erano attentamente valutati. Ci sono voluti, per esempio, circa tre anni prima che il Gruppo salafita per la predicazione e il combattimento potesse formalmente dichiarare la propria alleanza al leader saudita e divenire al-Qaida nel Maghreb islamico. Quasi due anni sono stati necessari ad Abu Musab al-Zarqawi per annunciare la nascita di al-Qaida in Iraq. Nonostante Bin Laden avesse sempre avuto come obiettivo estendere quanto più possibile i confini del network qaidista, evitò accuratamente di anteporre tale fine a un’attenta valutazione dei candidati, preferendo dar vita ad un sistema ’a più velocità’ che contemplava l’affiliazione diretta dei gruppi più meritevoli e fidati, e forme di collaborazione più flessibili e meno vincolanti con il resto della galassia jihadista.
Con l’avvento di Ayman al-Zawahiri, il processo di affiliazione ad al-Qaida ha subito una significativa semplificazione. Secondo alcuni analisti il cambiamento sarebbe dovuto soprattutto ai mutamenti legati alla crisi mediorientale, a partire dal 2011, e alla necessità da parte di al-Qaida di dimostrare la propria rilevanza all’interno dei fronti più caldi del mondo islamico. È in tale contesto che andrebbe collocata l’alleanza formale con l’organizzazione somala degli al-Shabaab, che Bin Laden aveva osteggiato (secondo alcuni resoconti a causa dell’intransigenza della dirigenza somala e della sua rigidità nell’applicazione delle norme sciaraitiche) e che al-Zawahiri ha invece permesso tra la fine del 2011 e l’inizio del 2012. Il cambiamento registrato negli ultimi due anni pare però non aver interessato esclusivamente i criteri di accesso al movimento, ma anche le modalità di interazione tra la leadership centrale e i nodi regionali. Uno dei trend più interessanti del 2013 è la minor autorità che il nucleo dirigente sembra esercitare sulle componenti della variegata galassia qaidista, non solo a livello periferico (con quei gruppi, cioè, non direttamente affiliati, che hanno tradizionalmente goduto di una forte autonomia), ma a livello intrasistemico, nei confronti delle diverse formazioni regionali che portano il nome di al-Qaida.
Particolarmente eclatante è il caso di al-Qaida in Iraq. Il leader del nodo regionale iracheno (conosciuto dal 2006 con il nome di Stato islamico dell’Iraq, ISIS), Abu Bakr al-Baghdadi, ha ingaggiato durante la primavera del 2013 un feroce braccio di ferro con la dirigenza di Jabhat al-Nusra (JAN), formazione di punta dell’insurrezione siriana considerata la principale filiale qaidista in Siria. Alla base della contesa, la volontà di al-Baghdadi di riaffermare la propria autorità sul JAN e di dar vita allo Stato islamico dell’Iraq e della Siria. L’emiro del JAN (Abu Muhammad al-Jawlani) aveva risposto duramente a tale dichiarazione, riaffermando la propria autonomia e rinnovando il giuramento di fedeltà ad al-Zawahiri. Chiaramente indispettito, il leader egiziano aveva risposto nel novembre 2013 criticando duramente le manie di protagonismo dei due dirigenti, invitandoli al tempo stesso a mantenere distinti i due teatri di guerra (iracheno e siriano). Tale intervento ha però finito coll’esasperare le fratture esistenti, spingendo al-Baghdadi a ignorare gli ordini di al-Zawahiri e a rompere col JAN al fine di consolidare la presenza dell’ISIS sul teatro siro-iracheno.
Questi avvenimenti hanno segnato un cambiamento estremamente rilevante per il sistema qaedista: per la prima volta nella storia del movimento, infatti, un branch regionale ha pubblicamente violato le direttive dell’emiro dell’organizzazione. In passato al-Qaida aveva dovuto far fronte a diversi attriti (si pensi alla famosa querelle tra al-Zawahiri e al-Zarqawi in merito al modus operandi di quest’ultimo, considerato potenzialmente lesivo dell’immagine di al-Qaeda), ma mai prima d’ora queste dinamiche avevano portato un dirigente locale a sfidare apertamente la dirigenza. La scelta di al-Zawahiri nel febbraio 2014 di porre l’ISIS al di fuori del network qaidista ha costituito l’ultimo atto di un processo che ha messo in discussione il ruolo giocato dal nucleo storico del movimento. Qualora tale fenomeno dovesse estendersi anche ad altri teatri regionali, la tenuta stessa dell’organizzazione potrebbe essere a rischio.