FRANCIA, Il
Francesco Raibolini, detto il Francia, pittore e orafo, nacque a Bologna circa il 1460, e ivi morì ai primi del 1517. Fu iniziato nell'arte dell'oreficeria prima che nella pittura, e dell'orafo si mostrano due cosiddette "Paci" niellate nella pinacoteca di Bologna, le quali sono più propriamente due anconette o "maestà" come si solevan chiamare nel Quattrocento quelle immagini sacre date a corredo delle novelle spose. La finezza dell'orafo si manifesta nelle prime pitture del F., ove ad evidenza si nota l'influsso della scuola ferrarese, specialmente di Ercole de' Roberti. Sin dal 1487 si era esercitato nella pittura, tanto che il Salimbeni, nel suo Epitalamio, dice che "lui Polignoto col pennello avanza"; e nel 1490 teneva bottega affollata di giovani desiderosi di dedicarsi alla pittura. Fra gli altri, Timoteo della Vite. Giovanni II Bentivoglio chiamò il F. e il ferrarese Lorenzo Costa a decorare il suo palazzo e le cappelle da lui fondate nelle chiese bolognesi. Fu instancabile: non solo diffuse la sua arte pittorica nell'Emilia, ma coniò monete, gettò medaglie, incise, architettò, secondo l'annalista Negri; scolpì, a quanto scrissero i contemporanei Achillini, Salimbeni e Burzio, e, forse, una sua scultura, un intaglio in legno, si deve riconoscere in una piccola Pietà a bassorilievo, del Louvre. Come artista ufficiale dei Bentivoglio, ora, per le nozze di Lucrezia d'Este con Annibale Bentivoglio, apparecchiò tazze gemmate, piatti d'argento e d'oro, lampadarî d'argento a fiori e a fogliami; ora, per il principe alleato, Ercole I di Ferrara, fece una collana con l'impresa di quel duca; ora, per il signore d'Urbino, dipinse barde con una selva in fiamme, e "fuor di quella usciva quantità grande di animali aerei e terrestri ed alcune figure". Ma di tutta la sua grande attività, resta principalmente l'opera pittorica. Per tutta l'Emilia, nell'interno delle cappelle, ancora s'ammirano dolcemente inchine le soavi figure, le caste Vergini col capo incorniciato da un bianco velo, le tonde testine di putti, i santi sinceramente divoti. Il F. lasciò travedere, nelle sue pitture, quell'affabilità, quel decoro, quella gravità di costumi per cui lo loda Nicolò Burzio da Parma. Non presentano i suoi quadri una grande varietà, ma rivelano la coscienza scrupolosa dell'artista, un'intelligenza ordinata, un animo semplice e pio. La tranquillità regna nelle sue figure, nella limpidezza delle sue tinte. Quando dipinse la Pietà, come nel lunettone della Galleria nazionale di Londra, non rappresentò nessun atteggiamento violento, drammatico.
La prima opera pittorica è la Crocifissione nel Museo civico di Bologna, che sembra preparata col bulino, tanta è la precisione del segno, ornata di smalti, tanta è la vivezza del colorito. Ad essa si può associare la Natività della Corporation Gallery di Liverpool, ove i contorni sono sottilmente incisi, orlati come da un filo di metallo all'agemina; i colori sembrano smalti traslucidi. Anche il Santo Stefano della galleria Borghese sembra lastra metallica leggermente sbalzata. Ma intanto nuovi esemplari, all'infuori di quelli di Ercole de' Roberti, colpirono l'immaginazione dell'orafo pittore; e gli arrivarono da Venezia, dall'arte di Antonello da Messina sviluppatasi nelle forme di Alvise Vivarini. Si può riconoscere la trasformazione nella Sacra Famiglia del senatore Bianchini nel Kaiser-Friedrich-Museum a Berlino, nel ritratto di quel nobiluomo a Londra nella National Gallery. Ma il desiderio di conformarsi alle forme veneziane durò ben poco, e il F. tornò alle proprie idealità, più affinato, con plasticità più forte, meno metallico. La prima grande opera del F. è l'ancona allogatagli da Bartolomeo Felicini l'anno 1494, ora esposta nella galleria di Bologna. Le forme determinate in quella pala d'altare continueranno nelle opere del laborioso pittore, benché col tempo s'intristiscano, si allunghino, si affatichino. La maniera dell'artista poco per volta si stanca, ma le forme mature, gravi, divote, rendon sempre l'umiltà della fede religiosa. Dopo l'anno 1506, data degli affreschi di Santa Cecilia a Bologna, il F., vieppiù stilizzandosi, allunga i suoi corpi, ripete le cadenze, aggira ellitticamente le sue pieghe come manipoli di fili. Quando, nel 1516, fu collocata la Santa Cecilia di Raffaello in San Giovanni in Monte, tutti i numerosi seguaci del F. seguirono il nuovo maestro, e Francesco dovette sentire il contrasto tra l'arte sua ancora quattrocentesca, timida, di fronte alla cinquecentesca pienezza del genio dei tempi nuovi.
(V. tavv. CCXV e CCXVI).
Giacomo (nato prima del 1486, morto il 1557) e Giulio (nato il 1487, morto il 1540), figli di Francesco, appesantirono l'arte da lui insegnata, la oscurarono; e nessuno dei suoi seguaci, neanche i più fedeli, come il Boateri, seppe rendere il candore, la cura religiosa, quasi sacra, delle sue pitture.
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