di Maurizio Stefanini
Presidente del Venezuela dal 2 febbraio 1999 al 5 marzo del 2013, Hugo Rafael Chávez Frías è stato il leader latinoamericano che ha più segnato l’inizio del XXI secolo, assieme al brasiliano Luiz Inácio da Silva Lula. Anticipatore della cosiddetta ‘ondata a sinistra’ dell’America Latina, Chávez ha rappresentato, in questo contesto,il capofila di una variante più radicale, in contrapposizione appunto alla versione più moderata dello stesso Lula. Questa ‘radicalità’ si è espressa non solo nel contenuto delle sue proposte politiche, ma anche nel modo in cui le ha portate avanti, legandole al suo fortissimo carisma personale. Lula, per esempio, si è accontentato dei due mandati che gli aveva concesso la Costituzione. Chávez ha indetto due referendum per potersi ricandidare ad libitum. Lula ha scelto una strategia di ampie alleanze non solo a sinistra, ma al centro e perfino a destra. Chávez ha invece quasi sempre puntato sul muro contro muro. Lula ha cercato di fare del Brasile un pivot in grado di riequilibrare il rapporto con gli USA, che, comunque, non è mai stato messo in discussione. Chávez si è aggressivamente posto come punto di riferimento di una grande alleanza anti USA. Lula ha lavorato all’interno della Costituzione e del sistema di integrazione regionale vigenti al momento della sua elezione. Chávez ha voluto una nuova Costituzione che modificasse addirittura la tradizionale tripartizione dei poteri di Montesquieu, aggiungendovi un ‘quarto potere cittadino’ e un ‘quinto potere elettorale’. Anche in campo internazionale, pur adoperandosi per entrare nel MERCOSUR, ha innanzitutto voluto costituire quell’Alleanza bolivariana per i popoli della nostra America – Trattato di commercio dei popoli (ALBA) che raccoglie il nucleo dei governi più ideologicamente vicini al suo progetto. Mentre, dunque, il termine ‘lulista’ è usato soltanto da qualche analista, il ‘chavismo’ è un’etichetta ideologica destinata a durare in Venezuela e in America Latina. Questo radicalismo è stato però collegato a uno straordinario eclettismo. Dal punto di vista ideologico, per esempio, il ‘socialismo del XXI secolo’ di Chávez mette assieme il tradizionale populismo caudillista latinoamericano con i resti del marxismo dopo il collasso sovietico, la teologia della liberazione, reminiscenze di giacobinismo filtrate attraverso Simón Bolívar e il pensiero ‘no global’. Dal punto di vista della prassi governativa, Chávez ha utilizzato senza scrupoli vari sistemi di manipolazione del consenso senza però mai modificare il quadro formale del pluralismo. Dal punto di vista geopolitico, il suo progetto di alleanza anti USA ha cercato di tenere assieme regimi e movimenti del cosiddetto ‘asse del male’ con la nuova alleanza dei BRICS, il nazionalismo dei governi della sinistra latinoamericana, gli interessi dei paesi produttori di petrolio e gas e l’opinione pubblica ‘no global’ dell’Occidente. In realtà, però, non ha mai interrottole fitte relazioni commerciali con gli USA, che restano il principale acquirente del petrolio venezuelano e il principale partner economico. Questo progetto è stato poi in gran parte superato da una realtà in cui il peso degli USA è stato ridimensionato dalla crisi. In campo regionale, però, il frenetico attivismo di Chávez ha avuto un ruolo essenziale nello sviluppo di nuove istanze di integrazione come la CELAC o l’UNASUR. Il limite del modello chavista si è rivelato nel fondare la sua capacità di creare il consenso internazionale e quello nazionale esclusivamente sulla disponibilità di petroldollari. Accuse di autoritarismo a parte, il Venezuela di Chávez è un paese in cui si sono ridotti gli indici di povertà, ma in cui i tassi di crescita sono stati minimi o addirittura negativi, nel momento in cui gran parte dell’America Latina registrava un boom straordinario. A ciò si uniscono indici record di inflazione, delinquenza e corruzione e una crescente penuria di generi di prima necessità. Chávez riusciva a gestire queste difficoltà grazie a uno straordinario carisma e a una altrettanto straordinaria capacità di manovrare l’opinione pubblica di cui però il suo successore Nicolás Maduro è del tutto privo. Benché entrambe vinte, le due campagne elettorali affrontate da Maduro nel dopo Chávez hanno rappresentato altrettanti campanelli di allarme, con il distacco minimo rispetto al candidato dell’opposizione Henrique Capriles alle presidenziali, e con la vittoria dell’opposizione nelle principali città alle municipali. Maduro ha risposto con un’ulteriore radicalizzazione, non priva di risvolti autoritari. All’estero, però, al suo minor carisma si aggiunge la sempre maggior difficoltà a sovvenzionare amici e alleati. Erede di Chávez in campo internazionale è piuttosto il presidente dell’Ecuador, Rafael Correa, grazie alla sua statura intellettuale e al suo successo economico, Ma la potenzialità geopolitica del suo Ecuador è di molto inferiore a quella del Venezuela.