di Gustavo Rinaldi
La Russia ha ereditato dal periodo sovietico un sistema di ricerca e innovazione con alcune punte di eccellenza, per lo più finalizzate allo sviluppo militare e aerospaziale. Una ricerca di base di alto livello spesso trovava difficoltà a materializzarsi in innovazioni destinate a essere commercializzate e utilizzate dal grande pubblico. Nel caso delle scienze biomediche e dell’alimentazione lo dimostrano gli scarsi risultati ottenuti in termini di vita attesa. Nel 1990, prima del tracollo causato dalla transizione, l’aspettativa di vita era comunque bassa (69 anni).
Il settore attualmente trainante dell’economia russa è quello energetico e più in generale quello delle materie prime. Negli ultimi venti anni non ha probabilmente potuto sviluppare appieno il proprio potenziale, dapprima per il caos che ha contraddistinto la Russia in transizione, e poi per la percezione da parte degli investitori esteri che la Russia non fosse pienamente uno stato di diritto e che il clima non fosse favorevole. Questa percezione è stata rafforzata da alcuni arresti di natura politica e dalla tendenza delle controparti russe a cambiare i termini di contratti precedentemente sottoscritti (si veda per esempio il caso del progetto Sakhalin II: gli investitori stranieri furono costretti a vendere a Gazprom nel 2006). Fino al 2013 le maggiori società petrolifere internazionali sono state caute nell’investire massicciamente in Russia e sopratutto a mettere a disposizione della Russia le loro tecnologie. I prezzi interni dei prodotti energetici, per ragioni politiche, sono parzialmente sussidiati, grazie alla tassazione dei produttori. Ma vengono comunque calmierati e questo riduce i redditi dei produttori, in particolare quelli pubblici, e li induce ad investire meno in nuove tecnologie. A ciò si aggiunga un continuo esodo dei capitali russi (4,5% del PIL nel 2011), i cui proprietari non si fidano delle leggi russe. Gli investimenti sono così stati inferiori a quelli delle altre economie emergenti e sono stati destinati al settore energetico, tecnologicamente non molto avanzato. Anche se i redditi delle società legate a Internet crescono del 30% all’anno, lo sviluppo tecnologico è bloccato anche da eventi collaterali, come arbitrari interrogatori di polizia ai danni dei manager di nuove aziende o di fondi di venture capital e il limitato rispetto dei diritti degli azionisti di minoranza. Se è vero che negli ultimi anni alcuni russi hanno ricevuto il Nobel per la fisica (Andre Geim e Konstantin Novoselov) o la medaglia Fields (Grigori Perelman), e che è teoricamente russo il cofondatore di Google, Sergey Brin (vive negli USA da quando ha sei anni), è altresì vero che la capacità della Russia di trattenere e attrarre innovatori resta assai bassa. Il terzo mandato presidenziale di Vladimir Putin è stato ottenuto grazie al voto delle campagne, dei gruppi meno istruiti, dei cittadini più anziani e di chi si è lasciato affascinare dalla retorica nazionalista russa. Questi gruppi difficilmente potranno essere promotori e sostenitori di una società che favorisce lo sviluppo tecnologico. A ciò si aggiunga che l’aspirazione a una società omogenea, ispirata ai valori della tradizione ortodossa e poco aperta verso gli immigrati e gli omosessuali, può ulteriormente rallentare l’accettazione di standard moderni. Nel 2010 l’allora presidente Medvedev lanciò il progetto del Centro dell’innovazione di Skolkovo. Al progetto sono stati destinati 4,2 miliardi di dollari. Nel centro dovrebbero sorgere laboratori di ricerca, trovare accoglimento corsi di studio avanzato, nuove imprese innovative e potenziali investitori. La Russia è il quarto mercato al mondo in termini di venture capital impegnato (2 miliardi di dollari nel 2012). Il progetto di Skolkovo rientra nelle priorità che il governo insegue nel campo dell’innovazione: ITC, scienze biomediche, efficienza energetica, ricerca spaziale e nucleare e nanotecnologie. La correttezza dell’impostazione e l’efficacia del progetto Skolkovo sono state però messe in dubbio da alcuni osservatori. A lasciare perplessi non è ovviamente il fatto che si tratti di un’iniziativa pubblica, quanto le lacune culturali del background: mancano una società che apprezzi l’inventiva e il senso pratico, un sistema economico che offra opportunità di investimento, un sistema legale che protegga la proprietà intellettuale, un sistema politico che incoraggi l’innovazione e il successo personale. La regressione politico-sociale del paese e la resistenza ai principi democratici contribuiscono ad aumentare le ombre.
Ci vorranno dieci-quindici anni per poter verificare se le promesse legate al centro di Skolkovo saranno mantenute e sopratutto se gli sforzi riusciranno a trasformare la Russia da pressoché esclusiva produttrice di materie prime in importante promotrice di innovazione tecnologica.