Il Gattopardo
(Italia/Francia 1963, colore, 205m); regia: Luchino Visconti; produzione: Goffredo Lombardo per Titanus/Pathé/SCG; soggetto: dall'omonimo romanzo di Giuseppe Tomasi di Lampedusa; sceneggiatura: Suso Cecchi d'Amico, Pasquale Festa Campanile, Massimo Franciosa, Enrico Medioli, Luchino Visconti; fotografia: Giuseppe Rotunno; montaggio: Mario Serandrei; scenografia: Mario Garbuglia; costumi: Piero Tosi; musica: Nino Rota.
"La recita quotidiana del Rosario era finita. Durante mezz'ora la voce pacata del Principe aveva ricordato i Misteri Dolorosi; durante mezz'ora altre voci frammiste avevano tessuto un brusio ondeggiante... Adesso, taciutasi la voce, tutto rientrava nell'ordine, nel disordine, consueto". Il celeberrimo incipit del romanzo postumo (1958) del principe Tomasi di Lampedusa si materializza con precisione maniacale nella prima sequenza. Palazzo Salina viene svelato nell'abbacinante luce del meriggio, tra soffi di vento e plumbea calura estiva, con lunghe carrellate orizzontali che portano al primo piano del principe, signore e officiante del rito casalingo. È l'estate del 1860 e i Mille di Garibaldi mettono a ferro e fuoco la Sicilia borbonica. La violenza della guerra arriva anche tra le ovattate stanze di palazzo Salina, con l'annuncio del ritrovamento di un soldato morto, proprio là, in giardino. Quindi ogni personaggio della saga viene presentato: dal pauroso e passatista padre Pirrone alla timorata principessa Maria Stella, dai cadetti Salina alla gente di casa fino al cane Bendicò. Su tutti svetta, alta e possente, la figura di don Fabrizio, il principe, l'uomo che incarna il trapasso di un'aristocrazia immota e intangibile in una nuova epoca. Il giovane Tancredi Falconeri, nipote prediletto del principe, porta le novità di una Palermo in rivolta e annuncia di essersi lui stesso arruolato tra le Camicie Rosse. Don Fabrizio, tra le proteste dei suoi, compresa la figlia Concetta (segretamente innamorata di Tancredi) dà la sua benedizione al giovane rivoltoso che, nei moti di piazza, viene anche ferito e si conquista così facile fama di eroe. Intanto il principe e la famiglia, come ogni estate, partono per la tenuta di Donnafugata, dove giungono stanchi e impolverati ‒ quasi fantasmi ‒ dopo un lungo viaggio in carrozza. A Donnafugata il sindaco, Calogero Sedara, viene per la prima volta ammesso 'in società' (segno dei tempi) dove porta la bellissima figlia, la diciassettenne Angelica. Per Tancredi è un colpo di fulmine, per Salina un'opportunità inattesa, vista la dote garantita dai nuovi ricchi Sedara. Si consuma il rituale del Plebiscito d'annessione della Sicilia al Regno d'Italia e Sedara ottiene una sospetta unanimità di voto. Il principe, come spiegherà al suo costernato guardacaccia Ciccio Tumeo, avalla la nuova politica e così fa Tancredi, che annuncia le nozze con Angelica e l'arruolamento nell'esercito sabaudo. È finito il tempo dei sogni, comincia l'era del realismo politico. Un messo dei Savoia giunge a Donnafugata per offrire a don Fabrizio un seggio nel nuovo Senato, ma il principe declina l'onore candidando gli 'uomini nuovi' come Sedara. A coronamento di questa epocale trasformazione ("bisogna che tutto cambi perché tutto rimanga com'era" dice don Fabrizio), nel sontuoso palazzo Ponteleone a Palermo si festeggia con un ballo la ritrovata pace della Sicilia. Per Tancredi e Angelica è una sfolgorante presentazione pubblica, ma don Fabrizio coglie in quella lunghissima notte i segni della fine, la cenere della morte, la paura dell'ignoto. Offre il braccio ad Angelica per il primo valzer, si apparta a contemplare nel silenzio della biblioteca un luttuoso Compianto, funebre copia della tela di Jean-Baptiste Greuze, esce da solo alle prime luci dell'alba. Si inginocchia al passare di un prete che porta l'estrema unzione a un morente e alza gli occhi al cielo, ancora punteggiato di stelle in attesa del primo sole.
Premiato in patria (David di Donatello) e all'estero (Festival di Cannes), criticato da sinistra per la partecipazione interiore al mondo aristocratico dello stesso autore e disprezzato da destra per l'aspra critica che porta all'arrembante borghesia italica, Il Gattopardo segna una svolta profonda nel cinema di Luchino Visconti dopo il più didascalico e storicista Senso. Confrontato con un romanzo di cui conosce ogni piega e sfumatura (ironie comprese), il nobile lombardo intercetta in profondità il senso di deità e di immobilità del siciliano principe Salina e ne fa allegoria di una trasformazione del mondo che spiega l'oggi e motiva la Storia. Rispetto alla struttura originale del testo, il regista compie una radicale trasformazione nella più assoluta fedeltà: anziché seguire la struttura paratattica degli avvenimenti così come li allinea Tomasi di Lampedusa, li concentra e li articola in funzione di una sola, emblematica scena, il celebre ballo che occupa quasi un terzo del film e ne è fulminante metafora. È quello slittamento ritmico che Nino Rota asseconda con una partitura di tipo sinfonico che si scioglie poi, quasi come un concerto in casa, nel famoso valzer inedito di Verdi che il montatore Mario Serandrei (narra la leggenda) avrebbe trovato in un canterano comprato d'occasione e regalato a Visconti, grande regista di opera lirica. Costumi, ambienti, scene seguono i tradizionali precetti di realismo del cinema viscontiano e spesso attingono al vissuto di casa Lampedusa. La fotografia di Giuseppe Rotunno, poi autore di un impeccabile restauro integrativo che di recente ha riportato il film alla versione originale voluta dall'autore, sperimenta tutte le possibilità tecniche dell'epoca. Gli interpreti costituiscono un raro caso di perfetta simbiosi tra caratteri e potenzialità espressiva di un cinema italiano che si arricchisce della partecipazione straniera (Serge Reggiani, Alain Delon), ma non sfigura in nessuna occasione al confronto. Capitolo a parte costituisce l'adesione di Burt Lancaster a un don Fabrizio da leggenda: tanto perfetto esteticamente quanto totalmente in sintonia con il personaggio della sua vita. È un caso di 'doppio' tra attore e regista che non per caso si ripeterà in Gruppo di famiglia in un interno (1974) e varrà a Lancaster una profonda trasformazione interiore, anche sul piano personale. Prima ancora di qualsiasi giudizio critico, vale a fare del Gattopardo un capolavoro il suo porsi a spartiacque nel cinema di Visconti: nulla sarà dopo come era prima, e forse tutto cambia nel suo percorso ideologico ed estetico perché nulla è fondamentalmente diverso.
Interpreti e personaggi: Burt Lancaster (don Fabrizio, principe di Salina), Alain Delon (Tancredi Falconeri), Claudia Cardinale (Angelica Sedara), Romolo Valli (padre Pirrone), Paolo Stoppa (don Calogero Sedara), Serge Reggiani (don Ciccio Tumeo), Rina Morelli (Maria Stella), Lucilla Morlacchi (Concetta), Leslie French (Chevalley), Pierre Clementi (Francesco Paolo), Ivo Garrani (generale Pallavicino), Giuliano Gemma (generale dei garibaldini), Mario Girotti (conte Cavriaghi), Anna Maria Bottini (mademoiselle Dombreuil), Lola Braccini (donna Margherita), Olimpia Cavalli (Mariannina), Ottavia Piccolo (Caterina), Rina De Liguoro (principessa di Presicce), Ida Galli (Carolina), Brock Fuller (piccolo principe), Marino Masè (tutore), Giovanni Melisenda (don Onofrio Rotolo), Howard N. Rubien (don Diego), Carlo Valenzano (Paolo), Lou Castel, Vittorio Duse, Tina Lattanzi, Maurizio Merli.
G. Aristarco, Il Gattopardo e il telepata, in "Cinema nuovo", n. 162, marzo-aprile 1963.
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Sceneggiatura: in Il Gattopardo, a cura di L. Miccichè, Napoli 1996.