Il ginseng nel paniere
Dai prodotti gluten free al car sharing: i cambiamenti nell’indicatore ISTAT dei consumi riflettono le trasformazioni della società italiana. Escono dal computo navigatori satellitari e impianti hi-fi: superata la sbornia tecnologica?
Può un frollino riassumere lo zeitgeist, e da merce modesta diventare il simbolo più autorevole della direzione in cui va una società? C’era una volta l’hamburger di McDonald, unità di misura standard a ogni latitudine. Poi venne, e c’è ancora, la pizza: emblema del made in Italy, spia della propensione di un popolo alla socialità, ma anche indicatore del potere d’acquisto.
Oggi è il biscotto senza glutine il simbolo più evocativo dei nuovi consumi: sintesi della svolta inattesa, e persino originale, degli italiani.
Non è il sillabario di una ritrovata joie de vivre, né tantomeno un ritorno all’edonismo dei consumi. Ma a frugare nel paniere 2015, un passo in là rispetto alla punitiva sobrietà degli ultimi anni, qualche segnale di ottimismo c’è. L’ISTAT lo ha svuotato del desueto in un anno solo, e lo ha riempito di quei beni e servizi che più rappresentano i consumi delle famiglie. Oltre un migliaio di prodotti, aggregati in circa 600 posizioni rappresentative: eterogenei, disordinati, ammucchiati alla rinfusa al puro scopo di calcolare l’andamento dell’inflazione. Ma al tempo stesso sensori involontari degli umori della società: termografi che scandagliano le immagini e misurano la temperatura di una nazione.
Ci sono i biscotti, e non solo gluten free. Cresce anche il consumo di pasta per celiaci: la celiachia riguarda oggi un italiano su 100, ma i prodotti senza glutine, per moda o per vere esigenze salutistiche, fanno sempre più seguaci (secondo Coldiretti, la loro vendita è cresciuta, nel 2014, del 32,1 % rispetto all’anno prima).
Ed è l’intero mercato dei freeform, come conferma la grande distribuzione, da Coop a Conad, in espansione: il segmento dei prodotti più light possibili, senza zuccheri, senza uova, senza latte.
Anche la birra dice la sua: analcolica è meglio. Tutti segnali di un’attenzione alla dieta alimentare che emerge con sempre più chiarezza: cresce il mercato di prodotti bio; la dieta vegetariana riguarda il 6,5 % della popolazione italiana (con una crescita del 10% all’anno); quasi la metà dei connazionali fa attenzione a ciò che mette nel carrello. Il consumo di qualità, insomma, è uno dei trend più maturi della società.
Come il gusto della prima colazione al bar. Cappuccino e cornetto confermano la loro vocazione a farsi testimonial di microeconomia: negli ultimi anni il calo segnalava la dolorosa rinuncia al rito del mattino per via della crisi; oggi marcano l’inversione di tendenza: gli italiani tornano a fare colazione fuori casa. E al barista domandano caffè al ginseng, l’altra rilevante novità del paniere ISTAT: più che esotismo, un freno alla caffeina.
E mentre alcune società leader nel mercato del bio sbarcano nel mondo delle vending machines per rafforzare l’inclinazione salutista, l’ISTAT porta in evidenza un altro indicatore, solo in apparenza in contrasto col rito del caffè al bar: le bevande al distributore automatico.
Entrambi i comportamenti – pausa caffè alla macchinetta o al bar – raccontano in fondo la medesima storia: la voglia di socialità degli italiani. Il gusto di ritrovarsi e di condividere: più che solo una bevanda, chiacchiere e confidenze.
È il volto umano della sharing economy, che già da qualche anno sociologi ed economisti tengono d’occhio: almeno da quando Jeremy Rifkin non ne ha fatto l’asse portante di quella che viene chiamata ‘era dell’accesso’, paradigma sociale che privilegia il possesso, meglio se condiviso, alla proprietà. Parola d’ordine sharing, dunque: dallo scambio dei vestiti al coabitare. L’ISTAT – in questo caso con un po’ di intempestività – elegge car sharing e bike sharing a indicatori di contemporaneità: servizi che con il loro boom (da BlaBlaCar a Enjoy o Car2Go) da una parte fronteggiano la difficoltà, e i costi, dei trasporti (nella fase più dura della crisi gli italiani hanno ridotto gli spostamenti all’essenziale), dall’altra sottolineano uno stile di vita: consumi collaborativi, risposta a tempi di restaurazione, agevolati da una Rete che rende lo scambio più immediato e semplice. E slow: prodotti che si conciliano con una velocità a marce ridotte. Anche per dedicare più tempo a sé e agli altri.
‘Ricambi per rasoi’, inserita come voce rappresentativa, trova un’interpretazione alla luce di ciò: come riscoperta della lentezza e della cura di sé. In alternativa, sarebbe il triste emblema di nuove povertà. Se l’economia si comprende meglio guardando dietro le quinte della società, come sostiene anche Steven D. Levitt, brillante economista di Harvard e ideologo della freakonomics, altre merci, divenute mainstream, definiscono gli interni domestici delle famiglie italiane.
È superata, scandisce l’ISTAT, la sbornia tecnologica. Escono dal paniere tutti i complici della rivoluzione in chiave ‘it’ degli anni scorsi: il navigatore satellitare, l’impianto hi-fi, il registratore dvd e i corsi di informatica, consumi così consolidati da non essere più rappresentativi di consumi significativi. Poche le eccezioni, nel senso di vere novità da tenere d’occhio: l’abbonamento on-line al quotidiano, la fotocamera large sensor, il notebook ibrido.
Per il resto, tra spending review casalinga e consumi alternativi, mix di pubblicità e di responsabilità, il catalogo è questo: le cialde per il caffè (cresciute del 130% rispetto a 5 anni fa), i sacchetti ecologici per la raccolta dei rifiuti umidi, il formaggio spalmabile, lo yogurt probiotico, il test di gravidanza, lo spazzolino elettrico, i pantaloni per bambini, i costumi da piscina, le sigarette elettroniche.
Un elenco di cianfrusaglie, tesori nascosti, parti staccate che, messe l’una accanto all’altra, ricompongono il corpo dell’uomo medio: l’unità di misura ideale della statistica. E quello, in fondo, nel quale riconoscerci tutti: paterfamilias e senza fissa dimora, precari e occupatissimi, studenti e pensionati.
È un ricettacolo d’oro, il paniere ISTAT, anche nelle sue note dolenti: la dice lunga l’ingresso dell’assistenza fiscale per il calcolo delle imposte sulle abitazioni. Vi fanno ricorso sempre più italiani, per effetto dei cambiamenti delle imposte sul mattone e della confusione che hanno generato.
La risacca della crisi non si arresta. E cresce il peso specifico sui consumi delle spese per la casa, per l’acqua, per l’elettricità, per il cibo, per l’istruzione. Qui la pop economy, con le sue soluzioni dettate dalla fantasia, non riesce a straripare. Come per i servizi per la salute, sempre più cari. E alcuni più gettonati di altri, tanto da meritarsi una posizione a sé, nel panorama tratteggiato dall’ISTAT: artroscopie, riparazioni di ernie, estrazione della cataratta. Effetti collaterali di una società che ha solo iniziato la sua lunga convivenza con un diffuso invecchiamento. E che, nel 2015, Anno internazionale della luce, ha deciso di vederci meglio. All’orizzonte, la ripresa? Il mondo della moda ha lanciato la scommessa, proponendo per l’inverno 2016 il ritorno al color block, le tinte più sature e sgargianti, in pieno stile anni Ottanta. E influenze rock, e boho hippie, borchie e frange, pellicce e spalline, look da discoteca e drink di colore blu. Tradotto in termini d’acquisto, difficile immaginare il ritorno ai consumi di 30 anni fa, il Grande spreco certificato anche dal CENSIS in una poderosa ricerca intitolata Dall’edonismo dei consumi al consumo responsabile: trent’anni di cambiamenti degli stili di vita degli italiani. Ma se la profezia si avvererà, sarà una nuova era di benessere. E l’inflazione farà i conti col giubbotto di Top Gun e gli scaldamuscoli di Flashdance.
La parola
- Paniere. Insieme dei prodotti. Abitualmente tale locuzione è utilizzata per beni e servizi di largo consumo utilizzati nelle quantità considerate tipiche per le esigenze di vita di una famiglia media. In base a tale aggregato, calcolando l’evoluzione nel tempo del prezzo d’acquisto, si elaborano i numeri indice riferiti al costo della vita come l’IPC (Indice dei prezzi al consumo).