Per il governo guidato da Matteo Renzi, il 2015 può essere considerato come un anno di assestamento, e forse anche di relativa ‘normalizzazione’. Il 2015 è stato però soprattutto l’anno in cui inizia a delinearsi un progetto più ampio, che dovrebbe consentire alla leadership dell’ex sindaco di Firenze di trovare un più stabile radicamento e diventare così il perno di un nuovo equilibrio politico. Un simile progetto – giornalisticamente definito con la formula (forse discutibile ma calzante) ‘Partito della nazione’ – consiste nella completa trasformazione del Partito democratico (Pd) in un vero e proprio catch-all-party: una formazione, cioè, capace di rivolgersi a tutto l’elettorato, che per questo deve abbandonare qualsiasi riferimento agli ultimi residui delle vecchie appartenenze ideologiche, adottando invece un’identità ‘post-ideologica’. Anche se non si tratta di un obiettivo di breve periodo, è indubbio che nel corso del 2015 alcune dinamiche cruciali ne abbiano rafforzato la traiettoria. In primo luogo, il miglioramento del quadro macro-economico e l’avvio di una ripresa della crescita del pil hanno contribuito a consolidare il livello di fiducia nell’esecutivo, ma soprattutto a ridurre la percezione di incertezza sul futuro da parte di imprese e consumatori. In secondo luogo, il governo si è impegnato a fondo in una serie di riforme che, al di là dei risultati concreti, hanno consentito a Renzi di conservare, anche nella veste di presidente del consiglio, l’immagine di ‘rottamatore’ della ‘Seconda Repubblica’. Infine, il Pd ha irrobustito ulteriormente la posizione di centro che è venuto a occupare dopo le elezioni del 2013, a seguito della formazione di un assetto tripolare in cui le due opposizioni (Movimento 5 stelle da un lato, la coalizione di centro-destra dall’altro) sono fra loro incompatibili. Le modalità che nel 2015 hanno portato all’elezione del presidente della repubblica Sergio Mattarella hanno segnato infatti la rottura del cosiddetto ‘Patto del Nazareno’ tra Pd e Forza Italia, ossia l’accordo sulle riforme istituzionali che aveva consentito a Renzi di conquistare Palazzo Chigi. Allo stesso tempo, è stato sancito anche l’avvio del processo di dissoluzione di Forza Italia, che ha lasciato ampio spazio al protagonismo mediatico della Lega Nord guidata da Matteo Salvini, col risultato che l’intera coalizione tende a radicalizzare il proprio messaggio e a spostarsi verso destra. D’altro canto, l’opposizione a Renzi all’interno del Pd è uscita dal partito per dare forma a un nuovo soggetto (Sinistra italiana). E, al di là dei futuri esiti elettorali, in questo modo risulta eliminato un rilevante ostacolo all’ulteriore spostamento del Pd verso il centro, oltre che nella direzione di un ‘Partito della nazione’.
L’attuale governo si è comunque trovato alle prese con una serie di nodi problematici irrisolti. Il fronte principale da cui provengono le insidie è quello economico: la ripresa è rimasta infatti fragile, e alla sua base vi sono soprattutto fattori esogeni, come la diminuzione del prezzo del petrolio e le politiche adottate dalla Bce. E proprio la fragilità della ripresa, unita al debito pubblico, non ha messo certo al riparo l’Italia dai rischi di turbolenze analoghe a quella del 2011. Nella corso del 2015, il governo Renzi ha iniziato a incontrare qualche difficoltà, anche sul piano dell’immagine, dinanzi a due problemi cruciali come l’emergenza migranti e gli attacchi terroristici: problemi non nuovi per l’Italia, ma che l’instabilità in Nord Africa e Medio Oriente ha contribuito a rendere ancora più urgenti. Tali fronti problematici non hanno coinvolto solo l’Italia, e sono destinati ad accompagnare a lungo tutto il Vecchio continente, alimentando anche tendenze xenofobe dalle conseguenze imprevedibili. Per le sorti di Renzi, il nuovo quadro rappresenta però un fattore particolarmente insidioso, oltre che per i margini inevitabili di imprevedibilità che esso implica, soprattutto perché viene a scontrarsi con tutti i motivi cruciali dello storytelling renziano: una narrazione fondata sull’ottimismo, quasi interamente centrata sulla dimensione interna, e – come è emerso in occasione degli attentati terroristici di Parigi nel novembre 2015 – non sempre adeguata a fronteggiare situazioni di grave crisi, che può in particolare comportare dirette assunzioni di responsabilità per l’Italia anche sul terreno militare.
Se i maggiori pericoli per il progetto di ‘Partito della nazione’ sembrano così giungere dalla dimensione internazionale, le prospettive di consolidamento della leadership renziana devono fare i conti anche con un fronte problematico interno al Pd. Un fronte che non riguarda tanto i rapporti con il parlamento, quanto la capacità del vertice nazionale del partito di esercitare il proprio controllo sulle articolazioni periferiche. In effetti, le vicende relative al comune di Roma e alla regione Campania – che nel 2015 sono diventati temi di acceso dibattito politico – sono stati per molti versi solo l’eclatante testimonianza della fragilità del tessuto organizzativo del Pd sul territorio. Una fragilità che, evidentemente, ha costituito un ostacolo non da poco nel cammino che conduce verso il ‘Partito della nazione’. E che, una volta di più, ha mostrato come la leadership di Renzi – insieme alla stabilità del suo esecutivo – sia ancora prevalentemente fondata sulla formidabile (anche se fragile) risorsa del carisma personale; rimanendo dunque ben lontana dall’ottenere un significativo radicamento organizzativo e istituzionale.