Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
Icona della città del Novecento, il grattacielo costituisce una soluzione squisitamente nuova per articolare spazio e funzioni e per rivedere i canoni del progetto tradizionale. Dagli Stati Uniti all’Europa, nel corso dell’intero secolo, il prospetto verticale delle città muta rapidamente in funzione di nuove tecnologie, materiali, funzionalità commerciali e residenziali.
Il building boom di fine Ottocento
Una delle più eclatanti trasformazioni del paesaggio urbano del Novecento si deve alla diffusione planetaria dei grattacieli, edifici multifunzionali a tipologia variabile e dall’accentuato sviluppo verticale, che hanno contribuito a modificare il profilo già prevalentemente orizzontale degli insediamenti umani in una movimentata skyline.
Il grattacielo può ben dirsi un’invenzione architettonica americana che trova le sue prime espressioni nel corso del tardo Ottocento, come risultato della sperimentazione tecnologica su diversi materiali (in primo luogo le strutture metalliche e il vetro) accoppiata all’esigenza di massimizzare le performances degli edifici destinati a un uso burocratico e commerciale. Esso è figlio di quel building boom che contrassegna lo sviluppo delle aree metropolitane negli Stati Uniti alla fine del secolo, determinando la concentrazione di attività terziarie e direzionali nelle zone centrali dal più elevato valore fondiario.
L’affermazione di edifici dalla pianta regolare ma caratterizzati da una crescita progressiva in altezza si rende possibile a partire da diversi fattori: la trasposizione alle strutture metalliche della tecnica costruttiva del balloon frame (sviluppata dai carpentieri per l’esecuzione di telai reticolari lignei inchiodati), ad esempio, come pure l’uso di materiali sempre più leggeri e resistenti, e soprattutto il perfezionamento degli ascensori (il primo, moderno elevator meccanico dotato di un sistema di sicurezza viene prodotto da Elisha Graves Otis nel 1852). È la cultura ingegneristica di fine secolo a combinare fra loro questi diversi elementi, venendo incontro alle urgenze di una società in tumultuosa crescita, che vede così risolte in chiave pragmatica e originale una parte considerevole del proprio fabbisogno abitativo.
Chicago
Se New York può vantare il primato nella precoce realizzazione di edifici commerciali dotati di ascensore meccanico, a partire dall’Equitable Life Insurance Building (1868-1870) da Gilman and Kendall e George B. Post, presto imitato dal ben più svettante Tribune Building (1873-1875) di Richard Morris Hunt, un vero e proprio laboratorio per la sperimentazione di edifici multipiano è costituito senz’altro dalla città di Chicago, centro pulsante delle attività commerciali dell’intero Midwest e snodo nevralgico per gli scambi e i collegamenti tra le distese continentali, i grandi laghi e i porti della costa atlantica. La ricostruzione della città, rasa al suolo da un devastante incendio nel 1871, si traduce infatti nell’occasione per una modernizzazione edilizia dal valore esemplare, che coinvolse architetti e ingegneri provenienti da tutta l’America, impegnati nella ricerca di nuovi linguaggi e raccolti attorno a quella che poi diventerà la Scuola di Chicago.
La comparsa dei primi edifici sensibilmente alti risale al decennio successivo, quando anche nel linguaggio comune si diffonde dapprima l’uso del termine cloudscraper (“grattanuvole”) e poi definitivamente quello di skyscraper (alla lettera: “grattacielo”) per indicare le nuove costruzioni torreggianti che presto supereranno i 20 piani, dominando il paesaggio urbano. Sotto il profilo formale gli autori di queste innovative costruzioni si trovano ad affrontare temi compositivi fino ad allora sconosciuti. La tipologia tradizionale del palazzo della tradizione europea, che per risolvere problemi di sviluppo altimetrico si affidava alla soluzione canonica della sovrapposizione degli ordini classici, mostra tutti i suoi limiti, sia in relazione al controllo delle proporzioni in altezza, sia in funzione dei nuovi indirizzi tecnologici che si vanno affermando. Nel progettare l’Home Insurance Building di Chicago (1883) William Le Baron Jenney, figura centrale nel gruppo dei primi progettisti impegnati a misurarsi con le strutture multipiano e ricordato come il “padre del grattacielo”, continua a riallacciarsi a questa tradizione formale, ma a partire da un principio strutturale decisamente innovativo: l’uso di uno scheletro metallico portante a gabbia che, oltre a ospitare gli ascensori, consente di sopportare i carichi della facciata mediante travi aggettanti. Considerato da taluni storici come il primo “grattacielo moderno”, l’Home Insurance Building sarà stato poi smantellato nel 1931.
Nel Leiter Building, sempre a Chicago, Le Baron Jenney accentuerà la propria ricerca tipologica, giungendo a mettere in mostra l’aspetto strutturale dell’edificio, alleggerendone progressivamente le pareti esterne con l’estensione delle aperture finestrate e riducendo sensibilmente l’ornamentazione. Si tratta di un primo tentativo di smaterializzazione della facciata a favore di larghe superfici vetrate a sviluppo orizzontale, che diventeranno presto un modulo standard nel disegno delle facciate sia degli edifici commerciali che di quelli a carattere residenziale. Di lì a poco, nel Reliance Building (Chicago, 1895) di Charles Atwood e Daniel Burnham questi elementi di trasparenza e semplificazione tecnologica giungeranno a esiti di grande raffinatezza e astrazione formale, per essere poi ripresi nella successiva esperienza del movimento moderno.
Sullivan
Al tornante del secolo, tra 1890 e 1905, gli edifici multipiano cominciano ad assumere precise connotazioni funzionali ed estetiche. Un contributo decisivo in questa direzione viene dato da Louis Sullivan, che giungerà a teorizzare chiaramente le componenti formali in cui deve articolarsi una struttura del genere. Nel saggio The tall office building artistically considered (1896) egli propone per la prima volta una chiave di lettura del fenomeno che troverà ampia condivisione. Il grattacielo viene da lui assimilato a una struttura colonnare, suddivisa in tre parti: un basamento con l’ingresso e le sale di rappresentanza, un fusto che determina il senso di verticalità e contiene gli uffici, un coronamento dove alloggiare le macchine elevatrici a fune che garantiscono un efficace funzionamento del tutto. Le sue creazioni, realizzate spesso in coppia con Dankmar Adler, come il Wainwright Building di Saint Louis (1891), lo Stock Exchange di Chicago (1894) e il Guaranty Building (Buffalo, 1895) sono pietre miliari nella storia del grattacielo e riflettono razionalmente questa impostazione teorica, che rifiuta qualsiasi riferimento storicista e pure affronta in maniera del tutto originale la questione dell’ornamento, come avverrà magistralmente ad esempio nel Gage Building (Chicago 1900). A questa prima fase edificatoria e di messa a punto dei caratteri tipologici appartengono anche molte delle costruzioni sviluppate William Holabird & Martin Roche (il Tacoma Building, del 1889, è il primo edificio a sfruttare il telaio imbullonato che riduce sensibilmente i tempi di realizzazione) e da Daniel Burnham in coppia con John Welborn Root (1850-1891), progettisti del Rookery Building (Chicago, 1886) e del Monadnock Building (Chicago, 1891), in cui si affrontano con grande sensibilità progettuale e forza espressiva accorgimenti fondamentali sotto il profilo funzionale, come il disegno dei bow-windows, le finestre a nastro, il trattamento disadorno delle superfici in elevazione, le cornici di coronamento.
New York, Manhattan
Costruiti per lo più in posizione isolata, i nuovi edifici di Chicago stanno a quelli che nel frattempo vengono eretti a New York “come l’elefante alla giraffa” (Goldberger). Colossali i primi, esili e svettanti i secondi, che nel frattempo crescono a dismisura occupando tutta l’area disponibile degli isolati relativamente circoscritti in cui viene suddivisa la griglia stradale dell’isola di Manhattan. A New York, il modello che si affermerà presto per i nuovi edifici commerciali non sarà tanto quello del palazzo, bensì quello della torre e soprattutto della torre campanaria, che con la sua figura slanciata e cuspidata introduce nuovi riferimenti architettonici e simbolici. La propensione a edificare sfruttando l’intera estensione del lotto porterà a definire strutture singolari, come il Fuller Building, più noto come Flatiron (Burnham & Soci, 1902), dalla pianta triangolare e spigoli arrotondati, o la Times Tower (Eidlitz & MacKenzie, 1904) che proponeva un ardito pastiche del fiorentino campanile di Giotto. La corsa a un sempre più spinto sfruttamento dei suoli avrebbe presto favorito il prevalere delle forme prismatiche semplici. Nel Singer Building (1908) di Ernst Flagg e nel Metropolitan Life Insurance Tower (N. Le Brun & Sons, 1909) il campanile emerge al di sopra di un monumentale basamento attrezzato a uffici, mentre nella Bankers Trust Company Tower (Trowbridge & Livingstone, 1912) la torre si propone come una costruzione isolata. Nel Woolworth Building (1913) di Cass Gilbert questa concezione tipologica troverà la più spettacolare espressione compositiva. L’altissima torre, trattata come un campanile gotico, si eleva da un’altrettanto slanciata struttura basamentale concepita quasi come uno smisurato spazio templare, tanto da essere presto ribattezzata come la prima vera “cattedrale del commercio”.
Ben presto, nel timore che la crescita incontrollata verso l’alto e lo sfruttamento indiscriminato dei suoli possano compromettere l’illuminazione e la ventilazione delle zone centrali, oltre a creare una congestione urbana intollerabile, viene approvata la Zoning Law del 1916, che stabilisce una regolamentazione del rapporto tra volume edificabile e dimensione del lotto, con l’effetto di influenzare la forma dei grattacieli attraverso un sistema di opportuni arretramenti o setbacks. Da allora in avanti la forma del grattacielo obbedirà a questo vincolo normativo, generatore di molteplici sfaccettature prismatiche, quasi si tratti di un gigantesco cristallo o di un ammasso roccioso, come appare nelle coeve, visionarie rappresentazioni grafiche di Hugh Ferriss.
Chicago
Successivamente alla prima guerra mondiale, il grattacielo diviene un protagonista indiscusso sulla scena urbana americana, mentre in Europa popola prevalentemente gli scenari utopici di alcuni dei maestri del movimento moderno. Un decisivo momento di riflessione sui suoi limiti sotto il profilo formale e funzionale va registrato in occasione dell’importante concorso per la nuova sede del Chicago Tribune, nel 1922. Al progetto vincitore, di Raymond M. Hood e John Mead Howells (1868-1959), poi realizzato innalzando nel Loop di Chicago un’alta torre in stile gotico con coronamento di contrafforti, si affiancano soluzioni molto diversificate, come quelle di Eliel Saarineen, Walter Gropius, Hannes Meyer e Adolf Loos, che giunge a immaginare una gigantesca colonna dorica dalle innumerevoli finestre ricavate nella concavità delle scanalature del fusto. Molti di quei progetti vengono successivamente rielaborati e poi attuati con leggere variazioni negli anni seguenti, quando si afferma la tendenza a ricorrere a forme sempre più vistosamente eclettiche.
Ampi riferimenti al progetto presentato al concorso del 1922 da Saarinen sono visibili nel New York Telephone Company Building del 1926 (noto anche come Barclay-Vesey) di Voorhees, Gmelin & Walker, dalla movimentata volumetria ascensionale; mentre la tendenza ad adottare schemi ancora una volta neogotici si affermerà in alcuni edifici di Raymond Hood, come l’American Radiator Building (oggi American-Standard) del 1924 o nell’RCA Building di Cross & Cross (poi General Electric, 1931), vera e propria antenna lanciata oltre 50 piani d’altezza e conclusa in sommità da un coronamento composto da intrecci scolpiti in pietra, a evocazione della propagazione delle onde radio. Sono anni di intensissima attività edilizia, in cui vengono costruiti numerosi grattacieli. Lanciati in una frenetica concorrenza nel superamento di primati vertiginosi, dal massimo numero di piani al record di altezza o agli incrementi di superficie delle sottostanti lobbies, i costruttori di grattacieli degli anni Trenta puntano sempre di più a fronteggiare le contraddizioni della vita metropolitana realizzando “cities within the city”, edifici capaci di contenere una miriade di attività, non più solo legate alla produzione o al commercio, ma alla residenza, allo sport e al tempo libero, come nel caso dei San Remo Apartments (1930) a New York di Emery Roth, o dove si attua l’integrazione tra funzioni urbane precedentemente separate, come ben mostra la realizzazione del Grand Central Terminal e della Hemsley Building a cavallo di Park Avenue (New York, Warren e Wetmore, 1929).
Icone del Novecento
Con il dilagare delle forme di comunicazione pubblicitaria introdotte dalla moda déco, si moltiplicano le forme di esibizionismo eccentrico, guidate dalla ricerca dell’inedito e dello stravagante che si manifesta in un decorativismo sfrenato. Le superfici di facciata, sempre più ripide e terrazzate, riprendono indifferentemente motivi maya, aztechi o neoromanici, alla ricerca dell’inedito a tutti i costi. Nonostante la crisi incombente, le corporation puntano sempre più in alto, nel tentativo di creare effetti sorprendenti, oltre che redditizi. Tra questi edifici “jazz style”, il Chrysler Building (New York, 1930) di William van Alen, il primo a superare in altezza la Tour Eiffel, esprime uno dei livelli qualitativi maggiori, grazie agli straordinari dettagli interni, la lobby triangolare, la cuspide ad archi in acciaio e i doccioni che imitano i particolari delle auto prodotte dalla ditta. Altrettanto innovativi il Mc Graw Hill Building (New York, Hood, Godley e Fouilhoux, 1931) e soprattutto l’Empire State Building (New York, Shreve, Lamb & Harmon, 1931) che con i suoi 102 piani diventa presto il simbolo di Manhattan e l’attributo visivamente più efficace del prestigio economico e politico degli Stati Uniti. La costruzione dell’Empire State Building riapre anche il dibattito sulla “cultura della congestione” e sui limiti di uno sviluppo urbano che assume forme così esagerate in un contesto di sempre più accentuata concorrenza. La costruzione del Rockefeller Center RCA Building (New York, Reinhardt e Hofmeister; Corbett, Harrison & MacMurray; Hood, Godley & Fouilhoux, 1934) risente di questo dibattito, cercando di fornire soluzioni accettabili sotto il profilo urbanistico e non solo tecnologico, attraverso una progettazione coordinata di più grattacieli, nella logica di una vera e propria programmazione sociale degli interventi.
Superfici e forme
Nel secondo dopoguerra la posizione dei progettisti e delle stesse corporation riguardo ai grattacieli viene improntata a maggior pragmatismo. La ricerca di standard capaci di accelerare la produzione edilizia e contenere i costi impone un’austerità sconosciuta al passato, che si riflette nell’impiego di forme semplici e razionali, tendenti all’astrazione. Ogni riferimento naturalistico scompare, così come cuspidi e pinnacoli, colonne e contrafforti. Si afferma una concezione “scatolare” del grattacielo, tesa a cancellare ogni connotazione decorativa da superfici sempre più glabre e riflettenti, dall’attacco a terra fino al top floor. L’uso diffuso del curtain wall, la facciata vetrata continua, determina la massima trasparenza al blocco edilizio, ma può altresì giungere a impedire ogni forma di introspezione non appena vengono impiegati i nuovi vetri riflettenti, sagomati e atermici. Il rivestimento determina sempre di più la facies delle nuove torri prismatiche, dalle forme affilate e all’apparenza monolitiche e indifferenziate, che tuttavia al loro interno contengono innumerevoli funzioni.
Fin dagli anni Venti le ricerche sull’uso del vetro nel rivestimento degli edifici alti impegnano Mies van der Rohe, che nei due progetti per un palazzo per uffici sulla Friedrichstrasse a Berlino (1919) e per un modello di grattacielo in vetro (1921) affronta per la prima volta le potenzialità architettoniche di questa risorsa tecnologica. Con i Lake Shore Drive Apartments (Chicago, 1951) Mies dà corpo a quei primitivi disegni creando due edifici nitidamente contrassegnati da un telaio strutturale che mette in vista l’ossatura di una vera e propria “scatola cartesiana” dal volume trasparente, che diventerà modello per una intera generazione di grattacieli. Sulla scia di questi studi, Skidmore, Owings & Merrill realizzano la Lever House (New York, 1952), il primo vero grattacielo a lastra, sostenuto da una estesa piastra orizzontale che stabilisce nuove relazioni, volumetriche e distributive, con la superficie del lotto edificabile e il traffico veicolare circostante. Nel Seagram Building di Mies van der Rohe (New York, 1958) la straordinaria qualità dei materiali impiegati (bronzo, materiali lapidei pregiati) e il rigore compositivo che accompagna la progettazione di ogni dettaglio, generano un oggetto irripetibile e presto imitatissimo; un prisma rarefatto che svetta isolato, in posizione arretrata rispetto alla piazzetta che separa il grattacielo dal filo della Park Avenue. A partire dal nuovo zoning code del 1961, la disponibilità a realizzare spazi pedonali ai piedi di importanti grattacieli si tradurrà in premi di cubatura aggiuntiva per gli imprenditori; una opportunità che sarà sfruttata in diverse occasioni, dall’Equitable Building di Skidmore, Owings & Merrill (Chicago, 1965) al John Hancock Building di I. M. Pei & Partners (Boston, 1976), la cui lastra parallelepipeda sottilmente incisa ai lati introdurrà nuovi elementi di figuratività urbana grazie anche alle proprietà altamente riflettenti della trama del rivestimento. La ricerca di nuovi caratteri formali porterà negli anni Settanta a sperimentare nuovi involucri sagomati, come nel caso del Grattacielo Pirelli (Milano, 1961) di Gio Ponti, della Tour Montparnasse a Parigi di Baudoin, Cassan, de Marine & Saubot (1973) e del Pan American Building (New York, Emery Roth & Sons, Pietro Belluschi e Walter Gropius, 1963). Anche lo studio del coronamento del grattacielo tornerà a essere in voga negli anni Settanta, con interessanti soluzioni spaziali. La cima degli edifici viene tagliata e sagomata in modo da creare una skyline ancor più segmentata; celebri i casi del Citicorp Building (New York, H. Stubbins & Soci, Emery Roth & Sons, 1977) e degli edifici di Pennzoil Place a Houston (Johnson & Burgee, 1976) e di Fountain Place (I. M. Pei & Partners, Dallas 1986), dalle superfici sommatali sfaccettate come cristalli.
Il grattacielo a lastra di derivazione europea troverà negli Stati Uniti interessanti applicazioni soprattutto a opera di Hugh Stubbin & Soci, come nel One Cleveland Center (Cleveland, 1983) e nel Metro-Dade Administration Building (Miami, 1984), dal prezioso rivestimento high tech. La innovazione tecnologica porterà poi a una ripresa dei grattacieli a torre, che, pur nella banalità della soluzione tipologica e della ripetitività seriale, offriranno anche varianti di grande interesse soprattutto riguardo all’uso dei materiali e al modo di trattare le lastre del rivestimento. Vanno ricordati almeno la Chase Manhattan Bank di Skidmore, Owings e Merrill (New York, 1960) e soprattutto il CBS Building di Eero Saarinen (New York, 1965), la cui “pelle” lapidea conferisce una maestosità singolare all’intero edificio. Significative anche le varianti in cui alla pianta quadrata si preferisce quella circolare, creando alti steli cilindrici, di cui uno degli esempi più felici furono le Marina City Towers di Goldenberg (Chicago, 1964), immaginate come grandi “pannocchie” rigide e tondeggianti. Il successo dell’edificio a torre, nel corso degli anni Settanta, resta comunque ancorato alle performances in altezza che riesce a raggiungere, alla semplicità strutturale dell’organismo o all’originalità del setting, come dimostrerà il World Trade Center (Minoru Yamasaki & Soci, Emery Roth & Figli, New York, 1976), le cui twin towers vengono concepite e realizzate per essere il sistema integrato di uffici più esteso e popolato del mondo (10 milioni di piedi quadrati in 110 piani, raddoppiati su due strutture gemelle, abitato da oltre 50 mila persone), affermandosi come il nuovo simbolo della prosperità economica degli Stati Uniti, prima di collassare per effetto dell’attacco terroristico sferrato contro di esse l’11 settembre del 2001.