Il lavoro nella gig-economy
Nei più recenti studi giuslavoristici e nei tentativi di regolazione (legislativa e contrattuale) in materia di gig-economy, il problema posto riguarda la qualificazione del lavoro svolto dai riders (lavoro autonomo vs. lavoro subordinato). Ma ciò non è sufficiente per comprendere il fenomeno. La gig-economy è una forma di matchmaking tra domanda e offerta di lavoro. Ci sono opportunità di lavoro, offerte mediante piattaforma digitale, che consentono una certa conoscibilità delle opportunità di accesso al mercato del lavoro. Il che, spesso, si combina con esigenze personali di flessibilità e, in altre circostanze, con forme di precarietà. Il linguaggio dell’innovazione può nascondere almeno due elementi critici. Da una parte, ci sarebbe uno spostamento del rischio dall’impresa al lavoratore; dall’altro, ci sarebbe un danno alla stessa innovazione tecnologica in ragione dell’utilizzo di lavoro a basso costo. Sono state proposte alcune (parziali) soluzioni sulla reintroduzione di terzi tipi di lavoro (lavoro parasubordinato o coordinato), o che muovono dall’inadeguatezza dei sistemi legali nell’applicazione di tutele.
Gig-economy e Industry 4.0 realizzano una strategia industriale più ampia, anche di natura europea, derivante dalla rivoluzione digitale e dalle tecnologie innovative che sono capaci di facilitare nel mercato il collegamento tra imprese e consumatori. Si tratta di fenomeni distinti che hanno in comune il fatto che le funzioni del datore di lavoro siano svolte macchine intelligenti o algoritmi. La chiave di lettura di questi fenomeni è la flessibilità. Nella gig-economy rilevano le flessibilità esterne nel senso di flessibilità contrattuali che attengono ai tipi di lavoro, con il conseguente rischio di spostamento dal tipo necessario di lavoro (quello subordinato) a tipi scelti, dove il tipo scelto dal datore di lavoro risponde a specifiche esigenze organizzative. Industry 4.0, invece, si concentra sulle flessibilità interne che si realizzeranno, entro gli schemi del lavoro subordinato, nella gestione della disciplina di inquadramenti professionali, dello jus variandi e delle funzioni della contrattazione collettiva aziendale. Attualmente Industry 4.0 e gig-economy sono venute solo incidentalmente in contatto fra di esse posto che si stanno sviluppando in settori diversi (manifattura la prima, distribuzione la seconda). I due fenomeni sono già in parte interconnessi. Si arriverà a una forma di produzione 4.0 i cui prodotti sono/saranno distribuiti mediante applicazioni digitali e con l’utilizzo di lavoratori della gig-economy. Esistono diversi studi, sostenuti da organizzazioni internazionali, da università, da società di consulenza (Eurofound per l’Europa1, Cornell University per gli Stati Uniti2) che tentano di dare una dimensione quantitativa al fenomeno. Negli Stati Uniti, a fine 2015, la stima era che circa lo 0,5% degli occupati fosse impiegato in attività di gig-economy3. Nel 2016, includendo oltre agli Stati Uniti anche i paesi UE15, un’approfondita ricerca del Mc-Kinsey Global Institute stima che la quota di independent workers sia il 20-30% della popolazione in età lavorativa, di cui circa il 15% ha lavorato per piattaforme digitali4. Nel 2017 le ricerche del Chartered Institute of Personnel and Development stimano, per il Regno Unito, circa 1,3 mln di gig workers, pari al 4% degli occupati5. In Italia, nel 2017, è stata condotta per la prima volta un’indagine di tipo campionario-statistico sul lavoro autonomo e sulla gig-economy da parte della Fondazione De Benedetti6. Anche l’Inps, nel XVII Rapporto annuale, ha dedicato un capitolo alla gig-economy illustrando gli esiti di un’indagine condotta sulle posizioni presenti nei propri archivi e elaborando i dati emergenti dall’indagine statistica realizzata dalla Fondazione De Benedetti. L’Inps rileva come i problemi di definizione della gig-economy si riflettano nella possibilità d’identificazione dei datori di lavoro e dei lavoratori. Non esiste un codice Ateco che permette di individuare le aziende, né esiste una sola forma di pagamento dei compensi che sia essa stessa la soluzione del fenomeno. Qualunque analisi deve ritenersi parziale. Nel 2017 nelle banche dati Inps risultavano 50 piattaforme informatiche. Di queste 22 erano società senza lavoratori; 17 erano società con lavoratori dipendenti (661), mentre 11 erano società con collaboratori (1.841) e dipendenti (288). In definitiva, su 50 società prese in esame, 28 hanno collaboratori e/o dipendenti, per un totale di 2.790 rapporti di lavoro in capo a 2.764 lavoratori. La gig-economy è in sé una forma di matchmaking tra domanda e offerta di lavoro. Ci sono opportunità di lavoro, offerte mediante piattaforma digitale, che consentono una certa conoscibilità delle opportunità di accesso al mercato del lavoro. Il che, spesso, si combina con esigenze personali di flessibilità e, in altre circostanze, con forme di precarietà. L’inquadramento del lavoro nella gig-economy dipende dal tipo di attività che viene intermediata dalla piattaforma digitale. Di qui alcuni studiosi, specialisti della materia, affermano che il linguaggio dell’innovazione spesso nasconde due elementi della gig-economy. Da una parte, ci sarebbe uno spostamento del rischio dall’impresa al lavoratore («a radical shift of business risk away from platforms and onto individual workers»); dall’altro, ci sarebbe un danno alla stessa innovazione tecnologica in ragione dell’utilizzo di lavoro a basso costo («the real danger that this recourse to cheap labour incentivises the very opposite of genuine innovation»)7. In questa prospettiva, per pervenire a un’analisi possibile del fenomeno, si sceglie di definire il lavoro nella gig-economy secondo le quattro tipologie di seguito indicate: Tipo 1 – piattaforme assimilabili a servizi di taxi e trasporto di persone (exp., Uber, Lyft, etc.); Tipo 2 – piattaforme che organizzano consegne e distribuzione di beni mediante lavoratori riders (Foodora, Deliveroo); Tipo 3 –la piattaforma si limita a ospitare/facilitare l’incontro tra domanda ed offerta di servizi (matchmaking tra famiglia, cliente, etc. e idraulico, giardiniere, etc.). Si pensi al matchmaking tra consumatore e Pmi/lavoratori autonomi operato dalle piattaforme digitali (ad es. Vicker, TaskRabbit, etc.) per l’erogazione di servizi alla persona o alla famiglia. In questi casi la piattaforma mette in contatto lavoratori indipendenti con il cliente, che procederà a remunerare il prodotto o il servizio reso; Tipo 4 – nel caso di Amazon Mechanical Turk il lavoro viene offerto e contestualmente svolto mediante la medesima piattaforma digitale (traduzione di testi, data entry, contabilità, etc.). Ai fini della presente indagine giuslavoristica sarà esaminato il Tipo 2 (Deliveroo, Foodora, etc.), dato che gli altri Tipi sono assimilabili a situazioni già esistenti o regolate (Tipo1/uber e Tipo 3/Vicker) o non ancora del tutto identificabili (Tipo 4/Amazon turk). Muovendo da detta classificazione viene focalizzata l’attenzione sulle piattaforme che organizzano consegne e distribuzione di beni mediante lavoratori (Tipo 2). Dalla ricognizione effettuata è emerso che, a oggi, in Italia operano molte piattaforme di Tipo 2. Tra queste, in particolare, si possono segnalare, Deliveroo, Foodora, Glovo, BeMyeEye, Pronto Pro, Helpling, Mamaclean, iCarry, FoodRacers, MyMenu, MisterLavaggio, Sgnam, Moovenda, Foorban, UberEats, Jonut, Fazland, Il mio Supereroe, TaskHunters, Le Cicogne, PetMe.
L’analisi scientifica svolta sulle piattaforme di Tipo 2 consente di accertare che le modalità mediante cui i gig-workers rendono la propria prestazione di lavoro non è omogenea, ma si atteggia con modalità diverse a seconda del tipo di attività e di piattaforma che viene in esame. Più nello specifico, a seconda del tipo di attività che il gig workers è chiamato a svolgere variano i poteri dei lavoratori (in alcuni casi è possibile decidere di accettare o meno l’incarico mentre in altri casi esiste un obbligo in tal senso), le modalità di esecuzione delle prestazioni di lavoro, la qualificazione delle parti, la chiamata e l’accettazione, il tipo e il grado di direttive impartite dalla stessa piattaforma, il controllo sull’esecuzione delle prestazioni nonché le conseguenze, positive o negative, connesse agli standard di servizio imposti dalla piattaforma (si pensi alla diversa rilevanza attribuita al tempo necessario per la consegna di un bene), al recesso dal contratto, alle sanzioni per inadempimento, all’assicurazione dei rischi, al compenso, orario, etc. Le maggiori difficoltà che tali lavori pongono sono relative alla possibilità di adattare le categorie classiche alle prestazioni svolte mediante piattaforme. Rispetto a ciò la maggior parte degli studiosi si interroga sulla capacità dei principi che connotano lo spazio tra subordinazione e autonomia. Nei più recenti studi giuslavoristici in materia di gig-economy il problema posto riguarda la qualificazione del lavoro svolto dai riders, distinguendo tra lavoro autonomo e lavoro subordinato, proponendo reintroduzioni varie di terzi tipi di lavoro (lavoro parasubordinato o coordinato), o cogliendo l’inadeguatezza dei sistemi legali nell’applicazione di tutele in materia di salario, orario di lavoro, controllo, libertà sindacali e sciopero.
In questo studio si assume che il lavoro prestato mediante piattaforme digitali, nel caso specifico di lavoro prestato per imprese della gig-economy che distribuiscono beni (si v. Deliveroo, Foodora, Just Eat, etc.) o permettono di erogare servizi alla persona o alla famiglia (Vicker, Task Rabbit, Cicogne, etc.), realizzi una forma di matchmaking nel mercato del lavoro8. Si può ritenere, in questa ottica, che il lavoro prestato mediante piattaforme digitali, come nel caso di Deliveroo, Foodora, etc., volto specificatamente alla distribuzione di beni, possa essere assimilato a una forma di matchmaking, con la conseguenza che, da una parte, il legislatore, italiano e europeo, dovrebbe muovere da tale caratteristica per estendere più facilmente ai lavoratori di tali piattaforme digitali un assetto di tutele giuslavoristiche, previdenziali, sindacali, e, dall’altra, la contrattazione collettiva avrebbe già a disposizione schemi e tecniche per la definizione di alcuni aspetti che attengono al salario, all’orario, alla sicurezza e al costo del lavoro. Tale teoria muove dall’idea che per il lavoro prestato mediante piattaforme digitali (Tipo 2) la regolazione dovrebbe prevalentemente far riferimento alla disciplina dell’incontro tra domanda e offerta di lavoro (market design). Il marketplace delle piattaforme digitali beneficia, da una parte, delle richieste di lavoro (lavoratori/riders) e, dall’altra, delle richieste di servizi (ad es., ristorante che si associa alla piattaforma e consumatore che desidera avere quel cibo mediante riders a quell’ora di quel giorno). Tra lavoratori, ristorante/pubblico esercizio e consumatore c’è la piattaforma digitale che gestisce le relazioni giuridiche. La piattaforma digitale si trova di fronte a un numero crescente di candidati; non ha interesse alcuno a conoscere i candidati; ha esclusivo interesse a soddisfare i bisogni degli associati (ad es., ristoratore, esercente di attività commerciali, etc.) e del consumatore. La piattaforma evita la congestione mediante un algoritmo: tale algoritmo registra il mercato di riferimento, gestisce i lavoratori/riders, anticipa i bisogni dei consumatori, preallerta i ristoratori o soggetti simili associati alla piattaforma. La gig-economy crea un marketplace in cui tutti i partecipanti sono lì per svolgere attività commerciali e di lavoro, con una connessione digitale e un prezzo che sarà pagato. La gig-economy si sviluppa in un mercato anomalo, dove la prestazione marginale o occasionale di lavoro si svolge per il tramite di un ambiente digitale sofisticato che collega la domanda (crescente) all’offerta (crescente), che coordina le prestazione di lavoro, che misura la qualità delle prestazioni di lavoro, che predice i bisogni dei consumatori e dei venditori di beni/servizi. Il prezzo ha un certo ruolo nella vicenda: non interessa al consumatore, se non nella misura in cui possa comparare un bene o un servizio (scelgo quel piatto di pasta da quel ristorante); non interessa al venditore di beni, il quale ha solo l’interesse a stare in una vetrina digitale; non interessa alla piattaforma digitale, la quale ha a disposizione molti lavoratori. Il corrispettivo, che viene a crearsi da questa vicenda giuridica, ha però ricadute sul costo del lavoro: più basso è il costo del lavoro, minori sono gli oneri della catena di valore (piattaforma, venditore, consumatore, riders). L’abuso deve essere corretto con l’intervento del legislatore e/o della contrattazione collettiva.
Questa prospettiva può integrare la visione teorica che in questi tempi si sta sforzando di classificare/qualificare il lavoro prestato mediante piattaforme digitali (lavoro autonomo o lavoro subordinato). Con ciò non si intende minimizzare il problema della qualificazione del lavoro. Qui si va oltre, muovendo dal presupposto che alcuni tipi di lavoro prestato mediante piattaforma digitale nel caso di distribuzione di beni o di svolgimento di servizi (Deliveroo, Foodora, etc.) siano già oggi facilmente assoggettabili a discipline di tutela, definite dal nostro ordinamento, se intese come fenomeni di matchmaking nel mercato del lavoro. Osserviamo alcune impostazioni recentemente sviluppatesi in dottrina. Perulli9 ritiene che sia necessario ricorrere a un tertium genus, una categoria intermedia, il lavoro autonomo economicamente dipendente mediante cui si potrebbe riconoscere una garanzia generalizzata di base a tutte le tipologie di lavoratori, articolando le tutele ulteriori rispetto a quelle minime tenendo conto dello specifico grado di debolezza del lavoratore. Ichino10, muovendo dall’analisi delle umbrella company ritiene che la soluzione possa consistere nell’estensione ai platform workers, prescindendo dalla qualificazione come subordinati o autonomi, almeno la parte indispensabile delle protezioni compatibili con la peculiare forma di organizzazione del loro lavoro, evitando di imporle gli schemi tradizionalmente propri del lavoro subordinato. Treu11 suggerisce di mettere sullo sfondo la questione della qualificazione giuridica dei rapporti, in termini di sussunzione della fattispecie nell’autonomia o nella subordinazione, ponendo in primo piano gli strumenti per la tutela dei diritti. In questo modo si potrebbe superare la pretesa totalizzante e unitaria tipica della fattispecie giuridica. Riferimento in tal senso dovrebbero essere i criteri ordinatori contenuti nei principi costituzionali relativi alla materia del lavoro (gli standard fondamentali di sicurezza sul lavoro, il principio di pari dignità e non discriminazione per proteggere i lavoratori da pratiche discriminatorie e lesive della dignità e della privacy, e i principi di libertà e di organizzazione sindacale). Per Loi12 l’elemento rilevante dovrebbe essere la distribuzione del rischio tra le parti del contratto. Conseguentemente, i lavoratori della gig economy dovrebbero vedersi riconosciuti i diritti sulla base della loro esposizione ai rischi sociali, e ciò indipendentemente dalla qualificazione del rapporto. In particolare, Loi muove le proprie considerazioni all’assunto che il rischio è categoria fondante nel diritto del lavoro e i diritti sociali, inclusi nel contratto di lavoro, sono meccanismi assicurativi e di protezione contro l’evenienza dei rischi sociali. L’autore identifica i medesimi a cui sono esposti tutti i lavoratori (occupazione, reddito professionale/previdenziale e formazione, disconnessione). Prassl-Risak13, interrogandosi su chi sia il datore di lavoro nella gig economy, giungono alla conclusione che non sia utile guardare alla semplice presenza/assenza degli elementi della fattispecie (lavoro subordinato/autonomo) per qualificare il lavoratore. È, invece, necessario un approccio funzionale che individui, all’interno del contesto di riferimento, il soggetto che esercita le funzioni del datore di lavoro. Da qui deriverebbero le tutele da applicare al riders. De Stefano14 svolge un’analisi comparativa volta a comprendere quali tutele debbano essere riconosciute ai gig workers e con quali modalità. L’analisi condotta da De Stefano muove dall’assunto per cui il lavoro prestato nell’ambito della gig economy non debba essere analizzato in sé, ma nell’ambito di un fenomeno più ampio di diffusione di forme di lavoro non standard, alcune delle quali caratterizzate dal fatto che la remunerazione è erogata se e nella misura in cui sia stata resa la prestazione di lavoro. Aloisi sposta la propria attenzione sui ragionamenti proposti da alcuni studiosi nord americani sulla necessità di introdurre un tertium genus come categoria intermedia tra la subordinazione e l’autonomia che vada a regolare l’attività dei gig workers ponendo tali proposte in comparazione rispetto all’esperienza già maturata nell’ordinamento italiano relativamente alla previsione di un tertium genus. Biasi15 propende per la qualificazione dei lavoratori della gig economy quali prestatori di lavoro autonomo, richiamando l’attualità delle conclusioni raggiunte dalla giurisprudenza in materia di qualificazione del rapporto di lavoro dei pony express. Biasi vede nelle collaborazioni coordinate ex art. 409 c.p.c. il corretto modello dentro il quale sussumere le prestazioni rese dai riders. Anche la giurisprudenza ha dato un contributo alla disamina del fenomeno. In particolare, il Tribunale di Torino, con sent. 7.5.2018, n. 778, ha rigettato il ricorso di alcuni riders di Foodora. I riders chiedevano l’applicazione delle discipline di tutela avverso i licenziamenti illegittimi stabiliti per i lavoratori subordinati, sostenendo che tale qualificazione del rapporto di lavoro fosse deducibile dall’obbligo di essere reperibili in maniera costante e continuativa. Nel respingere il ricorso dei riders, il Tribunale di Torino ha affermato che essi «non avevano l’obbligo di effettuare la prestazione lavorativa» e non erano quindi «sottoposti al potere direttivo e organizzativo del datore di lavoro». Con queste motivazioni, il giudice ha affermato che i riders sono da considerarsi lavoratori autonomi. I ricorrenti hanno invocato in via subordinata l’applicazione della norma di cui all’art. 2 del d.lgs. 15.6.2015, n. 81. Il giudice ha rigettato anche tale richiesta. Il giudice, aderendo alla tesi difensiva di Foodora, ha rilevato che la disposizione di cui all’art. 2 del d.lgs. n. 81/2015 non avrebbe un contenuto capace di produrre nuovi effetti giuridici sul piano della disciplina applicabile alle diverse tipologie di rapporti di lavoro. Tale ultima impostazione è stata criticata da una parte della dottrina16. Molto rappresentativa dei problemi che si innestano al momento della qualificazione delle prestazioni di lavoro rese dai gig workers è la sentenza del giudice di Londra17 relativa alla qualificazione del lavoro mediato da applicazioni digitali con riferimento specifico al caso Uber. La sentenza ha qualificato due autisti di Uber non come liberi professionisti (self-employed, secondo il lessico anglosassone), ma come worker (categoria intermedia che attribuisce il diritto al salario minimo nazionale e, tra le altre cose, alle ferie pagate). Nei confronti di questo gruppo di lavoratori si applicano le norme sul minimum wage, sull’orario di lavoro e quelle contro la discriminazione, non sono tuttavia coperti dalle tutele in caso di licenziamento illegittimo (riservate agli “employee”). La sentenza ha posto l’accento su un limite che attiene all’onere probatorio (viene considerato “ridicolo” il fatto che Uber aggreghi circa 30.000 piccole e medie imprese a Londra) e su un limite che riguarda l’interpretazione del regolamento commerciale che interessa i lavoratori connessi alla piattaforma/applicazione digitale di Uber (l’identità del consumatore/cliente di Uber resta sconosciuta al lavoratore/autista). I problemi qualificatori che sono stati sollevati e affrontati dalla dottrina nazionale si ritrovano anche nell’esperienza nordamericana. In tale contesto i criteri che sono stati nel tempo elaborati dalla giurisprudenza al fine di delineare l’ambito di applicazione del lavoro subordinato (control test) e, dunque, i reciproci diritti e doveri delle parti del rapporto sono stati particolarmente messi in crisi dai nuovi lavori della gig-economy. Una ricognizione della giurisprudenza americana è stata effettuata da alcuni studiosi18 che, nel sottolineare la crisi avvertita nel sistema americano, riportano il contenuto di alcune sentenze secondo cui se dovesse essere chiesto a una giuria di applicare i canoni qualificatori tipici in un giudizio relativo ad un gig workers per accertare la natura autonoma o subordinata della prestazione sarebbe come offrite ai giurati «a square peg and asked to choose between two round holes». In un primo caso la sentenza ha concluso che i tassisti organizzati da Uber erano lavoratori dipendenti, sottolineando il potere dell’azienda di determinare una serie di condizioni di lavoro dei conducenti, di stabilire i prezzi delle corse, e le modalità di comportamento nei confronti dei clienti, nonché di controllare le performance dei lavoratori.
Nel novembre 2017 la Corte d’appello di Parigi ha rilevato che un riders di Deliveroo non poteva essere riclassificato come lavoratore subordinato perché era libero di selezionare i “turni” e scegliere quando lavorare (Cour d’Appel de Paris, 22.11.2017, n. 16/12875).
Contrattazione collettiva e prassi locali stanno dimostrando una certa attenzione al fenomeno. Il CCNL logistica (dicembre 2017) ha fissato l’impegno di definire un regime per le «nuove figure di lavoratori adibiti alla distribuzione delle merci tramite cicli, ciclomotori, motocicli, natanti e imbarcazioni, le declaratorie e i livelli di inquadramento, l’orario di lavoro e quant’altro». Il 18.7.2018 le parti che sottoscrivono il CCNL logistica, trasporto merci e spedizione, nell’ambito dell’accordo di rinnovo del dicembre 2017, hanno negoziato e sottoscritto un protocollo speciale che riguarda i riders (lavoratori impiegati nella distribuzione delle merci con cicli e ciclomotori). Il protocollo del 18.7.2018 regola le discipline da applicare ai riders che sono lavoratori subordinati. Tale contrattazione collettiva che regola figure professionali relative alla subordinazione non preclude che si possa giungere anche a un protocollo ulteriore, sottoscritto dalle medesime parti, ex art. 2 d.lgs. n. 81/2015. In mancanza dell’esito delle diverse ipotesi di progettualità nazionale che sono allo studio meritano di essere segnalate iniziative assunte a livello di amministrazioni locali, come risposta istituzionale a istanze e sollecitazioni provenienti dal tessuto sociale e produttivo del territorio. La «Carta dei diritti fondamentali del lavoro digitale nel contesto urbano», promossa dal Comune di Bologna (con l’adesione del Comune di Milano) e sottoscritta il sottoscritta il 31.5.2018 dal Comune di Bologna, dalle organizzazioni sindacali, da Riders union Bologna (associazione locale dei riders) e dalle piattaforme digitali Sgnam e Mymenu (piattaforme che operano sul territorio cittadino nel settore della ristorazione a domicilio). I contenuti della Carta sono diretti a tutte le tipologie dei lavoratori e dei collaboratori digitali. La Regione Lazio, in forza della competenza in materia di sicurezza sul lavoro, di cui all’art. 117 Cost, ha approvato una proposta di legge regionale sulla sicurezza dei lavoratori digitali. La proposta di legge regionale del 15.6.2018, n. 9858 appare innovativa per il metodo adottato. I contenuti della disposizione sono stati sottoposti alla valutazione di lavoratori, cittadini, associazioni, parti sociali ed esperti, attraverso una consultazione on-line svoltasi dal 25 maggio al 15 giugno. Il testo non affronta la questione della configurazione giuridica dei riders, ma si propone l’obiettivo di estendere uno standard di diritti a tutti i lavoratori che operano per il tramite di piattaforme digitali. Tra questi sono annoverati il diritto alla tutela della salute e della sicurezza sul lavoro, il diritto a un salario minimo garantito, il diritto alla trasparenza nella valutazione della prestazione, il diritto ad un’informazione chiara e preventiva, il diritto alle pari opportunità e la lotta alle discriminazioni, il diritto alla previdenza privata e alla bilateralità)19. Ci sono stati tentativi di regolazione da parte del parlamento italiano20. Un’evoluzione si riscontra nella legislazione francese dell’agosto 2016, la prima che risulti specificamente riferita al lavoro su piattaforma digitale e che anticipa orientamenti giudiziali ancora incerti21. In Belgio il tema è stato affrontato mediante l’istituto dell’umbrella company22.
Il ragionamento sulle tutele applicabili ai gig workers potrebbe muovere non tanto dai cambiamenti che l’avvento della gig-economy ha determinato nella figura del prestatore di lavoro ma, piuttosto, dal mutamento della nozione di datore di lavoro. I mutamenti tecnologici hanno inciso non solo nella modalità di esecuzione della prestazione di lavoro ma anche, se non soprattutto, sull’organizzazione delle imprese. Nella gig economy le funzioni di datore di lavoro non sono svolte da un soggetto organizzato verticalmente ma, bensì, dalla piattaforma digitale che permette la gestione dei rapporti di lavoro che a essa sono collegati. C’è un datore di lavoro algoritmico (cioè, la piattaforma) che facilita il matchmaking tra domanda e offerta di lavoro. Di qui la piattaforma può altresì organizzare il lavoro, controllarne l’esecuzione, vigilare sul comportamento dei lavoratori e irrogare sanzioni. La piattaforma, però, non assume in sé gli obblighi del datore di lavoro, tanto che la complessità degli obblighi ricadenti sulla figura del datore di lavoro sono in realtà realizzati dal collegamento tra piattaforma, corporation internazionale, entità locale. Il che determina conseguenze che possono incidere sulla vulnerabilità dei riders e sulla catena di valore che si viene a creare attorno al fenomeno della gig-economy. In particolare, se le funzioni datoriali sono distribuite tra piattaforma digitale, corporation internazionale, entità locale, la ricerca delle responsabilità datoriali, in caso di inadempimento di norma e discipline protettive, è complessa e spesso infruttuosa. A legislazione invariata, la contrattazione collettiva può identificare posizioni professionali utili per attribuire garanzie e tutele ai riders. In questa prospettiva, oltre alla identificazione di riders lavoratori subordinati, c’è la possibilità di ricorrere all’art. 2 del d.lgs. n. 81/2015 il quale potrebbe svolgere nel contesto della gig-economy la funzione di “tecnica normativa di condizionamento” volta a far conformare ciò che è prestazione irregolare di lavoro rispetto a discipline di tutela considerate inderogabili. In questo modo alle prestazioni di lavoro «esclusivamente personali, continuative e le cui modalità di esecuzione sono organizzate dal committente [anche in riferimento ai tempi e luoghi di lavoro]», tra cui il lavoro mediato da applicazioni digitali, si applicherebbe la disciplina di tutela del lavoro subordinato perché tali prestazioni sarebbero da considerarsi, in atto e in potenza, abusive (irregolarmente poste in essere). Si entrerebbe, in questo modo, in un perimetro elastico della subordinazione (perisubordinazione), con valenza sanzionatoria-positiva, di promozione alla regolarità. Come ulteriore alternativa, si potrebbe ipotizzare, per casi di lavoro sotto una certa soglia di reddito annuo, di far uso della piattaforma Inps per la gestione delle prestazioni di lavoro occasionale (cd. voucher). In questo senso si ritiene utile intervento legislativo volto a ridefinire la disciplina del lavoro occasionale per farvi aderire imprese della gig economy che distribuiscono beni (si vedano Deliveroo, Foodora, Just Eat, ecc.) o permettono di erogare servizi alla persona o alla famiglia (Vicker, Task Rabbit, ecc.) potrebbe condurre a sviluppi particolarmente interessanti. Ci può essere altresì una certa funzione delle agenzie di somministrazione di cui al d.lgs. n. 81/2015 e al d.lgs. 10.9.2003, n. 276 le quali, a beneficio delle piattaforme digitali, potrebbero gestire il personale che svolge prestazioni di lavoro nella gig-economy. Le agenzie di somministrazione potrebbero assumere i riders da porre a disposizione delle piattaforme, secondo il modello dello staff leasing/a tempo indeterminato, con un rafforzamento delle funzioni formative e di sostegno al reddito nei periodi di non lavoro. Il che, tra l’altro, sarebbe utile per l’accesso dei riders alla rete unitaria delle politiche attive, con la capacità di prendere parte alla distribuzione di posti di lavoro e all’incontro di domanda/offerta di lavoro (matchmaking), sia per i posti di lavoro tradizionali (ciò che già conosciamo), sia per i posti di lavoro nella gig economy.
1 Si v. le indagini Eurofound in www.eurofound.europa.eu
2 Si v. Hyman, L., Temp. How American Work, American Business, And The American Dream Became Temporary, New York, 2018 nonché i dati di cui alla ricerca pubblicata in www.mckinsey.com; si v. anche Adams, A. et al., Rethinking legal taxonomies for the gig economy, in Oxford review of economic policy, 2018, XXXIV, I. 3, 475-494; Benkler, Y., Peer production, the commons, and the future of the firm, in Strategic Organization, 2017, XV, I. 2, 264 e ss. Cherry, M.Aloisi, A., “Dependent contractors» in the gig economy: a comparative approach, in American University Law Review, 2017, LXVI, I. 3; Ciucciovino, S., Le nuove questioni di regolazione del lavoro nell’industria 4.0 e nella gig economy: un problem framework per la riflessione, in Working paper ASTRIL, 2018, XXXVI.
3 Katz, L.F.Krueger, A.B.,The Rise and Nature of Alternative Work Arrangements in the United States, 1995-2016, 2016 in www.nber.org.
4 Si v. le ricerche condotte dal team di Cornell ILR University www.ilr.cornell.edu
5 Si v. il documento in www.cipd.co.uk.
6 Si v. il documento in www.frdb.org.
7 Prassl, J., Humans As Service, Oxford, 2017.
8 Rinvio ai miei studi in Faioli, M., «Jobs App», «Gig Economy» e sindacato, in Riv. giur. lav., 2017, II, pt. 1, 291305 nonché a Faioli, M., Gig Economy and Market Design. Why to Regulate the Market of Jobs Carried Out Through Digital Platforms, in Economia&Lavoro, 2018, II, 714. Si v. anche gli studi di Ratti, L., Online Platforms and Crowdwork in Europe: A two Step Approach to Expanding Agency Work Provisions, in Comparative Labor Law&Policy, 2017, XXXVIII, 477 e ss.; Sarina, T.Riley, J., Recrafting the enterprise for the gig-economy, in New Zealand Journal of Employment Relations, 2018, XLIII, I. 2, 2735; Schiek, D.Gideon, A., Outsmarting the gig-economy through collective bargaining – EU competition law as a barrier to smart cities?, in International Review of Law, Computers and Technology, 2018, XXXII, I. 23, 120; Stewart, A.Stanford, J., Regulating work in the gig economy: What are the options?, in The Economic and Labour Relations Review, 2017, XXVIII, I. 3, 420-437; Stone, K.V.W., Uber and Arbitration: A Lethal Combination, in www.epi.org; Sundararajan, A., The Sharing Economy. The End of Employment and the Rose of Crowd-Based Capitalis, Cambridge, 2017; Taylor, M., et al., Good Work. The Taylor Review of Modern Working Practices, in Rapporto della Commissione Taylor al Primo Ministro, Londra, 2017; Tega, D., Uber in Piazza del Quirinale n. 41: la «gig economy» arriva alla Corte costituzionale, in Le Regioni, 2017, III, 580-589; Thomas, K.D., Taxing the gig economy, in University of Pennsylvania law review, 2018, CLXVI, I. 6, 382-401; Todolí-Signes, A., The End of the Subordinate Worker? The OnDemand Economy, the Gig Economy, and the Need for Protection for Crowdworkers, in International Journal of Comparative Labour Law and Industrial Relations, 2017, XXXIII, I. 2, 241–268; Tullini, P., Digitalizzazione dell’economia e frammentazione dell’occupazione. Il lavoro instabile, discontinuo, informale: tendenze in atto e proposte d’intervento, in Riv. giur. lav., IV, pt. 1, 748764; Webster J., Microworkers of the Gig Economy¸ in New Labor Forum, 2016, XXV, 25, I. 3, 5664; Works, R., Examining the market power of ondemand labor platforms in the gig economy, in Monthly Labor Review, 2018, 1.
9 Perulli, A., Lavoro e tecnica al tempo di Uber, in Riv. giur. lav., 2017, 2, I, 195 e ss.
10 Ichino, P., Subordinazione, autonomia e protezione del lavoro nella gig-economy, in Riv. it. dir. lav., 2018, II, 294 e ss.
11 Treu, T., Rimedi, tutele e fattispecie: riflessioni a partire dai lavori della gig economy, in Lav. dir., 2017, III/IV, 367 e ss.
12 Loi, P., Il lavoro nella gig economy nella prospettiva del rischio, in Riv. giur. lav., 2017, II, 259 e ss.
13 Prassl, J.Risak,M., Sottosopra e al rovescio: le piattaforme di lavoro on demand come datori di lavoro, in RGL, 2017, II, 219 e ss.
14 De Stefano, V., The Rise of the “Just-in-Time Workforce”: On-Demand Work, Crowdwork and Labour Protection in the “Gig-Economy”, in Comparative Labor Law and Policy Journal., 2016, XXXVII, 471 e ss.
15 Biasi, M., Dai pony express ai riders di Foodora. L’attualità del binomio subordinazione-autonomia (e del relativo metodo di indagine) quale alternativa all’affannosa ricerca di inedite categorie, in Zilio Grandi, G.Biasi, M., a cura di, Commentario breve allo statuto del lavoro autonomo e del lavoro agile, Milano, 2018, 67 e ss.
16 In particolare Ichino, P., op. cit., 294.
17 Si v., in particolare, la sent. Mr Y Aslam, Mr J Farrar and Others c. Uber, 28.10.2016.
18 Si v. la ricostruzione di Rogers, B., Employment Rights in the Platform Economy: Getting Back to Basics, in Harvard Law & Policy Review, 2016, X, 479 e ss. Si v. anche Flanagan, F., Symposium on work in the «gig’ economy: Introduction, in Economic and labour relations review, 2017, XXVIII, I. 3, 378381; Gibbins, P., Extending Employee Protections to GigEconomy Workers Through the Entrepreneurial Opportunity Test, in Washington University Journal of Law & Policy, 2018, LVII, 183202; Graham, M. et al., Digital labour and development: impacts of global digital labour platforms and the gig economy, in Transfer: European Review of Labour and Research, 2017, XXIII, I. 2, 135162; Healy, J. et al., Should we take the gig economy seriously?, in Labour & Industry, 2017, XXVII, I. 3, 232-248.
19 Anche la Regione Lombardia ha deciso di affrontare il tema dei lavori dipendenti dalle piattaforme. Il 22.5.2018 si è tenuto un incontro con le parti sociali e datoriali nella sede della Commissione regionale politiche del lavoro e formazione per avviare una prima riflessione sul tema. L’esito della riflessione attualmente è confluito in una delibera del 23.7.2018.
20 C’è una prima proposta di legge Airaudo e altri che mira a estendere la normativa sulle collaborazioni eterorganizzate (art. 2 d.lgs. n. 81/2015) anche a quelle attività di lavoro coordinate dal committente, che richiedano un’organizzazione, sia pure modesta, di beni e di strumenti di lavoro da parte del lavoratore, come ad esempio l’uso del proprio computer o di qualunque dispositivo in grado di generare un trasferimento di dati o di voce, oppure del proprio mezzo di trasporto, anche se rese prevalentemente o esclusivamente al di fuori della sede dell’impresa. Il d.d.l. Ichino e altri, si pone lo scopo di garantire una tutela ai lavoratori della gig economy attraverso le umbrella companies.
21 La Loi Travail francese ha rintrodotto una disciplina specifica del lavoro su piattaforma che riconosce espressamente ai lavoratori autonomi alcuni diritti di previdenza sociale oltre al diritto di formare sindacati e di aderirvi e di intraprendere l’azione collettiva (artt. L. 73411/L. 73426 del Code du Travail). Il testo francese è di particolare importanza perché, pur ricomprendendo tali lavoratori nell’ambito del lavoro autonomo, come del resto i nostri lavori parasubordinati, riconosce loro alcuni diritti tipici del lavoro subordinato.
22 In particolare in Belgio ha iniziato a operare la Smart che ha concluso un accordo con Deliveroo.