Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
L’istituzione del Granducato, erede di una storia plurisecolare, si mantiene sostanzialmente immutata per tutto il XX secolo, sebbene vengano introdotte significative riforme democratiche. L’occupazione tedesca nel corso della seconda guerra mondiale porta il Lussemburgo a rinunciare alla tradizionale neutralità e diventare membro stabile sia della NATO, sia della Comunità Europea. Il grande sviluppo dell’industria siderurgica contribuisce all’agiatezza economia del Paese che gode di considerevoli entrate anche per la presenza, sul suo territorio, di molte rappresentanze delle maggiori istituzioni europee. Se si esclude un breve periodo di insicurezza agli inizi degli anni Ottanta, dovuto alla crisi del settore siderurgico, il Granducato gode a tutt’oggi di una prosperità economica tra le più ininterrotte in Europa.
Il Lussemburgo, per tutto il XX secolo, conserva il titolo di granducato e mantiene – seppure attraverso rami collaterali – la continuità dinastica con l’originaria famiglia degli Orange-Nassau. Continuità tutt’altro che simbolica, poiché la carica di Granduca (o Granduchessa) si identifica con il potere esecutivo, all’interno di una monarchia costituzionale. Passato indenne attraverso il secolo successivo alla Rivoluzione francese, quando si verificano diversi tentativi di annessione da parte delle potenze confinanti, il Granducato si vede garantita, in cambio della neutralità, l’intangibilità del territorio dal trattato di Londra del 1867. Già alla fine del XIX secolo il granducato è interessato da un processo sempre più pronunciato di industrializzazione; ma le spinte verso una decisa modernizzazione si fanno sentire dopo l’inizio del nuovo secolo. Prima la morte di Guglielmo IV (1852-1912), figlio di Adolfo (1817-1905), ultimo duca di Nassau, obbliga il Paese a rinunciare alla legge salica e a prevedere una successione femminile: la prima granduchessa del Lussemburgo diventa allora Maria Adelaide di Nassau (1894-1924), figlia di Guglielmo. Successivamente l’invasione tedesca durante la prima guerra mondiale e, soprattutto, la simpatia mostrata dalla granduchessa verso la Germania impongono una più decisa democratizzazione e Maria Adelaide è costretta ad abdicare nel gennaio 1919 a favore della sorella Carlotta (1896-1985).
Nonostante queste vicissitudini, nello stesso anno un referendum decide il mantenimento della dinastia Orange-Nassau, nel quadro però di una costituzione democratica. Negli anni del dopoguerra il Paese si mantiene su una posizione di neutralità, ma, allo scoppio della seconda guerra mondiale, viene comunque invaso dalla Germania nazista. Questa volta, però, la famiglia granducale sceglie l’esilio a Londra, e dichiara pubblicamente la sua ferma opposizione al regime tedesco. L’esperienza dell’occupazione nazista è destinata a segnare la futura politica estera del Lussemburgo che, rinunciando alla neutralità, decide di entrare a far parte della NATO, nel 1949, e delle altre organizzazioni di cooperazione europea: il Benelux, patto economico con Belgio e Olanda (1947), la Comunità Economica Europea (CEE) e l’Euratom (1957).
Il Lussemburgo, per le sue piccole dimensioni e per la notevole produzione industriale, in particolare nel settore siderurgico, gode nel secondo dopoguerra di una situazione di generalizzato benessere e di stabilità politica. Diventa anche sede di diverse società finanziarie internazionali e questo afflusso di capitali nel Paese, sfuggendo spesso al controllo degli altri Stati, suscita diverse polemiche nella Comunità Europea, fino all’approvazione, per iniziativa della Francia e della Gran Bretagna, di un pronunciamento fortemente critico verso il granducato (1973). La situazione sociale e politica si vivacizza alla fine degli anni Sessanta: le manifestazioni operaie del 1968 sono solo un riflesso di quelle, più imponenti, che si svolgono nei Paesi confinanti; negli anni Ottanta, però, il malessere diventa reale, in quanto il Lussemburgo conosce gli effetti della crisi che in tutta Europa coinvolge il settore siderurgico, costringendo i governi a una politica di austerità salariale. Anche in precedenza il Paese aveva conosciuto momenti di vivace contrasto politico, ma non per problemi sociali interni: nel 1979 è infatti accusato di scarsa iniziativa politica il capo del governo Pierre Werner (1913-2002), del Partito Cristiano-sociale, per non avere adeguatamente protestato con la Francia a causa della costruzione di una centrale nucleare a ridosso dei confini del granducato. I disagi sociali degli anni Ottanta fanno cambiare la guida politica del Paese, tradizionalmente in mano ai liberali o ai cristiano-sociali. Nel 1984 viene formata una grande coalizione comprendente i cristiano-sociali e i socialisti, a capo della quale c’è Jacques Santer (1937-), che ricoprirà la carica per un decennio. Il Paese in questi anni conosce anche il fenomeno del terrorismo, diretto in realtà contro le rappresentanze delle organizzazioni internazionali (Comunità Europea e NATO), ma in grado di produrre instabilità e insicurezza. Dopo l’adesione al trattato di Maastricht, nel 1992, il Lussemburgo attraversa una fase di crescita economica. Alla guida del governo è poi il social-cristiano Claude Junker (1954-), dopo la nomina di Santer alla presidenza europea. Negli ultimi anni del secolo non accadono avvenimenti di rilievo e prosegue una politica di progressiva integrazione europea in seno all’Unione Europea e all’OCSE; la presenza di molti uffici di questi organismi in Lussemburgo è motivo di forte sviluppo economico. Non muta la dinastia a capo del granducato: il successore di Carlotta, Jean di Borbone (1921-), nel 2000 abdica a favore del figlio Henri (1955-), in una situazione di benessere economico e stabilità politica ben lontana dalle crisi strutturali di altri Paesi europei.