Il marchio Italia segna il passo
Un folto gruppo di ricercatori dell’Università di Harvard, in partnership con GoogleLabs, l’ufficio Ricerca e Sviluppo di Google, ha sviluppato un nuovo strumento di indagine capace di interrogare uno sterminato database, ottenuto dalla digitalizzazione di milioni di volumi in varie lingue effettuata da Google e tuttora in rapida, ulteriore espansione. Il motore di ricerca (consultabile on-line all’indirizzo www.culturomics.org) permette in particolare di valutare, in termini percentuali, l’incidenza nel tempo di una determinata parola, o gruppo di parole, all’interno di tutti i testi, misurando così il livello di ‘diffusione’ di quella particolare unità all’interno dell’ecologia di significato costituita dall’intero corpus dei libri indicizzati. L’analogia con la genomica, abbastanza immediata per quanto non priva di aspetti da chiarire, ha indotto i ricercatori a parlare in questo caso di ‘culturomica’: la pervasività di una determinata parola all’interno del corpo dei testi sarebbe cioè il riflesso della ‘espressione culturale’ di quella parola, ovvero del suo contributo a un determinato processo di formazione del significato.
Un modo concreto per valutare l’effettiva influenza culturale del made in Italy, considerato in tutta la sua complessità di dimensioni, può essere quello di analizzare la diffusione, lungo l’arco temporale del 20° secolo, di alcuni marcatori, relativi sia ai tratti di attività culturale sia agli attributi più significativi per un certo numero di paesi di riferimento: Italia, USA, Germania, Francia, Gran Bretagna, Cina, Giappone. Vediamo allora qual è il quadro che si produce affrontando dapprima alcune forme di attività culturale rappresentative del più ampio sistema delle industrie culturali e creative.
Associamo così ai vari paesi i seguenti marcatori: ‘arte’, ‘architettura’, ‘cinema’, ‘design’, ‘teatro’, ‘moda’, ma anche ‘cibo’, considerando che l’alta cucina viene sempre più frequentemente considerata una particolare forma di design. Alcuni dei risultati sono quelli riportati nei rispettivi diagrammi. Concentriamoci in particolare sulla posizione relativa dell’Italia all’interno di questo quadro, che ci permette di ricavare una visione piuttosto interessante circa l’evoluzione del potere di influenza culturale del nostro paese.
All’inizio del Novecento, l’Italia è dominatrice incontrastata nel campo dell’arte, vince, anche se di stretta misura, nell’architettura, è seconda solo ai francesi nel design e nella moda, non è in posizioni di primo piano nel teatro e nel cibo, mentre nel cinema avrebbe iniziato a lasciare, per comprensibili motivi, qualche traccia di sé soltanto qualche anno più tardi. Alla metà del Novecento (ovvero, nel corso degli anni Cinquanta), l’Italia finisce al terzo posto nell’arte e poi ancora al quarto nel corso del decennio; parte dal quarto e scivola al quinto nell’architettura, conquista una breve supremazia nel cinema, che però perde già prima della fine del decennio, si mantiene al quinto posto nella moda, oscilla tra il quinto e il sesto posto nel design e nel teatro, e mostra una progressione dal settimo al quinto posto nel cibo.
Nel 2000, l’Italia è settima (su sette) nell’arte, nel teatro e nel cinema, sesta nell’architettura, quarta nel design, terza nel cibo e nella moda. In altre parole, quel che emerge è che nel corso del Novecento l’Italia perde nettamente posizioni nei settori culturali, mentre tiene nel complesso nei settori creativi legati al design, inteso in tutte le sue forme, pur non potendo vantare in nessun campo una posizione di preminenza globale. L’unica area nella quale si registra un costante miglioramento nel corso del secolo è quella del cibo.
Se ragioniamo invece sui marcatori di significato, possiamo notare che l’Italia all’inizio del Novecento predomina in ‘lusso’ e ‘stile’, è seconda per ‘bellezza’, terza per ‘genio’ e ‘immaginazione’, mentre è debole per ‘fascino’ ed ‘estetica’. A metà del Novecento, è seconda per ‘bellezza’ e ‘stile’, terza per ‘lusso’, quinta per ‘genio’ (con una breve, temporanea ripresa a cavallo degli anni Sessanta), oscilla tra il terzo e il quinto posto per ‘immaginazione’, scende lungo il decennio dal secondo al settimo posto per ‘estetica’ e rimane nelle basse posizioni per ‘fascino’.
Nel 2000, è seconda per ‘bellezza’, quinta per ‘genio’ e ‘stile’, settima per ‘estetica’, ‘fascino’, ‘immaginazione’ e persino per ‘lusso’ (dove era nettamente prima all’inizio del secolo). Il quadro sembra dunque abbastanza chiaro: l’Italia di fine secolo è un paese molto meno capace di produrre una forte influenza culturale di quanto lo fosse cento anni prima, e si è notevolmente indebolita su attributi che pure continuiamo spesso ad associare a una nostra presunta leadership globale.
Il rilancio del made in Italy ha dunque bisogno di meno retorica e autocompiacimento e di più coraggio nella sperimentazione di strade alternative e nel dare spazio ai nuovi talenti creativi, che pure non ci mancano.
I limiti della culturomica
La culturomica è una disciplina assai recente, e i risultati ottenuti finora andrebbero considerati con una certa cautela. In primo luogo, essi si basano essenzialmente su testi in lingua inglese pubblicati tra il 1800 e il 2000 (anche se tra quelli digitalizzati da Google vi sono libri in altre lingue, come francese, tedesco, russo, cinese ed ebraico, tutti insieme essi rappresentano poco più di un quarto del totale). In secondo luogo, i circa 5 milioni di libri esaminati dal team di ricercatori rappresentano poco più del 4% dei circa 130 milioni di titoli pubblicati nell’era post-Gutenberg. Inoltre, la ricerca sui testi digitalizzati non tiene conto di forme espressive diverse dal libro, che, a partire specialmente dal 20° secolo, hanno acquisito un’importanza crescente.
Il ‘debito’ di Google
Una delle principali innovazioni introdotte da Google è stata quella di un algoritmo chiamato PageRank, che assegna un peso numerico a ogni elemento di un insieme di documenti collegati tra loro. Il motore di ricerca messo a punto da Google si basa su questo algoritmo, che ha sfruttato una serie di studi, applicandoli alle ricerche su Internet e sul World Wide Web. Un ruolo importante è stato svolto, in questo senso, dall’analisi delle citazioni, uno strumento fondamentale della ‘bibliometrica’ (disciplina utilizzata per stabilire l’impatto di un autore o di un particolare lavoro nel relativo campo di studi), che consente di quantificare attraverso la frequenza di citazioni di articoli e libri il loro peso relativo all’interno dei rispettivi ambiti di ricerca.