Il matrimonio tra persone di orientamento omosessuale
L’esigenza, nata da una realtà sociale non conchiusa nei confini territoriali nazionali, di dare alle unioni omosessuali una formale regolamentazione giuridica ha, di recente, interrogato la giurisdizione ed è, infine, approdata al vaglio della Corte costituzionale. Con la sentenza 15.4.2010, n. 138 (confermata da due successive ordinanze, l’ultima delle quali nel gennaio 2011), oggetto di numerosi commenti, a volte con accenti particolarmente critici, il Giudice delle leggi ha riconosciuto il diritto fondamentale delle persone dello stesso sesso di vivere liberamente una condizione di coppia, ma ha negato che la disciplina generale di siffatto diritto debba coincidere con l’istituto matrimoniale di cui all’art. 29 Cost., nel significato ad esso attribuito dall’Assemblea costituente, sussistendo al riguardo ampia discrezionalità del legislatore. Nel suo impianto di massima, la decisione della Corte costituzionale ha, poi, trovato sostanziale conferma nella sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo del 24 giugno 2010, Schalk e Kopf c. Austria.
Il tema del matrimonio omosessuale, coinvolgendo il piano dei diritti fondamentali della persona nelle sue plurime declinazioni 1, è uno di quelli che si usa definire sensibili, giacché capaci di alimentare un dibattito non circoscritto al livello giuridico, ma esteso a molteplici settori della società civile – da quello culturale a quello sociale e, infine, a quello politico – così da impegnare non soltanto le intelligenze, ma, in modo particolare, le coscienze di molti, sia nella dimensione collettiva, che individuale. Un tema la cui urgenza e crucialità è testimoniata, del resto, dal suo proporsi e radicarsi in un ambito non soltanto nazionale, ma globale, ogniqualvolta finendo per interrogare il livello politico di governo e attendendosi da esso una risposta in termini di regolamentazione. In Italia, l’irresolutezza da parte del mondo politico nel fornire, in tempi sufficientemente rapidi, una risposta alle plurime istanze che invocavano una disciplina del fenomeno, ha fatto sì che di tale aspettativa fosse investita la dimensione giurisdizionale, chiamata a pronunciarsi ad ogni livello, sino a quello più elevato e dirimente della giurisdizione di garanzia costituzionale.
1.1 Le questioni di costituzionalità sul matrimonio omosessuale
Con la sentenza 15.4.2010, n. 138, seguita da due ordinanze (l’ultima delle quali nel gennaio di quest’anno2 che ne hanno ribadito l’impianto decisorio e motivazionale, la Corte costituzionale ha affrontato e deciso la questione di legittimità costituzionale concernente l’esclusione delle coppie omosessuali dall’accesso all’istituto matrimoniale, così come disciplinato dall’ordinamento italiano. In ciascuna occasione, l’incidente di costituzionalità è originato dal diniego di pubblicazioni matrimoniali opposto da ufficiali dello stato civile a coppie di cittadini del medesimo sesso; diniego motivato in ragione dell’indefettibilità del requisito della necessaria diversità di sesso tra i coniugi che connoterebbe il matrimonio disciplinato dal codice civile. Muo vendo proprio da tale premessa, fatta assurgere a diritto vivente, nonostante l’affermata carenza, in seno al diritto positivo, di un espresso divieto di matrimonio tra persone dello stesso sesso, i giudici rimettenti3, investendo del dubbio di costituzionalità il combinato disposto di una pletora di norme del codice civile4 – «nella parte in cui, sistematicamente interpretati, non consentono che le persone di orientamento omosessuale possano contrarre matrimonio con persone dello stesso sesso» – hanno ordito una serie di profili di censura, evocando a parametro gli artt. 2, 3, 29 e 117, co. 1, Cost. In sintesi, il contrasto con l’art. 2 Cost. sarebbe stato determinato dal vulnus al diritto fondamentale a sposarsi e formare una famiglia, mentre l’art. 29 Cost. sarebbe stato leso in ragione del fatto che la garanzia costituzionale riconosciuta alla famiglia legittima andava estesa anche alle coppie omosessuali; ed ancora, era da ravvisare una violazione dell’art. 3 Cost. in quanto si avrebbe un trattamento discriminatorio nei confronti delle coppie anzidette, là dove, infine, la lesione della art. 117, co. 1, Cost. sarebbe consistita nel mancato adeguamento dell’ordinamento italiano sia a quello comunitario (artt. 7, 9 e 21, della Carta di Nizza), che alla CEDU (artt. 8, 12 e 14), quali sistemi che non conoscerebbero limitazioni di sesso in relazione al diritto di sposarsi e formare un nucleo familiare.
La risposta della Corte è articolata e ciò si riflette non solo sul piano argomentativo, ma anche sul dispositivo, il quale presenta, difatti, sia una statuizione di inammissibilità (quanto ai parametri di cui agli artt. 2 e 117, co. 1, Cost.), che di non fondatezza (in riferimento agli artt. 3 e 29 Cost.). Il Giudice delle leggi riconosce, anzitutto, l’esattezza del presupposto interpretativo da cui muovono le ordinanze di rimessione e cioè che il matrimonio civile, così come configurato nell’ordinamento vigente, riguarda unicamente l’«unione stabile tra uomo e una donna», quale paradigma di «una consolidata ed ultramillenaria nozione di matrimonio», di cui sono espressione non soltanto le disposizioni, denunciate, che disciplinano direttamente l’istituto matrimoniale, ma anche ulteriori norme, come quelle relative alla filiazione legittima ovvero ai casi di scioglimento del matrimonio (l. 1.12.1970, n. 898). In base a siffatta premessa prende forma, dunque, lo scrutinio della Corte, la cui delibazione si incentra, inizialmente, sulla censura che prospetta la violazione dell’art. 2 Cost. A tal riguardo, si ritiene che la nozione di formazione sociale – nel cui ambito sono riconosciuti e garantiti i diritti inviolabili dell’uomo – sia inclusiva di «ogni forma di comunità, semplice o complessa, idonea a consentire e favorire il libero sviluppo della persona nella vita di relazione, nel contesto di una valorizzazione del modello pluralistico». Sicché, in tale cornice si inscrive anche l’unione omosessuale, da ritenersi come «stabile convivenza tra due persone dello stesso sesso, cui spetta il diritto fondamentale di vivere liberamente una condizione di coppia, ottenendone – nei tempi, nei modi e nei limiti stabiliti dalla legge – il riconoscimento giuridico con i connessi diritti e doveri». L’inclusione dell’unione omosessuale nel novero dei diritti fondamentali comporta che essa debba «necessariamente » essere regolata con una disciplina di «carattere generale », la quale tuttavia non deve rinvenire nell’istituto matrimoniale il proprio unico ed esclusivo modello di riferimento. Nell’escludere, quindi, che il riconoscimento giuridico dell’unione tra persone dello stesso sesso «possa essere realizzata soltanto attraverso una equiparazione … al matrimonio», la Corte afferma che «spetta al Parlamento, nell’esercizio della sua piena discrezionalità, individuare le forme di garanzia di riconoscimento per le unioni suddette», riservandosi però, nell’ambito del controllo di ragionevolezza, quegli interventi specifici di tutela che si imponessero ove «è riscontrabile la necessità di un trattamento omogeneo tra la condizione della coppia coniugata e quella della coppia omosessuale». Di qui, dunque, la declaratoria di inammissibilità della questione sollevata in riferimento all’art. 2 Cost. Del pari, viene dichiarata inammissibile la questione di costituzionalità che evoca a parametro l’art. 117, co. 1, Cost. Anche sotto tale profilo la Corte, all’esito di una disamina delle fonti internazionali, e della giurisprudenza, richiamate dai giudici a quibus, reputa che la materia appartenga alla discrezionalità del legislatore. Viene negata, anzitutto, la pertinenza del riferimento alla sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo dell’11.7.2002 (Goodwin c. Regno Unito), la quale, nel tutelare la posizione di un transessuale (cui, pur avendo egli assunto i caratteri femminili, il diritto inglese aveva impedito il matrimonio con un uomo), si riferiva, dunque, ad una fattispecie disomogenea rispetto a quella della coppia omosessuale, così come, nel quadro ordinamentale italiano, poteva evincersi dalla specifica regolamentazione recata dalla l. 14.4.1982, n. 164. La Corte provvede, poi, a selezionare, in base al criterio di specialità, le norme internazionali immediatamente rilevanti ai fini dello scrutinio di costituzionalità, individuandole nell’art. 12 CEDU5 e nell’art. 9 della Carta di Nizza6 (recepita dal Trattato di Lisbona, modificativo del Trattato sull’Unione europea, entrato in vigore l’1.12.2009), prevedendo essi il diritto di sposarsi e di formare una famiglia. Dette norme – si rileva ancora nella sentenza n. 138 del 2010 – non impongono «la piena equiparazione alle unioni omosessuali delle regole previste per le unioni matrimoniali tra uomo e donna», rinviando alle leggi nazionali per la relativa disciplina, trovando ciò conferma anche nelle spiegazioni all’art. 9 della Carta di Nizza, in cui si evidenzia che il citato articolo «non vieta né impone la concessione dello status matrimoniale a unioni tra persone dello stesso sesso». Ulteriore conferma della rilevata discrezionalità legislativa viene rinvenuta nella pletora di soluzioni adottate dagli ordinamenti stranieri, nei quali si registra, talvolta, «una vera e propria estensione alle unioni omosessuali della disciplina prevista per il matrimonio civile oppure, più frequentemente, forme di tutela molto differenziata e che vanno, dalla tendenziale assimilabilità al matrimonio delle dette unioni, fino alla chiara distinzione, sul piano degli effetti, rispetto allo stesso». La statuizione di non fondatezza riguarda, invece, le censure che fanno leva sulla dedotta violazione degli artt. 3 e 29 Cost. Lo scrutinio della Corte si snoda, nella sua articolazione logica, tramite il preliminare esame del profilo relativo al prospettato vulnus all’art. 29, quale norma (da sempre capace di suscitare «un vivace confronto dottrinale») che pone «il matrimonio fondamento della famiglia legittima, definita società naturale»7. In primo luogo, si esclude che famiglia e matrimonio siano concetti «cristallizzati» al momento di entrata in vigore della Costituzione stessa, giacché essi «sono dotati della duttilità propria dei principi costituzionali e, quindi, vanno interpretati tenendo conto non soltanto delle trasformazioni dell’ordinamento, ma anche dell’evoluzione della società e dei costumi». Al tempo stesso, si afferma, però, che l’esegesi «non può spingersi fino al punto di incidere sul nucleo della norma, modificandolo in modo tale da includere in essa fenomeni e problematiche non considerate in alcun modo quando fu emanata». In siffatta prospettiva metodologica, il Giudice delle leggi afferma che il precetto costituzionale espresso dall’art. 29 si riferisce unicamente al matrimonio tra persone di sesso diverso e ciò in quanto gli stessi costituenti non ebbero modo alcuno di considerare le unioni omosessuali, avendo il riferimento esclusivo dell’istituto disciplinato dal codice civile del 1942, tradizionalmente configurato la sua dimensione eterosessuale. A tali conclusioni induce anche il secondo comma dello stesso art. 29 Cost., essendo da riferirsi alla (allora squilibrata) posizione della donna il principio dell’uguaglianza morale giuridica; così come ulteriore conforto proviene dalla affermazione relativa alla tutela dei figli (art. 30 Cost.), con la doverosa equiparazione dei figli naturali a quelli legittimi, che però «nulla toglie rilievo costituzionale attribuito alla famiglia legittima ed alla (potenziale) finalità procreativa del matrimonio che vale a differenziare dall’unione omosessuale». Ne consegue, pertanto, che una diversa lettura della norma fondamentale invocata a parametro comporterebbe non già l’abbandono di una «mera prassi interpretativa», bensì l’assunzione di una «interpretazione creativa», che la Corte, evidentemente, reputa non ammissibile. Posto, dunque, che l’art. 29 Cost. si riferisce esclusivamente al matrimonio eterosessuale, cade anche la prospettata censura di violazione dell’art. 3 Cost., non potendo predicarsi l’irragionevole discriminazione in danno delle unioni omosessuali in ragione del fatto che esse «non possono essere ritenute omogenee al matrimonio». La Corte, poi, esclude che possa reputarsi conferente tertium comparationis l’evocazione della legge in materia di rettificazione di attribuzione di sesso (la già citata l. n. 164 del 1982), regolando essa, come già accennato, una condizione – quella del transessuale – «del tutto differente da quella omosessuale », laddove soltanto nel primo caso «l’esigenza fondamentale da soddisfare e quella di far coincidere il soma con la psiche», con la conseguenza, una volta realizzatosi tale effetto tramite l’indispensabile intervento chirurgico e la successiva rettificazione anagrafica, che il diritto di sposarsi riconosciuto a coloro che hanno mutato sesso «costituisce semmai un argomento per confermare il carattere eterosessuale del matrimonio, quale previsto nel vigente ordinamento ».
Com’era agevolmente prevedibile in ragione della peculiare rilevanza del tema, la sentenza della Corte8 è stata oggetto di un numero assai nutrito di commenti9, i quali evidenziano una ampia gamma di valutazioni, secondo toni più o meno accesi10, di tenore diversificato. Si registra, infatti, uno spettro variegato di opinioni, che, in un’opera di sezionamento dell’impianto complessivo, dà contezza dei molteplici profili della decisione su cui si è specificamente indagato. Sul piano più generale, particolare interesse suscita, anzitutto, la posizione di quella dottrina11 che intende superare le contraddizioni, da altri palesate, in ordine sia alla duplicità di dispositivi per la soluzione della medesima questione (di inammissibilità e di non fondatezza)12, sia al fatto che, a seconda del parametro scrutinato (rispettivamente, art. 2 ed art. 3 Cost.), la Corte evidenzi l’esistenza, o meno, di un vuoto normativo da colmare in ordine all’estensione alle unioni omosessuali della disciplina del matrimonio civile. Si ritiene, infatti, trattarsi di contraddizioni apparenti, giacché la sentenza n. 138 affronterebbe e deciderebbe non una, ma due questioni, una delle quali «creata dalla stessa Corte»13 e cioè quella concernente «la compatibilità con la Costituzione (sub art. 2) della mancanza di una disciplina che regoli e tuteli la coppia omosessuale, riconoscendo alla stessa la possibilità di realizzare una vita familiare».
3.1 Il dibattito sulla decisione attinente al parametro dell’art. 2 Cost. 1.2.2
In ordine alla risposta della Corte sulla questione che evocava il contrasto con l’art. 2 Cost., particolare apprezzamento proviene da chi pone in rilievo che il riconoscimento giuridico dell’unione omosessuale, in quanto coppia con i connessi diritti e doveri, determina «il superamento di ogni concezione volta consumare la vocazione liberale del sistema giuridico italiano nel mero rispetto della vita privata»14. Si viene, pertanto, a determinare una copertura costituzionale della condizione di coppia che esalta l’aspetto comunitario della stessa, in quanto formazione sociale, così da escludere che si tratti unicamente di diritti individuali15. L’affermazione del diritto fondamentale al riconoscimento giuridico in forma organica delle unioni omosessuali è, dunque, netto, tanto da potersi reputare16 che la sentenza n. 138 del 2010 si inscriva «nel processo di costruzione giuridica del genere» – inteso, quest’ultimo, come «l’insieme che definisce i ruoli sociali, la posizione, le opportunità, le aspettative socialmente associate e connesse all’appartenenza all’uno o all’altro sesso» – mettendo in discussione il paradigma eterosessuale e dunque «l’aspettativa sociale di dualismo di complementarietà tra maschile e femminile». Diametralmente opposta, invece, è la posizione di chi assume come «equivoco e fuorviante» il riconoscimento giuridico della condizione di coppia delle unioni omosessuali, in quanto «diritto dalla natura giuridica non dichiarata ed alla collocazione costituzionale incerta … ; in definitiva, un diritto dalla valenza più evocativa che propriamente prescrittiva »17. Nella stessa scia si pone, sostanzialmente, chi reputa che le affermazioni della Corte debbano essere lette a tutela delle posizioni individuali di ciascun componente della coppia same sex e non già a salvaguardia della sua dimensione di formazione sociale, venendo altrimenti dimidiata la garanzia costituzionale della famiglia legittima, connotata dal requisito della «eterosessualità», e non potendosi concepire, comunque, una regolamentazione ulteriore rispetto a quelle del matrimonio e della convivenza more uxorio18. Anche la scelta della Corte di addivenire ad una pronuncia d’inammissibilità per discrezionalità legislativa è stata variamente commentata. Vi è chi19 ha ritenuto condivisibile una siffatta scelta, sia sul piano più generale del rapporto tra giurisdizione politica, sia su quello dell’interpretazione del diritto positivo, con la precisazione, però, che il self restraint rispetto alle attribuzioni del Parlamento si rende conciliabile con gli orientamenti della stessa giurisprudenza costituzionale, segnatamente in tema di convivenze more uxorio, soltanto ove si adduca una insuperabile differenza tra famiglia legittima, famiglia di fatto e unione omosessuale, sicché «il vacuum normativo sussistente proposito di quest’ultima non sia surrogabile attingendo agli istituti che già disciplinano la famiglia legittima»; diversamente, «le argomentazioni addotte dalla Consulta degraderebbero dalla dimensione giuridica a quella metagiuridica». In parte critica è, poi, la posizione di chi20 rileva l’assenza di un monito pressante al legislatore per indurlo sollecitamente alla necessaria regolamentazione generale del diritto fondamentale alla vita di coppia tra persone lo stesso sesso, il quale diritto, una volta riconosciuto, «impone» una legislazione che renda concrete «le condizioni di una vita familiare », non potendo esso rimanere inattuato21. Peraltro, rispetto alla lettura di chi22 ravvisa la riserva di discrezionalità legislativa estesa anche ai «tempi» dell’intervento disciplinatorio, tale da rendere ineffettiva la garanzia costituzionale in quanto lasciata nella disponibilità della maggioranza parlamentare, si contrappone quella per cui il richiamo ai «tempi» riguarderebbe non già il doveroso, e sollecito, intervento legislativo, bensì la possibilità di modulare i tempi per l’effettivo riconoscimento del diritto23, tramite la fissazione di una durata minima della convivenza24, ovvero come riferimento espressivo soltanto di una «estensione progressiva» della regolamentazione, caratterizzata dall’essere generale, organica e complessiva25. Sotto altro profilo, si è ritenuto che la Corte abbia ecceduto nel segnare i limiti dell’intervento legislativo, precludendo «la possibilità di dare attuazione all’affermato diritto fondamentale delle coppie omosessuali attraverso la possibilità di unirsi in matrimonio»26, per giungere al quale necessiterebbe l’attivazione della procedura di revisione costituzionale. In un’ottica diversa si colloca, invece, chi27 sostiene che gli argomenti utilizzati dalla Corte vengano a fondare i «limiti dell’interpretazione e non possono essere convertiti in limiti della legislazione», così da impedire alla giurisdizione di pervenire ad una disciplina di carattere generale per via ermeneutica, ma lasciando libero il legislatore di porre una regolamentazione che giunga sino al riconoscimento «dell’accesso al matrimonio da parte di coppie same sex». Peraltro, non si nega che, nella latitanza di un intervento del legislatore, possa provvedere la giurisprudenza comune, sia in base a un’applicazione diretta della Costituzione, sia tramite il ricorso all’interpretazione conforme, a dettare regole specifiche per fattispecie concrete, senza, quindi, invadere il campo legislativo al quale è riservata la posizione di una disciplina generale del fenomeno28. A conforto di siffatta prospettiva si richiama l’affermazione della stessa Corte sul fatto che essa, nel quadro delle sue peculiari attribuzioni costituzionali, ben potrebbe essere chiamata ad operare un controllo di ragionevolezza su ipotesi particolari per le quali verrebbe in rilievo un trattamento discriminatorio tra coppie coniugate e quelle omosessuali.
3.2 Le opinioni sul sindacato involgente gli artt. 3 e 29 Cost.
Quanto, poi, al corredo argomentativo che supporta la decisione sui profili di censura che evocano la lesione del combinato disposto degli artt. 3 e 29 Cost., si registra la convergenza di più voci critiche in ordine alla «pietrificazione»29 dell’art. 29, co. 1, Cost., ritenendosi contraddittorio affermare, da un lato, la «duttilità» dei concetti di famiglia in matrimonio e, dall’altro, attribuire alla disposizione costituzionale il significato «che le era proprio al momento della scrittura». Si tratta del cd. «approccio originalista», valorizzante l’original intent del Costituente, che taluno giustifica per la sua stretta connessione con la necessità, anch’essa dichiarata, di «prevenire interpretazioni creative » da parte della giurisprudenza30. Tuttavia, l’operazione ermeneutica è, dalla maggior parte dei commentatori, posta in discussione per l’eccessivo irrigidimento del significato testuale, sconfinante quasi in un «formalismo interpretativo» reso ancor più impermeabile dal ruolo privilegiato che la Corte assegna alle fonti subcostituzionali e, segnatamente, alla tradizione, così da rendere immodificabile l’esito dell’esegesi che conduce all’affermazione della eterosessualità come «consustanziale alla parola matrimonio»31. Di tenore ben diverso – è stato osservato al riguardo32 – si presenta lo sforzo esegetico esibito dalla coeva pronuncia del Tribunale costituzionale portoghese (n. 121 dell’8.4.2010), il quale, pur rilevando che il matrimonio postulato dalla Costituzione fosse quello tra persone di sesso diverso, ha escluso che ciò imponesse al legislatore «l’onere di mantenere la necessaria connessione tra il diritto e la realtà sociale», essendo quello di matrimonio un «concetto aperto», capace di ammettere «non solo diverse conformazioni da parte del legislatore, ma anche diverse concezioni politiche, etiche o sociali, essendo affidato al legislatore ordinario il compito di cogliere e di trasfondere nell’ordinamento giuridico, in ogni momento storico, ciò che, in quel determinato momento, corrisponde alla concezione dominante»33. Sotto altro profilo, si riconosce, da una parte della dottrina34, che la «formazione sociale costituita dalla cosiddetta società naturale, ex art. 29 Cost.» si differenzi dalle altre formazioni sociali per il connotato, naturalistico, della diversità di sesso dei nubendi, «nonché dalla loro astratta idoneità a generare figli», con ciò trovando, per l’appunto, giustificazione la diversità di trattamento rispetto alle, disomogenee, coppie omosessuali. In un’ottica non dissimile, sebbene con tratti peculiari, si colloca la tesi35 per cui la società naturale che contraddistingue la coppia formante la famiglia non può essere integrata da «coppie di individui troppo somiglianti, che si trovano in situazioni di dipendenza economica, affettiva, ed emotiva». Vi sarebbe, infatti, un deficit di autonomia tale da non potersi più riconoscere in quella «alleanza di individui» un ruolo così rilevante e singolare nell’architettura costituzionale, mentre la rilevanza sociale e di rango costituzionale non potrebbe essere disconosciuto alla «alleanza di individui diversi, tanto diversi, quanto l’individuo maschio lo è dall’individuo femmina». In posizione critica, invece, è chi36 opera un depotenziamento della valenza prescrittiva e assiologica dell’elemento naturalistico, quale individualizzante il ruolo costituzionale della famiglia eterosessuale; così, per un verso, si sostiene che la capacità procreativa, effettiva e non potenziale, «appartiene biologicamente anche alla coppia omossessuale» e, per altro verso, che detta capacità, invero, «non integra alcuna condizione di validità del matrimonio e qualsiasi richiamo ad essa è giuridicamente inconferente». Ulteriore spunto di riflessione è originato dalle affermazioni della Corte sulla omogeneizzazione del trattamento della coppia omosessuale alle convivenze more uxorio, secondo un percorso giurisprudenziale già segnato in precedenza per le seconde. A tal riguardo, si distingue l’opinione di chi37, valorizzando la potenzialità procreativa insita soltanto nelle coppie eterosessuali, critica l’accostamento tra convivenze more uxorio e unioni omosessuali, risultando soltanto per le prime giustificato il favor di un trattamento omogeneizzante, per specifici aspetti, alle coppie coniugate. Diversamente opinando, si ritiene che la situazione1.2.2 delle coppie omosessuali meriti maggiore considerazione rispetto alla convivenza di mero fatto, giacché soltanto alle prime è inibito dalla legge il diritto di sposarsi38. Tent a di mediare gli opposti, invece, chi39 reputa che lo specifico tema sia stato «eccessivamente enfatizzato», ravvisandovi soltanto il paradigma esemplificativo della giurisprudenza costituzionale che ha già avuto modo di «raffrontare il trattamento normativo delle coppie di fatto more uxorio alle coppie sposate, in una situazione indubbiamente simile a quelle delle coppie omosessuali (a seguito del riconoscimento le stesse del diritto fondamentale alla vita familiare), nel senso della mancanza di una disciplina generale ed organica sui diritti e doveri della coppia»; ciò senza disconoscere, ove presenti, le rispettive singolarità che possono fondare trattamenti differenziati. A c centi critici non sono mancati, poi, in riferimento allo scrutinio della Corte sul profilo di censura che fondava la discriminazione in danno delle unioni omosessuali chiamando a raffronto il tertium comparationis costituito dalla legge n. 164 del 1982, sulla rettificazione degli atti di stato civile per i transessuali, addebitandosi al Giudice delle leggi un «atteggiamento formalistico», nonché «elusivo del reale significato che i giudici a quibus avevano inteso dare al riferimento alla legge sui transessuali ed alla relativa giurisprudenza costituzionale»40. I n definitiva, si è rilevato che il richiamo alla legge n. 164 poneva l’interrogativo – cui è mancata una pertinente risposta – sul se le coppie transessuali, connotate da una formale differenza di sesso, potessero reputarsi «omogenee al matrimonio» previsto dall’art. 29 Cost., come scritto dai Costituenti, alla stregua della ricognizione interpretativa fornita dalla stessa Corte costituzionale.
3.3 L’esame della decisione sulla questione relativa all’art. 117 Cost.
In fine, sulla denuncia di violazione dell’art. 117, co. 1, Cost., per asserito contrasto con gli obblighi internazionali nascenti dalla CEDU e da quelli comunitari derivanti dalla Carta dei diritti fondamentali recepita nel Trattato di Lisbona, si registra una certa consonanza di vedute sulla correttezza, quantomeno formale, dell’esito della delibazione della Corte. L a dichiarata inammissibilità della proposta questione per discrezionalità legislativa trova, in effetti, giustificazione nel fatto che le fonti internazionali di riferimento lasciano liberi gli Stati di prevedere, o meno, l’istituto matrimoniale per le coppie omosessuali41. Tuttavia, vi è chi ha osservato che, nella sentenza n. 138 del 2010, l’irrigidimento della nozione di matrimonio escluderebbe «che il legislatore disponga di una discrezionalità realmente piena», nel senso che, mentre le Carte internazionali «non impongono né vietano al matrimonio tra persone dello stesso sesso, la Costituzione riserva il nome matrimonio alle unioni legittime tra persone di sesso diverso». Di qui, la configurazione in guisa di «controlimite» della necessaria eterosessualità del matrimonio, di cui all’art. 29 Cost., rispetto ad una evoluzione del diritto sovranazionale che giungesse a riconoscere come cogente il matrimonio tra omosessuali42.
3.4 La coeva sentenza della Corte di Strasburgo sul caso Schalk e Kopf c. Austria
I più recenti approdi della giurisprudenza sovranazionale escludono, tuttavia, che, allo stato, una evoluzione di tal fatta possa dirsi compiuta, fornendo sostanziale conferma alla soluzione adottata dalla Corte costituzionale. Di poco successiva alla sentenza n. 138 del 2010 è, difatti, la sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo del 24.6.2010 – Schalk e Kopf c. Austria –, che ha escluso che l’art. 12 CEDU, sul diritto al matrimonio, possa, a tutt’oggi, essere interpretato come riferibile anche alle coppie omosessuali, mentre queste possono essere riconosciute titolari di un diritto alla vita familiare, siccome garantito e protetto dall’art. 8 della stessa Convenzione43. Il caso deciso dalla Corte di Strasburgo ha riguardato una coppia di cittadini austriaci dello stesso sesso che chiedevano di vedersi riconosciuto il diritto di sposarsi e di fondare una famiglia, di cui al citato art. 12 CEDU; diritto che la Corte costituzionale austriaca (con sentenza del 12.12.2003) aveva negato come esistente nel rispettivo ordinamento, risultando non giustificabile un’estensione della nozione di matrimonio anche alle coppie omosessuali. La CEDU, da un lato, ha ribadito la sua precedente interpretazione dell’art. 12, secondo la quale esso si riferisce solo all’unione tra persone di sesso diverso; dall’altro, ha constatato il crescente consenso che, negli Stati membri, si muove verso il riconoscimento giuridico delle coppie omosessuali, non sol22 tanto in ragione della previsione di istituti formali in tal senso, ma anche «per la crescente tendenza ad includere le coppie dello stesso sesso nel concetto di famiglia nell’interpretazione degli strumenti giuridici dell’Unione europea44. Nel rilevare, però, che il matrimonio tra persone dello stesso sesso non è istituto contemplato nella maggioranza degli Stati e che a questi ultimi spettano eventuali interventi legislativi al riguardo, la Corte di Strasburgo ha confermato che il matrimonio omosessuale non rientra, as matter stand, nella tutela della Convenzione, rimanendo invece nella disponibilità degli Stati nazionali. Una svolta giurisprudenziale si registra, invece, quanto all’interpretazione del combinato disposto degli artt. 8 e 14 CEDU, giacché, sviluppando l’orientamento espresso con la sentenza del 24.7.2003 – Karner c. Austria, il Giudice della Convenzione riconosce che non soltanto la nozione di vita privata, ma anche quella di vita familiare può estendersi alla convivenza di una coppia omosessuale. Segnatamente, come si legge nella sentenza Schalk, è da reputarsi «artificioso mantenere l’opinione secondo cui, a differenza della coppia eterosessuale, una coppia di partner dello stesso sesso non potrebbe godere di un diritto alla vita familiare ai sensi dell’art. 8. Di conseguenza, il rapporto tra i ricorrenti, due conviventi omosessuali, uniti stabilmente alla stregua di una coppia di fatto, rientra nella nozione di vita familiare, così come sarebbe se si trattasse di una coppia di persone di sesso opposto che si trovassero nella stessa situazione». Ne consegue che gli Stati non perdono quel margine di discrezionalità in ordine allo status da attribuire alle unioni di fatto tra omosessuali con strumenti alternativi al riconoscimento giuridico, sebbene il diritto delle coppie anzidette a formare una famiglia debba essere garantito in base alla legislazione nazionale. Di qui, la conclusione che l’Austria, avendo introdotto nel 2010 il Registered Partnership Act, sulla registrazione delle unioni di fatto, non ha violato il combinato disposto dei parametri di cui agli artt. 8 e 14 CEDU. Si è, quindi, rilevato45 che il ruolo futuro della Corte di Strasburgo sarà segnato in modo particolare dall’evoluzione delle legislazioni europee (e dalla stessa adesione dell’Unione europea alla CEDU), che potrebbe portare a riconfigurare la stessa nozione di matrimonio contenuta nella Convenzione. In definitiva, la partita si giocherebbe essenzialmente in base alla cd. «dottrina del consenso», la quale viene ad assurgere ad elemento condizionante, per taluni in senso positivo, per altri meno, sulle decisioni della Corte europea dei diritti dell’uomo46.
1 Dal principio di non discriminazione alla tutela delle minoranze, dalla valutazione della personalità omosessuale nel nostro ordinamento costituzionale alla nozione di famiglia e di matrimonio; in tal senso, si veda Romboli, Il diritto «consentito» al matrimonio ed il diritto «garantito » alla vita familiare per le coppie omosessuali in una pronuncia in cui la Corte dice «troppo» e «troppo poco», in Giur. cost., 2010, 1629 ss.
2 Si tratta dell’ordinanza 5.1.2011, n. 4; in precedenza, la Corte si era pronunciata con l’ordinanza 22.7.2010, n. 276.
3 Il riferimento puntuale è al Tribunale di Venezia e alla Corte d’appello di Trento, quali giudici a quibus del giudizio di costituzionalità definito con la sentenza n. 138 del 2010, ma dello stesso tenore sono le censure che hanno prospettato i rimettenti delle questioni decise con le successive ordinanze n. 276 del 2010 e n. 4 del 2011.
4 Segnatamente, gli artt. 93, 96, 98,107,143, 143 bis e 156 bis c.c.
5 Il quale stabilisce: «Uomini e donne in età maritale hanno diritto di sposarsi e di formare una famiglia secondo le leggi nazionali regolanti l’esercizio di tale diritto».
6 La disposizione recita: «Il diritto di sposarsi e il diritto di costituire una famiglia sono garantiti secondo le leggi nazionali che ne disciplinano l’esercizio».
7 Con l’espressione società naturale la Corte costituzionale rammenta che l’Assemblea costituente intese riconoscere alla famiglia «diritti originari preesistenti allo Stato».
8 Oggetto di commento sono state anche le successive ordinanze n. 276 del 2010 e n. 4 del 2011. Per la prima si veda Riviezzo, Sulle unioni omosessuali la corte ribadisce: «questo» matrimonio non s’ha da fare (se non lo vuole il Parlamento), in Fam. dir., 2011, 20 ss.; quanto alla seconda, cfr. Cosco, Le unioni omosessuali e l’orientamento della Corte costituzionale, in Giust. civ., 2011, I, 845 ss.
9 Per una ricognizione ragionata delle posizioni in campo, cfr. Romboli, La sentenza 138/2010 della Corte costituzionale sul matrimonio tra omosessuali e le sue interpretazioni, in www.associazionedeicostituzionalisti.it.
10 Si oscilla, ad es., tra il ritenere che la decisione n. 138 sia storica o comunque in grado di durare nel tempo (Dal Canto, Le coppie omosessuali davanti alla Corte costituzionale: dalla «spiegazione» al matrimonio al «diritto» alla convivenza, in Scritti in onore di Franco Modugno, I, Napoli, 2011, 1195 ss.; Bianchi, La Corte chiude le porte al matrimonio tra persone dello stesso sesso, in Giur. it., 2011, 537 ss.) ed il manifestare una sostanziale delusione per la risposta fornita dalla Corte, eccessivamente timida, se non proprio contraria un’effettiva tutela dei diritti fondamentali (Chiassoni, La grande elusione. Tecnica e cultura nella giurisprudenza sul matrimonio omosessuale, in Scritti in onore di Franco Modugno, I, Napoli, 2011, 863 ss.).
11 Romboli, La sentenza 138/2010, cit.
12 Capotosti, Matrimonio tra persone dello stesso sesso: infondatezza versus l’inammissibilità nella sentenza n. 138 del 2010, in Quad. cost., 2010, 361 ss.
13 In parte convergente la posizione di Pinardi, La Corte, il matrimonio omosessuale e di fascino (eterno?) della tradizione, in Nuova giur. civ. comm., 2010, I, 527 ss..2.2
14 Gattuso, La Corte costituzionale sul matrimonio tra persone dello stesso sesso, in Fam. dir., 2010, 656 ss.
15 Colaianni, Matrimonio omosessuale e Costituzione, in Corr. giur., 2010, 845 ss.
16 Pezzini, Il matrimonio same sex si potrà fare. La qualificazione della discrezionalità del legislatore nella sent. n. 138 del 2010 della Corte costituzionale, in Giur. cost., 2010, 2715 ss.
17 Tondi della Mura, Le coppie omosessuali fra il vincolo (elastico?) delle parole e l’artificio della «libertà», in www.federalismi.it, n. 17/2010.
18 Capotosti, Matrimonio tra persone dello stesso sesso, cit.; Spinelli, Il matrimonio non è un’opinione, in www.forumcostituzionale.it (27.4.2010).
19 Riviezzo, Sulle unioni omosessuali, cit.
20 Romboli, Il diritto «consentito», cit.; Cherchi, La prescrittività tra testo costituzionale e legge: osservazioni a margine della sentenza 138 del 2010 sul matrimonio omosessuale, in www.costituzionalismo.it (16.11.2010).
21 In tal senso anche Silvis, Il matrimonio omosessuale fra il «non s’ha da fare» dell’art. 29 ed il «si può fare» dell’art. 2 della Costituzione, in www.forumcostituzionale. it; nonché Croce, Diritti fondamentali programmatici, limiti all’interpretazione evolutiva e finalità procreativa del matrimonio; dalla Corte un preciso stop al matrimonio omosessuale, in www.forumcostituzionale.it (23.4.2010).
22 Silvis, Il matrimonio omosessuale, cit.; Croce, Diritti fondamentali programmatici, cit.
23 Calzaretti, Coppie di persone dello stesso sesso: quali prospettive?, in www.forumcostituzionale.it.
24 Colaianni, Matrimonio omosessuale e Costituzione, cit.
25 Pinardi, La Corte, il matrimonio omosessuale e di fascino (eterno?) della tradizione, cit.
26 Romboli, Il diritto «consentito», cit.
27 Pezzini, Il matrimonio same sex, cit.
28 Romboli, La sentenza 138/2010, cit.; Massa Pinto Tripodina, Sul come per la Corte costituzionale «le unioni omosessuali non possono essere ritenute omogenee al matrimonio ». Ovvero tecniche argomentative impiegate per motivare la sentenza 138/2010, in Arch. dir. e storia cost., in www.dircost.unito.it, 2010.
29Cherchi, La prescrittività tra testo costituzionale e legge, cit.
30 Gattuso, La Corte costituzionale sul matrimonio tra persone dello stesso sesso, cit.
31 Cherchi, La prescrittività tra testo costituzionale e legge, cit.; per una critica dell’approccio «originalista », in luogo di quello «finalistico evolutivo», si veda anche Melani, Il matrimonio omosessuale dopo la pronuncia della Corte costituzionale: la questione resta aperta, in www.forumcostituzionale. it; Chiassoni, La grande elusione, cit.; Bianchi, Le trappole dell’originalismo, in Scritti in onore di Franco Modugno, cit., I, 281 ss.
32 Romboli, Per la Corte costituzionale le coppie omosessuali sono formazioni sociali, ma non possono accedere al matrimonio, in Foro it., 2010, I, 1366 ss.
33 Sul punto Passaglia, Matrimonio ed unioni omosessuali in Europa: una panoramica, in Foro it., 2010, IV, 272 ss. Va, peraltro, evidenziato che la sentenza del Tribunale costituzionale portoghese è intervenuta, diversamente da quella della Corte costituzionale italiana, sulla legge del Parlamento che aveva introdotto e disciplinato l’istituto matrimoniale tra persone di diverso sesso. Deve, inoltre, rammentarsi che, in Francia, il Conseil Constitutionnel, con sentenza del 28.1.2011, ha dichiarato non fondata la questione di costituzionalità analoga a quella sollevata dinanzi alla nostra corte costituzionale, escludendo che il diritto alla vita familiare per le coppie omosessuali implichi necessariamente l’istituto matrimoniale e negando che siffatto diverso trattamento possa essere discriminatorio in violazione del principio di uguaglianza.
34 D’Angelo, La Consulta al legislatore: questo matrimonio «nun s’ha da fare», in www.forumcostituzionale. it (14.4.2010).
35 M. Costantino, Individui, gruppi e coppie (libertà illusioni passatempi), in Foro it., 2010, I, 1701 ss.
36 Melani, Il matrimonio omosessuale, cit.
37 Tondi della Mura, Le coppie omosessuali, cit.
38 Pugiotto, Una lettura non reticente della sent. n. 138/2010: il monopolio eterosessuale del matrimonio, in Scritti in onore di Franco Modugno, III, Napoli, 2011, 2697 ss.
39 Romboli, La sentenza 138/2010, cit.
40 Chiassoni, La grande elusione, cit.; Pugiotto, Una lettura non reticente, cit.
41 Nella stessa direzione si era già mossa la Corte di cassazione civile, con la sentenza 13.3.2009, n. 6441, secondo la quale la nozione di familiare di cui agli artt. 29 e 30 del d.lgs. n. 286 del 1998 non può essere ampliata sino a ricomprendervi «anche i soggetti legati da una stabile relazione affettiva realizzata attraverso una convivenza di tipo non matrimoniale, registrata o attestata, per effetto dell’art. 12 CEDU … o alla luce dell’art. 9 della Carta di Nizza».
42 Bianchi, La Corte chiude le porte al matrimonio tra persone dello stesso sesso, cit.; D’Angelo, La Consulta al legislatore, cit.; Pugiotto, Una lettura non reticente, cit.
43 A commento della decisione si possono rammentare: Winkler, Le famiglie omosessuali nuovamente alla prova della Corte di Strasburgo, in Nuova giur. civ. comm., 2010, I, 1148 ss.; Repetto, Il matrimonio omosessuale al vaglio della Corte di Strasburgo, ovvero: la negazione «virtuosa » di un diritto, in www.associazionedeicostituzionalisti.it; Conti, Convergenze (inconsapevoli o … naturali) e contaminazioni tra giudici nazionali e Corte EDU: a proposito del matrimonio di coppie omosessuali, in Corr. giur., 2011, 579 ss.; Conte, Profili costituzionali del riconoscimento giuridico delle coppie omosessuali alla luce di una pronuncia della Corte europea dei diritti dell’uomo, in Corr. Giur., 2011, 573 ss.; Rosi, Il matrimonio gay nella giurisprudenza di Strasburgo. Matrimonio tra persone dello stesso sesso: not yet, in www.europeanrights. eu.
44 Rosi, Il matrimonio gay nella giurisprudenza di Strasburgo, cit.
45 Rosi, Il matrimonio gay nella giurisprudenza di Strasburgo, cit.
46 Conti, Profili costituzionali, cit.; Winkler, Le famiglie omosessuali, cit.; Repetto, Il matrimonio omosessuale, cit.