Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
Quello che noi chiamiamo meraviglioso o fantastico è per i medievali una delle dimensioni del soprannaturale, inteso a sua volta come una delle forme del reale: gli studi recenti da Le Goff in poi ne accettano l’articolazione in meraviglioso sovrannaturale (mirabilis), testimoniato soprattutto da bestiari e geografia fantastica, magico (magicus), nel quale spesso emergono credenze folcloriche e demoniache, e cristiano (miraculosus), attestato soprattutto nelle vite dei santi.
Sulla scrittura e sugli Scribi
Liber monstrorum de diversis generibus
Il Medio Evo, età felice in cui il Senso aveva ancora senso, “età semiotica per eccellenza” come qualcuno ha detto [J. Kristeva], sa “leggere” al di là del testo naturale, che per noi è ormai solo un quaderno di lamentazioni sulle polluzioni non troppo mirabili a cui la Natura è stata sottoposta (Hiroshima e l’ecologia ne sono il punto sanguinoso, più deforme che difforme). Per il Physiologus gli animali, ogni animale, in realtà significa qualcosa, una sola cosa, che il percorso dell’Allegoria conduce oltre la Natura.
Ma “lo scriba è sempre agente dell’ordine, burocrate dell’estraneità, spia in zone d’interdetto, e il suo sogno riesce finalmente a realizzarsi nel Liber, di circoscrivere tutta l’estraneità, la dimensione extrafamiliare della violenza e delle intensità libere; metterla in documenti e riportarla per così dire in famiglia, familiarizzarla nel suo internamento” [G. Celati]. Mettere i Mostri “all’interno”, cioè entro un Libro, significa “internarli”. La vicenda della Scrittura è anche una storia sanguinosa e prevaricatrice: come ogni storia di profilassi, di protezione e di allegoria. Lo spiegava meravigliosamente l’Anonimo che compose il De mostr<os>is hominum naturis atque ferarum (Paris, B.N., ms. Lat. 6560, fol. 83r), quando invitava il lettore a non esser troppo critico ed accusatore, in ricompensa almeno della pietosa operazione apotropaica svolta da chi scrive: Ego quippe vigilavi ut tu dormias, ego laboravi ut tu quiescas.
in Libro delle mirabili difformità, a cura di C. Bologna, Milano, Bompiani, 1977
Leggende e Mostruosità
Liber monstrorum de diversis generibus
Mi hai chiesto informazioni sugli angoli più remoti del mondo, e domandi se sia proprio credibile l’esistenza di tutte quante le razze dei mostri e delle creature difformi, di cui decantano le meraviglie ed il moltiplicarsi fin nelle regioni inarrivabili della terra, e per deserti e per isole dell’Oceano, e nelle viscere dei monti lontanissimi. E vuoi, sopra tutto, una risposta sulle tre qualità di esseri difformi che più sconvolgono e terrorizzano gli uomini: desideri cioè ch’io ti descriva le nascite aberranti dello stesso genere umano, e poi le spaventose e svariate forme assunte dagli animali selvaggi, per finire con le razze orribili dei rettili, dei serpenti, delle “vipere”. E dal momento che già molti autorevolissimi libri hanno in passato discusso di tutto ciò, illuminando l’umanità con solare chiarezza, si può dire in tutto il mondo, io non avrei mai più pensato di riproporre ad un lettore simili menzogne, se non fosse sopravvenuto il vento impetuoso della tua richiesta a gettarmi a capofitto, marinaio impaurito, giù dal mio posto di osservazione, in un mare di mostri.
Proprio così: questa mia operetta io la paragono ad un mare mosso, dalle acque scure. Non vedo infatti neppure una via, una rotta che mi conduca in porto, a mostrare se siano veraci o false le notizie che strabilianti chiacchiere hanno diffuso per lungo e per largo, con aurei discorsi. Ne è esempio la letteratura dei filosofi e dei poeti, che è solo capace di alimentare le menzogne.
Una certa parte soltanto di quelle meraviglie è tenuta in credito: e quante altre invece (proprio quelle messe in circolazione con narrazioni roboanti) tu riusciresti a dimostrare fasulle, se solo ottenessi un paio d’ali per volare laggiù in esplorazione! Prendi il caso della città tutta d’oro, o della spiaggia coperta di gioielli, di cui si fa un gran parlare: troveresti soltanto una città di pietra (se poi c’è davvero una città), e rive ciottolose. E io allora prenderò le mosse da quel che è pur credibile, in qualche modo, e ciascuno discerna per suo conto la storia che segue, in cui io dipingo fra questi antri di mostruose difformità qualcosa che ha la struttura di una Sirena fanciulla marina, in modo che sia almeno nel capo a misura umana e la seguano in basso sì grandi favole ispide, squamose, di vario tipo.
Il mio discorso allora prorompe all’inizio sugli esseri che dall’umanità si allontanano di poco; in seguito mi occuperò dettagliatamente di quelli nutriti dalla terra (che è la vera balia di tutti i viventi), ed anche di quelli che si racconta essa abbia nutrito in altri tempi. A dire il vero, ora che gli uomini, enormemente moltiplicatisi, hanno popolato il mondo intero, è assai diminuito il numero dei mostri che nascono sotto il sole. Essi sono stati definitivamente sradicati da ogni nascondiglio in tutto il pianeta, e sconfitti: ormai strappati via dalle spiagge s’aggrovigliano, prostrati, nello spumeggiare delle onde, e nelle aspre estremità polari in un turbine convergono da ogni emisfero, da ogni zona della terra, vero quest’enorme abisso rapinoso.
I Cinocefali.
Sempre in India vengono poi fatti vivere i Cinocefali, esseri dalla testa di cane, che non possono dire una sola parola senza interrompersi ed abbaiare, mescolando latrati e discorso. E non gli uomini imitano, allorché mangiano la carne cruda, ma gli stessi animali.
Gli Sciapodi.
Riferiscono ancora di una razza di uomini che son detti dai Greci Sciapodi, dal momento che si riparano dai raggi infuocati del sole sdraiandosi supini all’ombra dei propri piedi. Sono invero velocissimi, ed hanno un sol piede ed una sola gamba; le ginocchia, irrigidite nelle giunture, non si piegano più per nulla.
Libro delle mirabili difformità, a cura di C. Bologna, Milano, Bompiani, 1977
Il tema del meraviglioso era presente nella cultura antica soprattutto come argomento legato alla divinazione (in Cicerone) e al rapporto fra superstizioni e teoria politica (Strabone), oppure come repertorio di curiosità esotiche raccolte nelle opere greche di paradoxa, nell’enciclopedia di Plinio o nei Collectanea rerum mirabilium di Solino, di cui il Medioevo si interessa fino al punto di elaborarne nuove versioni e rimaneggiamenti.
La cultura cristiana inizialmente raccoglie la diffidenza razionalistica verso ciò che appare come prodigioso, ereditata dalla cultura greco-romana, relegandolo a fenomeno demoniaco oppure accettandolo come segno dell’azione divina sulla natura, secondo la tradizione biblica ed evangelica. Ne La città di Dio Agostino affronta l’argomento definendo i prodigi come ciò che avviene “contro la natura che ci è conosciuta”, ma che una conoscenza più profonda della realtà potrebbe spiegarci: essi hanno la funzione di annunciare (secondo l’etimologia di prodigia da “predire”, di monstra da “mostrare” e di portenta da “preannunciare”) la possibilità di intervento di Dio nella natura. L’impossibilità di comprendere a fondo il disegno divino ci porta a giudicare deforme o mostruoso un essere solo perché l’uomo non capisce a cosa si colleghi o a quale entità corrisponda (De civitate Dei 16, 8). Questo pensiero permea profondamente le convinzioni dell’uomo e dell’artista medievale: nel Medioevo ogni fenomeno può e deve essere spiegato come segno del divino; anche il mostro, anche l’animale inesistente, anche la parola di un morto o il volto di un demonio si inseriscono in un ordine di cose presentato come coerente e compatto, e in quest’ordine ogni forma visibile assume senso in sé ed è portatrice di un senso ulteriore, di un messaggio per gli altri.
Due secoli dopo Agostino, nel tentativo di proporre una sintesi del sapere classico e cristiano, Isidoro di Siviglia dedica due capitoli delle Etymologiae a mostri e prodigi, distinguendo fra portentum (“ciò che si trasfigura”, come la donna che in Umbria dicono abbia partorito un serpente) e portentuosum (“relativo a una lieve mutazione”, come i nati con sei dita) e adducendo una vasta tipologia di esempi.
Nel Medioevo questa casistica, che ha lasciato tracce significative nei manoscritti e nella storia dell’arte, attira sempre la curiosità di intellettuali e committenti, sia perché rappresenta il mezzo più accessibile di evasione verso l’esotico e il “diverso”, sia perché pone sul piano intellettuale il problema di interpretare le difformità in un sistema culturale che deve essere coerente e omogeneo: una combinazione che procura al genere una forte influenza sulla vita quotidiana e sulle convinzioni profonde, tanto che saranno i racconti fantastici di viaggi in Oriente a spingere Cristoforo Colombo verso l’America, dove ancora oggi i nomi geografici conservano i residui dell’immaginario medievale: da Eldorado a Rio delle Amazzoni. E larga parte dell’immaginario romantico, espresso in opere artistiche o letterarie dell’Ottocento ma anche nel vasto patrimonio fiabesco, travasato dai Grimm a Italo Calvino nella letteratura infantile, trova le sue radici in testi medievali.
I documenti che ci trasmettono la casistica medievale del meraviglioso sono diventati oggetto recentemente di studi molto popolari da parte di medievisti sensibili agli aspetti antropologici, come Jacques Le Goff, che hanno elaborato per questi fenomeni la categoria dell’immaginario, esplorandone gli spazi (il castello, il monastero, la corte, la foresta, il mare, la città, l’aldilà), i filoni culturali (biblico, classico, celtico, germanico), le forme di espressione (il sogno, la visione, i trattati scientifici, le descrizioni geografiche, la simbologia politica).
Grazie a queste ricerche si è giunti a una distinzione ormai invalsa, e fondata soprattutto sulle fonti del Medioevo centrale e tardo, fra: il mirabilis, il meraviglioso precristiano trasmesso dagli autori antichi e dal folclore europeo; il magicus, il soprannaturale di natura demoniaca; il miraculosus, il meraviglioso cristiano che configura un intervento divino nella storia, spesso mediato dalle figure dei santi, e che non si pone nell’ambito del prodigioso ma del naturale o comunque del prevedibile. Queste categorie si sono successivamente confuse con quella del fantastico, studiate in profondità da Tzvetan Todorov, che include le indagini storico-artistiche di Baltrušaitis ma anche le invenzioni letterarie di Hugo, Lewis Carroll e Tolkien: un complesso di paramitologie – da Narnia al Signore degli Anelli ai vampiri o alle fate – che al Medioevo si ispirano e che ancora oggi riscuotono enorme successo, alimentando nuove saghe e una fiorente industria letteraria e cinematografica.
La documentazione, soprattutto nell’ambito testuale, si è moltiplicata soprattutto a partire dall’XI-XII secolo, quando il patrimonio orale di culture non latine è stato formalizzato in testi e generi latini. In questo campo l’alto Medioevo, se si escludono le forme caleidoscopiche dei capitelli romanici o delle miniature dei manoscritti sull’Apocalisse, non produce vere e proprie raccolte di mirabilia, collane di racconti fantastici o libri miraculorum come il Medioevo centrale, ma presenta fondamentalmente quattro tipologie principali:
- il racconto di viaggio che in questo periodo genera in Irlanda un capolavoro come la Navigatio Sancti Brandani, attestato in molte lingue, nella quale si narra la favolosa storia dell’abate Brandano, che con una barca e un pugno di confratelli decide di partire alla ricerca del Paradiso. E lo raggiunge, anche se qualcuno pensa che sia arrivato in realtà nel Labrador, dopo una serie di avventure che lo portano dall’isola sul dorso di balena, al monastero dell’abbondanza spontanea e perenne, alla colonna di cristallo luminoso in mezzo al mare, all’isola degli uccelli, fino all’inferno a più piani, dove Brandano riesce ad aiutare il povero Giuda, costretto a una pena diversa per ogni giorno della settimana, con uscita anticipata solo il sabato;
- l’agiografia, che nei miracoli dei santi descrive il meraviglioso cristiano, e che trova il suo capolavoro altomedievale nei Dialogi di Gregorio Magno;
- la visione dell’aldilà, che dal modello biblico di Apocalisse e Libro di Enoc si sviluppa soprattutto in apocrifi come la Visio Pauli o in episodi agiografici (ancora Gregorio) o in scritti specifici come la Visio Fursei, di ambito irlandese. Questa traccia è ripresa da Beda in un capitolo della Storia ecclesiastica del popolo anglico nel quale si ha la prima descrizione del Purgatorio, la Visio Baronti (primo viaggio nell’aldilà, datato al 678), mentre nelle visioni politiche di età carolingia vengono dannati o salvati personaggi contemporanei come Ludovico il Pio nella Visio cuiusdam pauperculae mulieris, o Carlo Magno nella Visio Wettini di Walafrido Strabone, la prima visione dell’aldilà in versi, lungo una strada che porterà alla Commedia dantesca;
- l’immaginario naturale, che fa leva soprattutto sul Physiologus, traduzione latina di un originale greco composto ad Alessandria fra II e V secolo, che illustra i significati spirituali degli animali e delle piante (il pellicano, che nutre i piccoli con la sua carne, è simbolo di Cristo, e così la fenice che risorge dalle sue stesse ceneri) e sul Liber monstrorum, un repertorio in due libri (i “mostri” e le “belve”) di creature prodigiose scritto probabilmente da un autore anglosassone nell’VIII secolo e trovato nel 1829 in un codice di favole fedriane e successivamente in altri tre manoscritti: racconta e descrive le figure di sirene, fauni, ciclopi, cinocefali, gorgoni, sciapodi, ermafroditi, pigmei, tricefali, arpie, minotauro, tritone, antipodi, giganti, poliglotti, e altri esseri più o meno fantastici, fra i quali Hyglac re dei Geti, personaggio del Beowulf, con l’intento di soddisfare la richiesta del committente, pur nella consapevolezza che anche i fenomeni attestati da autorevoli fonti possono essere oggetto di invenzione. Questo tipo di immaginario, sistematizzato successivamente nei bestiari bassomedievali, influirà profondamente sull’arte e sulla letteratura europea fino a Flaubert – La tentazione di sant’Antonio – o a Borges – Manual de zoologia fantastica. L’immaginario naturale comprende in qualche modo anche le descrizioni del mondo, di cui per l’alto Medioevo va citata soprattutto la Cosmographia di un autore misterioso: tramandato dai codici come Pseudo Girolamo, è identificato ora con l’Aethicus Ister protagonista dei viaggi intorno al mondo da cui nasce questa descrizione, ora con il fantasioso grammatico dell’VIII secolo che si faceva chiamare Virgilio, ma più recentemente ricondotto alle scuole anglosassoni precarolinge. Fra le notizie disparate che questa Cosmographia trasmette ci sono elementi di quello che diverrà nel Medioevo il Romanzo di Alessandro.