Il Mesolitico
di Stefan K. Kozłowski
Questo complesso economico-culturale, caratteristico dell'Europa, sembra corrispondere a un peculiare tipo di adattamento e di trasformazione delle comunità paleolitiche alle nuove condizioni dell'Olocene antico. Il termine Mesolitico venne usato per la prima volta nel 1866 da H. Westropp. Riproposto da M. Reboux nel 1873 e da O. Torell l'anno successivo, esso fu successivamente utilizzato nel 1892 da J. Allen Brown per sottolineare l'esistenza di una fase intermedia tra Paleolitico e Neolitico. A. Carlyle impiegò tale termine per designare un'industria microlitica a geometrici rinvenuta nel Subcontinente indiano e, nel 1895, G. Hervé lo utilizzò per indicare i complessi compresi tra la cosiddetta "età della Renna" e il Neolitico. Il concetto fu infine confermato da E. Piette in seguito ai risultati degli scavi al Mas d'Azil, che fornirono la prova stratigrafica della sequenza Paleolitico-Mesolitico. Nel 1909 J. de Morgan ne precisò il significato, secondo l'accezione oggi comunemente intesa, per designare gruppi umani di età olocenica che avevano elaborato una tecnologia litica spesso ricca di microliti geometrici e avevano sviluppato un'economia condizionata dall'adattamento ad ambienti a clima temperato e caratterizzata dall'intensificarsi della pesca, dall'uso dell'arco e dall'incremento dell'attività di raccolta di prodotti vegetali e, in certe aree, di molluschi marini e terrestri. L'inizio dell'VIII millennio a.C. fu contrassegnato da trasformazioni ecologiche rilevanti e relativamente rapide, consistenti in un miglioramento climatico e in una conseguente veloce espansione delle foreste verso settentrione. Esse interessarono non soltanto i Balcani e le regioni appenniniche, come nel corso del IX millennio a.C., ma si diffusero ovunque fino alla Scandinavia meridionale e centrale. Tali significative variazioni del biotopo, che provocarono la scomparsa delle distese di tundra aperta e della steppa periglaciale abitata soprattutto dalla renna, furono la causa della ritirata di questo animale verso settentrione e della sua sostituzione con una fauna di foresta (cervo, capriolo, uro, cavallo e alce). A queste importanti "innovazioni ecologiche" corrisposero, presso i gruppi stanziati in Europa, specifiche strategie adattative, consistenti sia in migrazioni verso settentrione alla ricerca del biotopo familiare che si andava progressivamente restringendo, sia in un rapido adattamento in loco alle nuove condizioni di vita. Indipendentemente dalle opzioni scelte dagli abitanti dell'Europa, queste nuove manifestazioni culturali differiscono sostanzialmente da quelle tipiche del IX millennio. Le innovazioni più accentuate si verificarono soprattutto nell'Europa occidentale e centrale; nei Balcani e nelle steppe pontiche questa fase di adattamento tra ambiente aperto e foresta si era verificata in epoca leggermente precedente.
La data più antica riferibile alla comparsa in Europa di comunità definibili come mesolitiche è simile ovunque, come indicano le datazioni ottenute con il metodo del radiocarbonio di Star Carr in Gran Bretagna, Klosterlund in Danimarca, Friesack, Duvensee e Jägerhaushöhle in Germania, Romagnano III in Italia, Padina nella Repubblica Federale di Iugoslavia, Grotta di Franchthi in Grecia, Całowanie in Polonia e Pulli in Estonia, tutte comprese tra 7700 e 7600 a.C. Diverso è il caso delle date finali, che differiscono considerevolmente da regione a regione: circa 6000 a.C. per la Penisola Balcanica e per la Grotta di Franchthi; 5500 a.C. per Odmut, Lepenski Vir e Vlasac nella Repubblica Federale di Iugoslavia; 4000 a.C. per l'Italia settentrionale (Romagnano III, Gaban); 4200-3500 a.C. per la Svizzera e la Germania meridionale (Birsmatten-Basisgrotte, Jägerhaushöhle, Tschäpperfels); 4500-4000 a.C. per la porzione meridionale delle pianure dell'Europa centrale, ma 3500- 3000 a.C. per quella settentrionale, vale a dire la Pomerania polacca o la Danimarca. Per quanto riguarda l'estremità settentrionale del continente, questo fenomeno, almeno relativamente alla sua fase ceramica, sopravvisse molto più a lungo. È evidente che, come in epoca precedente, le popolazioni mesolitiche erano composte da cacciatori e raccoglitori, ma potevano ora sfruttare ambienti totalmente nuovi e più ricchi (foresta e, solo a settentrione, tundra residua), caratterizzati da una fauna specifica, non migratoria, localmente differenziata: renna all'estremo settentrione, alce in Russia e Scandinavia, uro nel bacino carpatico, fauna di ambiente di foresta nell'Europa centrale e occidentale. In secondo luogo, esse conquistarono nuovi ambienti (fiumi, laghi, litorali marini) insieme alle loro risorse. I gruppi umani, dotati di un'efficiente organizzazione, divennero probabilmente meno mobili, occupando e mantenendo in modo permanente, spesso per molte centinaia di anni, estesi territori di caccia caratterizzati da una particolare organizzazione spaziale. Il modello di insediamento non sembra essere mutato attraverso i secoli, con campi-base stagionali semipermanenti, circondati da campi-satellite occupati per brevi periodi. Le abitazioni, sorta di tende leggere, erano talvolta raggruppate in numero di quattro o sei e formavano i campibase che potevano essere occupati da famiglie allargate (Bergumermeer, Rotsterhaule, Lepenski Vir, Wieliszew XI). Nei piccoli campi-satellite, di breve durata, poteva essere talvolta presente un'unica struttura di abitazione. Si pensa anche che gli accampamenti mesolitici fossero abitati non permanentemente ma stagionalmente, come ad esempio i campi della Conca di Trento in Italia, gli accampamenti estivi nelle Dolomiti o quelli stagionali in Danimarca (Ulkestrup Lyng, Sværdborg), a seconda delle diverse attività stagionali dei loro abitanti. Parallelamente si organizzò un efficiente sistema di rifornimento di materia prima litica locale o importata. Venne rapidamente raggiunto un completo adattamento ambientale ed emerse un modello di economia di tipo conservativo, di cacciatori- raccoglitori e pescatori altamente specializzati, in grado di garantire una notevole stabilità economica e di rimanere immutato per secoli. I vari modelli locali di adattamento mostrano diversità che dipendono soprattutto dalla natura specifica delle nicchie ecologiche, come ad esempio la particolare importanza della pesca nelle aree costiere. Per sopperire alle necessità di un tale processo di adattamento, l'uomo dovette introdurre e diffondere un certo numero di innovazioni tecnologiche e organizzative. Per quanto riguarda la tecnologia, si osserva la scomparsa dell'utilizzazione, come materia prima, di grandi arnioni di selce, non sempre disponibili, a vantaggio di noduli reperibili ovunque ma di piccole dimensioni. Questo fatto provocò la riduzione del mondo mesolitico a dimensioni locali: dal momento che veniva cacciata la fauna di foresta relativamente stanziale e vi era disponibilità di materia prima a portata di mano, divenne inutile intraprendere spedizioni a largo raggio. Una conseguenza dei mutamenti nell'economia di approvvigionamento della materia prima fu anche la drastica riduzione delle dimensioni dei nuclei e dei prodotti derivati (non più lame ma lamelle) e quindi dello strumentario litico, incluse le punte di freccia. Questo fenomeno, che aveva avuto inizio nell'Europa meridionale in epoca precedente, viene spesso descritto come "microlitismo", anche se sarebbe preferibile il termine "miniaturizzazione". Una tale situazione dovette naturalmente provocare mutamenti nella tecnologia di produzione di punte di freccia particolarmente piccole: comparvero la tecnica del microbulino, la tecnica del sezionamento delle lame e la tecnica a pressione per lo sfruttamento di piccoli nuclei. Per evidenti ragioni tecnologiche, le forme delle punte di freccia e degli altri tipi di strumenti furono sottoposte a un processo di standardizzazione crescente ("geometrizzazione"), diventando sempre più simili tra loro. Le punte di freccia di questo tipo erano molto efficaci per l'intensa attività di caccia a mammiferi di grandi o piccole dimensioni in ambiente di foresta. L'uomo divenne capace di "produrre qualsiasi strumento praticamente dal nulla": le punte di freccia di minori dimensioni misurano meno di 0,5 cm. Nel VI millennio a.C. riemerse la richiesta di blocchi di selce di grandi dimensioni, il che condusse alla comparsa di vere e proprie miniere di questa materia prima e alla sua distribuzione a lunga distanza (come, per citare solo alcuni esempi, la selce color cioccolato della Polonia, l'ossidiana di Milo in Grecia o la quarzite di Wommersom in Belgio). Vennero anche utilizzate diverse materie prime organiche, come osso, corno e soprattutto il legno, facilmente reperibile. Il legno, in particolare, ebbe una cruciale importanza nel controllo degli ambienti acquatici. Le imbarcazioni e le pagaie apparvero nelle nuove zone lacustri insieme agli strumenti necessari per la loro costruzione, come le asce; fecero la loro comparsa anche numerosi strumenti da pesca, come reti, ami e fiocine. La pesca divenne una risorsa particolarmente importante per alcune comunità mesolitiche, soprattutto nelle aree lacustri e lungo le coste marine. La ricca fauna composta da grandi mammiferi di foresta documenta l'abbondanza delle risorse alimentari, ma anche la considerevole abilità venatoria dei cacciatori dell'epoca, che si avvalevano dell'uso di trappole e dell'arco. Venivano cacciati anche animali di piccole dimensioni e uccelli (questi ultimi con particolari frecce), non solo per la carne ma anche per le pelli e le piume. Le risorse alimentari erano ulteriormente diversificate dall'attività di raccolta, che poteva assumere considerevole importanza. Veniva raccolto tutto ciò che fosse commestibile o utile: noci, nocciole, castagne d'acqua, pistacchi e granaglie (lenticchie, cereali, veccia, fave), legno, molluschi terrestri e marini, resina, legna da ardere, ecc. Tutto ciò giustifica l'affermazione secondo cui il Mesolitico, pur rappresentando ovviamente una diretta prosecuzione dei modelli paleolitici, si caratterizzò nondimeno come un sistema di adattamento altamente specializzato, stabile, conservativo e autosufficiente, che ebbe essenzialmente origine nel nuovo e ricco ambiente di foresta degli inizi del periodo postglaciale. Questo sistema avrebbe potuto facilmente sopravvivere per millenni, se non fosse stato per il distruttivo avvento di nuovi gruppi portatori della cosiddetta "rivoluzione neolitica". Sebbene l'invenzione dell'arco e delle frecce risalga a epoche precedenti, fu questo il periodo della loro massima utilizzazione. I pochi esemplari di arco noti sono di grandi dimensioni, diritti, ricavati dal legno di tasso (Holmegaard IV, Star Carr, Vis) e hanno spesso una stretta impugnatura. Mentre per l'arco non sembra possibile rilevare alcuna differenziazione di ordine geografico, cronologico o funzionale, le frecce, invece, differiscono tra loro per struttura, forma e, probabilmente, anche per funzione. In effetti, le differenze morfologiche delle armature rappresentano forse la base più importante per la differenziazione culturale e stilistica dell'Europa mesolitica. Tralasciando le aste, di cui sono noti scarsi esemplari realizzati in legno da Holmegaard, Loshult, Nižnee Veretye, Friesack e in osso da Oleniy Ostrov, è possibile distinguere tra le armature quelle realizzate in osso, in legno (raramente conservate) e in pietra (maggiormente diffuse). Le punte di osso variano dalle forme più semplici, fusiformi, a vari esemplari denticolati o caratterizzati da scanalature per l'inserzione di punte in selce. Esse venivano evidentemente usate come armi da lancio, anche se non è sempre possibile stabilire con certezza se un particolare esemplare fosse utilizzato come punta di freccia o come punta di fiocina per la pesca. Le punte di osso sono soprattutto note dalle zone lacustri, fatto che spinge alcuni archeologi a considerarle come indizio di "culture su osso" altamente specializzate e ben distinte. Le rare punte di freccia di legno note effettivamente in tutta la grande pianura europea (Holmegaard, Friesack, Hohen Viecheln, Vis, Nižnee Veretye) non presentano significative differenze a livello morfologico e potrebbero essere state usate per cacciare piccoli animali da pelliccia e uccelli. Il gruppo più numeroso e altamente diversificato è quello litico, cosiddetto "dei microliti o delle punte". La loro funzione come punte di freccia o elementi di armi da lancio è indiscutibile, grazie a ritrovamenti di punte complete, a tracce di sostanze resinose sui microliti e a particolari condizioni di ritrovamento (ad es., un microlite inserito in un osso umano a Téviec). Punte composite si distribuiscono in Europa occidentale e centrale, ovunque dalla Spagna alla Gran Bretagna, soprattutto nel periodo più antico (VIII-VII millennio a.C.). In Europa orientale questa fase è documentata dalla predominanza di punte a codolo, vale a dire di punte di freccia non composite. In epoche successive (dopo il 6000 a.C.), le regioni occidentali e meridionali adottarono anche punte non composite a forma trapezoidale (punte di freccia trasversali). Tra gli aspetti caratteristici del Mesolitico è necessario menzionare l'importanza particolare dell'ambiente acquatico che i mesolitici furono i primi a conquistare, assicurandosi in questo modo una risorsa di proteine eccezionalmente abbondante e facilmente ottenibile. La correlazione degli insediamenti mesolitici con corsi d'acqua e bacini sufficientemente ampi è evidente. In tali aree venne organizzato un effettivo sistema di trasporto via acqua; fecero la loro comparsa le imbarcazioni incavate (Pesse e Noyen-sur-Seine) insieme alle pagaie per sospingerle (Star Carr, Duvensee, Friesack, Holmegaard, Jybvint, Vig, Zamost´ye). Naturalmente, la manifattura delle imbarcazioni ricavate dai tronchi costrinse l'uomo mesolitico a sviluppare strumenti adatti per tagliare gli alberi e scavarne poi i tronchi. Furono realizzate per la prima volta asce litiche ricavate da rocce non silicee, capaci di spaccare e scavare il legno; la loro distribuzione territoriale coincide curiosamente con la zona dei laghi würmiani. Le imbarcazioni vennero utilizzate non solo per il trasporto ma anche per la pesca, che poteva essere effettuata sia attivamente che passivamente. Il primo metodo richiedeva appropriati arponi da pesca, bene documentati nelle zone dei laghi: alcuni di essi erano probabilmente punte di freccia, mentre altri erano punte di armi da pesca a punta singola o multipla, lanciate a mano o mediante l'arco. L'efficacia di un tale tipo di pesca è sottolineata da G. Clark, ad esempio, per il sito di Kunda in Estonia. È anche possibile che fosse usato l'arco con la normale freccia da "terra", ad esempio per la caccia alle foche. La pesca "passiva" si avvaleva di una specifica gamma di strumenti, in particolare reti con galleggianti (Antreä, Friesack), trappole per pesci e vari tipi di arponi di osso. Tale strumentario serviva per catturare un'ampia gamma di fauna ittica che costituiva un importante elemento della dieta mesolitica e in alcune comunità, come ad esempio nelle regioni intorno al Baltico, un elemento di cruciale importanza. Numerosi siti palustri noti nella grande pianura europea offrono anche maggiori informazioni sull'equipaggiamento tipico dei cacciatori-raccoglitori mesolitici ottenuto da materiali organici come osso, corno e legno. Dalle prime due materie venivano ricavati diversi tipi di asce e accette, oltre a coltelli, pugnali, raschiatoi, ritoccatoi, scalpelli e manici. Questo materiale era accompagnato da vari oggetti ornamentali, soprattutto pendagli ed elementi di collana ricavati da denti di animali. Tra i rari oggetti di legno si trovano archi e frecce, ma anche sci (Vis), slitte (Heinola), mazze (Nižnee Veretye, Holmegaard IV), manici e giavellotti (entrambi da Nižnee Veretye), galleggianti ricavati da corteccia di pino (Hohen Vieheln, Nižnee Veretye) e recipienti di corteccia di betulla (Vis, Nižnee Veretye, Friesack).
In molte regioni la fine del Mesolitico è marcata dalla comparsa di ceramiche locali, mesolitiche. Questa nuova e originale invenzione fu probabilmente ispirata dalle vicine popolazioni neolitiche e ad essa non seguirono importanti trasformazioni economiche; tuttavia, per molti studiosi, la presenza di questa ceramica indica l'inizio del Neolitico. La ceramica mesolitica compare in molte regioni più o meno nello stesso momento (V millennio a.C.): essa è segnalata lungo la costa settentrionale del Mediterraneo (alcuni gruppi della Ceramica Impressa, del Gaban, della Ceramica Cardiale, di Haguette), nella regione intorno al Baltico (Ertebølle, Narva, Sperrings) e nella Pianura Russa (Neman, Dnepr-Donec, Volga superiore, Volga-Kama). Il sistema mesolitico si disintegrò in due modi: nelle regioni sud-orientali vi fu un'intera e rapida assimilazione da parte dei nuovi venuti neolitici, mentre a settentrione si può osservare un graduale adattamento al modello neolitico.
I condizionamenti ambientali e la debole diffusione delle tradizioni dei cacciatori-raccoglitori condussero all'emergere di un peculiare stereotipo dell'adattamento mesolitico, che si espresse nella massiccia caratterizzazione della cultura materiale con aspetti quali la miniaturizzazione dell'industria litica e la sua standardizzazione, nel senso più stretto di "geometrizzazione", oltre alla notevole specializzazione, come dimostra ad esempio il gruppo particolarmente ben sviluppato delle punte da getto, ricavate anche su osso. Le somiglianze si riducono tuttavia a questo livello tassonomico, oltre al quale è possibile osservare una notevole differenziazione nella morfologia e nella tecnologia dei manufatti, vale a dire nel loro aspetto "stilistico", interpretata come indice di diversità culturali. La sovrapposizione tra diverse aree stilistiche e nicchie ecologiche è indicativa della capacità di adattamento ad un ambiente di foresta della cultura mesolitica, che si differenziò in regioni distinte con specifiche tipologie locali di sfruttamento ambientale e quindi con specifiche "culture" locali. L'altro importante fattore che influenzò la fisionomia delle entità culturali nelle diverse aree fu la tradizione in senso "genetico", che stimolò e regolò il carattere delle varie tradizioni, mantenendone gli aspetti essenziali derivati dal substrato premesolitico. Tali aspetti, legati alla tradizione, non riuscirono però a isolare del tutto i diversi ambienti culturali dalle influenze esterne ed è per questo che fecero la loro comparsa in Europa alcune tendenze interregionali, che furono la causa di fattori unificanti in estese aree del continente. Esempi di tali tendenze sono la diffusione, nell'Europa occidentale e centrale degli inizi del Mesolitico, di una tendenza generale alla microlitizzazione e alla geometrizzazione e la proliferazione di microliti sauveterroidi (triangoli stretti) durante la fase media del Mesolitico; la comparsa di queste tendenze intorno al 6000 a.C. è il risultato di forti relazioni interregionali a lunga distanza. Il Mesolitico europeo si articola in diversi tecnocomplessi territoriali e ciascuna di queste unità ha una propria storia e un proprio stile. A settentrione è possibile distinguere tre grandi complessi, che traggono origine dall'Ahrensburgiano/Brommiano (Scandinavia, tecnocomplesso settentrionale e una parte di quelli occidentali); le regioni sud-occidentali e quelle sudorientali mostrano affinità epigravettiane (Balcani e parte meridionale dei tecnocomplessi occidentali). L'intera macroregione (con l'eccezione della Scandinavia) è caratterizzata dalla presenza di microliti geometrici diversi fra loro e segue il ritmo dei mutamenti interculturali prima descritti. L'Europa orientale conobbe invece un'evoluzione autonoma, in parte sotto l'influenza swideriana (complesso nord-orientale). L'ultimo grande complesso è il Castelnoviano, la cui formazione risale alla fine del Mesolitico.
Il complesso settentrionale (Maglemosiano) - Tale complesso occupa la grande pianura europea, dalla Polonia attraverso la Germania e la Scandinavia meridionale (Danimarca e Scania) fino alla Gran Bretagna, ed è noto in Scandinavia come Maglemosiano. Questo nome, proposto all'inizio del XX secolo in Danimarca, era inizialmente sinonimo di un Mesolitico locale, caratterizzato da una ricca industria su osso e su corno. Trent'anni più tardi G. Clark utilizzò lo stesso termine per designare l'intero Mesolitico iniziale e medio dell'Europa nord-occidentale, che rappresenta ancora oggi la provincia mesolitica meglio conosciuta grazie anche alla buona conservazione dei manufatti ricavati da materiali organici. I cacciatori maglemosiani erano probabilmente i discendenti di quelli ahrensburgiani che non migrarono verso la Penisola Scandinava. Essi si adattarono rapidamente alle foreste di pini e betulle (più tardi associati ad alberi di latifoglie) della zona occidentale circumbaltica di laghi e pianure, caratterizzata soprattutto da una fauna di foresta costituita da cervo, capriolo, cinghiale, e meno frequentemente da uro, mentre l'alce era più abbondante all'inizio del periodo e nelle aree settentrionali. Questa selvaggina di grandi dimensioni era accompagnata da animali di piccola taglia (castori, uccelli) e da pesci, come ad esempio il luccio. L'industria litica è conosciuta da centinaia di siti, una significativa parte dei quali è stata scavata e datata. Il Maglemosiano compare nella seconda metà dell'VIII millennio a.C. e persiste fino alla metà del VI millennio (Scandinavia meridionale, Polonia orientale) o anche più a lungo (Gran Bretagna, Olanda, Germania settentrionale, Polonia occidentale). Può essere suddiviso in tre stadi: le industrie più antiche (Star Carr, Duvensee, Klosterlund e Komornica, che persistono più a lungo a meridione e a oriente), quelle medie (Broxbourne e Sværdborg, soltanto a settentrione) e quelle più recenti (gruppi postmaglemosiani di De Leien-Wartena, Oldesloe, Jühnsdorf, Chojnice, ecc.). Tali industrie differiscono soprattutto per quanto riguarda il gruppo dei microliti (triangoli larghi, segmenti e punte, seguiti da lanceolati allungati e triangoli, ai quali si aggiungono successivamente i trapezi). L'industria litica maglemosiana si basa su nuclei di piccole dimensioni ad uno o due piani di percussione per lamelle irregolari che, verso la fine del periodo, sono rimpiazzati da nuclei conici e carenati utilizzati per lamelle più regolari. Gli strumenti più numerosi sono piccoli grattatoi su scheggia, seguiti da bulini e perforatori, oltre a caratteristiche asce, accette e picchi non levigati. Grazie alle particolari condizioni geologiche dei siti palustri, sono sufficientemente noti i manufatti maglemosiani ricavati da materiali organici: quelli più caratteristici e conservati in maggior numero sono le punte di giavellotto in osso, diversificate territorialmente e cronologicamente. Vi sono in particolare diverse punte a barbe, discendenti dalla tradizione locale degli arponi della fine del Glaciale, accompagnate da punte scanalate (Scandinavia meridionale). Questo strumentario è completato da manufatti di uso più domestico in osso e corno, tra cui zappe e asce forate ricavate da corno di alce (le più antiche) o di cervo (queste ultime talvolta decorate con i tipici motivi maglemosiani incisi), scalpelli, pugnali, raschiatoi ricavati da zanne di cinghiale, ami da pesca, ritoccatoi, maschere sciamaniche, manici, ecc. Devono anche essere menzionati alcuni manufatti di legno, come gli archi (Holmegaard IV in Danimarca), le imbarcazioni (Pesse in Olanda), le pagaie (Star Carr in Gran Bretagna e Duvensee in Germania), le frecce (Holmegaard IV e Loshult in Svezia, Friesack e Hohen Vieheln in Germania) e le mazze (Holmegaard IV). Alcuni dei reperti citati, quali le pagaie, ma anche le punte di lancia, presentano le caratteristiche decorazioni maglemosiane a motivi lineari incisi, ma vi sono anche scarse raffigurazioni zoo- e antropomorfe (Ystad in Svezia, Szczecin in Polonia). Questo insieme è completato da alcune figurine di ambra che raffigurano la fauna locale (cinghiali, alci, oche selvatiche, ecc.). Le abitazioni note (Mszano in Polonia, Ulkestrup Lyng e Øgaarde in Danimarca, Duvensee I in Germania, Agerød IHC in Svezia, Bergumermeer in Olanda, Oakhanger VII, Morton e Deepcar in Gran Bretagna, ecc.) si possono considerare tende o capanne di materiale leggero, quasi interamente costruite con materiali organici (ad eccezione di Deepcar). Resti di pavimento indicano che esso era in legno (Ulkestrup Lyng) o corteccia (Duvensee), mentre le pareti erano montate su pali (Mszano, Agerød, Morton). Queste capanne sono per lo più isolate, ma a Bergumermeer esse sono raggruppate in numero di sei. Sepolture costituite da una singola inumazione sono note da alcuni insediamenti (Pinnberg e Berlin- Schmöckwitz in Germania, Bäckagskog in Svezia e Melsted in Danimarca), mentre a Mszano sono state rinvenute sepolture multiple. A Melsted e a Wieliszew in Polonia vi sono sepolture ad incinerazione, mentre da Bäckagskog proviene uno scheletro in posizione seduta.
Il Mesolitico occidentale - È possibile suddividere questo complesso in due grandi gruppi di industrie, uno meridionale e uno settentrionale, che occupano rispettivamente la porzione occidentale e centrale dell'Europa e si sviluppano dalla prima metà dell'VIII fino all'inizio del VI millennio a.C. Proprio questo fenomeno, specialmente nella sua estensione settentrionale, è stato utilizzato soprattutto dagli autori francesi e belgi come base per la loro definizione di Mesolitico, conosciuto in passato con il nome più comune di Tardenoisiano. Per molto tempo oggetto di ricerche da parte di cultori locali, solo negli ultimi anni lo studio del Mesolitico occidentale è stato affrontato in termini scientifici. L'industria litica è ricavata da piccoli nuclei ad uno o due piani di percussione, che diventano col tempo più regolari (subconici) e dai quali si ricavano lamelle altrettanto regolari. Tra i microliti vi sono triangoli e segmenti, punte a dorso e lamelle, piccole troncature, grattatoi di piccole dimensioni generalmente corti. Con l'eccezione dei caratteri comuni al gruppo dei microliti sopra menzionato, esistono differenze territoriali e cronologiche tra alcuni di essi. L'Italia e la Francia meridionale sono caratterizzate da esemplari di dimensioni molto ridotte, mentre a settentrione i geometrici sono molto più grandi. Le fasi iniziali sono dominate da forme larghe (triangoli isosceli e scaleni, punte a dorso), ma nel VII millennio a.C. comparvero e diventarono predominanti triangoli più stretti a base corta, mentre intorno al 6000 a.C. comparvero i trapezi. È opportuno ricordare che ogni territorio dovette possedere caratteristiche particolari: a sud si diffusero le punte sauveterriane, a settentrione quelle tardenoisiane, mentre all'estremo settentrione furono predominanti quelle a "foglia di vischio". Tutto ciò permette di stabilire le principali suddivisioni tassonomiche del Mesolitico occidentale (Sauveterriano, Beuroniano, Renaniano), che probabilmente derivano da un substrato premesolitico differenziato (Ahrensburgiano, post-Ahrensburgiano a settentrione ed Epigravettiano meridionale). È anche possibile mettere in evidenza suddivisioni più precise delle entità sopra menzionate (gruppi di Coincy, Beuron e Smolin o variante settentrionale e meridionale del Beuroniano, varianti francese e italiana del Sauveterriano). Il complesso occidentale, con l'eccezione della parte settentrionale del Beuroniano, scomparve all'inizio del VI millennio a.C. evolvendo nelle diverse industrie del Castelnoviano. L'industria su osso e corno è dominata, per lo meno al sud, dalle punte fusiformi; alcune punte a barbe rinvenute in Olanda settentrionale potrebbero forse essere inserite nel tecnocomplesso occidentale. Devono anche essere menzionati punteruoli, raschiatoi ricavati da zanne di cinghiale, ritoccatoi in corno di Cervidi, manici cilindrici in corno di renna, spatole di osso e lisciatoi ottenuti da ossa lunghe di Bovidi. L'arte del Mesolitico occidentale è praticamente sconosciuta, con l'eccezione di due lisciatoi in osso dai livelli sauveterriani di Rouffignac (Dordogna), mentre è dubbia l'attribuzione al Mesolitico delle raffigurazioni di alce in Valcamonica. I cacciatori-raccoglitori mesolitici dell'Europa occidentale vivevano in fitte foreste miste a latifoglie, cacciando soprattutto cervo, capriolo e cinghiale, pescando e raccogliendo nocciole, noci e, al sud, lenticchie e lumache terrestri. Gli insediamenti erano localizzati in grotte e ripari (soprattutto nelle regioni meridionali) o lungo i terrazzi fluviali e ai margini degli altipiani. I ripari sotto roccia erano strutturati con allineamenti di pietre (Schräge Wand in Germania, Oberlarg in Francia) o con strutture circolari a pozzo (Romagnano III in Italia), mentre nei siti all'aperto erano prevalenti abitazioni ovali, montate su pali (Oerlinghausen e Retlager Quellen), ma anche interrate (Gochamp III in Francia). Si conoscono sepolture singole in siti in grotta (Vatte di Zambana in Italia, Cuzoul de Gramat nel Lot in Francia e alcuni siti del Belgio) ed è anche probabile che due gruppi di inumati dalla Grosse Ofnet in Germania possano essere attribuiti al complesso mesolitico occidentale.
L'Epigravettiano dei Balcani - Questa denominazione esprime la continuità dello sviluppo del Gravettiano tardo dei Balcani nella sua fase olocenica ed era precedentemente designata da J.K. Kozłowski col nome di Tardigravettiano. L'Epigravettiano dei Balcani si diffuse nei territori dell'Europa sudorientale, comprendenti Slovenia, Croazia, Bosnia, Repubblica Federale di Iugoslavia, Albania, Grecia, Bulgaria, Ungheria, Slovacchia e la porzione occidentale della Romania. Tale territorio forma un vasto bacino (la Pianura Ungherese e la Transilvania) circondato e isolato da catene montuose elevate (Alpi, Carpazi, Alpi Dinariche e Balcani). Agli inizi dell'Olocene queste montagne erano ricoperte da una fitta foresta mista a latifoglie (nella quale predominavano il cervo e il capriolo), mentre almeno una parte della pianura era occupata dalla steppa o dalla steppa a parco frequentata da uri e cervi. Il forte isolamento e la moderata entità dei mutamenti ambientali della fine del Pleistocene nell'Europa meridionale ebbero come risultato una diretta continuazione delle industrie tardopleistoceniche nelle prime fasi dell'Olocene con modificazioni poco accentuate; tale sorta di continuità sembra piuttosto eccezionale nell'Europa di quel periodo. Questa regione presenta un numero molto limitato di siti, solo pochi dei quali sono stati oggetto di scavo. L'area meglio conosciuta è quella delle Porte di Ferro, al confine tra Romania e Repubblica Federale di Iugoslavia, dove sono stati scavati, datati e pubblicati diversi siti (Cuina Turcului, Padina, Lepenski Vir, Vlasac, Ostrovul Banului, Schela Cladovei, ecc.); la seconda area ben esplorata è il Peloponneso con la Grotta di Franchthi. L'industria litica dell'Epigravettiano dei Balcani è caratterizzata da grattatoi molto corti e da denticolati, associati a lame ritoccate, piccoli strumenti a dorso e pochi geometrici (triangoli, segmenti e troncature a dorso); l'industria è ricavata da nuclei a un piano di percussione che producevano lamelle non molto regolari. Sembra possibile distinguere diverse variazioni locali di questo complesso, tra le quali il gruppo Padina-Lepenski Vir nella regione delle Porte di Ferro (la cultura Lepenski Vir- Schela Cladovei degli autori locali), i gruppi di Barca e di Jasztelek-Jaszbereny nel bacino del fiume Tissa, di Gilma in Transilvania e di Breg in Slovenia. Agli inizi del VI millennio a.C. questa cultura venne sostituita al sud dal Castelnoviano, mentre a settentrione acquisì pochi trapezi e venne più tardi interamente assimilata dall'arrivo dei gruppi neolitici. L'industria su osso e corno dei Balcani è caratterizzata soprattutto da punte affusolate e a biseau, oltre che da raschiatoi ricavati da zanne di cinghiale, zappe e asce in corno di cervo, scalpelli in corno e ossa lunghe di uro, ritoccatoi, punteruoli e infine, a Vlasac, arponi piatti. Si conoscono sia siti all'aperto che in grotta; i primi sono rappresentati da due tipi di abitazioni: strutture circolari in Ungheria o trapezoidali nella Repubblica Federale di Iugoslavia (Lepenski Vir, Hajdučka Vodenica, Vlasac); a Lepenski Vir queste ultime formano un vero e proprio villaggio permanente. Negli insediamenti delle Porte di Ferro (Vlasac, Schela Cladovei) si trovano numerose sepolture all'interno delle strutture di abitato, ma non è escluso che in queste stesse microregioni vi siano state vere e proprie necropoli mesolitiche. Nell'Epigravettiano balcanico di età olocenica sono presenti alcuni oggetti ornamentali e manufatti decorati, incisi o scolpiti con motivi geometrici, mentre uno straordinario insieme di sculture di pietra con motivi zoo- e antropomorfi è inoltre documentato a Lepenski Vir.
Il complesso scandinavo delle "punte a codolo" - Questa denominazione deriva dalla presenza di punte per lo più a codolo e/o peduncolate e il fenomeno costituisce la continuazione in età olocenica del complesso a punte peduncolate della fine del Glaciale. Questo complesso si sviluppò nelle regioni settentrionali circumbaltiche (Norvegia, Finlandia, Svezia centrale e settentrionale, Carelia russa e Penisola di Kola), sia nelle foreste di conifere e nella tundra (limiti settentrionali), sia negli ambienti di alta montagna, rispettivamente abitati da alci e renne. Nelle regioni più meridionali, e più tardi anche in quelle centrali, all'alce si associò il cervo, mentre le balene comparvero nelle aree costiere. La possibilità di distinguere diverse zone dipende non solo dalla variabilità delle condizioni climatiche, ma anche dalla morfologia (zone di alta montagna e regioni costiere), oltre che dalla presenza di ghiacciai negli ambienti di alta montagna; questi limitarono la distribuzione degli insediamenti soprattutto alle zone costiere, all'epoca configurate in modo assai diverso da oggi, mentre le regioni montuose come la Norvegia venivano visitate solo stagionalmente. La morfologia dell'industria litica locale è fortemente influenzata dalla materia prima di scarsa qualità (quarzite e quarzo), mentre la selce è in pratica assente. Alcuni strumenti erano anche ricavati da rocce cristalline (ad es., le asce levigate di granito) e da pietre tenere (i manufatti di ardesia si diffusero molto lontano dai loro affioramenti, come nel caso di Olonetz). In questa regione sono noti un gran numero di siti, ma dalla maggior parte di essi provengono solo materiali di superficie. I siti scavati si trovano soprattutto in Norvegia e Svezia, mentre solo pochi sono segnalati nella Svezia centrale, nella Carelia russa e in Finnmark. La maggior parte delle datazioni si basa su considerazioni di ordine geologico (posizione dell'antica linea di costa marina) e solo di recente sono state pubblicate diverse datazioni al ¹⁴C. Da un punto di vista cronologico e tipologico, il fenomeno è strettamente collegato con le industrie del tardo Pleistocene dell'Europa centrale e orientale (Ahrensburgiano, Brommiano, Desniano), soprattutto per la presenza di punte peduncolate, ma anche per la morfologia dei grattatoi e dei bulini. Questi aspetti sembrano indicare l'origine meridionale e intrusiva del complesso scandinavo, che è da ricercare nell'abbandono della grande pianura europea da parte dei cacciatori di renne. La fase iniziale del Mesolitico scandinavo è caratterizzata da industrie con punte a codolo e asce non levigate (varianti locali sono Komsa a settentrione, Fosna a occidente, Suomusjärvi a oriente). In quest'ultima cultura sono attestati anche manufatti in pietra levigata e asce scanalate, teste di mazza di pietra decorate e infine pugnali in ardesia. Sulla costa del Kattegat è segnalata, nella stessa epoca, un'industria litica nota col nome di Sandarna. La seconda fase, che ebbe inizio nel 5500 a.C., comportò alcuni mutamenti nell'area meridionale, ove fece la sua comparsa la tradizione delle microlamelle (Nøstvet e Lihult), che presenta una nuova tecnologia su lamelle, asce e accette levigate caratterizzate da tipi diversificati localmente, mentre sono alquanto rare le punte peduncolate. L'industria su osso e corno mostra aspetti peculiari, come ad esempio le punte-coltello scanalate, associate ad ami da pesca, scalpelli in osso, pugnali e asce. Alcuni ritrovamenti ad Antreä (Carelia) consistono in resti di reti, mentre a Heinola (Finlandia) è documentata una slitta di legno. Gli sviluppi più recenti condussero alla cosiddetta "nuova età della Pietra" (ancora basata su un'economia di cacciatori-raccoglitori che utilizzava spesso, in diverse regioni, strumenti e armi ricavati da ardesia levigata e coltelli in osso, punte da getto, punte di freccia, manufatti a forma di T, coltelli decorati con incisioni, pugnali, ecc.), e finalmente introdussero una ceramica locale. Le poche abitazioni riferibili al Mesolitico scandinavo sono circolari od ovali (Nesseby IB), ma più spesso rettangolari (Bugøynes III), possono avere fondazioni in pietra o argilla, che sostengono il tetto e le pareti, ed essere raggruppate in un insediamento; nella cultura di Suomusjärvi sono segnalate necropoli. Alcune incisioni non datate (stile A dell'arte della costa norvegese) potrebbero forse essere associate alle popolazioni mesolitiche e lo stesso si può affermare a proposito dei "petroglifi" del Mar Bianco. Sembra anche che le teste di alce scolpite in pietra, corno e legno, già note dai contesti mesolitici dell'Europa orientale e dai più tardi contesti in Scandinavia, potrebbero caratterizzare il Mesolitico scandinavo, che presenta inoltre alcuni motivi decorativi geometrici su punte in osso e su manufatti di pietra (teste di mazze).
Il complesso nord-orientale - Questo nome fu proposto da S.K. Kozłowski, mentre precedentemente l'intero fenomeno non aveva alcuna denominazione precisa, ad eccezione di quella di "Mesolitico della zona di foreste della Pianura Russa", usata dagli autori sovietici e russi, o di "cultura di Kunda", secondo R. Indreko. Il Mesolitico nord-orientale è conosciuto nella pianura dell'Europa orientale (incluse la Russia, la Polonia nord-orientale, la Lituania, la Lettonia, l'Estonia, l'Ucraina, almeno fino alla porzione occidentale della Siberia). I suoi confini meridionali arrivano ai margini settentrionali delle steppe del Mar Nero. Questo vasto territorio è stato finora oggetto di scarse ricerche: mentre la parte meglio studiata è quella del bacino superiore del Volga, con diverse centinaia di siti, altre aree non sono state indagate e non vi si conoscono insediamenti. Questi siti sono per lo più privi di stratificazione e si installano su sedimenti sabbiosi; solo raramente dispongono di materiali organici e quindi di datazioni al ¹⁴C. Fanno eccezione numerose località palustri note nell'area baltica (come ad es., Pulli e Kunda-Lammasmägi in Estonia, Zvejnieki in Lettonia) e in Russia (Nižnee Veretye nella zona nord-occidentale, Oleniy Ostrov in Carelia, Zamost´ye 2, Okaemovo e Ozerki nel Volga superiore, Vis a settentrione). L'industria litica è ricavata da nuclei a un piano di percussione, conici o a forma di matita, che producono lamelle molto regolari ottenute mediante l'uso della tecnica a pressione, spesso sezionate e utilizzate come supporti per lunghi grattatoi, bulini, coltelli con ritocchi marginali e infine come elementi con microritocchi o privi di ritocco per armare le scanalature delle punte, dei coltelli e dei pugnali di osso. Localmente, soprattutto nelle regioni occidentali, si trovano punte di freccia a codolo e foliate, oltre ad asce non levigate. Questo strumentario è integrato da un'industria su corno ricca e originale che, tra gli altri manufatti, presenta aspetti tipici dell'Europa orientale (punte di osso con una singola fila di barbe, biconiche e a base fenduta, pugnali e coltelli), alcuni manufatti di legno (archi e sci da Vis, punte di freccia, pagaie e archi da Nižnee Veretye), come anche oggetti di ornamento (soprattutto sculture di teste di alce nelle sepolture, ma anche manufatti di osso con incisioni geometriche). Gli insediamenti umani, di piccole dimensioni, erano localizzati sui terrazzi fluviali e sulle rive dei laghi; si trattava probabilmente di accampamenti stagionali, con abitazioni ovali (Tichonovo in Russia) e rettangolari (Nižnee Veretye, sempre in Russia). Nelle regioni settentrionali si conoscono poche necropoli della fine del Mesolitico (Oleniy Ostrov e Popovo in Russia, Zvejnieki in Lettonia). Gli aspetti stilistici e tecnologici che caratterizzano il Mesolitico nord-orientale suggeriscono forti connessioni con il Paleolitico superiore della Siberia (ad es., Afontova Gora, Vercholanskaja Gora), forse diffuso anche nella parte europea della Russia (Zolototuchie nel Volga superiore, con presenza di corno di renna). D'altra parte gli autori russi mettono in rilievo il carattere post-Swideriano (vale a dire centro-europeo) delle punte di freccia sopra menzionate, che sono comunque prodotte secondo una tecnologia del tutto diversa. Il Mesolitico nord-orientale si sviluppò dunque nella grande pianura europea occupata da laghi postglaciali e da grandi fiumi, ricoperta da dense foreste per lo più di conifere e caratterizzata da un clima prevalentemente continentale. La documentazione esistente suggerisce un'economia di caccia (basata soprattutto sull'alce e, in alcune regioni e in minor misura, sul cinghiale, sull'uro o anche sul capriolo, oltre che sulla renna nelle aree più settentrionali), un'intensa attività di pesca (punte a barbe ancora inserite in resti di pesci, come a Kunda in Estonia) e di raccolta (castagne e gigli d'acqua, nocciole e molluschi terrestri). Verso la fine di questo periodo la pesca divenne sempre più intensa; questo fenomeno è considerato dagli studiosi come una prova del processo di neolitizzazione. L'eccezionale omogeneità tecnologica e stilistica di questo complesso non esclude l'esistenza di differenziazioni interne, riconoscibili nel gruppo delle punte di freccia che si ritrovano nella parte occidentale di quest'area, nelle asce di pietra levigata presenti nella regione del Baltico orientale o nei microliti rinvenuti in Lituania e, infine, nell'industria su osso e su corno ben diversificata. Deve essere sottolineato che in alcune zone, dove la selce è rara o del tutto assente, è possibile individuare una regione lacustre caratterizzata da una vera e propria "cultura su osso". Tutto ciò conduce alla suddivisione tassonomica (ancora provvisoria) del complesso nord-orientale in due distinti territori o facies culturali, che compaiono all'inizio dell'Olocene (ad es., in Estonia e nel Volga superiore) e sopravvivono fino al V millennio a.C. o ancora più a lungo, con un modello di adattamento tipico dei cacciatori-raccoglitori. Ciò significa che le tendenze evolutive nel Mesolitico della Russia non furono altrettanto forti come, ad esempio, nell'Europa centrale e occidentale. Tuttavia esse sono riconoscibili soprattutto nel gruppo delle punte di freccia (nella Russia nord-orientale), negli strumenti in osso (Lettonia) e nel rapporto schegge/lame (Volga superiore). Nel V millennio a.C. le popolazioni mesolitiche dell'Europa orientale acquisirono l'uso della ceramica.
Il complesso caucasico-caspiano - Anche questa denominazione è stata proposta da S.K. Kozłowski per le industrie del primo Olocene (tardo Pleistocene) del Caucaso, dell'Anatolia orientale, fino ad aspetti dell'Asia Centrale. Lo stesso complesso è anche conosciuto nelle steppe circumpontiche e in Crimea e deriva dalla fase del Paleolitico superiore (ad es., l'Imeretiano del Caucaso) collocabile nella fase temperata di Allerød, durante la quale acquisì le punte geometriche; tale fenomeno ha indotto gli autori russi a classificare questa entità tassonomica come mesolitica. In questa sede ne vengono presentati solo i caratteri principali relativi all'Olocene antico. Un piccolo numero di siti è noto soprattutto nelle aree montuose (grotte e ripari con livelli stratificati nel Caucaso e in Crimea), mentre nella steppa pontica si trova qualche raro sito all'aperto; le datazioni al ¹⁴C sono scarse. I resti faunistici rinvenuti in questi siti indicano l'esistenza di un ambiente di foresta localizzato in aree di montagna e di foresta-steppa, con predominanza di cinghiale, seguito dal cervo, dal capriolo e da più rari uri e cavalli. Il gruppo di Šan-Koba è noto in Crimea, nelle vicinanze del delta del Danubio (Belolesye in Ucraina) e nelle pendici settentrionali del Caucaso (Sosruko) e può essere datato con sicurezza al IX-VIII millennio a.C. Lo stesso gruppo ha un suo corrispondente stilistico a oriente (Edzani in Georgia, Chokh in Azerbaigian, Belt in Iran, Hallan Çemi in Turchia), che appartiene alla facies del Trialetiano. Lo Šankobiano è caratterizzato dall'utilizzazione di nuclei a un piano di percussione, sfruttati con la tecnica del percussore intermedio che permette di ottenere lamelle regolari e piuttosto larghe. Queste lamelle erano utilizzate per realizzare microliti di dimensioni piuttosto grandi (punte, semilune, troncature doppie e semplici, triangoli isosceli), integrati da grattatoi corti e bulini su troncatura. Alla fine della sequenza (livello superiore di Siuren II), questi elementi geometrici diventano più piccoli, mentre l'industria su osso e corno è caratterizzata da punte fusiformi. Si conosce una struttura di pietra dal riparo di Šan-Koba, mentre sepolture a inumazione sono state scavate nei livelli inferiori del sito di Zamil-Koba. Lo Šankobiano si sarebbe sviluppato nei complessi tipo Murzak- Koba e nelle industrie corrispondenti del Castelnoviano.
Il Castelnoviano - Il nome deriva dal sito francese di Châteauneuf-les-Martigues (Bouches-du-Rhône) e con un significato più ampio fu introdotto da S.K. Kozłowski; è parzialmente sinonimo del termine francese di Tardenoisiano. Il Castelnoviano è caratterizzato dall'insieme degli aspetti tecnologici e morfologici che comparvero nel Mediterraneo e nel bacino del Ponto nel corso del VII e all'inizio del VI millennio a.C., influenzando fortemente molte culture mesolitiche locali, dalla Crimea, alla Spagna e al Portogallo e dalla Tunisia alla Scandinavia meridionale. Il fenomeno, caratterizzato da tendenze interculturali e interregionali, interessò differenti ambienti mesolitici, producendo significativi mutamenti tecnologici e morfologici e terminando con la creazione di questa nuova entità tassonomica che può essere suddivisa in diversi gruppi o varianti locali. Gli eventi ora descritti ebbero inizio quando in determinate regioni si sviluppò l'utilizzazione di lamelle più strette e più regolari. Questa scelta fu la causa della trasformazione dell'intera catena operativa nella produzione litica, attraverso lo sfruttamento minerario di arnioni di dimensioni maggiori, il loro trasporto su lunga distanza (ad es., l'ossidiana di Milo, la selce color cioccolato della Polonia centrale e la quarzite di Wommensom nel Belgio), l'utilizzazione di nuclei preformati e, infine, la produzione di lamelle di buona qualità con la tecnica a pressione. Questa nuova tecnologia e i contatti a lungo raggio dipesero probabilmente dalla diffusione di un'industria fortemente standardizzata: trapezi/rombi e i conseguenti microbulini che sostituirono i tradizionali microliti, denticolati a ritocco laterale (Montbani), lame spesso sezionate (oltre a troncature ritoccate su lame). Questo nuovo tipo di industria comparve nel VII millennio a.C. in Crimea (cultura di Murzak-Koba), in Grecia (fase VIII della Grotta di Franchthi) e forse anche in Tunisia (Capsiano superiore). In epoca leggermente successiva (6000 a.C. ca.) è nota anche in Italia e nella Francia meridionale (Castelnoviano classico) e, a partire forse dal 5500 a.C., nella Penisola Iberica (gruppi locali del Castelnoviano di Cocina e Moita do Sebastiâo), nella Francia sud-occidentale (Cuzoul nel Lot), nei versanti settentrionali delle Alpi, nel bacino di Parigi e nel Belgio (cultura di Montbani). Nelle regioni settentrionali raggiunse la Scandinavia meridionale (cultura di Kongemose) e l'Europa centro-orientale (Grebeniki e Kukrek nella steppa ucraina e Janislawiciano nell'interno). L'intero fenomeno ebbe probabilmente inizio in area sudorientale molto prima del 6000 a.C. e si diffuse intorno al 6000 a.C. verso occidente, seguendo la sponda settentrionale del Mediterraneo, per raggiungere verso la metà del VI millennio a.C. l'Europa nord-occidentale e le regioni orientali dell'Europa centrale, dando origine a nuove entità culturali (Cuzoul, Cocina, Hoëdic, Montbani, Janislawiciano, ecc.). L'industria su osso e corno differisce regionalmente: a occidente la punta affusolata continuò a essere utilizzata, mentre a settentrione delle Alpi si diffuse un nuovo tipo di arpone piatto (Liesbergmühli, Birsmatten-Basisgrotte in Svizzera), accompagnato dalla tradizionale industria su osso e corno del Mesolitico europeo. In Crimea, nella steppa ucraina e nell'Europa centrale sono documentati rispettivamente arponi piatti e punte con scanalature. La cosiddetta "venere" del Riparo Gaban in Italia è riferibile al Castelnoviano. Gli insediamenti sono localizzati in grotte (Crvena Stijena in Bosnia, Odmut nella Repubblica Federale di Iugoslavia, Franchthi in Grecia) e ripari (Romagnano III in Italia, Châteauneuf- les-Martigues in Francia, Liesbergmühli in Svizzera), ma anche all'aperto (Montbani nell'Aisne in Francia, Schötz 7 in Svizzera, Leduc in Belgio, Kongemose in Danimarca). Si conoscono poche strutture circolari od ovali (Grzybowa Gora in Polonia), a pozzo (Baume de Montclus nel Gard, in Francia) e su pali (Moita do Sebastiâo in Portogallo). Vi sono necropoli (Moita do Sebastiâo, Hoëdic e Téviec nel Morbihan in Francia, Vasilevko in Ucraina), e singole sepolture (Janisławice in Polonia). In una fase avanzata del loro sviluppo diversi gruppi castelnoviani utilizzarono la ceramica (Bug-Dnestr, Impressa, Cardiale, Gaban, Vho, Haguette) e infine, in epoca più tarda, acquisirono caratteri neolitici. In Grecia, nella Grotta di Franchthi e ad Argissa Magoula, e in Ucraina sudoccidentale, a Moldova (Soroki I), le industrie locali di stile castelnoviano raggiunsero lo stadio neolitico prima della comparsa della ceramica.
La formazione dei nuovi complessi mesolitici non si verificò ovunque: nelle regioni più isolate (Balcani, Scandinavia) perdurarono le vecchie strutture e tradizioni, così come accadde in altre remote regioni. È necessario ricordare, ad esempio, le industrie epigravettiane della Spagna (l'Asturiano caratterizzato dai picchi), forse anche quelle dell'Italia meridionale e il Desniano con punte a codolo che sopravvisse sulle rive dell'alto Dnepr. Questo isolamento, come anche la specializzazione economica (adattamento costiero, come nel caso dell'Asturiano), condussero le comunità periferiche (ad es., nell'area di Oban in Scozia o di Larne in Irlanda settentrionale) allo sviluppo di uno specifico tipo di cultura. L'arte realistica zoomorfa levantina della Spagna, precedentemente attribuita al tardo Mesolitico, sembra essere molto più recente.
S.K. Kozłowski, The Mesolithic in Europe, Warsaw 1973; Id., Cultural Differentiations of Europe from 10th to 5th Millennium B.C.,Warsaw 1975; B. Gramsch (ed.), Mesolithicum in Europa, inVeröffMusPotsdam, 14-15 (1981); C. Bonsall (ed.), The Mesolithic in Europe, Edinburgh 1987; O. Vermeersch - P. van Peer (edd.), Contributions to the Mesolithic in Europe, Leuven 1990; P. Binz (ed.), Épipaléolithique et Mésolithique en Europe, Grenoble (c.s.).
di Massimo Vidale
Il termine Mesolitico, utilizzato principalmente per i complessi europei degli inizi dell'Olocene, è stato esteso anche ad ampie aree del Medio ed Estremo Oriente per descrivere popolazioni e culture con analoghe tecnologie e forme di sussistenza, senza tuttavia riuscire a rendere pienamente ragione della variabilità e della complessità delle forme dell'adattamento postpleistocenico. Nel Vicino Oriente, in particolare, il termine Mesolitico non è mai entrato a far pienamente parte della tradizione terminologica degli studi. Alle diverse culture dell'Epipaleolitico della fine del Pleistocene superiore, caratterizzate da industrie microlitiche a lamelle (Kebariano), segue infatti il cosiddetto Natufiano, caratterizzato dalla precocità dei processi di sedentarizzazione, che sarà ulteriormente amplificata dai gruppi del Neolitico antico. Problematica risulta l'applicazione del termine Mesolitico anche a Sri Lanka, dove il processo di riduzione dimensionale delle industrie su lama e microlama, insieme alla comparsa dei primi microliti di forma geometrica, appare anch'esso straordinariamente precoce rispetto a quanto si è verificato in ampie regioni del continente euroasiatico.
Per quanto riguarda questa regione, l'aspetto più importante della fase epipaleolitica (cioè della transizione tra le industrie litiche del Paleolitico superiore e quelle dei primi insediamenti di cacciatori-raccoglitori-primi agricoltori in via di sedentarizzazione) è stato definito nel 1928 da D. Garrod col termine di Zarziano (dal livello B del Riparo di Zarzi, negli Zagros). Tale definizione accomuna l'Epipaleolitico dell'Iraq e dell'Iran dal Kurdistan (Shanidar) fino al Khuzistan, ma anche nei pressi del Mar Caspio (grotte di Belt e Hotu), caratterizzati da una industria microlitica a lamelle e dorsi geometrici, questi ultimi a volte assenti (Warwasi, Turkaka). La cronologia di questo insieme di complessi è ancora oggi incerta, per la scarsità di datazioni al ¹⁴C: le uniche date ottenute con questo metodo provengono da Shanidar e Palegawra e collocano gli orizzonti zarziani tra il 12.500 e il 10.500 a.C. A Shanidar, un livello "protoneolitico" con datazione intorno all'8500 a.C. si sovrappone allo Zarziano.
Le ricerche più importanti sul Mesolitico della regione sono quelle condotte negli anni Sessanta da studiosi dell'ex Unione Sovietica, quali A.P. Okladnikov, G.E. Markov, G.F. Korobkova, A. Ranov. Coerentemente con gli interessi scientifici del tempo, gli studi si concentrarono sugli aspetti tipologici delle industrie litiche, nel tentativo di realizzare per esse una soddisfacente griglia cronologica, alla luce, soprattutto, delle limitate informazioni disponibili per l'altopiano iranico. Nella regione del Caspio siti mesolitici vennero individuati negli altopiani della penisola di Krasnovosk, sulla cresta del Balkhan, in alcune grotte con depositi pluristratificati e, più raramente, in siti all'aperto, purtroppo mal conservati. Nelle grotte, dove i depositi erano più protetti, gli archeologi russi identificarono due diversi gruppi culturali. Il primo, riconosciuto negli strati inferiori della Grotta di Dam Dam Cheshme 2 e in altri depositi di Jebel e Kaskir-Bulak, era caratterizzato da strumenti medio-grandi a forma di trapezio e di triangolo isoscele; esso trovava significativi confronti con depositi in grotta in territorio iraniano (grotte di Belt e Hotu). Il secondo gruppo, più recente, rappresentato dai livelli superiori della stessa Grotta di Dam Dam Cheshme 2 e di altri siti coevi (Tash Arvat, Bash Keriz), si suddivideva, a sua volta, in due complessi: il più antico era rappresentato da microliti geometrici relativamente spessi, come punte proiettili a lavorazione bifacciale (sia di freccia sia di giavellotto); il più recente era invece caratterizzato da microliti a trapezio, a segmento, a triangolo scaleno, punte su lama, mentre risultavano assenti le punte a lavorazione bifacciale. Quest'ultimo complesso è stato paragonato a depositi mesolitici scavati in territorio iraniano (Zarzi, Shanidar). Resta tuttavia da chiarire se a tali avvicendamenti di industrie diverse si debba attribuire un significato cronologico-culturale o se esse riflettano invece, in modo più casuale, diverse modalità di sfruttamento degli ecosistemi. Nel Tajikistan la transizione tra Paleolitico superiore e Mesolitico è stata datata tra il XII e il X millennio a.C. (siti di Tutkaul e Ak Tanga): le industrie di questo periodo giungono a contenere sino al 50% di microliti a forma di rettangolo allungato e stretto (un tipo di strumento apparentemente diffuso dalla Palestina all'Afghanistan settentrionale). Vi sono anche lamelle a dorso e punte, strumenti ricavati da segmenti di lama e testimonianze di industrie su ciottolo scheggiato. Nel Pamir orientale, tra gli anni Sessanta e Settanta, sono invece stati scavati sia depositi in grotte (a Istynskaja), sia insediamenti all'aperto di cacciatori, datati ai primi secoli dell'VIII millennio a.C. (cultura di Markansu, sito di Oshkhona, a più di 4000 m di altitudine). In questi siti sono venuti alla luce i resti di abitazioni a pianta ovoidale, con basi e focolari segnati da pietre; l'industria presenta choppers e chopping tools associati a lamelle, spesso trasformate in grattatoi, raschiatoi, lunati e rettangoli, mentre più rare sono le punte di freccia a lavorazione bifacciale.
La quantità di siti considerati mesolitici (almeno 2000, dei quali ca. 30 scavati), la presenza di numerose sepolture (le più antiche dell'India peninsulare) e la conservazione di abbondanti resti faunistici e paleobotanici, rispetto alla scarsità della documentazione relativa al Paleolitico, rendono quest'area un campo d'indagine privilegiato. Tuttavia, l'adozione del termine Mesolitico, tradizionalmente utilizzato nella preistoria europea, per designare anche nel Subcontinente la grande trasformazione economica e sociale, oltre che climatica ed ecologica, verificatasi agli albori dell'Olocene (a partire da 12.000 anni fa ca.), ha posto alcuni difficili problemi interpretativi. Da un lato, infatti, l'indiscutibile convergenza delle industrie litiche del Subcontinente indiano verso il microlitismo e l'adozione di microstrumenti geometrici, insieme alla diversificazione delle attività di sussistenza ed economiche (e probabilmente dei ruoli gerarchici) all'interno dei gruppi tribali, giustificano l'uso del termine, che designa efficacemente un generalizzato e rivoluzionario passo dell'evoluzione sociale. Dall'altro lato, una latente confusione tra industrie microlitiche e industrie geometriche ha rischiato di estendere l'uso del termine a epoche più antiche, fino a includere industrie epipaleolitiche su lama e, sul fronte opposto, industrie specializzate di età ormai protostorica. Più in generale, nel Subcontinente il termine ha finito per designare due fenomeni completamente diversi: lo sviluppo di economie di caccia, pesca e raccolta, a seguito delle nuove condizioni ecologiche dell'Olocene, e, allo stesso tempo, l'adattamento di gruppi residui di cacciatori-raccoglitori (caratterizzati da economie di tipo mesolitico-neolitico) ai mondi protostatali e protourbani, tra il III e il I millennio a.C. Alcuni studiosi hanno cercato di far coincidere il primo fenomeno con l'idea di un Mesolitico antico "non-geometrico", seguito da un Mesolitico tardo a prevalenza di microstrumenti geometrici. Su questa base è stata quindi proposta, per gli ultimi 10.000 anni, una scansione così articolata: 1) industrie microlitiche nongeometriche; 2) industrie microlitiche geometriche; 3) industrie microlitiche geometriche associate a ceramica (dal III-II millennio a.C. in poi); 4) industrie geometriche tarde associate a ceramiche di età storica. Lo sviluppo di scavi e ricognizioni, tuttavia, non conferma pienamente tale scansione: nel Subcontinente l'uso di strumenti a triangolo scaleno su supporto di lama, una tecnica "prototipo" per le successive industrie geometriche, è già attestato in siti del Paleolitico superiore. A Sri Lanka industrie microlitiche non-geometriche sono state datate col radiocarbonio a circa 33.000 anni fa: si tratta di una data molto antica, vicina a quella proposta per complessi simili nell'Africa australe (fatto che suggerirebbe un peculiare adattamento all'ecologia delle regioni subtropicali); le prime industrie geometriche risalirebbero invece a circa 28.000 anni fa. Nel Subcontinente la diffusione delle industrie geometriche, come la sopravvivenza nel tempo di tecniche di scheggiatura relativamente primitive, riflette probabilmente, al di là dell'evoluzione tecnologica, un attivo e multiforme processo di specializzazione nello sfruttamento delle diverse zone ecologiche e di un parallelo adattamento sociale, processo in corso ancora oggi. I ritrovamenti archeologici più cospicui sono comunque associati alle fasi più recenti dell'Olocene: alcune antiche sepolture dell'India gangetica sembrano databili al VII millennio a.C. (siti di Damdama e Lekhania), ma altre risalgono al V-III millennio; le migliaia di siti con resti di pitture rupestri dell'India centrale sono invece datate in prevalenza entro gli ultimi cinque millenni prima della nostra era (alcuni livelli tardi dei ripari di Bhimbetka risalgono al I millennio a.C.). La scarsità delle datazioni radiometriche sinora pubblicate e la limitata affidabilità di alcune di esse complicano ulteriormente il controverso problema. Siti definiti mesolitici sono stati identificati nell'intero territorio dell'India e cominciano a essere individuati anche in Pakistan, presso i margini occidentali del Deserto di Thar; in quest'area, nel Gujarat e nel Marwar, gli insediamenti mesolitici occuparono zone caratterizzate da dune sabbiose, spesso in corrispondenza di anse fluviali estinte, meandri e laghi terminali, che stagionalmente potevano ospitare una ricca e diversificata biomassa. Simili microambienti attiravano presso il margine centromeridionale della valle del Gange i cacciatori e i raccoglitori in cerca di cacciagione, ma anche di più sicure risorse acquatiche. Nelle zone montuose e coperte da fitte foreste, come i massicci e le valli interne del Deccan e le catene costiere dei Ghat, sono noti siti in grotta, o sotto riparo, ma anche abitati all'aperto, sulla cima di colline in posizione dominante; lungo le coste, i gruppi mesolitici si insediavano sulle dune e sfruttavano intensamente le risorse marine. La grande diffusione di questi siti fa pensare a una fase di notevole incremento demografico, mentre le scene di collaborazione nella caccia, nella raccolta e nei rituali delle raffigurazioni rupestri restituiscono l'immagine di società parzialmente gerarchizzate e dominate da capi. Certo è che i gruppi mesolitici erano dotati di una cultura materiale efficiente e diversificata, che col tempo continuò ad arricchirsi. Gli strumenti microlitici in pietra scheggiata includevano lame, lame ritoccate, bulini, punte e perforatori, diversi tipi di raschiatoi, triangoli, trapezi e lunati; molti di essi venivano montati su supporti lignei e usati come componenti di punte di freccia e lancia, falcetti e arponi. In pietra levigata erano realizzati percussori, proiettili da fionda, pietre perforate ad anello (da taluni interpretate come pesi per bastoni da scavo), macine e macinelli. Anche l'osso e il corno erano usati per fabbricare punte di freccia, lame, ceselli, aghi, raschiatoi, nonché oggetti usati come elementi di collana, pendenti e orecchini. Molti di questi manufatti sono riprodotti nelle raffigurazioni rupestri di Bhimbetka e di altri siti; dalle stesse immagini si apprende che, oltre all'arco e alle frecce, le popolazioni mesolitiche usavano maschere, trappole, reti, corde, contenitori in materiale organico, come borse e sacchi, e che vestivano con perizomi. Il modello di sussistenza delle popolazioni mesolitiche può essere ricostruito attraverso lo studio dei resti faunistici, delle prime determinazioni paleobotaniche e, ancora una volta, delle raffigurazioni rupestri. Lo spettro delle risorse sfruttate dalle varie comunità appare di regola molto ampio. La caccia, nella quale veniva già impiegato il cane, aveva come oggetto mammiferi di media e grande taglia, tra cui diversi tipi di bovini selvatici, Cervidi, rinoceronti, elefanti, cinghiali, antilopi, piccoli mammiferi e alcune specie di roditori. In diversi siti sono state riconosciute tracce della domesticazione di bovini e caprovini. Le ossa degli animali consumati venivano accuratamente spaccate allo scopo di estrarne i grassi e il midollo; comuni sono anche i resti di pesci, tartarughe e uccelli. Lo studio delle ossa animali che sono state trovate nell'abitato pluristratificato di Damdama suggerisce che fasi di intensa caccia a grandi mammiferi si alternassero a fasi contraddistinte dallo sfruttamento di uno spettro più ampio di specie di taglie minori. I dipinti di Bhimbetka mostrano, inoltre, immagini di tigri, leopardi e scimmie e riproducono scene di raccolta del miele e di piante selvatiche. A Sri Lanka, in siti mesolitici in grotta, sono stati rinvenuti resti di piante selvatiche, come la banana e l'albero del pane. A Damdama sono state identificate tracce di diversi tipi di specie selvatiche, tra le quali Chenopodiacee, Poligonacee, Graminacee; a Mahadaha sono stati rinvenuti semi di giuggiolo, frammenti di bambù e, come anche nel più tardo sito di Chopani-Mando (valle del Gange), resti attribuiti a diverse varietà di riso selvatico. In questi abitati compaiono dunque per la prima volta alcune delle specie vegetali che, nel corso dei millenni successivi, acquisteranno un'importanza sempre maggiore. L'analisi comparata delle quantità relative degli isotopi nelle ossa umane delle sepolture gangetiche sembra indicare diete differenziate per comunità di regioni contigue, forse come risultato di una accentuata strategia di differenziazione economica. I dati di scavo (confermando quanto indicato dalle pitture rupestri) mostrano che gli abitati erano composti da piccoli gruppi di capanne circolari od ovali, più raramente rettangolari; nella valle del Gange è attestata la presenza di pavimenti preparati con strati d'argilla e di focolari ovali o circolari a pozzetto intonacato, forse usati dai singoli nuclei familiari. L'area circostante i focolari era adibita alla preparazione del cibo e poteva ospitare apposite piattaforme rialzate; altri pozzetti potevano avere funzione d'immagazzinamento. Poiché spesso le sepolture sembrano addensarsi attorno ai focolari, si è supposto che questi rappresentassero, anche simbolicamente, il fulcro della vita sociale. Le sepolture (siti di Mahadaha e Damdama, nella valle del Gange) erano costituite da fosse poco profonde, di forma oblunga, in cui, di norma, il defunto veniva deposto in posizione supina; solo di rado lo scheletro appare coricato su un fianco e/o rannicchiato. Sono note anche sepolture bisome e multiple, mentre in alcuni siti sono comuni sepolture parziali, comprendenti solo alcune parti dello scheletro. A volte, nelle tombe erano presenti oggetti di accompagnamento, come ornamenti personali, punte di freccia in osso, frammenti di ocra, macine in pietra levigata. Gli scheletri, come rivelano le indagini antropologiche, appartengono a individui robusti, piuttosto ben nutriti, con denti larghi e raramente affetti da patologie; ciò lungi dal rappresentare un connotato etnico, è stato interpretato come il risultato di forti pressioni selettive. A Sarai-Nahar- Rai (valle del Gange) conficcati nelle ossa di alcuni scheletri sono stati rinvenuti dei microliti silicei, dato che testimonia avanzati livelli di conflittualità e la pratica degli scontri armati. A partire dal III-II millennio a.C., intorno alle regioni maggiormente interessate dallo sviluppo dell'agricoltura, della vita di città e di villaggio (come l'Haryana, il Gujarat e, più tardi, il Maharashtra), le comunità mesolitiche iniziarono a interagire con le popolazioni agricole e i mercati cittadini, cedendo prodotti delle loro attività di raccolta e di caccia e importando strumenti in metallo, ceramica e grani di collana in pietre semipreziose. In diversi siti dell'India settentrionale, di conseguenza, oggetti harappani del III millennio a.C., ceramiche calcolitiche del Maharashtra del II millennio a.C. e punte di freccia in ferro si ritrovano così in strati culturalmente mesolitici. Tramite un lungo processo di acculturazione, mediato dal sistema delle caste, l'economia di questi gruppi giunse ad accostarsi a quella delle società agricole: alla caccia e alla raccolta si aggiunsero il baratto e la vendita di prodotti forestali, la cura delle greggi, attività agricole su piccola scala, producendo così il modo di vita delle odierne comunità tribali di cacciatori-raccoglitori.
F. Horus - L. Copeland - O. Aurenche, Les industries paléolithiques du Proche-Orient. Essai de corrélation, in Anthropologie, 77 (1973); Y. Misra - Y. Mathpal - M. Nagar, Bhimbetka - Prehistoric Man and his Art in Central India, Poona 1977; R.V. Joshi, Stone Age Culture of Central India, Poona 1978; G.F. Korobkova, Mezolit Srednej Azii i Kazachstana [Il Mesolitico dell'Asia Centrale e del Kazakhstan], in Mezolit SSSR, Moskva 1989, pp. 149-73; J.N. Pal, Mesolithic Settlements in the Ganga Plain, in Man and Environment, 19, 1-2 (1994), pp. 91-101; M.D. Kajale, Plant Resources and Diet among the Mesolithic Hunters and Foragers, in G. Afanas´ev et al. (edd.),The Prehistory of Asia and Oceania, Section 16, XIII International Congress of Prehistoric and Protohistoric Sciences (Forlì, 8-14 September 1996), Forlì 1996, pp. 251-53; V.N. Misra, Mesolithic India: History and Current Status of Research, ibid. pp. 321-28; J.N. Pandey, Burial Practices and Funerary Practices of Mesolithic India, ibid., pp. 279-90; P.K. Thomas et al., Faunal Evidence for the Mesolithic Food Economy of the Gangetic Plain with Special Reference to Damdama, ibid., pp. 255-66.
di Roberto Ciarla
Il termine Mesolitico ha avuto una limitata applicazione nell'Asia orientale e sud-orientale, dove esso è stato utilizzato per definire industrie e facies culturali comprese tra la fine del Pleistocene e l'inizio dell'Olocene; più frequente è invece l'uso dei termini Paleolitico terminale, Olocene iniziale, facies paleolitiche postglaciali. Lo iato cronologico e culturale che sembrava dividere le culture tardopaleolitiche da quelle neolitiche iniziali si va lentamente colmando nell'intera area estremo- orientale, dalla Siberia meridionale al Sud-Est asiatico continentale. I dati archeologici attualmente disponibili lasciano intravedere culture di transizione inquadrabili tra la fine del Pleistocene e l'inizio dell'Olocene, in corrispondenza della fine della glaciazione di Dali e degli episodi glaciali a essa collegati, dal Tibet alla dorsale montuosa di Honshu, le quali possono essere divise in due principali gruppi. Il primo gruppo è quello settentrionale, comprendente il Tibet orientale, il Xinjiang-Uygur, la Mongolia, la Manciuria, la Cina settentrionale, la Corea e il Giappone, in cui a partire almeno da 14.000 anni fa si attesta l'uso di industria microlitica su scheggia e su lama, con raschiatoi circolari, bulini, lamelle, punte di freccia a base concava o a codolo, nuclei troncopiramidali (tipologicamente differenziati da regione a regione e con variazioni dimensionali che non superano i 9 cm), industria spesso associata a scheggiatura di tipo "musterianolevalloisiano" nota, ad esempio, per le industrie ordosiane del Pleistocene tardo. Il secondo gruppo è quello meridionale, comprendente la Cina meridionale e il Sud-Est asiatico, con industria su ciottolo nella tradizione dei chopper-chopping tools, esemplificata dal tecnocomplesso Hoabinhniano e la cui appartenenza olocenica è dimostrata soltanto dalla presenza di fauna moderna nei siti indagati. A partire dal periodo postglaciale, ulteriore elemento di divisione è la comparsa di ceramica in alcuni siti in grotta, con depositi databili tra 13.000 e 10.000 anni fa: Xianrendong (Prov. di Jiangxi, Cina) e Zengpiyan (Prov. di Guangxi, Cina) per il gruppo meridionale; Kamikuroiwa (Shikoku, Giappone) e Fukui (Kyushu, Giappone) per quello settentrionale. Il miglioramento climatico iniziatosi intorno a 12.000-10.000 anni fa nell'intera area estremo-orientale produsse ecosistemi umidi e ricchi di risorse vegetali e animali, oggetto di sfruttamento intensivo da parte dei gruppi di cacciatori/pescatoriraccoglitori, alcuni dei quali, nelle regioni della Cina sud-orientale, sembrerebbero avere avviato pratiche di sfruttamento di specie animali e vegetali vicine a una protoagricoltura orticola. La comprensione e la dimostrazione delle trasformazioni che portarono a una piena economia agricola in diverse regioni dell'Asia orientale, a iniziare dalle valli del Fiume Giallo e dello Yangtze nel VII-VI millennio a.C., richiedono un dettagliato approfondimento delle ricerche sui cambiamenti verificatisi nella flora e nella fauna asiatica nei millenni a cavallo del primo Olocene. Tali ricerche, iniziate sul finire degli anni Settanta, stanno delineando originali e distinti processi locali di domesticazione, che portarono nel Nord (in ordine cronologico: Cina settentrionale, Mongolia orientale, Corea) alla coltivazione del miglio e nel Sud (dapprima media-bassa valle dello Yangtze e poi valli fluviali dell'intera Asia sud-orientale) a quella del riso, affiancati dall'allevamento di cane, maiale e gallinacei. A queste aree di domesticazione primaria e di adattamento agricolo si contrapporrebbero aree in cui l'adattamento ad ambienti particolarmente favorevoli si sarebbe mantenuto per diversi millenni (in Giappone fino alla metà del I millennio a.C., in alcune aree dell'Asia sud-orientale fino ai giorni nostri) a livelli di raccolta intensiva e/o di protodomesticazione di specie animali e vegetali.
L.H. Lin, Dongnanya caipei zhiwu zhi qiyuan [L'origine delle piante coltivate nell'Asia sud-orientale], Hong Kong 1966; C.M. Aikens - T. Higuchi, Prehistory of Japan, New York 1982; K.C. Chang, The Archaeology of Ancient China, New Haven 1986; F. Ikawa-Smith, Late Pleistocene-Early Holocene Technologies, in R.J. Pearson (ed.), Windows on the Japanese Past: Studies in Archaeology and Prehistory, Ann Arbor 1986, pp. 199-216; M. Tsukada, Vegetation in Prehistoric Japan: the Last 20,000 Years, ibid., pp. 11-56; S.M. Nelson, The Archaeology of Korea, Cambridge 1993.
di Donatella Usai
I termini Epipaleolitico e Mesolitico sono utilizzati per l'Africa settentrionale per designare culture che si svilupparono tra la fine del Pleistocene e gli inizi dell'Olocene antico, tra il XIV e il V millennio a.C. circa. L'adozione dell'uno o dell'altro termine è spesso dipesa dalla formazione prevalentemente eurocentrica degli studiosi, che hanno trattato queste aree in netta contrapposizione rispetto al resto del continente africano, dove le diverse culture riferibili a questo periodo vengono genericamente attribuite alla Late Stone Age (tarda età della Pietra). Nelle svariate situazioni ecosistemiche e geomorfologiche che si incontrano nell'Africa settentrionale, dal deserto del Sahara all'Atlante marocchino, dalle zone montuose dell'Algeria e della Tunisia alla valle del Nilo, nel periodo considerato comparvero culture che, pur con differenze significative nello strumentario litico, avevano in comune un'economia basata sulla caccia e sulla raccolta e, in alcuni habitat favorevoli, anche sulla pesca. Importanti variazioni nell'assetto generale del clima, intervenute con certezza alla fine del Pleistocene, hanno profondamente inciso sulla copertura vegetazionale e sul popolamento animale e umano di queste regioni. Basti a questo proposito pensare alla discontinuità cronologica che separa l'Ateriano, cultura del Paleolitico medio diffusa su tutta l'area sahariana fino al Deserto Occidentale (Sahara Orientale), in Egitto, e la successiva fase dell'Epipaleolitico (Clark 1982). A parte la valle del Nilo e altre zone, quali l'Etiopia e l'Eritrea, in cui l'assenza di dati archeologici relativi al Paleolitico superiore potrebbe essere dovuta alla mancanza di ricerche sistematiche, tra la fine dell'Ateriano e l'inizio del Paleolitico superiore, in tutta l'immensa area sahariana e nella zona degli Atlanti maghrebini ci sono 20.000-30.000 anni di vuoto. Alla fine del Pleistocene tardo e durante parte dell'Olocene antico, la fascia desertica venne investita da un'ondata di clima umido, con piogge abbondanti che favorirono la formazione di laghi e paludi oltre alla riattivazione di antichi bacini fluviali, come lo Wadi Howar, che dal Lago Ciad, attraverso il deserto occidentale sudanese, si getta nel Nilo all'altezza di Vecchia Dongola. Dalle aree dove le condizioni ambientali si erano mantenute sufficientemente stabili da garantire la sopravvivenza dell'uomo, gruppi di cacciatori-raccoglitori si spostarono verso le aree in precedenza occupate dal deserto, portando con sé una cultura materiale di chiara tradizione epipaleolitica caratterizzata da industrie su lama. Lo strumentario litico è composto soprattutto da lame a dorso abbattuto e punte di La Muillah e vi compare la tecnica del microbulino. Intaccature e denticolati sono abbastanza frequenti, mentre piuttosto rari sono i grattatoi e i bulini. Le uova di struzzo erano utilizzate probabilmente come contenitori per sostanze liquide e venivano decorate con motivi geometrici, fra cui prevalgono cerchi concentrici e incisioni lineari a spina di pesce; dalle stesse uova di struzzo si ricavavano inoltre perline per ornamento personale. Tracce consistenti di questi gruppi umani sono state localizzate intorno a depositi lacustri anche di limitata estensione e alimentati da piogge irregolari (Nabta Playa, l'altopiano di Bir Kiseiba); si ritiene che essi provenissero dalla Nubia e dall'area egiziana di Wadi Halfa (complessi Arkiniano e Shamarkiano). Si trattava di cacciatori nomadi che durante l'estate praticavano, oltre alla caccia e alla raccolta, anche la pesca lungo la valle del Nilo, per spostarsi poi nel deserto durante l'inverno. I resti dei loro accampamenti sono assolutamente effimeri e, forse non solo per effetto dei forti processi erosivi che caratterizzano queste zone, segnalati in superficie dal materiale litico di cui era prevalentemente composto il loro strumentario. Soltanto il sito E-75-6, a Nabta Playa, ha restituito resti di capanne, focolari, buche di palo e pozzi artificiali che forniscono indicazioni sull'organizzazione di questi villaggi temporanei. Non si conoscono sepolture associate a questi accampamenti e pertanto, allo stato attuale delle ricerche, non si possiedono informazioni né sul piano antropologico fisico, né su quello ideologico. Uno dei pochi siti noti per questa fase, lungo la valle del Nilo, è quello di Elkab, a sud di Luxor. Contemporanei e simili a questo sono gli accampamenti, del cosiddetto Qaruniano, localizzati intorno al lago del Fayyum. L'esiguo numero di siti riferibili all'Epipaleolitico noti lungo la valle del Nilo è probabilmente da attribuire a problemi di scarsa visibilità degli stessi o, forse, al restringimento della piana alluvionale determinato da una fase di aggradazione del fiume. Un elemento comune ai siti della fascia desertica sahariana e a quelli dell'alta valle del Nilo, dalla Nubia meridionale alla regione di Khartum, è la presenza di una ceramica decorata a impressione con il margine dentellato di una conchiglia, con un movimento rotatorio che fa perno, alternativamente, sulle estremità dello strumento. Ne risulta una decorazione a denti di lupo anche se l'effetto finale è quello di linee di punti che possono avere anche un andamento a onde: si tratta della cosiddetta ceramica dotted wavy line. Questa ceramica, unitamente a un tipo con decorazione a linee ondulate incise, denominata wavy line, fu individuata per la prima volta negli anni Cinquanta dall'archeologo inglese A.J. Arkell nel sito di Khartum Hospital. In seguito i ritrovamenti di ceramica dotted wavy line si moltiplicarono e oggi essa appare diffusa in tutta la fascia desertica sahariana. Sull'origine di questa ceramica, la più antica che si conosca, è a tutt'oggi in corso un dibattito scientifico. I ritrovamenti di questo tipo di ceramica nell'alta valle del Nilo, a Khartum e nella zona di confluenza dell'Atbara e del Nilo (Aneibis, Abu Darbein, El Damer) hanno datazioni al radiocarbonio intorno alla seconda metà dell'XI millennio a.C. e risultano quindi contemporanei ad analoghi ritrovamenti effettuati nel Sahara centrale. I contesti ai quali queste ceramiche sono associate nell'una e nell'altra area denotano, invece, differenze di rilievo. I siti rinvenuti lungo la valle del Nilo, in Sudan, sono siti di cacciatori-raccoglitori dediti anche ad attività di pesca; i villaggi raggiungono estensioni di quasi un ettaro e hanno carattere di maggiore stabilità. La definizione di Mesolitico di Khartum, per questi insediamenti, non sarebbe quindi del tutto inappropriata, anche se in origine a determinarne l'adozione fu sostanzialmente la presenza, nella produzione litica, di elementi geometrici, soprattutto di lunati. Nell'area sahariana, invece, i siti che hanno restituito ceramica del tipo dotted wavy line hanno carattere decisamente stagionale, sono legati ancora ad attività di caccia e raccolta, anche se sembrano orientarsi verso una forma di protopastoralismo, interpretata da più autori come indizio di incipiente domesticazione della pecora. Vi si trova un'industria litica con strumenti ottenuti su supporto laminare, ma con una chiara evidenza della comparsa di un'industria su scheggia e dell'uso di macine. I loro predecessori epipaleolitici, di uno o due millenni prima, erano anch'essi cacciatori-raccoglitori e occupavano soprattutto siti montani, con una mobilità di tipo stagionale verso le aree lacustri, dove si dedicavano anche ad attività di pesca. Non conoscevano la ceramica e avevano un'industria caratterizzata prevalentemente da strumenti microlitici, ottenuti su lama e con abbondante uso del ritocco erto. Tra i siti della regione sahariana databili a questo periodo, alcuni tra i più conosciuti, quali Ti-n-Torha, Uan Muhuggiag, Uan Tabu, Uan Afuda, si trovano nel massiccio dell'Acacus, in Libia, in un'area in cui sono state rinvenute anche numerose pitture rupestri. Le più antiche tra queste pitture, eseguite in stile naturalistico e raffiguranti soprattutto Bovidi dalle lunghe corna (Bubalus antiquus), sembrano potersi datare proprio all'inizio dell'Olocene antico. Di notevole valore sono, poi, le testimonianze artistiche lasciateci dai frequentatori epipaleolitici della fascia più settentrionale dell'Africa, in Tunisia, Algeria e Marocco. Gli artefici di queste produzioni sono soprattutto i portatori della cultura capsiana attestata tra VIII e V millennio a.C., che, insieme agli Iberomaurusiani, di qualche millennio precedenti (XIV-VIII millennio a.C.), rappresentano i gruppi umani che hanno avuto la più ampia diffusione in queste aree. Un posto particolare nella produzione artistica mobiliare della cultura capsiana è occupato dalle uova di struzzo, incise prevalentemente con motivi geometrici, e dai ciottoli e dalle placchette calcaree incise anche con raffigurazioni naturalistiche, come la testa d'antilope sulla placchetta di El Mekta. Capsiani e Iberomaurusiani erano entrambi cacciatori-raccoglitori; nel Capsiano è documentato ampiamente anche il consumo di molluschi, come testimoniano gli enormi accumuli di esoscheletri di lumache che caratterizzano i siti di questa cultura. Va tuttavia ricordato che in questi depositi non mancavano i resti ossei di vertebrati (alcelafo, uro, gazzella, muflone, gnu e cervo). Tali depositi sono frequenti presso le lagune che costellavano le distese steppiche dove i Capsiani generalmente si stabilivano (El Mekta, Relilaï), contrariamente ai loro predecessori iberomaurusiani, che preferivano le zone litoranee e quelle montuose degli Atlanti (Taforalt in Marocco; La Muillah, Columnata e Tamar Hat in Algeria; Ouchtata in Tunisia). Le industrie litiche dell'Iberomaurusiano sono caratterizzate da grandi quantità di lamelle a bordo abbattuto, la cui percentuale supera a volte il 70% dell'intero campione, e dalla tecnica del microbulino; i geometrici appaiono soltanto nella fase finale della cultura. Lo strumento tipico del Capsiano è invece il bulino, per quanto siano ben rappresentati sia le lamelle a dorso abbattuto che i grandi grattatoi. I geometrici non occupano un posto particolarmente importante nella produzione litica capsiana, che in generale può essere definita come un'industria su lama e scheggia. Di queste culture si conoscono numerose sepolture che permettono di rilevare usi e comportamenti particolari. Con gli Iberomaurusiani fanno la comparsa le prime vere necropoli con decine di inumati, come quella di Taforalt in Marocco e di Columnata in Algeria, che stanno probabilmente a indicare un rapporto più stabile con ambiti territoriali precisi. Ricorrente e quasi sistematica risulta la pratica dell'avulsione degli incisivi mediani in individui di entrambi i sessi praticata, sembra, tra i 12 e i 15 anni. La stessa pratica si ritrova pure presso i gruppi capsiani, anche se più frequentemente osservata in individui di sesso femminile. In entrambi i casi, tale comportamento è stato messo in relazione, da alcuni studiosi, a riti di passaggio analoghi a quelli riscontrabili ancora oggi presso alcune popolazioni africane (Camps 1982). Una peculiarità dei gruppi capsiani è poi l'usanza di lavorare le ossa umane per ricavarne strumenti, armi oppure manufatti di uso rituale.
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