Il lancio di Al Jazeera nel 1996 rappresenta un punto di svolta nella relazione tra mass media e equilibri geopolitici nel mondo arabo. Per comprendere la portata di questo evento bisogna focalizzarsi sul finanziatore unico di Al Jazeera: l’emirato del Qatar, un paese che, sotto la guida dell’emiro Hamad bin Khalifa Al Thani, si è trasformato, negli ultimi 15 anni, da entità insignificante ad attore regionale di primo piano.
Finanziando la prima impresa giornalistica transnazionale in lingua araba in grado di adottare standard professionali paragonabili ai grandi colossi dell’informazione, il Qatar è riuscito a catturare l’attenzione di un pubblico di circa 50 milioni di spettatori. Con una linea editoriale caratterizzata da una forte predilezione per le vicende conflittuali e le opinioni controverse, Al Jazeera ha rotto parecchi tabù radicati nella cultura giornalistica del mondo arabo, includendo nelle proprie storie anche le voci dei movimenti d’opposizione, compresi i gruppi islamisti armati. Questo ha significato entrare a gamba tesa negli affari interni della maggior parte dei regimi al potere in Medio Oriente. Gli attentati dell’11 settembre 2001 hanno poi proiettato quello che era stato fino a quel momento un fenomeno regionale in una dimensione globale, determinando l’insorgere di tensioni tra Al Jazeera e molti attori governativi occidentali.
L’ascesa del Qatar nell’arena internazionale è stata dunque avviata tanto sul binario della politica ‘agita’ quanto su quello della sua rappresentazione. Il paese andava stringendo rapporti sempre più stretti di cooperazione economica e militare con un vastissimo spettro di soggetti, dagli Stati Uniti all’Iran e, contemporaneamente, rafforzava le proprie relazioni con Hamas, Hezbollah e il Sudan, diventando un convitato indispensabile per qualsiasi negoziato sulla stabilità nella regione. Allo stesso tempo Al Jazeera, con i suoi scoop e la capacità di trasmettere live dagli angoli caldi del Medio Oriente, si trasformava, per le opinioni pubbliche arabe, nel principale autore della ricostruzione giornalistica della realtà. Secondo i dati dell’Arab Advisors Group, nel 2005 il canale era considerato ‘molto attendibile’ o ‘attendibile’ dall’85,7% degli intervistati in Egitto, dal 63,8% in Giordania e dal 69% in Arabia Saudita.
Al Jazeera non ha assunto dunque la struttura di un semplice organo di propaganda al servizio del monarca qatariano, al contrario, la reputazione giornalistica che si è costruita tra le audience arabe ne ha fatto il primo vero ‘global media’ non occidentale. Proprio questo elemento rappresenta la chiave del successo dell’operazione, anche in termini strategici: mentre per il pubblico, che ragiona sulla base della qualità dell’offerta, Al Jazeera è soltanto Al Jazeera, agli occhi di governi e attori politici un tale gigante nella produzione di contenuti simbolici rappresenta un’arma pericolosa nelle mani del Qatar.
Il lievitare delle relazioni diplomatiche dell’emirato ha visto poi un proporzionale ampliamento del network televisivo. Nell’inverno 2006, con il reclutamento di alcuni tra i volti più importanti di Cnn e Bbc, è nata Al Jazeera English (Aje), canale ‘all news’ che guarda sia al Sud del mondo che a quei settori delle opinioni pubbliche occidentali particolarmente attenti alle notizie da aree ‘periferiche’. Le difficoltà incontrate da Aje nell’ottenere licenze e stipulare accordi per trasmettere via cavo e via satellite su alcune piazze particolarmente strategiche, come gli Usa o l’India, mostrano come questa espansione abbia impensierito notevolmente governi e potenziali competitor già presenti nei singoli mercati delle news.
La ‘Primavera araba’ del 2011 ha rappresentato per Al Jazeera una grande occasione per incassare gli interessi di questa complessa e diversificata strategia editoriale. Potendo contare su una presenza capillare sul territorio e soprattutto su una rete sorprendente di contatti, il network si è imposto come news maker unico rispetto alle vicende che hanno sconvolto il Medio Oriente.
Aje ha così ampliato ulteriormente il numero dei suoi ammiratori in Occidente, soprattutto negli Stati Uniti. Il canale in arabo, invece, ha contribuito al diffondersi a livello regionale del lessico e dei simboli della ‘rivoluzione’, mantenendo però un’attenzione differenziata alle singole piazze, in sintonia soprattutto con gli orientamenti diplomatici di Doha.
In termini giornalistici, la cifra distintiva dell’approccio di Al Jazeera ai sollevamenti arabi del 2011 è stata la capacità di utilizzare i social media non solo come canali alternativi per informare il proprio pubblico, ma anche come ambienti per sviluppare alleanze nella produzione di notizie con blogger e citizen journalist, vere star di quelle concitate settimane. Anche in questo caso, dunque, scelte editoriali ardite e innovative hanno determinato un vantaggio competitivo prezioso non solo per il network, ma anche per il suo finanziatore.
Le ambizioni politiche e mediatiche dell’emiro si sono tutt’altro che esaurite, al contrario, egli sembra essere deciso a ‘glocalizzare’ definitivamente la formula Al Jazeera, riproponendola e adattandola a nuovi mercati delle news e a nuovi contesti geopolitici. Nel 2010 il network ha acquistato una grande stazione televisiva a Sarajevo, da dove avviare Al Jazeera Balkan, un canale tutto nuovo che potrà contare sulle sinergie con le due ‘sorelle maggiori’ ma che, allo stesso tempo, trasmettendo in lingua locale, manterrà un focus privilegiato sui Balcani. Contemporaneamente Al Jazeera si sta preparando a sbarcare, con un altro canale in lingua, su un nuovo e importante mercato televisivo: la Turchia. E questo proprio ora che, con il ridimensionarsi delle aspettative nei confronti dell’Europa, le relazioni diplomatiche tra Ankara e il mondo arabo si sono fatte più strette.
Il modello Al Jazeera dunque ha visto un piccolo e ricchissimo paese creare uno dei più estesi network giornalistici al mondo, trovando, nella relazione tra questo marchio e gli ormai numerosi pubblici per i quali esso è sinonimo di notizie di qualità, uno degli strumenti chiave per proiettare la propria influenza internazionale. Un modello che appare tanto affascinante quanto difficilmente replicabile.