Il monachesimo insulare e la sua influenza sulla cultura medievale
Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
Il monachesimo insulare, sviluppatosi essenzialmente in Irlanda e nella Britannia meridionale, pone al centro della vita del cenobio lo studio della lingua latina e delle Scritture, esportando poi questo modello, attraverso i pellegrinaggi sul continente, in tutta Europa, e dando vita ai maggiori centri di diffusione di testi e di saperi di tutto il Medioevo.
San Patrizio
Debito col Signore
Confessione, vol. 53, par. 14, col. 808
Ho tanti debiti verso il Signore perché egli mi ha donato la possibilità di rigenerare in lui con il mio impegno molte genti e di condurle ad essere pienamente cristiani. Per la sua grazia ho potuto ordinare, in tutti i loro villaggi, dei chierici, a cui affidare la cura di questi popoli, da poco convertitisi alla fede.
San Patrizio, Confessione, in Patrologia Latina, a cura di J.-P. Migne
Beda il Venerabile
Il re tollerante
Historia ecclesiastica gentis Anglorum, vol. 95, col. 57
Molti, abbandonando la religione pagana, si accostarono ogni giorno ad ascoltare la parola e, con fede, si unirono alla santa Chiesa di Cristo. Si dice che il re, pur rallegrandosi della loro fede e conversione, tuttavia non forzasse nessuno al cristianesimo; soltanto stringeva con vivo affetto i credenti, quasi condividessero con lui il regno celeste. Infatti aveva appreso dai maestri e da coloro che ne avevano facilitato la conversione che non si può credere in Cristo per costrizione, ma solo per fede
Beda il Venerabile, Storia ecclesiastica degli Angli, in Patrologia Latina, a cura di J.-P. Migne
L’Irlanda e la sua tradizione culturale non sono state toccate dall’espansione territoriale romana; tale circostanza rimane a oggi ancora difficilmente comprensibile, soprattutto in relazione ai vantaggi, essenzialmente di ordine economico, che Roma avrebbe conseguito dalla conquista dell’isola. Della cultura e della lingua latine, che dunque non potevano arrivare attraverso una diretta colonizzazione, giungono comunque alcuni rudimenti attraverso mediazioni diverse; l’Irlanda era infatti sicuramente tappa di diverse rotte commerciali, ed è certo che dalle coste irlandesi partissero le scorrerie dei celebri pirati che toccavano le coste della Britannia, già romanizzata. Il tenore incerto di queste relazioni, rende ancor più significativa l’evangelizzazione cristiana, avvenuta soprattutto nella prima metà del V secolo.
Il Chronicon di Prospero d’Aquitania narra della duplice missione affidata, tra il 429 e il 431, da papa Celestino I a Germano e Palladio, per combattere, in Britannia e in Irlanda, il pericolo pelagiano. Cultura e lingua latina, presenti dunque in modo blando da diversi anni nell’isola attraverso relazioni non ufficiali, si arricchiscono e si fortificano grazie al patrimonio di saperi con i quali viene veicolato il messaggio cristiano, che la missione organizzata da Celestino I rivela già presente sull’isola, ma debole dinanzi ai pericoli ereticali.
Pochi anni dopo la missione di Prospero, infatti, si impegna nella diffusione del messaggio cristiano, e nella organizzazione della Chiesa e della cultura irlandesi san Patrizio, nato alla fine del IV secolo nella Britannia, terra che egli stesso nella sua Confessione descrive come abitata da un’aristocrazia rurale tardo-romana, versata nelle belle lettere e nello studio del diritto. A differenza del contesto in cui nacque e visse la sua prima formazione, Patrizio si descrive invece rozzo, scarsamente conoscitore del latino. Rapito dai pirati irlandesi in giovane età, e da questi portato sull’isola, Patrizio si impegna nell’opera missionaria, senza lasciare opere letterarie; tanto la Confessione quanto la Lettera a Corotico, oggi rimaste come testimonianze della sua personalità, non solo non forniscono indicazioni sull’ambiente culturale, ma non permettono nemmeno di comprendere quale fosse il livello di erudizione del loro autore. L’impegno di san Patrizio tenta di conciliare la necessità di leggere e comprendere il Testo Sacro e l’esigenza di dare una forma certa e diffusa all’organizzazione ecclesiastica e alla pratica liturgica. Gli Irlandesi appena cristianizzati, a causa della loro scarsissima conoscenza del latino, sono costretti ad applicarsi negli studi indispensabili alla comprensione del Testo Sacro, e a organizzare strutture, essenzialmente monastiche, che favoriscano questa formazione, e costituiscano l’ossatura della nuova Chiesa. In particolare, la difformità di ceppo linguistico tra l’irlandese e il latino impone ai nuovi convertiti uno sforzo maggiore.
Si sviluppa dunque una particolare attenzione, nell’Irlanda cristianizzata, per il latino scritto, più semplice da apprendere di quello parlato, e dunque una significativa dedizione alla forma grafica; si introducono così elementi di punteggiatura, il distanziamento tra le parole e particolari sistemi per le abbreviazioni. I monasteri, a partire da quello di Armagh fondato, a metà del V secolo, dallo stesso san Patrizio, organizzati secondo una rigida morale e una stretta obbedienza all’abate, sono dunque finalizzati, nelle loro attività di studio, alla conoscenza delle Scritture e del latino. Tale riorganizzazione complessiva della cultura irlandese rende l’isola meta, anche solo ideale, di pellegrinaggi eruditi. Molte sono infatti le testimonianze, a partire dal VII secolo e fino alla fine del IX, nelle quali si parla del viaggio in Irlanda come esperienza di formazione. Lo stesso Alcuino di York, maestro di corte di Carlo Magno, sottolinea l’erudizione della gens irlandese, celebre per la sua scholastica eruditio. La mancanza di testimonianze certe, di cronache storiche e di conoscenze sulle disponibilità delle biblioteche fa sì che sia ancora complesso comprendere quale fosse la reale entità di tale erudizione, e a quali competenze facesse riferimento Alcuino. Nonostante queste incertezze, è indubbio che l’Irlanda dei secoli centrali dell’alto Medioevo costituisce, almeno nell’immaginario dei contemporanei, un punto di riferimento nel processo di sviluppo della cultura cristiana. Questa immagine è certamente corroborata dal ricco movimento di evangelizzazione partito dall’Irlanda. È proprio dall’isola cristianizzata da appena un secolo che muovono infatti iniziative volte alla diffusione del messaggio cristiano in Scozia, in Britannia e, al fine, anche sul continente.
Gli Irlandesi sentivano se stessi e la loro cultura come posta ai confini del mondo; lo stesso san Patrizio parla, nella sua Confessione, dell’Irlanda come confine della terra, il luogo oltre il quale non vive più nessuno. È dunque comprensibile come i cristiani di regioni così remote desiderassero riavvicinarsi, anche idealmente, al centro della loro fede, attraverso una peregrinatio che appariva come il più alto sacrificio da offrire a Dio, abbandonare cioè, in una logica post-tribale, il proprio gruppo sociale di riferimento in nome dell’evangelizzazione. La testimonianza della compresenza di questa duplice matrice della peregrinazione irlandese è fornita alla fine del VI secolo dal monaco Colombano, che in un primo momento abbandona la propria regione, in Irlanda, per evangelizzare il resto dell’isola, e poi, invece, parte dalla terra d’origine, per fondare monasteri, tra cui Luxeuil, nella Francia orientale, ispirati al modello irlandese, nei quali cioè vivere secondo una rigida morale ascetica e di penitenza, e dove era fatto obbligo ai monaci lo studio delle Scritture. Dalla sua esperienza, spintasi sin in Italia a contatto con i Longobardi, nasce anche il celebre monastero di Bobbio, nei pressi di Piacenza, e da quella di uno dei suoi seguaci sorge invece il cenobio di San Gallo, nell’odierna Svizzera.
Lo sviluppo, a partire dal VII e VIII secolo, di prestigiosi centri scrittori in questi monasteri, e il loro ruolo all’interno della cultura medievale hanno spesso retrospettivamente attribuito all’origine irlandese i meriti successivi di queste istituzioni. Se è però indubbio come la figura di Colombano, con il suo carisma e la sua intransigenza, mostri già tutte le potenzialità della cultura ibernica, non è assodata quale fosse l’attenzione per la costruzione, nei monasteri da lui fondati, di uno scriptorium, che alcuni studiosi vogliono certa, e altri invece improbabile. Lo stesso Colombano dimostra, nella composizione di ritmi poetici e di lettere, la propria cultura, la conoscenza delle norme della retorica latina e la dimestichezza con i maggiori poeti dell’Antichità, da Virgilio a Ovidio, senza però offrire una chiara immagine della reale profondità della sua erudizione. È merito della storiografia della seconda metà del XX secolo aver mostrato come l’idea di un "miracolo irlandese", secondo il quale l’isola avrebbe rappresentato la meta di dotti transfughi dalla Gallia, che avrebbero impiantato una solida scuola di artes e di esegesi scritturale, utile al preservarsi della cultura patristica, riportata poi nel continente dalle peregrinationes, sia infondata. Quando partono dall’Irlanda, i pellegrini possiedono buone conoscenze di grammatica, necessaria alla corretta comprensione del testo, tecniche da scribi, e una discreta erudizione esegetica, frutto degli insegnamenti degli evangelizzatori più che dello studio dei testi dei Padri. Essi dunque, dal VII secolo sino alla fine dell’età carolingia, hanno modo di ampliare il proprio bagaglio culturale con l’incontro con la cultura cristiana che si diffondeva nel continente; non è un caso, infatti, che grandi personaggi di provenienza irlandese, come Scoto Eriugena, sono fioriti all’interno di un contesto, come quello carolingio, nel quale altissima è l’attenzione per i problemi della formazione del cristiano e della tradizione dei testi.
Negli anni in cui Colombano fonda, in Europa, alcuni tra i più importanti monasteri, in Britannia, che ha già conosciuto tanto la romanizzazione quanto il messaggio cristiano, si svolge la missione di Agostino, arcivescovo di Canterbury.
Proveniente da famiglia agiata romana, priore, Agostino viene inviato in Britannia da papa Gregorio Magno. Già convertita infatti al cristianesimo, dopo la conquista dei Sassoni, l’isola rischiava di ricadere nel paganesimo idolatra. Gregorio invia dunque in Britannia, presso Etelberto, re del Kent, quaranta monaci e il loro priore Agostino, che vi fonda, a Canterbury, una cattedrale. Tra la fine del VII e l’inizio dell’ VIII secolo, la nuova evangelizzazione dell’isola dà i suoi frutti, risvegliando l’attività culturale. Gli studi di grammatica, di retorica, la cultura latina in generale vi si sviluppano ampiamente, grazie alla comparsa delle scuole monastiche, non soltanto nelle zone meridionali, come il Kent, dove è arrivato direttamente Agostino, ma anche nel Nord dell’isola, dove forte è la presenza dei missionari irlandesi. Lo sviluppo di queste scuole ha un esito particolare; non soltanto infatti genera, come in Irlanda, un nuovo movimento missionario, ma produce anche una cultura letteraria alta e pienamente integrata con l’ambiente sociale, che affida ai monasteri la formazione spirituale dei giovani aristocratici.
Da un lato, dunque, i monaci anglosassoni rappresentano un patrimonio utilissimo alla sede pontificia, perché votati all’evangelizzazione di terre ancora non toccate dal messaggio cristiano. Willibrord si impegna infatti nella evangelizzazione dei Frisi, seguito dal discepolo Bonifacio, formatosi nel Wessex. La sua opera di evangelizzazione, conclusasi tragicamente, lo porta a visitare diverse zone della Germania, e a erigere un monastero a Fulda, luogo della sua sepoltura, cenobio che costituisce uno dei maggiori centri di diffusione del sapere per tutto il Medioevo.
Parallelamente alla vocazione missionaria, il monachesimo anglosassone produce anche un forte impegno culturale, come dimostra la figura e l’opera di Beda, detto il Venerabile, personaggio centrale della storia della cultura britannica e, in generale, medievale. Beda dimostra, nell’ampio insieme delle sue opere, una cultura vastissima, formata prima e spesa poi, come descrive lui stesso, nella dolce pace dell’insegnare o dell’imparare, dello scrivere e della cura quotidiana della vita monastica. Dalla lettura delle sue opere emerge in primo luogo una significativa competenza tecnica; diversi sono infatti gli scritti didattici, in cui Beda affronta temi di grammatica, di retorica, di metrica o di computo. Tale competenza trova immediata applicazione nei componimenti letterari, inni religiosi, poemi biblici e agiografici, che per il loro oggetto riportano subito l’attenzione al tema centrale della riflessione, le Scritture. Le opere esegetiche di Beda non perseguono l’originalità, ma si preoccupano di selezionare, all’interno della tradizione patristica, i testi più utili e che meglio illustrano i passi biblici, al fine di produrre una silloge intelligente e utile al contempo. Lo stesso studio della natura, perseguito da Beda, non ha alcuna pretesa scientifica, ma vuole mostrare che la corretta analisi dell’universo così come la ponderata lettura delle Scritture conducono parimenti al riconoscimento del più generale ordine naturale e provvidenziale. È in questa stessa ottica che Beda produce la sua opera più celebre, la Storia ecclesiastica degli Angli, fonte di preziose informazioni sull’identità culturale di quei popoli. Essa non si presenta solo come un repertorio di annotazioni sullo specifico tema trattato, ma come la possibilità di mostrare, nella narrazione degli eventi storici e nella loro ordinata successione, il più complessivo ordinamento del mondo.