Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
Nel corso del Settecento il patriarcato di Costantinopoli cerca di rafforzare il controllo sulle giurisdizioni europee, accentuando la grecizzazione delle chiese slave. L’appoggio dei sultani comporta però l’assoluta sottomissione al potere dello Stato. Anche la Chiesa russa, secondo grande centro della spiritualità ortodossa, subisce, a opera di Pietro il Grande e di Caterina II, l’ingerenza del potere politico, fino alla sua completa trasformazione in un’istituzione al servizio dello Stato.
La Chiesa di Costantinopoli
La Chiesa di Costantinopoli dalla metà del Seicento conserva la giurisdizione su Grecia, Tracia, Romania, Serbia, Bosnia, Erzegovina, Montenegro, Turchia e Asia Minore. Intorno al 1700 sono sottoposti al patriarcato di Costantinopoli ben 63 metropoliti, 13 arcivescovi e 70 vescovi. Nel corso del secolo il patriarcato, con l’appoggio dei sultani, cerca di mantenere il controllo sulle sue numerose giurisdizioni. A questo scopo, nella liturgia viene imposta la lingua greca a scapito di quelle slave e le dignità ecclesiastiche sono conferite esclusivamente a elementi greci. Qualsiasi tentativo di autonomia viene stroncato: nel 1766 è infatti abolito il patriarcato serbo di Ipek e nel 1767 quello bulgaro di Achirida. La soppressione del patriarcato serbo e di quello bulgaro ha come conseguenza che tutti gli ortodossi europei viventi nell’Impero ottomano sono sottoposti al patriarcato ecumenico di Costantinopoli, che la liturgia utilizzata è quella greca e che i sacerdoti vengono esclusivamente istruiti in scuole greche.
L’appoggio dei sultani alla politica di controllo del patriarcato sulle sue giurisdizioni è pagato, però, con il completo asservimento della Chiesa allo Stato. Il patriarcato non può svolgere alcuna attività di conversione tra i musulmani, né può erigere nuove chiese nel territorio dell’Impero ottomano.
Sul piano della dottrina teologica, la Chiesa di Costantinopoli alla fine del XVI secolo subisce l’influenza del protestantesimo, tanto che il patriarca Cirilus Lukaris stabilisce relazioni con il calvinismo e giunge alla celebrazione comune della liturgia. I concili di Jassy del 1642 e di Gerusalemme del 1672 condannano, però, ogni forma di contaminazione con il protestantesimo. Con il XVIII secolo, conclusosi il dibattito sull’opportunità di accogliere alcuni elementi della dottrina protestante, la riflessione della dottrina ortodossa non va oltre la condanna dei sacramenti latini. Nel 1722 si celebra un sinodo particolarmente ostile ai sacramenti cattolici e nei decenni successivi la discussione verte sulla validità del battesimo latino. Nel 1755 un’enciclica patriarcale nega definitivamente la validità del battesimo sia cattolico che protestante e prescrive la necessità di ribattezzare i latini convertiti all’ortodossia.
La Chiesa russa
La Chiesa ortodossa russa è autocefala fin dalla metà dal XV secolo, e guidata dai metropoliti di Mosca. Nel corso dell’età moderna esercita grande influenza sulla vita politica e pubblica. Il XVIII secolo segna, però, l’inizio della sottomissione al rigido controllo dello Stato. Pietro III il Grande approfitta della morte del patriarca Adriano (16 ottobre 1700) per intervenire personalmente negli affari ecclesiastici, lasciando vacante la cattedra del patriarca. Con la nomina di un vicario, lo zar controlla tutte le entrate della Chiesa; successivamente confisca gran parte dei beni della Chiesa e di numerosi monasteri. Il suo disegno è di trasformare la Chiesa ortodossa in un’istituzione totalmente asservita al potere del sovrano e per questo motivo trasforma i sacerdoti in funzionari stipendiati dallo Stato. Nel 1702 poi lo zar concede la libertà di culto ai protestanti.
Nel 1718 Pietro III incarica Feofan Prokopovitsch, insigne teologo ortodosso, di stendere una relazione per la costituzione di un collegio ecclesiastico che dovrà guidare la Chiesa russa. Prokopovitsch disegna un ordinamento della Chiesa ortodossa quale istituzione statale. A tal fine nel 1721 è eliminato definitivamente il patriarcato di Mosca e per dirigere gli affari ecclesiastici viene insediato il “Santissimo sinodo dirigente”, formato da membri eletti dallo zar, e che ricorda la struttura delle Chiese protestanti. Al Santissimo sinodo viene attribuita la direzione di tutte le questioni interne della Chiesa: la liturgia, il digiuno, il culto dei santi, l’istruzione. Ai vescovi compete solo l’amministrazione dei beni non incamerati dallo Stato, l’istruzione del clero e la cura delle anime. Il collegio non può deliberare alcunché senza il parere dello zar, che diviene egli stesso “capo supremo” della Chiesa e deve controfirmare tutti i decreti in materia religiosa. Tra i primi atti del Santo Sinodo figurano il divieto fatto ai maschi di diventare monaci prima di aver compiuto i trent’anni, e alle donne di vestire l’abito monastico se non tra i cinquanta e i sessant’anni.
I successori di Pietro III continuano la sua politica, provocando non poco malcontento tra il clero e il popolo. La zarina Caterina II accentua la politica di sottomissione della Chiesa allo Stato. In primo luogo reintroduce la tolleranza verso le altre confessioni, precedentemente revocata dalla zarina Elisabetta Petrovna. Tutti i beni della Chiesa poi, con un decreto del 1764, passano definitivamente sotto il controllo dello Stato. Le sedi vescovili vengono statalizzate e numerosi monasteri soppressi. Sul piano del culto, la zarina, di origine tedesca e di cultura protestante, impone che dalle chiese siano rimosse tutte le icone, eccezion fatta per quella del Redentore.
Se gli zar adottano una politica di rigido controllo sulla Chiesa russa, si impegnano però anche nella diffusione della fede ortodossa e nella protezione dei fedeli al di fuori dell’impero. Nel 1732, ad esempio, la zarina Anna Ivanovna istituisce un fondo di 1.000 rubli a favore del patriarca di Costantinopoli e altre elargizioni vengono concesse a favore delle chiese dei Balcani, della Georgia e dei monasteri del monte Athos. Nel 1774 Caterina ottiene dalla Turchia il riconoscimento del diritto di protezione di tutti gli ortodossi residenti nell’Impero ottomano. Sempre Caterina favorisce le missioni ortodosse nella Siberia, che durante il suo regno viene definitivamente cristianizzata.
La politica degli zar non lascia indifferente parte dei fedeli, alcuni dei quali, chiamati “vecchi fedeli”, non si riconoscono nel nuovo ordinamento della Chiesa ortodossa russa e danno vita a movimenti scismatici. Nascono inoltre numerose sette, quali i clisti, gli scopzi e i bevitori di latte. Alcune di esse sono ispirate da un acceso misticismo; altre, spesso influenzate dai movimenti protestanti (in particolare quaccheri) e dalla massoneria, respingono la Chiesa come istituzione e danno vita a forme religiose comunitarie e pacifiste, intrise di moralismo evangelico; queste ultime avranno grande fortuna soprattutto nel XIX secolo.
La Chiesa ortodossa russa nel corso del secolo non resta immune, come quella cattolica dell’Europa occidentale, dagli influssi del razionalismo, della cultura illuministica e della massoneria. La reazione interna a tali correnti è, però, molto forte e decisamente vincente, tanto che a fine secolo lo zar Paolo I utilizza la pastorale della Chiesa contro la diffusione delle idee propagate dalla Rivoluzione francese.
Benedetto XIV adotta nei confronti degli ortodossi una politica diversa a seconda che gli ortodossi vivano all’interno dei confini della cattolicità o al di fuori. Nei confronti dei primi procede alla loro latinizzazione forzata. Le comunità ortodosse fuggite dall’Albania invasa dai Turchi e stanziatesi fin dal XV secolo in Italia meridionale vengono progressivamente latinizzate nel corso del XVIII secolo.
Con la costituzione Etsi pastoralis del 1742 Benedetto XIV, fissa lo statuto del clero albanese nel Regno di Napoli e ne obbliga la formazione presso i seminari cattolici di Palermo e di San Benedetto d’Ullano in Calabria. Il pontefice è, d’altra parte, convinto della praestantia del rito latino, cioè della superiorità della tradizione romana su quella greca.
Per quanto riguarda gli ortodossi d’Oriente, lo stesso Benedetto XIV adotta la politica di andare incontro quanto più possibile alla loro tradizione, pur di favorire l’unione e di non suscitare risentimenti. A questo proposito, interviene egli stesso per proteggere la Chiesa dei melchiti, unita a quella cattolica dal 1724, dai tentativi dei Francescani di imporre il rito latino.
La politica dell’Unione tra Chiesa cattolica e chiese ortodosse nel corso del XVIII secolo, a parte il caso melchita, non consegue tuttavia particolari successi.