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Il Movimento islamico dell'Uzbekistan

ATLANTE GEOPOLITICO (2012)
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Nel febbraio del 1999 una serie di attentati dinamitardi a Toškent fece almeno 15 vittime; pochi giorni dopo, il Movimento islamico dell’Uzbekistan (Imu) pubblicò il suo manifesto politico a sostegno della costituzione di uno stato islamico nel paese, pur non rivendicando direttamente gli attentati. Le posizioni dell’Imu venivano innanzitutto a differenziarsi da altri movimenti islamici storici diffusi nel paese, come Hizb ut-Tahrir, favorevoli alla costituzione di un califfato islamico sotto la cui egida si raccogliessero tutti i paesi musulmani del mondo.

Gli attentati e la pubblicazione del manifesto provocarono una stretta repressiva nel paese e molti membri dell’Imu furono costretti all’esilio, impiantando la propria base principale nell’Afghanistan talebano e in aree remote e scarsamente popolate del Tagikistan. Molti protagonisti del movimento non erano tuttavia estranei a periodi di confino all’estero, dal momento che il nocciolo duro dell’Imu era costituito da esuli uzbeki che avevano combattuto al fianco degli insorti tagiki durante la guerra civile in quel paese, e che avevano poi rinsaldato le loro connessioni con i talebani.

L’invasione dell’Afghanistan da parte della coalizione militare a guida statunitense, nel 2001, indebolì molto il movimento, dal momento che venne anche ucciso uno dei suoi leader (Juma Namangani). Ancora oggi, tuttavia, alcune cellule dell’organizzazione restano attive sia in Uzbekistan, sia al confine tra Afghanistan e Pakistan, mentre una scissione di una frangia ancora più estremista dell’Imu ha dato vita alla formazione, nel 2004, dell’Unione della jihad islamica (Iju). La Iju, scarsamente attiva e composta da pochi membri, è stata tuttavia la prima organizzazione terroristica ad aver utilizzato attacchi suicidi in Asia centrale, e sembra che fino al 2008 abbia potuto disporre di alcune importanti connessioni internazionali, tanto che proprio in quell’anno una serie di attentati sventati in Germania portava la firma dell’organizzazione.

Vedi anche
Talebani (o Taliban) Gruppo di fondamentalisti islamici formatisi nelle scuole coraniche afghane e pakistane (dal pashtō ṭālib «studente»), impegnato nella guerriglia antisovietica in Afghanistan. Tra il 1995 e il 1996 emersero come vincitori della guerra civile afgana successiva al ritiro dell’URSS. Conquistato ... califfo (arabo khalīfa, «successore») Sommo monarca della comunità islamica universale (ummat al-islāmiyya). Secondo la dottrina ortodossa islamica, deve essere musulmano maggiorenne, sunnita, di condizione libera e discendente dei Quraish, la tribù di Maometto. (➔ anche califfato) jihad (ar. gihād) Nel linguaggio religioso islamico, la ‘guerra santa’ contro gli infedeli, per l’espansione della comunità ed eventualmente per la sua difesa. È un dovere collettivo, ma in base alle decisioni del capo della comunità, può divenire un obbligo individuale di tutti i credenti. Ha inoltre un ... Il Manifesto Quotidiano politico nato nel 1971 attorno al gruppo politico Manifesto, per opera di alcuni esponenti della sinistra (tra cui L. Pintor) espulsi dal Partito comunista italiano. Ha conosciuto diverse ristrutturazioni (nel 1994 e nel 1998), che hanno condotto all'ampliamento dello spazio dedicato ai problemi ...
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