Il museo veste Prada
Al Victoria and Albert Museum di Londra una mostra sulla moda italiana ripercorre le tappe della sua affermazione dal dopoguerra a oggi, attraverso le invenzioni dei grandi stilisti, da Pucci ad Armani, ma anche la manualità delle anonime sarte capaci di confezionare abiti perfetti.
The glamour of Italian fashion. 1945-2014, il catalogo – curato da Sonnet Stanfil – dell’omonima mostra inaugurata il 5 aprile presso il Victoria and Albert Museum di Londra, conferma che la moda è arte e apre uno squarcio sulla storia sociologica italiana. Sconfitta, umiliata, poverissima e con una non trascurabile parte della popolazione analfabeta, l’Italia si riprese grazie al Piano Marshall, a un governo determinato e alla voglia di lavorare dei suoi abitanti (9 furono i milioni di italiani che, soprattutto dal Meridione, emigrarono al Nord attratti dal ‘miracolo economico’ nazionale). Ma la moda precorse tutto ciò: già nel 1951 un esportatore, Giovanni Giorgini, visto il successo della mostra Italy at work che portò 2500 artefatti in giro negli USA, mise in piedi una sfilata di abiti di tessuti poveri dal design impeccabile per un gruppo di americani. Il defilé si ripeté ogni anno a Firenze, divenuta capitale della moda, e la derisione dei grandi couturier francesi contribuì all’enorme successo delle sfilate.
Nel 1970 Walter Albini, il primo dei grandi stilisti, si trasferì a Milano, che finì per togliere il titolo a Firenze. Dagli anni Sessanta capitale finanziaria e del design, Milano era il posto ideale per la sinergia tra lo stesso design, la moda e le industrie collegate, come quella tessile, pronte ad approfittare della meccanizzazione della produzione e a rivalutare la maglia, il cuoio e i nuovi materiali plastici.
L’industria della seta del Comasco fu fondamentale nel creare il made in Italy con disegni e tecniche nuove, e quella della lana a Biella inventò il cachemire italiano.
L’industria del fatto a mano delle scarpe (Gucci e Ferragamo) e delle borse si sviluppò invece nell’Italia centrale. Nonostante la violenza dei moti studenteschi iniziati nel ’68, sarti e imprenditori della moda, ispirati dai grandi designer come Sottsass, Mendini, Navone, Strada, continuarono a creare per le donne abiti pratici, ready to wear, capi unici e sontuosi abiti da sera: esempi di ciò, e presenti nella mostra, sono le opere di Germana Marucelli – che sembrano architetture e sculture –, dei couturier romani Schubert, Capucci e le sorelle Fontana, degli amateur aristocratici che divennero professionisti di tutto rispetto (Pucci, Simonetta Colonna, Irene Galitzine, Giovanna Caracciolo, Gabriella di Robilant e Olga di Grésy), delle imprese familiari emerse negli anni Ottanta (Fendi, Missoni, Maramotti – Max Mara – e Prada). Tra i fotografi, essenziali alla divulgazione della moda, spicca Ugo Mulas; tra le icone, le attrici Ekberg, Gardner, Taylor e Hepburn. Negli anni ’80 il made in Italy era un marchio di fabbrica talmente saldo che l’industria superò spavaldamente gli scandali dei prodotti fatti all’estero e spacciati per italiani: rispose con il ‘made in…’, che i clienti fedeli comprarono senza batter ciglio. La moda maschile tradizionalmente ispirata dai britannici fu sconvolta da Armani, grande stilista, genio del marketing e ottimo conoscitore dei tessuti: vestì le donne con i tessuti degli uomini e viceversa, la giacca leggera dell’uomo e il tailleur pantalone della donna. Da allora, il made in Italy è esploso sul mercato sportivo: Fila, Tacchini, Cerruti.
Il continuo successo della moda italiana è motivo di orgoglio per la nazione: si adatta ai cambiamenti sociali, politici ed economici, accoglie gente di talento da ovunque – Domenico Dolce e Gianni Versace sono venuti dal Sud –, porta all’interno della globalizzazione la presenza italiana a testa alta, lontana da scandali eclatanti e con il desiderio di importare idee e persone d’ingegno dall’estero senza alcun senso di nazionalismo. Ma la mostra non dimentica le decine di migliaia di lavoratrici anonime che hanno contribuito al successo dei grandi sarti. Tante di loro avevano il talento e l’esperienza per mettere su il proprio atelier: non l’hanno fatto per le pressioni dei mariti, per accudire i figli e per la paura di entrare in un mondo in cui le donne di successo erano aristocratiche o alto-borghesi.
Tuttora, molte sarte, pur sapendo che non faranno carriera, lavorano con dedizione, conscie della bravura sartoriale che le contraddistingue: saper correggere un corpo imperfetto e creare un abito perfetto. «È facile vestire una modella», diceva una di loro, «ma il vero lavoro comincia di fronte al piccolo o grande difetto. Perché tutte le donne vogliono essere donne, quando sono vestite». Il successo del glamour della moda italiana si basa anche sul lavoro di queste artigiane.
1951: nasce la moda italiana
di Mariano Delle Rose
Giovanni Battista Giorgini (1889-1971), nato da un’illustre famiglia lucchese, agli inizi degli anni Venti da Firenze promosse l’artigianato italiano negli Stati Uniti. Dopo la mostra Italy at work al Museo di arte moderna di Chicago nel 1947, conquistò i maggiori importatori e distributori americani e canadesi. Il 12 febbraio 1951 Giorgini organizzò nella propria residenza fiorentina – la villa Torrigiani in via dei Serragli – una sfilata in cui le più importanti case di moda fiorentine, milanesi e romane accettarono di presentare i loro modelli in una sfilata collettiva. La manifestazione si svolse dopo gli appuntamenti di moda parigini per indurre i compratori americani a prolungare il loro viaggio europeo sino a Firenze. Le case di moda italiane presentarono i loro modelli divise in alta sartoria (Simonetta, Fabiani, Fontana, Schubert e Carosa di Roma, Germana Marucelli, Jole Veneziani, Noberasco e Vanna di Milano) e moda-boutique (Emilio Pucci, Avolio, Bertoli e la Tessitrice dell’Isola). Alla seconda edizione della manifestazione nel luglio del 1951, trasferita al Grand Hotel di Firenze, assistettero 300 compratori. Per l’edizione del 1952 le autorità fiorentine vollero attribuire all’evento una cornice più consona per prestigio: la Sala Bianca di Palazzo Pitti. Tra i nuovi talenti che si aggiunsero: Capucci, Galitzine, Krizia, Valentino e Mila Schön. Giorgini guidò la manifestazione fino al 1965, arricchendola ogni anno con nuove iniziative, come la Textile promotion, e comprendendo l’importanza della moda pronta, intuizione che determinò in seguito il trionfo mondiale del made in Italy.