Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
Il Partito Nazionalsocialista dei Lavoratori Tedeschi (fondato con questa denominazione e l’acronimo NSDAP nel 1920) costituisce la versione più radicale della tendenza a un’opzione politica autoritaria, perseguita da molti sistemi politici europei nella prima metà del Novecento, distinguendosi per un’eccezionale politica di annientamento delle istituzioni democratiche e delle minoranze. Il nazionalsocialismo tedesco governa la Germania dal 1933 alla fine della seconda guerra mondiale, conflitto generato dalle mire espansioniste della nazione tedesca, ma conclusosi con la sua tragica capitolazione.
Le radici del nazionalsocialismo
George Lachmann Mosse
La nazionalizzazione delle masse
la principale innovazione introdotta dal nazionalsocialismo fu l’invenzione di un nuovo stile politico per cui ogni azione politica divenne la realizzazione drammatica di miti e culti. Ancora abbiamo negli occhi lo spettacolo delle adunate oceaniche, dei ranghi serrati e del variegato sventolio di bandiere così caratteristici del fascismo europeo [...]. Il culto del popolo divenne così il culto della nazione e la nuova politica cercò di esprimere questa unità con la creazione di uno stile politico che divenne, in pratica, una religione laica. [...] La folla incomposta del popolo divenne, grazie a una mistica nazionale, un movimento di massa concorde nella fede dell’unità popolare.
La nazionalizzazione delle masse, Il Mulino, 1975
Il concetto di nazionalsocialismo ha radici tanto profonde quanto complesse. I valori nazionalistici dei regimi dittatoriali che hanno attraversato alcuni Stati europei ed extraeuropei nel primo Novecento non rappresentano lo sviluppo di quei valori che ne avevano guidato i processi di unificazione nazionale, né si riducono a manifestazioni di acceso sentimento patriottico. Essi risultano piuttosto mediati da una fase di espansione economica del capitale industriale e finanziario, prevalentemente europeo, statunitense e giapponese, che intorno alla fine del XIX secolo si pone a fondamento dei processi di colonizzazione su scala planetaria. Il nazionalismo, dall’Europa all’Asia, diventa l’espressione ideologica dell’imperialismo. Nel Vecchio Continente l’avanzamento delle masse sulla scena politica nazionale facilita lo stravolgimento degli originari principi socialisti in una prospettiva nazionalistica del socialismo stesso, che rinuncia alla lotta di classe e all’internazionalismo operaio, per costruire un’unità nazionale determinante per la battaglia di spartizione coloniale. In tale quadro, che contribuisce non poco allo scoppio e all’andamento del primo conflitto mondiale, le conseguenze morali e materiali di quest’ultimo pongono le condizioni per una radicalizzazione dello scontro politico, che nel caso dei movimenti nazionalisti assume la forma della militarizzazione. Il movimento nazionalsocialista tedesco ne è la manifestazione più evidente e, nei suoi esiti, più tragica.
Fin dagli esordi del partito-movimento nazionalsocialista, possono essere individuati alcuni elementi di contatto, dal punto di vista fenomenico, con altri movimenti fascisti a esso assimilabili: la militarizzazione della struttura di partito, la centralità del capo carismatico, la presenza nell’attività di propaganda di diverse forme di ideologie irrazionalistiche, la convivenza di attivismo e tendenze misticheggianti, l’importanza della partecipazione giovanile. Al tempo stesso il movimento nazionalsocialista si distingue dal fascismo italiano che rimane comunque nel corso degli anni Venti il principale riferimento del Partito Nazionalsocialista dei Lavoratori Tedeschi (NSDAP), nell’esasperazione di alcuni tratti ideologici e organizzativi: in prima istanza l’antisemitismo (assente nel quadro ideologico del fascismo italiano), innestato su una concezione della natura e della relazione dei popoli con essa di stampo razzista; a esso vanno poi aggiunti la maggiore radicalità con la quale viene espressa la critica all’internazionalismo e al bolscevismo, nonché al liberalismo stesso.
Tra gli esponenti di spicco della fase genetica e ascensiva del nazionalsocialismo tedesco occorre ricordare, oltre ad Adolf Hitler (1889-1945), Ernst Röhm (1887-1934), Alfred Rosenberg (1893-1946) e Rudolf Hess (1894-1987). Determinante in questo processo è l’intreccio di contatti e di relazioni che si muovono intorno alla figura del caporale Röhm, il quale procura tutto ciò di cui un giovane partito necessita, dai finanziamenti alle armi, agli iscritti stessi. Hitler diviene leader del proprio partito nel luglio del 1921. Nel corso del decennio le tensioni tra NSDAP e le Sturmabteilungen (SA, corpo paramilitare del movimento nazionalsocialista fondato e guidato da Röhm) sono evidenti ma non laceranti, e questa dialettica interna non ostacola la crescita del partito, né il progressivo aumento di visibilità delle sue iniziative e delle sue parole d’ordine. L’equilibrio tra linea legalitaria e linea rivoluzionaria resiste fino al 1934, quando si consuma la “notte dei lunghi coltelli”, durante la quale le Schutzstaffeln (SS, espressione paramilitare del fronte hitleriano) eliminano in un agguato notturno i vertici delle SA.
Nel processo di affermazione elettorale e politica della NSDAP un ruolo decisivo viene svolto dai principali blocchi di interessi economico-finanziari del grande capitale tedesco. La crisi economica del 1929 e le sue conseguenze sociali, aggravate in Europa dalla fuga dei capitali statunitensi, inducono una parte consistente dell’imprenditoria germanica a riporre nella svolta politica nazionalsocialista le speranze di una ripresa economica. Si spera con tale scelta di azzerare il conflitto sociale e avviare un’energica politica di industrializzazione emblematicamente incarnata nell’obiettivo del Lebensraum (“spazio vitale”), ribadito con vigore dalla propaganda nazista. La grande industria sostiene tuttavia la NSDAP con qualche riserva. La possibilità che il governo tedesco, affidato nel 1933 ad Adolf Hitler, possa costituire non una minaccia ma un baluardo antisovietico, viene inoltre presa in considerazione dagli Stati vincitori del primo conflitto mondiale. Per questa ragione, le prime iniziative naziste in politica estera, come l’uscita dalla Lega delle Nazioni (1933), la politica di riarmo e la prospettiva di unificazione con l’Austria, non vengono osteggiate dalla comunità internazionale.
Alla base del nazionalsocialismo: principi, simboli, motivazioni
Il nazionalsocialismo si definisce e può essere compreso nella sua realtà storica soltanto nella “coerenza” della sua intrinseca doppiezza e ambiguità. I nazisti condannano la modernità in difesa di un passato delle origini, ma si rendono protagonisti di alcuni dei maggiori avanzamenti tecnologici (precipuamente in campo bellico) dei nostri tempi, ricorrendo all’efficienza della tecnica persino nelle pratiche di sterminio. Esaltano i piccoli produttori adulando i ceti medi e la piccola borghesia, quasi proponendosi come loro vendicatori al cospetto dell’invadenza del capitale monopolistico, ma le politiche economiche messe in atto dal nazionalsocialismo al potere favoriscono in primis la grande industria e la grande distribuzione. I nazisti si proclamano rivoluzionari ma stringono accordi politici con le componenti conservatrici della società tedesca. Attaccano verbalmente la borghesia, ma perseguitano marxisti e socialisti.
Lo sviluppo del movimento nazionalsocialista in Germania è determinato fondamentalmente da quattro elementi propagandistici reciprocamente connessi: la paura della rivoluzione bolscevica, il rifiuto del trattato di Versailles e delle sanzioni di guerra, il pangermanesimo e l’antisemitismo. Quest’ultimo elemento funge da connettore ideologico. Quella ebraica viene considerata non una razza inferiore da soggiogare, ma l’antirazza, naturalmente predisposta al mescolamento e alla contaminazione nefasta di tutte le razze. Ne discende la fantomatica ipotesi di un complotto sionista internazionale finalizzato, mediante gli strumenti dell’internazionalismo bolscevico e della plutocrazia democratico-liberale, alla distruzione delle identità razziali e nazionali, la cui prima vittima sarebbe proprio la Germania, come l’accanimento di Versailles sembra dimostrare.
La simbologia scelta dalla NSDAP ben testimonia la sua essenza. Le bandiere rosse richiamano l’attenzione sulla componente rivoluzionaria, mentre la sovrapposizione della croce uncinata indica la specifica natura völkisch di quel nazionalismo. Nel suo complesso la bandiera rossa presenta al centro un cerchio bianco contenente la croce uncinata nera. Bianco, rosso e nero sono i colori della vecchia Germania: tradizione e rivoluzione trovano così la loro più efficace espressione simbolica.
Il movimento nazionalsocialista presenta fin dal suo sorgere un’identità di partito di massa. La militanza nella NSDAP diviene ben presto un’attività diffusa e praticata con devozione e convinzione in molte regioni della Germania. Parte cospicua dei finanziamenti che entrano nelle casse del partito derivano da iniziative di autofinanziamento. Il nazionalsocialismo si caratterizza nella storia della politica del Novecento per essere uno dei primi ma soprattutto dei maggiori fenomeni politici di massa, con livelli di partecipazione e capacità di persuasione notevoli. Gli uomini della NSDAP mostrano di saper utilizzare con acume e sagacia tutti gli strumenti che gli sviluppi della tecnologia offrono al mondo della comunicazione, ma sanno al tempo stesso far leva anche su elementi istintivi e primordiali della psiche umana per esercitare la propria propaganda, curata con devozione da Joseph Goebbels (1897-1945). La base sociale del nazionalsocialismo, superata la metà degli anni Trenta, si accresce di misura. Questo fenomeno deve essere ricondotto tuttavia alla peculiarità ideologica di un fenomeno politico, quale quello nazista, che mentre centralizza l’economia a vantaggio dei grandi blocchi industriali nazionali, al tempo stesso sa corteggiare la piccola borghesia e il funzionariato, mediante l’ampliamento dell’apparato burocratico di Stato e di partito, ma soprattutto facendosi portatore dei suoi timori e dei suoi valori di riferimento (rigidità nei costumi, abnegazione per la patria, obbedienza all’autorità, intolleranza etnica, antibolscevismo, tutela della piccola proprietà). Meno incisiva invece la penetrazione del movimento nazionalsocialista tra gli operai tedeschi. Il proletariato, nonostante l’autodefinizione della NSDAP di partito dei lavoratori, non ne costituisce la base sociale. All’interno del partito inoltre, i lavoratori salariati risultano sempre sottorappresentati.
Sul piano dello sviluppo economico la politica di centralizzazione e pianificazione delle attività produttive messa in atto dal regime produce rapidamente risultati, come il raggiungimento della piena occupazione nel 1936, grazie soprattutto alle politiche di riarmo e alla realizzazione di infrastrutture, ma certamente inferiori nella sostanza a quanto divulgato dalla propaganda di regime. Anche il dato della piena occupazione deriva in buona parte dalla modifica nella compilazione della statistica della disoccupazione: occupati vengono in tal caso considerati anche gli aiutanti agricoli e i partecipanti ai campi del “Servizio del lavoro”. Il governo tedesco persegue l’autarchia economica, e riesce per un periodo a dissuadere i propri cittadini da consumi a bassa produzione nazionale. Tuttavia l’aumento dell’occupazione e della capacità d’acquisto produce inevitabilmente un’inconciliabilità tra investimenti pubblici in produzione bellica e ambizioni autarchiche. Nel 1936 viene avviato il piano quadriennale, finalizzato alla preparazione delle operazioni militari, che dovrebbero garantire alla Germania nuove disponibilità di risorse energetiche e forza lavoro.
La dittatura nazionalsocialista: strutture e strategie politiche
Il Partito Nazionalsocialista e il suo leader giungono al potere mediante libere elezioni, seppur in un clima tendenzialmente intimidatorio. Successivamente, il sistema democratico-rappresentativo viene sostituito da una dittatura ricalcata sul modello italiano. Ma se il governo Mussolini deve dividere potere ed egemonia nel Paese con le istituzioni monarchica e religiosa, questi vincoli sono estranei a Hitler e al suo entourage. Il governo nazionalsocialista si caratterizza in primo luogo per essere il primo ordinamento della storia contemporanea a concentrare tanti poteri nella discrezionalità di un solo uomo, il Führer. Le due cariche pubbliche più elevate, presidente del Reich e cancelliere del Reich, sono unificate. Il gabinetto del Reich viene esautorato, e anche i ministeri dipendono tutti, in ultima istanza, dalla volontà centrale. Il Führer al tempo stesso mantiene la posizione di capo del partito e comandante supremo delle forze armate. Questa centralizzazione traghetta la Germania dalla condizione di Stato basato su norme, a quella di Stato basato sull’arbitrio, in quanto il principio legislativo che connette ogni provvedimento è il Führerprinzip, ossia il principio di autorità suprema del dittatore, la cui volontà, anche se espressa soltanto oralmente, è da considerarsi legge del Reich. Fin dal 1933 vengono abolite in Germania le libertà della persona, di opinione, stampa, associazione, segreto postale e telefonico, l’inviolabilità della proprietà e del domicilio, mai più ripristinate fino alla fine della dittatura. L’annientamento delle forze sindacali rappresenta uno dei primi passaggi politici del governo nazista, e a esso segue lo scioglimento forzato o indotto di tutti i partiti politici alternativi alla NSDAP. Il mantenimento del potere poliziesco è reso possibile da un’attenta gestione della milizia di partito, la quale viene condotta progressivamente alla conquista dell’intero sistema di polizia del Reich, sotto la guida di uomini come Reinhard Heydrich e Heinrich Himmler (1900-1945). Con Himmler le SS fagocitano anche la Gestapo, la polizia segreta.
Alla “pulizia” sul piano politico e culturale (la censura è praticata su ogni forma di produzione intellettuale, dall’arte al giornalismo), esigenza prioritaria del movimento nazionalsocialista per mettere in atto i propri obiettivi, succede la pulizia genetica e sociale. In primo luogo il governo si determina ad avviare una sistematica politica di purificazione della razza mediante sterilizzazione di tutti i malati ereditari. L’“operazione eutanasia” (meglio nota come operazione T4) si pone come obiettivo finale lo sterminio di 70 mila malati fisici e mentali. Nel 1945 le cosiddette “morti terapeutiche” ammontano a 150mila unità, un risultato reso possibile dalla complicità di parte della comunità medica e scientifica.
L’opera di preservazione della società tedesca da elementi indesiderati non concerne soltanto la malattia o la deformazione. Himmler dispone la deportazione in campi di concentramento degli oppositori politici e di tutti i soggetti giudicati gravosi o dannosi al popolo tedesco. Si tratta di delinquenti comuni, renitenti al lavoro, “asociali”, omosessuali, vagabondi, mendicanti, zingari. La persecuzione degli ebrei, inizialmente avviata con pogrom o discriminazioni civili, confluisce nella “soluzione finale”, consistente nell’eliminazione fisica delle popolazioni di origini ebraiche. Si tratta di una finalità ben delineata e ribadita nelle sue necessità in quello che può considerarsi un libro simbolo del complesso ideologico nazionalsocialista, il Mein Kampf (1925-1926) di Adolf Hitler. Il primo significativo provvedimento antiebraico emanato dal governo nazista risale al 1935 (legge sulla cittadinanza del Reich), in base al quale vengono limitati i diritti civili dei cittadini di discendenza ebraica, rafforzato dai successivi provvedimenti proibitivi nei confronti di matrimoni e unioni sessuali tra ebrei e non ebrei. A partire dal 1935 si susseguono le privazioni e le esclusioni da molte professioni. Nella notte tra il 9 e il 10 novembre 1938 (nota come “notte dei cristalli”), a seguito dell’assassinio di un funzionario tedesco in Francia da parte di un giovane ebreo polacco, la NSDAP contribuisce a scatenare un violento pogrom antisemita, in seguito al quale vengono avviate le prime prassi di deportazione in campi di concentramento. In alcuni campi i prigionieri sono impiegati come forza lavoro fino allo sfinimento delle energie fisiche e psichiche. Altrove, a partire dal 1941, l’eliminazione diventa sistematica, mediante fucilazione o asfissia, senza discriminazioni relative a sesso ed età delle vittime. Alla fine della seconda guerra mondiale, il bilancio dei decessi dovuti alla persecuzione antisemita oscilla tra i cinque e i sei milioni.
La seconda guerra mondiale: apice e crollo del nazionalsocialismo
La vicenda dell’ascesa del governo nazionalsocialista in Germania può essere considerata una progressiva preparazione alla reiterazione di una politica estera aggressiva, confluita difatti nella disastrosa impresa militare del secondo conflitto mondiale. I primi movimenti espansionistici sono cauti ma decisi: tra il 12 e il 13 marzo 1938 le truppe tedesche entrano in Austria ottenendone l’annessione; il 10 settembre, con l’avallo delle principali potenze internazionali, anche la Cecoslovacchia subisce l’occupazione tedesca. Dopo aver temporaneamente allontanato il rischio di un conflitto con l’Unione Sovietica, con il patto Ribbentrop-Molotov di non aggressione (1939), il governo nazionalsocialista invade la Polonia senza dichiarazione di guerra, scatenando la reazione di Francia e Gran Bretagna e l’inizio della seconda guerra mondiale. Sul fronte occidentale le forze francesi vengono rapidamente annientate (1940), lasciando alla Germania il tempo di preparare l’attacco all’Unione Sovietica, obiettivo originario dell’espansionismo tedesco, invadendo preliminarmente, anche per compensare le incertezze militari dell’alleato italiano, Jugoslavia e Grecia. L’offensiva a est comincia il 22 giugno 1941, cogliendo di sorpresa l’esercito e la popolazione sovietica. Nonostante le incredibili perdite (circa 20 milioni di vittime tra militari e civili), le forze sovietiche rovesciano l’andamento della guerra, inizialmente favorevole ai Tedeschi, nella battaglia di Stalingrado (31 gennaio-2 febbraio 1943) e avanzano verso ovest. Intanto, l’ingresso degli Stati Uniti in guerra a fianco di Gran Bretagna e Francia, costituisce un ulteriore problema per lo Stato tedesco, nonostante il sostanziale contributo fornito nel fronteggiare gli USA da parte del Giappone, unito a Germania e Italia nel Patto tripartito. Il 6 giugno 1944 i militari statunitensi sbarcano in Normandia, sconfiggendo un nemico già in difficoltà. Il 7 e il 9 maggio 1945 vengono infine firmate le capitolazioni delle forze armate tedesche rispettivamente a Reims con gli Stati Uniti e a Berlino con l’Unione Sovietica. La fine della guerra determina anche la fine del regime nazionalsocialista, e l’inizio, per la Germania, di un lungo periodo di elaborazione della catastrofe.