Il nuovo ordinamento della Chiesa: decretisti e decretalisti
La Concordia discordantium canonum di Graziano, compilazione normativo-dottrinale cui fu dato il nome solenne di Decretum, rappresenta nella storia della cultura e delle istituzioni giuridiche un vero e proprio turning point, con il quale l’ecclesiologia occidentale assume una sua definitiva connotazione giuridica: la Chiesa si costituisce come ordinamento in senso 'moderno'. Lo stesso Decretum è stato definito «il primo sistema giuridico moderno», in quanto prima moderna trattazione sistematica di un intero corpo normativo, accolta come base autoritativa del diritto canonico a disciplina dell’organizzazione della Chiesa, della sua giurisdizione nello spirituale e nelle sue relazioni con il potere secolare, dello stato clericale e della condotta dei religiosi e dei laici. In tal senso il Decretum, con l’impulso che esso diede alla creazione di un fondamentale moto di pensiero giuridico, non fu opera destinata a essere relegata nelle scuole come un semplice sentenziario, ma divenne presto sia un punto di riferimento essenziale per la prassi giudiziale, sia una base imprescindibile per la rielaborazione dottrinale, l’una e l’altra oltrepassanti l’ambito canonistico: «Sotto l’impatto della Rivoluzione papale della fine del secolo undecimo e dell’inizio del dodicesimo, furono creati nei secoli dodicesimo e tredicesimo il primo moderno sistema giuridico, il “nuovo” diritto canonico della Chiesa cattolica romana (jus novum, come fu chiamato), e, più gradualmente, i coesistenti sistemi giuridici secolari – regio, feudale, urbano e mercantile. In realtà, il diritto canonico servì per importanti riguardi come modello per lo sviluppo dei sistemi giuridici secolari» (Berman 2003; trad. it. 2010, pp. 3-4).
La 'Rivoluzione papale' di cui si parla – l’espressione fu coniata da Harold J. Berman nel suo primo Law and revolution, del 1983 (trad. it. 1998) – fu dunque non solo l’atto di affermazione della distinzione e dell’autonomia dello spirituale dal secolare in Occidente, ma anche l’atto costitutivo di una dimensione nuova della Chiesa come ordinamento.
La lotta per la separazione delle giurisdizioni secolare ed ecclesiastica, compiuta per liberare la Chiesa di Roma dalla soggezione a imperatori, re e signori feudali e per stabilire una gerarchia indipendente del sacerdozio, sotto il papato e la sua legislazione, fu condotta durante un periodo di quasi cinquant'anni, dal 1075 al 1122. Il pontificato di Pasquale II (1099-1118) e la contesa con l’imperatore Enrico V formano l’ambito in cui matura il rapido sviluppo del nuovo ordinamento della Chiesa: ecclesiologia e istituzioni ecclesiastiche si trasformano di pari passo con l’evoluzione della stessa Curia romana e delle sue funzioni di governo. Altrettanto rapida è l’evoluzione dei tre ordini di cardinali della chiesa romana verso la formazione del Sacro collegio, cioè del collegio dei cardinali che concorrono con il romano pontefice al governo della Chiesa universale (Pásztor 1999, p. 16), fenomeno che costituisce una delle maggiori espressioni concrete del vasto travaglio in atto. Fu allora che si attuò «il passaggio dalle funzioni essenzialmente liturgiche dei vari ordini di vescovi, preti e diaconi cardinales – i quali assistevano in diverso grado il vescovo di Roma nelle celebrazioni liturgiche – a funzioni sempre più esclusivamente relative alla vita della chiesa universale» (Alberigo 1969, pp. 14-15).
Fu allora che la Chiesa cominciò a costituire un corpo normativo, accresciuto via via nel sec. 13° e fino agli inizi del 14° da nuove compilazioni normative e sorretto da una crescita impetuosa delle scuole e dell’elaborazione dottrinale in ambito canonistico.
Il diritto canonico – ha scritto ancora Berman – aveva scopi molto più vasti rispetto ai vari ordinamenti giuridici secolari, abbracciando non solo tutte le materie che riguardavano direttamente il clero, ma anche molte che riguardavano i laici. In realtà i laici sceglievano spesso di dibattere le loro vertenze contrattuali davanti ad una corte ecclesiastica, soprattutto perché il diritto secolare dei contratti era molto meno perfezionato. C’erano molte materie di comune competenza, che davano origine ad una giurisdizione concorrente delle corti ecclesiastiche e secolari, e c’era anche una giurisdizione concorrente fra corti regie, feudali, urbane e mercantili entro la sfera secolare. La coesistenza e la competizione di differenti, autonomi sistemi giuridici e di differenti giurisdizioni entro una data comunità politica servì a rendere possibile la supremazia del diritto entro quella comunità. La supremazia del diritto, sia nella Chiesa sia in ogni regno, fu sostenuta anche dall’ascesa nel dodicesimo secolo di una classe composta da persone professionalmente formate, impegnate nelle attività legali come occupazione più o meno a pieno tempo – avvocati professionali, giudici e giuristi, sia ecclesiastici sia secolari. I testi del diritto romano compilati nel sesto secolo sotto l’imperatore bizantino Giustiniano, riscoperti in Occidente cinque secoli più tardi, non casualmente, all’apice della Rivoluzione papale, furono allora analizzati e portati a una sintesi con un metodo nuovo, più tardi chiamato scolastico, di conciliazione delle contraddizioni nei testi autoritativi e di derivazione dei concetti generali dalla congerie normativa e casistica esposta in quei testi. Infine, il concetto del diritto come un corpo coerente e ordinato di norme e di princìpi acquistò vitalità grazie alla concomitante fede nel suo carattere progressivo, nella sua capacità di crescere ininterrottamente per generazioni e secoli – una fede che è unicamente occidentale. Il diritto, come le cattedrali gotiche, era concepito per essere costruito e ricostruito nei secoli. Era opinione generale che il corpo normativo contenesse un interno meccanismo atto a un cambiamento organico e, inoltre, che lo sviluppo del diritto, i suoi mutamenti nel tempo, possedessero una logica interna, fossero parte di un più vasto ordine di cambiamenti. Il diritto, si pensava, si sviluppa per rielaborazione delle norme e delle decisioni precedenti per andare incontro ai bisogni presenti e futuri (2003, trad. it. 2010, pp. 15-16).
Nel Decretum di Graziano si riflette immediatamente lo spirito di conciliazione, di 'concordanza', emerso dalla fine della Rivoluzione papale con il cosiddetto Concordato di Worms (1122). A quel compromesso, che metteva fine alla lunga contesa nota come lotta per le investiture, è legato il Concilio Lateranense I del 1123, indetto dal papa Callisto II (1119-1124) per ratificare il nuovo assetto dei rapporti fra potere secolare e sacerdotium. Rendendo stabili le fondamenta della libertas Ecclesiae rivendicata dal movimento riformatore guidato dal papa Gregorio VII (1073-1085), il Concilio chiude una lunga e tormentata vicenda di lacerazioni politico-religiose, che è anche un’epoca di tormentata gestazione di un mondo nuovo, radicalmente lontano dal vecchio universo tardoantico e altomedioevale, tanto nelle sue strutture politiche e giuridiche quanto nella vita della cultura intellettuale e dello spirito:
la sempre più netta divaricazione dell’Occidente e dell’Oriente cristiani; il manifestarsi dei fermenti di rinnovamento politico-religioso all’alba del nuovo millennio, con gli ideali della renovatio incarnati dall’imperatore Ottone III e dal papa Silvestro II; l’oscuro periodo di decadenza del papato, sottratto infine al prepotere dei potentati romani e nuovamente collocato – sia pure sotto il pesante gioco imperiale – al centro della vita politica e religiosa dell’Europa; lo svellersi infine della Chiesa dalla commistione con i poteri secolari, con quel grandioso moto di riforma che dall’ambiente monastico doveva propagarsi al papato e all’intera società cristiana, con le voci altissime di Umberto di Silvacandida, Pier Damiani e Ildebrando di Soana, e liberare quelle energie (compreso il movimento comunale) dalle quali l’Europa medievale e moderna avrebbe assunto la sua più duratura fisionomia (Quaglioni 1995, p. 103).
Da questo processo la Chiesa di Roma era emersa profondamente trasformata: il Concilio inaugurava la stagione dei 'concili generali', che non a caso coincide con l’avvento di una dimensione nuova e autonoma del diritto canonico, perché stagione
dominata dalla trattazione nei concili di problemi di cristianità, cioè dei problemi politici e disciplinari di un assetto sociale nel quale il cristianesimo fornisce la struttura storica portante e dove i problemi di fede tendono ad essere percepiti soprattutto come problemi di buon ordine sociale (Decisioni dei Concili ecumenici, 1978, p. 38).
Tale caratterizzazione, che dal sec. 12° si estende progressivamente fino al 14°, mostra la Chiesa porsi come fonte di norme giuridiche, organizzatrice e disciplinatrice di nuovi ideali politico-giuridici e religiosi, coinvolgenti tanto la sfera personale quanto quella sociale. Il papato, liberato dall’elezione laica, perseguiva il sogno gregoriano dell’unità romana; la Chiesa di Roma sostituisce ora alla polemica e alla lotta i grandi tentativi di conciliazione che caratterizzano questo periodo:
La rinascita della teologia e della dialettica, del diritto romano e del diritto canonico le forniscono i testi e soprattutto i mezzi di un adattamento razionale: è il tempo delle prime collezioni di concordia e del primo concordato. Al termine di questa strada pacifica, Graziano esibì il suo Decreto (Le Bras 1955; trad. it. 1976, p. 184).
Nella temperie spirituale del 12° sec. – il secolo giuridico per eccellenza – il monumento grazianeo rinnova la tradizione benedettina e gregoriana, stabilendo nell’ordinamento della Chiesa la forza dell’exemplum, dell’azione-tipo adatta a essere la regola efficace delle azioni umane. Perciò il Decretum è parte fondamentale della riflessione teologico-giuridica all’indomani del II Concilio Lateranense (1139), i cui canoni disciplinari vi si trovano raccolti (Piergiovanni 1985), ma anche documento del rinnovarsi, tra gli anni Quaranta e Cinquanta, della tensione fra sacerdotium e imperium. Il Decretum Gratiani è perciò come un manifesto del dualismo fondamentale tra il sacro e il secolare, nell’età in cui quel dualismo si palesa come la nervatura della costituzione nascente dell’Europa cristiana.
Quand’anche non si cedesse alla tentazione di interpretare l’intero Decretum Gratiani come reazione all’ascesa di un autonomo diritto secolare in contrapposizione allo ius divinum e alla tradizione normativa della Chiesa, sarebbe certamente difficile sottrarre la compilazione normativa a intenti politico-religiosi. Passa infatti dalla compilazione grazianea il rifiuto di ridurre l’ordine giuridico alla monodimensionalità di un ordine normativo coattivo. Il 12° sec. è, in questo senso, il secolo della fondazione del diritto comune, il secolo della costruzione giuridica medievale come interpretazione di un ordine soggiacente.
Un ordo iuris che [...] non può non scandire il diritto positivo, i varii diritti positivi, secondo gradi ascendenti di manifestazioni giuridiche che dalle regole transeunti e contingenti della vita quotidiana salgono senza cesure, in spontanea e semplice continuità, al livello supremo del diritto naturale e del diritto divino con tutta la loro ricchezza di principii normativi eterni e immutabili perché voce della Divinità stessa (Grossi 1995, p. 14; Quaglioni 2003).
Testo di spartiacque, forse un work in progress originato da una lunga attività scolastica, il Decretum, così come il De misericordia et iustitia di Algero di Liegi (1055-1131) e soprattutto l’omonima, precedente opera di Ivo di Chartres (1040-1115), assomma in sé il vecchio ma si proietta nel nuovo e incarna il
tentativo di armonizzare le discordantiae, cioè le antinomie, che la vita secolare della società ecclesiale aveva ammucchiato a seconda dei tempi, dei luoghi, delle circostanze diversi e che ora si mostrano pastoralmente scandalose e inammissibili (Grossi 1995, p. 117).
Il diritto della Chiesa si consolida come consonanza di canoni, come concordia, come composizione armonica nascente non solo dalle dissonanze ma per le dissonanze, unità che non aspira alla monotonia di un ordine nel quale le particolarità si dissolvono, ma che delle particolarità è comprensione e ragione (Kuttner 1960, poi Kuttner 1980).
In quel processo ordine morale e ordine giuridico non si integrano perfettamente, e anzi ogni tentativo di costituire una perfetta integrazione tra le due sfere è destinata a fallire e a dar vita, con il suo fallimento, alla temperie moderna. Lo stesso diritto romano giustinianeo appare come la base principale del nuovo potere pontificio e del nuovo diritto pontificio:
Anche se i testi di diritto romano inseriti nella sua collezione sono relativamente pochi Graziano ingloba il diritto romano nel suo insieme in quanto conforme alla legge di Dio e alle norme della Chiesa e getta le fondamenta per l’edificazione del diritto comune romano-canonico che si sforzeranno di realizzare i giuristi dei secoli seguenti [...]. Senza tener conto dell’apporto del diritto romano [...] la sua opera sarebbe incomprensibile (Prodi 2000, p. 66).
In realtà molti dei numerosi estratti dalla compilazione giustinianea che compaiono nel Decretum sono interpolati dai canonisti successivi, fino alla fine del 12° sec., quando i canonisti stessi cominciano a studiare il diritto civile romano in modo più approfondito:
L’ingresso graduale dei testi legislativi romani nel Decreto fu anzi proprio il primo segno di quell’importazione intensiva di leges e di pensiero civilistico che fece diventare il diritto canonico sempre più diritto e sempre meno teologia, e lo preparò a prendere posto nel mondo dei giuristi (Cortese 1995, p. 209).
Il testo di Graziano, considerato parte dello stesso processo di divenire giuridico, ricevette riconoscimento quasi immediato quale fonte autoritativa del diritto canonico. Oltre che ad avere un posto a fianco dei testi giuridici romani come oggetto di studio nelle scuole di diritto europee, venne citato come autorità da papi, concili e tribunali ecclesiastici. Dato che esso era organizzato in modo relativamente elastico e con una struttura aperta, era destinato a essere glossato e riassunto; e le glosse, i commentari, i trattati e le monografie su di esso apparvero ben presto in gran numero (Berman 1983; trad. it. 1998, p. 239). Sulle fondamenta fornite dall’opera di Graziano fu possibile costruire un edificio non solo di glosse e summae degli studiosi, ma anche di decisioni giudiziali e di legislazione. È stato notato (Morris 1989) che solo dopo il Decretum di Graziano si assiste a una vera e propria 'esplosione' dell’attività normativa dei pontefici: ci sono rimaste solo 12 decretali per gli otto anni del pontificato di Eugenio III (1145-1153), 8 per i cinque anni di Adriano IV (1154-1159), ma ben 713 per i ventidue anni del papato di Alessandro III (1159-1181). Tali 'lettere decretali', o decretali tout court, erano decisioni di cause, date a chiarire punti di diritto controversi, a imitazione del rescritto imperiale, e divennero dunque, accanto e spesso al di sopra dei canoni derivati dall’autorità dei Padri della Chiesa, la fonte principale del diritto della Chiesa, come prodotti dell’attività normativa del papa come supremo dottore, giudice e legislatore.
Alessandro III e Innocenzo III (1198-1216), giurista e teologo insigne, convocarono anch’essi, rispettivamente nel 1179 e nel 1215, il terzo e il quarto Concilio Lateranense, dai quali emersero centinaia di nuove norme. Nell’ultima decade del 12° e nel primo decennio del 13° sec., vennero preparate cinque grandi compilazioni sistematiche di decretali. Infine, nel 1234, sotto papa Gregorio IX, apparve una collezione onnicomprensiva di decretali, composta di circa duemila capitula, che riassunse e sistematizzò il lavoro di quasi un secolo; insieme al Decretum di Graziano, le Decretali di Gregorio IX restarono il corpo fondamentale del diritto della Chiesa cattolica romana fino all’adozione del Codice di diritto canonico del 1918 (Berman 1983; trad. it. 1998, pp. 239-40).
In quello che Gabriel Le Bras ha chiamato un secolo di fermento,
cercando la concordia dei testi, Graziano raccoglie e liquida l’eredità dell’antico diritto: raduna tutte le “autorità” e le accorda facendo uso della dialettica. Il diritto classico è il risultato di questa operazione razionale, che la sua Scuola ha continuato. Dieci anni dopo, Pietro Lombardo dava ai teologi una sintesi altrettanto felice, preparando la separazione del diritto dalla teologia. Mentre la recezione massiccia del diritto romano forniva alla Chiesa una tecnica, l’autonomia del diritto canonico risultava dalla sua rottura didattica con la teologia, di cui conservava i princìpi, e dalla sua formale alleanza con Giustiniano, che gli offriva definitivamente categorie e riferimenti [...]. Nell’anno stesso del centenario di quel famoso decreto di Nicola II che aveva liberato il papato dall’elezione laica, Alessandro III riceveva la tiara ed inaugurava la serie dei grandi legislatori, i quali, esercitando la loro competenza in ogni campo, imporranno, da soli o con il concilio ecumenico, la volontà pontificia. Alessandro inaugura, Innocenzo III conclude questo periodo decisivo sia per l’organizzazione del governo centrale, delle diocesi e degli ordini religiosi, che per lo statuto del matrimonio o la canonizzazione dei santi. Le loro decretali sono immediatamente raccolte in supplementi al Decreto. Un susseguirsi ininterrotto di “dottori” originali, come Rufino e Uguccione, accorti, come Sicardo e Simone, eruditi, come Lorenzo di Spagna e Giovanni Teutonico, le commentano. In tal modo, sotto Onorio III, non vi saranno più lacune nella compagine delle norme: in meno di un secolo, il diritto canonico si è unificato, diventando giuridico, pontificio e completo. Le cinque Compilazioni antiche attestano questo trionfo (1955; trad. it. 1976, pp. 184-86).
Tra il Decretum di Graziano e la Compilatio prima di Bernardo da Pavia, in un denso cinquantennio, tra la metà e lo scorcio del 12° sec. fiorisce una non breve serie di collezioni di canoni, di glosse e di apparati di glosse, di summae, distinctiones, casus, notabilia, brocarda, quaestiones, abbreviationes, tutti generi letterari che nella loro articolazione e varietà denotano la complessa e multiforme crescita del fervore di dottori e pratici attorno al testo del monumento grazianeo (Friedberg 1897). Tutta quanta quest'attività della prima decretistica, censita da Stephan Kuttner nel suo Repertorium der Kanonistik del 1937, sorprende ancor oggi per la sua ampiezza e diffusione in ambito europeo. Il fenomeno riguarda naturalmente le glosse, ben prima della Glossa ordinaria approntata a Bologna da Giovanni Teutonico subito dopo il quarto Concilio Lateranense del 1215 e completata da Bartolomeo da Brescia tra il 1241 e il 1245; ma riguarda ancor più le summae, a cominciare da quelle di ambito bolognese come la Summa di Paucapalea, la più antica e prossima al testo grazianeo, alla quale il contemporaneo Stroma ex decretorum corpore carptum di Rolando (non più identificato con Rolando Bandinelli, papa Alessandro III) si riferisce usando il termine di rationes (Kuttner 1937, p. 126). A queste prime opere si aggiunge presto, verso la fine degli anni Cinquanta, la Summa di Rufino, prototipo di un genere che fonde insieme intenti abbreviatori ed esegetici e che eserciterà, non solo per il suo metodo, una larga influenza sulle successive compilazioni di Stefano Tornacense, di Giovanni da Faenza e di Uguccione, la cui Summa, conclusa prima del 1188, costituisce il punto più alto dell’elaborazione della scuola bolognese. A queste si aggiungono le summae di Simone da Bisignano, di Sicardo da Cremona, databili intorno alla fine degli anni Settanta e l’inizio degli anni Ottanta del 12° sec., e le numerose e importanti summae di scuola francese: tra queste non possono essere dimenticate la Summa ‘Elegantius in iure divino’ o Summa Coloniensis (circa 1169), la Summa ‘Magister Gratianus in hoc opere’ o Summa Parisiensis, la Summa ‘Imperatorie maiestatis’ o Summa Monacensis, la Summa ‘Omnis qui iuste iudicat’ o Summa Lispiensis e la Summa ‘Animal est substantia’ o Summa Bambergensis, dalle biblioteche che ne conservano i codici manoscritti (Kuttner 1937, pp. 168-70).
Tutto questo prepara la nuova stagione della raccolta e dello studio delle decretali pontificie. Tra il 1188 e il 1192 si colloca infatti la prima, grande compilazione di decretali a opera di Bernardo da Pavia. La raccolta prese il nome di Breviarium Extravagantium, cioè di insieme abbreviato delle norme che non erano comprese in alcuna collezione, a cominciare da quella grazianea, e fu poi nota semplicemente come Compilatio prima. Bernardo da Pavia divise la raccolta in cinque libri, ognuno dei quali abbraccia una materia basilare dell’ordinamento spirituale (la scuola più tardi li riassumerà nel verso Iudex, Iudicium, Clerus, Connubia, Crimen, cioè Fonti e norme generali, Procedura, Ordine ecclesiastico, Matrimonio, Diritto penale), libri articolati a loro volta in titoli che ricalcano quelli del Corpus iuris civilis giustinianeo e che includono le decretali pontificie in una forma che le riduce alla narrazione del caso e al dispositivo della sentenza papale. Quest'ordine dispositivo rimarrà invariato per tutte le successive compilazioni, sia quelle 'private', com’è appunto il caso della Compilatio prima, sia quelle ufficiali. Bernardo stesso fornì di glosse la sua compilazione (Quinque compilationes antiquae, a cura di E. Friedberg, 1882, pp. 1-65; Kuttner 1937, p. 323), presto corredata anche dell’importante apparato di Riccardo Anglico. Bernardo da Pavia dedicò alla propria raccolta anche una summa, ciò che può voler dire che ne aveva fatto una delle basi del suo insegnamento bolognese (Cortese 1995, p. 213).
La Compilatio prima si colloca a mezza via tra il Decretum e le successive compilazioni di solo ius novum pontificio. L’intensa produzione normativa dei papi doveva infatti ulteriormente premere sulla scuola, ovviamente sensibile all’esigenza di nuove raccolte aggiornate. Si trattò di un processo molto accelerato, che agli inizi del 13° sec., nel 1209, trovò il suo migliore interprete nel papa Innocenzo III. La sua compilazione, nota come Compilatio tertia, è in realtà anteriore a quella che chiamiamo secunda. Fu voluta dal pontefice, che ne affidò la redazione al notaio apostolico Pietro Collivaccino, e fu la prima collezione ufficiale di decretali nella storia della Chiesa; fu trasmessa dal papa alla Scuola bolognese, nella quale essa fu preso munita di glosse.
Quest’invio alla scuola va messo in evidenza: esso non solo rivela quanta importanza avesse ormai assunto la scienza come tramite per la recezione delle norme nella prassi, ma soprattutto inaugura una forma di ‘pubblicazione’ – non di ‘promulgazione’, come qualcuno ha detto – dei complessi normativi pontifici che sarà regolarmente adottata dai successori d’Innocenzo. L’uso di far collezioni private ebbe da quel momento i giorni contati. Si annunciava così una sostanziale svolta nella storia dell’ordinamento della Chiesa (Cortese 1995, p. 214).
Privata fu però ancora la Compilatio secunda del professore bolognese Giovanni di Galles, che la redasse intorno agli anni 1210-1212 (fu chiamata così, benché segua cronologicamente la compilazione ufficiale di Innocenzo III, perché comprende norme provenienti dai predecessori di quest’ultimo). E carattere non ufficiale ebbe anche la Compilatio quarta, che raccoglie le costituzioni del quarto Concilio Lateranense, indetto e presieduto dallo stesso Innocenzo III nel 1215. Il suo redattore fu Giovanni Teutonico, sommo maestro della Scuola bolognese, dove fu allievo di Azzone, e autore della Glossa ordinaria al Decretum di Graziano. Giovanni Teutonico vi raccolse la quasi totalità dei canoni lateranensi, aggiungendo un pugno di altre decretali di Innocenzo III. Questi però morì poco dopo, nel 1216, senza aver dato mai ufficialità alla compilazione, che fu accolta dalla Scuola con una certa difficoltà e solo grazie all’autorità di cui poteva godere il suo compilatore. Una decina d’anni più tardi il papa Onorio III (1216-1227) incaricò uno dei più autorevoli canonisti del tempo, l’arcidiacono e rettore dello Studium bolognese Tancredi, di redigere una raccolta ufficiale delle sue decretali. Questa fu chiamata Compilatio quinta. Tutte e cinque le compilazioni furono poi dette antiquae, cioè antiquate e non più da usarsi «tam in iudiciis quam in scholis», tanto nello studio universitario quanto nella prassi giudiziale, dopo la pubblicazione della raccolta ufficiale del papa Gregorio IX, nel 1234. Riassumendo questo itinerario, Ennio Cortese ha scritto:
Il processo avveniva nella cornice di un ordinamento canonico in fermento perché lo si doveva adeguare al rinnovato status Ecclesiae e in particolare alla nuova potestas pontificia audacemente allargata al campo temporale, il cui disegno aveva sì tratto ispirazione già dalla riforma gregoriana, ma che la dottrina canonistica veniva solo allora recependo. Era un disegno non facile: l’ostacolo più forte alle innovazioni era costituito dalla gloriosa tradizione del dualismo gelasiano, riprodotto nel Decreto e quindi fedelmente professato, per tutto il secolo XII, dalla decretistica; e siccome le tradizioni possono essere mutate di fatto ma non mai sconfessate in linea di principio si dovette forzare artificiosamente Gelasio a convivere con le tesi ierocratiche vincenti. Alano anglico – redattore egli stesso di una raccolta di decretali e glossatore della prima Compilatio antiqua – fu, tra le voci iniziali, forse la più autorevole e la più chiara: la società cristiana essendo unica doveva esserle riconosciuto un solo capo, appunto il papa [...]. Tali tesi ierocratiche, che si vedon serpeggiare qua e là nei primi anni del Duecento ed essere manifestate più insistentemente verso la metà del secolo, mostran bene come l’iter trionfale seguito dalle decretali pontificie corrispondesse a quello altrettanto trionfale dell’immagine del papa nelle concezioni politiche della Chiesa (1995, pp. 217-19).
Si è parlato a questo proposito di un 'cammino verso la codificazione', raggiunto appunto con Gregorio IX (1227-1241), il papa che aveva scomunicato Federico II, e con la bolla Rex pacificus del 1234, della quale era munita la nuova raccolta di decretali, il Liber Extra, comprensiva delle norme contenute nelle cinque Compilationes antiquae. A redigere la nuova compilazione fu il domenicano Raimondo di Peñafort, canonista e teologo insigne. Alle Decretales Gregorii IX, cui fu dato il titolo corrente di Liber Extra, era appunto premessa la bolla Rex pacificus, che vietava di ricorrere ad altre raccolte normative senza l’autorizzazione della Santa Sede (Liotta 1999). Dal 1234 al 1296 l’attività legislativa dei papi – soprattutto d’Innocenzo IV (1243-1254), il grande canonista Sinibaldo Fieschi – e dei due Concili di Lione del 1245 e del 1274 suscitarono la composizione di nuove collezioni per completare quella di Gregorio IX (Gaudemet 1994, trad. it. 1998, pp. 455-56). Al Liber sextus di Bonifacio VIII (1294-1303), pubblicato nel 1298, seguì nel 1317 la raccolta delle costituzioni di Clemente V (1305-1314), dal nome del papa dette Clementinae, a opera del suo successore Giovanni XXII (1316-1334). Carattere non ufficiale ebbero le raccolte delle extravagantes di quest’ultimo e di quelle dette communes, appartenenti a diversi pontefici.
Di pari passo con lo sviluppo della legislazione pontificia fu rapido anche lo sviluppo della scienza canonistica. Se nella seconda metà del 12° sec. essa si era sviluppata elaborando i vari generi letterari che nel loro insieme miravano all’interpretazione-applicazione del Decretum, ora la fioritura della Scuola, sia pure non senza resistenze, investiva le decretali e le loro raccolte. Anche la prima decretalistica, sia pure in misura minore rispetto alla larga elaborazione della decretistica, mise in campo summae, casus, notabilia, brocarda, quaestiones e abbreviationes, fino ai grandi apparati di glosse e ai diffusi commentarii dei maggiori interpreti: si può dire che con la pubblicazione del Liber Extra e con la formazione della sua Glossa ordinaria tutta la scienza europea dei canoni verrà unificandosi sul modello tecnico-giuridico della decretalistica bolognese.
È infine lo sviluppo del diritto canonico a spingere verso l’integrazione tra i due ordinamenti, lo spirituale e il secolare.
S’impianta comunque presto l’abitudine che canonisti, a partire dal Duecento, se non tengano addirittura cattedre di leggi – come Lanfranco, Tancredi, Giovanni di Dio, Goffredo da Trani e altri fino all’Ostiense – acquisiscano a ogni modo una formazione civilistica. Dalla quale passano in effetti tutti i grandi, e sono una folta schiera di celebrità: i Giovanni Teutonico, Bartolomeo da Brescia, Goffredo da Trani, Sinibaldo Fieschi, Giovanni Ispano, Enrico da Susa e via discorrendo (Cortese 1992, pp. 55-56).
E se diviene a quel punto urgente il problema dei rapporti con il diritto romano giustinianeo, non è solo perché questo si intreccia al più grave problema del conflitto tra le due giurisdizioni (le 'due spade'). Il progetto d’invadere il territorio secolare venne effettivamente tentato man mano che il dilagare delle decretali intrecciò lo sviluppo della Scuola con quello della nuova potenza pontificia.
Il collegamento del problema dei conflitti tra i due ordinamenti con rivendicazioni politiche papali diventa esplicito quando, nei primi anni del Duecento, i canonisti cominciano a recepire le tesi ierocratiche. Alano, che di queste tesi è uno dei primi portavoce tra i giuristi, dà la misura degli ésiti possibili: soltanto nei negozi e nel fòro secolari l’osservanza di norme contrarie ai canoni – ma non certo alle Sacre Scritture – può essere ammissibile: a condizione però che si accolga il presupposto che l’imperatore è indipendente dal papa negli affari temporali. Chi invece veda estendersi anche a questi ultimi la supremazia pontificia dovrà necessariamente credere “canonem sempre in negotiis secularibus legi sibi contrarie preiudicare”. L’accoglimento delle tesi ierocratiche si proietta dunque sul sistema degli iura communia dando un nuovo taglio e una nuova giustificazione, di natura politica, alla tradizionale pretesa del diritto canonico di subordinare a sé il romano (Cortese 1992, pp. 56-57).
La storia della Chiesa-ordinamento, che è in così larga misura storia della 'rivoluzione papale', non è in alcun modo separabile dalla storia del concetto giuridico e politico della plenitudo potestatis pontificia. La rottura dell’«equilibrio ideale», riposto nel principio gelasiano della distinzione della giurisdizione secolare dall’ecclesiastica, è soprattutto caratteristica del papato d’Innocenzo III, che
si evolse rapidamente verso l’affermazione trionfale e senza riserve della supremazia pontificia, gettando le basi di un movimento di pensiero, che occuperà tutto il secolo (Calasso 19573, p. 51).
Quando alla metà del Duecento l’Ostiense distingue tra plenitudo officii e plenitudo potestatis, tra il potere del papa «quando secundum iura ius reddit» e «quando trascendit iura», distingue certamente i due sembianti della sovranità pontificia, il sembiante concreto della potestas ordinaria et ordinata e quello astratto della potestas absoluta; ma è in ogni caso alla 'pienezza' dei doveri e dei poteri che egli fa appello, e la plenitudo potestatis è già «potere allo stato puro, non dichiarativo, ma puramente volontaristico» (Costa 20022, pp. 268-69). La dottrina moderna della sovranità, alla fine del 16° sec., riconoscerà esplicitamente la sua matrice nella 'potestà del papa che non si lega le mani' e che riconosce come suo proprio limite solo il territorio invalicabile di un ordo iuris indisponibile perché posto da Dio.
Al sommo delle potestà, dice un testo della controversistica curialista a cavaliere del Trecento, est summus pontifex in quo omnes potestates agregantur, et ad quem reducuntur et ad quem tanquam in simplicissimum terminantur («è il sommo pontefice colui nel quale tutti i poteri sono compresi, e al quale si riconducono e nel quale confluiscono nel modo più diretto»); il papa «occupa un luogo strutturale che non è soltanto il primo in ordine d’importanza, ma è la sintesi delle potestà intermedie, ne è il centro, la ricapitolazione: il primato del pontefice è un dominio accentratore»; perciò paradossalmente «la Chiesa rappresenta nel medioevo la più attendibile immagine dello stato: in un contesto in cui il potere è descritto ‘a nudo’, come puro ‘posse’, in un volontarismo che realmente si preparava ad andare oltre il quadro della tradizione medievale [...], il primato del pontefice è un dominio globale» (Costa 20022, pp. 271-72).
Ciò è vero in tutto l’amplissimo panorama dell’ecclesiologia due-trecentesca, da Innocenzo III all’Ostiense, da Innocenzo IV a Egidio Romano, da Alvaro Pelagio ad Agostino d’Ancona, e, specularmente, da Dante a Ockham, fin oltre la crisi avignonese, che tanto profondamente incide nella dottrina dei poteri, aprendo all’orizzonte del primo e del secondo conciliarismo. Questo percorso può essere seguito passo passo, a partire dalle litanie giuristiche sulla potestas papae, tarda declinazione delle prerogative già scolpite nel Dictatus papae di Gregorio VII del 1075, nelle Margaritae Decretalium, dalle quali si vede come il solo limite al potere del papa sia quello di non poter limitare il potere del papa stesso: papa potest supra ius dispensare («il papa può dispensare oltre il diritto»); papae soli reservatur translatio episcoporum et depositio («al papa è unicamente riservato il potere di traslare i vescovo così come di deporli»); papa de haereditate iudicare potest ratione fidei («il papa può giudicare in materia di eredità per causa di fede»); papa potestatem habet a Deo, imperator a papa («il papa ha il suo potere da Dio, l'imperatore dal papa»); papa eiusdem potestatis est cuius et beatus Petrus («il papa ha lo stesso potere di san Pietro»); papa principem saecularem deponere potest («il papa può deporre un principe secolare»); papa potest legitimare illegitimos («il papa può legittimare gli illegittimi»); papa solus episcopos vocat fratres in litteris suis («solo il papa chiama fratelli i vescovi nelle sue lettere»); contra papae voluntatem nemo habet ius in collatione beneficiorum («contro la volontà del papa nessuno ha diritto al conferimento di benefici»); papa solus canonizat sanctos («il papa solo canonizza i santi»); papa non potest imponere legem successori suo nec potestatem eius limitare («il papa non può imporre la legge al suo successore né limitare il suo potere») (Quaglioni 2011).
Di qui si potrebbe agevolmente passare alle tentazioni 'scientistiche' della canonistica duecentesca, intesa a provare, da Bernardo da Parma a Innocenzo IV e all’Ostiense, la 'commensurabilità' del potere papale rispetto a quello secolare, applicando l’Almagesto di Tolomeo alla metafora del sole e della luna, per provare che la formula quanta est inter solem et lunam, tanta inter pontifices et reges differentia («tra il pontefice e i re c'é tanta differenza, quanta ce n'è tra il sole e la luna» delle decretali innocenziane (cap. solitae, X, de maioritate et obedientia [Lib. Extra 1, 33, 6]) doveva essere interpretato, appunto scientisticamente, come l’esatta misura della differenza di magnitudo delle due potestà: septies millies et sexcenties et quadragesies quater et insuper eius medietatem est maior sacerdotalis dignitas quam regalis («la dignità secerdotale è maggiore della dignità regale di settemila e seicentoquarantaquattro volte e mezzo»). L’ecclesiologia duecentesca di ambito canonistico inserisce dunque l’autorità tolemaica in una fitta trama di appigli autoritativi, dando alla dottrina prevalente quella particolare coloritura per la quale Dante, nella sua polemica anticurialista, prescelse l’Ostiense come simbolo del diritto canonico: «Non per lo mondo, per cui mo s’affanna / di retro a Ostiense e a Taddeo, / ma per amor de la verace manna // in picciol tempo gran dottor si feo» (Paradiso XII, 82-85). Nè ha bisogno di essere ricordata l’insistenza di Dante nella polemica contro l’Ostiense, preso a simbolo della decretalistica tutta, non solo nel poema ma più ancora nel lamento dell’Epistola ai cardinali italiani su Roma nunc utroque lumine destituta («ora primata di entrambi e suoi luminari» e nella stessa accusa, rivolta genericamente ai decretalisti theologie ac phylosophie cuiuslibet inscii et expertes («ignoranti e privi di ogni conoscenza di teologia e di filosofia»), nella Monarchia (Quaglioni 2004).
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