Il nuovo precontenzioso ANAC
L’art. 211 del nuovo codice dei contratti pubblici (d.lgs. 18.4.2016, n. 50) compendia sotto una rubrica legis apparentemente onnicomprensiva (Pareri di precontenzioso dell’ANAC) due istituti profondamente diversi fra loro: i) da un lato vi è la figura dei pareri di precontenzioso in senso proprio (mutuata in larga parte dall’omologo istituto già disciplinato dall’art. 6 del previgente codice); ii) dall’altro vi è l’innovativa possibilità che l’ANAC impugni dinanzi al giudice amministrativo ‒ in base a una legittimazione processuale speciale ‒ i bandi, gli atti generali e i provvedimenti relativi a contratti di rilevante impatto , nonché gli atti e i provvedimenti che risultino comunque viziati da gravi violazioni del nuovo codice. La nuova disposizione, se per un verso risolve le problematiche legate al controverso istituto delle cd. raccomandazioni vincolanti, per altro verso pone problematiche interpretative e applicative degne di particolare attenzione.
Il nuovo codice dei contratti pubblici (d.lgs. 18.4.2016, n. 50), nel testo risultante dal cd. decreto correttivo (d.lgs. 19.4.2017, n. 56) e dalla legge di conversione della cd. manovrina 2017 (l. 21.6.2017, n. 96 di conversione del d.l. 24.4.2017, n. 50) compendia nell’ambito dell’art. 211 disposizioni che ben difficilmente possono essere ricondotte alla rubrica legis utilizzata (Pareri di precontenzioso dell’ANAC)1. Il decreto correttivo adottato ad aprile del 2017 ha invece espunto dall’ordinamento l’istituto delle cd. raccomandazioni vincolanti dell’ANAC (un istituto che aveva suscitato accesi dibattiti e polemiche sia durante la propria vigenza, sia a seguito dell’abrogazione della disposizione che le disciplinava).
Nella sua attuale formulazione l’articolo in esame reca una disciplina assai eterogenea, la quale comprende:
• un co. 1, il quale disciplina la tematica dei pareri di precontenzioso in modo non dissimile rispetto a quanto già previsto dall’art. 6, co. 7, del previgente codice (d.lgs. 12.4.2006, n. 163) e
• tre ulteriori commi (dall’1-bis all’1-quater) i quali disciplinano a propria volta due ulteriori figure certamente non riconducibili al novero dei pareri di precontenzioso. Si tratta: i) in primo luogo della possibilità riconosciuta all’ANAC di proporre impugnativa in via diretta e di chiedere al giudice amministrativo l’annullamento «dei bandi, degli altri atti generali e dei provvedimenti relativi a contratti di rilevante impatto»; ii) in secondo luogo della possibilità per l’Autorità di settore di proporre impugnativa previo parere motivato avverso qualunque «provvedimento viziato da gravi violazioni del presente codice».
Fra il 2016 e il 2018 l’ANAC ha adottato disposizioni regolamentari che dettagliano i profili e le modalità applicative dei nuovi istituti, tentando di superare le numerose criticità che avevano accompagnato l’iniziale scelta di introdurre nell’ordinamento (e in apparente assenza di qualunque disposizione abilitante) la controversa figura delle raccomandazioni vincolanti.
==La focalizzazione==
Nelle pagine che seguono si ripercorreranno in primo luogo le principali tappe che hanno condotto alla stesura dell’originario art. 211.
In seguito si ripercorreranno le vicende che, fra il 2016 e il 2017, hanno consentito di pervenire all’attuale formulazione della disposizione (modificandone in modo significativo l’impianto originario).
Infine, ci si soffermerà sui principali tronconi disciplinari che compongono l’art. 211, rappresentati (rispettivamente):
i) dai pareri di precontenzioso ANAC; ii) dalle previsioni che consentono all’ANAC di adire in via diretta il giudice amministrativo al fine di impugnare gli atti e i provvedimenti che incidano su «contratti di rilevante impatto» o che comportino «gravi violazioni» del nuovo codice.
Il previgente codice dei contratti pubblici (d.lgs. n. 163/2006) già demandava all’Autorità di settore (AvCp – in seguito ANAC) il potere di esprimere pareri – di carattere non vincolante – «relativamente a questioni insorte durante lo svolgimento delle procedure di gara, eventualmente formulando un’ipotesi di soluzione» (art. 6, co. 7, lett. n).
I commentatori della disposizione avevano sottolineato che essa mirasse ad assicurare all’Autorità di settore (e a dispetto del carattere non vincolante del parere espresso) un ruolo di carattere – almeno tendenzialmente – «giustiziale»2.
Nel periodo successivo all’emanazione del codice del 2006 gli osservatori avevano sottolineato l’importanza della funzione svolta dall’Autorità attraverso l’espressione dei pareri in esame, i quali erano stati ricondotti alla definizione – in seguito largamente utilizzata – di «pareri di precontenzioso»3.
La dottrina aveva altresì osservato che la funzione in tal modo demandata all’Autorità (pur se esercitata attraverso l’espressione di un mero parere) risultasse idonea a concretare una potestà sostanzialmente decisoria della controversia insorta fra le parti in sede di gara. Ciò avrebbe contribuito a rafforzare la connotazione dell’AVCP/ANAC quale vera e propria autorità indipendente, in tal modo colmando la lacuna ordinamentale rappresentata dal mancato riconoscimento in capo ad essa di effettivi poteri di adjudication4.
I commentatori della disposizione avevano altresì ritenuto (con orientamento peraltro non pacifico) che la figura dei pareri di precontenzioso andasse ascritta all’ambito sistematico delle cd. Alternative Dispute Resolutions (ADR), ossia fra gli strumenti operativi, non incardinati nell’ambito dell’ordinamento giudiziario tradizionale, i quali consentono di risolvere le controversie deflazionando il contenzioso giudiziale5.
La ricostruzione non risultava tuttavia pacifica (anche a causa del carattere in parte evanescente della stessa categoria concettuale delle ADR), atteso che il carattere non vincolante del parere reso e la possibilità comunque riconosciuta alle parti di fare ricorso al rimedio giurisdizionale non consentivano di riconoscere allo strumento un carattere di effettiva alternatività rispetto all’esito giudiziale.
È tuttavia innegabile che, nel corso degli anni, lo strumento dei pareri di precontenzioso di cui all’art. 6 del codice de Lise abbia conosciuto un notevole successo, anche grazie alla duttilità delle sue forme, alla celerità della procedura e – certamente non da ultimo – alla sua gratuità.
Non vi è quindi da stupirsi se il legislatore della delega del 2016 (l. 28.1.2016, n. 11), pur non richiamando in modo espresso la figura dei pareri di precontenzioso, ha sottolineato l’importanza delle forme e degli istituti riconducibili al novero delle ADR (di cui tuttavia, ancora una volta, non è stata fornita una definizione soddisfacente).
In particolare, con il criterio di delega di cui all’art. 1, co.1, lett. aaa) è stato demandato al governo il compito di «razionalizza[re i] metodi di risoluzione delle controversie alternativi al rimedio giurisdizionale, anche in materia di esecuzione del contratto, disciplinando il ricorso alle procedure arbitrali al fine di escludere il ricorso a procedure diverse da quelle amministrate, garantire la trasparenza, la celerità e l’economicità e assicurare il possesso dei requisiti di integrità, imparzialità e responsabilità degli arbitri e degli eventuali ausiliari…».
I primi commentatori della disposizione avevano evidenziato almeno due problematiche connesse alla previsione della legge delega.
In primo luogo ci si era domandati se la previsione di legge (la quale faceva riferimento alla sola opera di razionalizzazione delle forme di ADR) dovesse essere intesa nel senso di ammettere soltanto la sostanziale riproposizione delle medesime figure già disciplinate dal codice de Lise, ovvero se – anche a prescindere dalla non perspicua formulazione legislativa – fosse comunque ammessa l’introduzione di nuove figure ed istituti.
La questione si è posta con evidenza per ciò che riguarda l’istituto (evidentemente innovativo) delle raccomandazioni vincolanti di cui al (soppresso) co. 2, dell’art. 211.
In secondo luogo ci si era domandati in quale modo andasse intesa la previsione secondo cui le forme e gli strumenti di ADR fossero ammessi «anche in materia di esecuzione del contratto». Dal disposto testuale della disposizione sembrava infatti emergere che il legislatore non si fosse limitato a riproporre gli strumenti di risoluzione esperibili nella fase esecutiva e già contemplati dal codice del 2006 (transazione, accordo bonario, arbitrato), ma che avesse inteso – e in modo del tutto innovativo – ammettere forme di ADR anche in relazione alla fase pubblicistica dell’aggiudicazione.
Ma il punto è che una siffatta innovazione sembrava porsi in contrasto con il principio dell’esclusività del rimedio giurisdizionale nel contenzioso relativo alle procedure di affidamento, sancito in via generale dal co. 1, dell’art. 120 c.p.a.6 una parte degli osservatori riteneva quindi che la richiamata previsione della legge delega avesse erroneamente ventilato la possibilità di ammettere forme di ADR anche nella fase dell’aggiudicazione (plus dixit quam voluit), dovendo invece essere intesa in linea di sostanziale continuità con il previgente codice (ossia nel senso di limitare gli strumenti di ADR alla sola fase paritetica dell’esecuzione del contratto).
Secondo un diverso orientamento interpretativo era bensì possibile ammettere forme di ADR incidenti anche sulla fase pubblicistica dell’aggiudicazione ma, al fine di garantire la necessaria coerenza con la richiamata scelta operata con il codice del processo amministrativo, doveva trattarsi di strumenti di carattere facoltativo e comunque concorrenti e non pienamente alternativi al rimedio giurisdizionale (al quale si sarebbe dovuto in ogni caso poter accedere quale forma di extrema ratio).
Nella sua formulazione originaria, l’art. 211 del nuovo codice (rubricato Pareri di precontenzioso dell’ANAC) accomunava in modo piuttosto singolare due fenomeni oggettivamente diversi e difficilmente riconducibili a una ratio unitaria:
• da un lato, la pregressa figura dei pareri di precontenzioso in senso proprio (ai quali era peraltro dedicata la rubrica legis);
• dall’altro, l’innovativa figura delle raccomandazioni vincolanti dell’ANAC7.
Del resto, era parimenti balzata da subito all’attenzione degli interpreti l’incongruità della scelta tassonomica relativa all’articolo nel suo complesso. ed infatti, la richiamata disposizione (relativa all’ambito del «precontenzioso») era stata inserita – in modo evidentemente non perspicuo – nell’ambito della parte vI, titolo I, relativo al «contenzioso».
Nell’originaria formulazione del co. 1 (invero, solo in minima parte modificato con il decreto correttivo del 2017) veniva previsto che i pareri di precontenzioso potessero essere richiesti dalla stazione appaltante o «[da] una o più delle altre parti» per la risoluzione di questioni insorte durante lo svolgimento delle procedure di gara. Anche il nuovo codice, quindi (e in linea di sostanziale continuità con quanto già previsto dal d.lgs. n. 163/2006), limitava l’esperibilità dello strumento alla sola fase pubblicistica precedente l’aggiudicazione e la stipula del contratto, mentre la escludeva per la successiva fase di esecuzione.
Del tutto innovativa risultava invece la previsione di cui al co. 1, secondo periodo, in base alla quale «il parere obbliga le parti che vi abbiano preventivamente acconsentito ad attenersi a quanto in esso stabilito».
La disposizione in questione (rimasta di fatto invariata anche all’indomani del decreto correttivo del 2017) sembrava introdurre di fatto una sorta di definizione arbitrale della controversia, in tal modo modificando la tipica finalità dei pareri di precontenzioso e attribuendo agli stessi (sia pure con il previo consenso delle parti) una innovativa finalità di adjudication8.
La disposizione in questione (che sembrava introdurre nei fatti una modalità del tutto innovativa di ADR) suscitava alcune perplessità circa l’effettiva compatibilità con la legge delega (la cui lett. aaa), come si è già osservato, si limitava a prevedere la mera «razionalizzazione dei metodi di risoluzione delle controversie alternativi al rimedio giurisdizionale» e non anche l’introduzione di forme di ADR radicalmente innovative).
La sostanziale assimilazione del parere di precontenzioso ai tipici rimedi di adjudication (confermata dal possibile riconoscimento allo stesso di un carattere vincolante) ha indotto il legislatore delegato ad affrontare il problema della sua procedimentalizzazione.
È stato a tal fine previsto:
• che il parere di precontenzioso debba essere reso entro trenta giorni dalla richiesta (anche se l’articolo in esame non chiarisce quali siano gli effetti connessi al superamento del termine e se, in particolare, il suo decorso impedisca all’ANAC di rendere un parere di carattere vincolante);
• che la parte la quale si ritenga lesa dal contenuto (vincolante) del parere di precontenzioso possa proporre impugnativa dinanzi al giudice amministrativo ai sensi del rinnovellato art. 120 c.p.a.;
• che l’espressione del parere debba avvenire «previo contraddittorio fra le parti» (si tratta di una specificazione apportata in sede di decreto correttivo su indicazione del Consiglio di Stato e che riprende invero princìpi già largamente acquisiti in sede applicativa).
All’evidente fine di responsabilizzare le parti interessate e di ridurre nei fatti l’incidenza delle impugnative avverso i nuovi pareri di precontenzioso di carattere vincolante, il legislatore ha stabilito che, in caso di infruttuosa impugnativa in sede giurisdizionale avverso il parere, il giudice adito valuta il complessivo comportamento della parte ai sensi dell’art. 26 c.p.a. (e si ritiene che il riferimento sia operato in particolare alla previsione di cui al co. 2 di tale articolo, il quale disciplina le conseguenze patrimoniali a carico della parte che ha agito o resistito temerariamente in giudizio)9.
Il 5.10.2016 l’ANAC ha adottato un regolamento per il rilascio dei pareri di precontenzioso di cui all’art. 211 (si tratta del Regolamento per il rilascio dei pareri di precontenzioso di cui all’art. 211 del decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50)10.
Il regolamento in questione disciplina i principali aspetti applicativi della tematica dei pareri di precontenzioso, fra cui: i) le modalità di presentazione delle istanze singole e congiunte (artt. 3 e 4); ii) lo svolgimento della fase istruttoria (art. 7); iii) le modalità di approvazione del parere (art. 8); iv) le procedure di riesame (art. 11), nonché v) le modalità di adeguamento al parere da parte delle stazioni appaltanti (art. 13).
La particolarità del regolamento in questione consiste nel fatto che la sua adozione non è stata prevista in modo espresso nell’ambito del nuovo codice, inducendo taluni osservatori a dubitare della stessa legittimità della sua adozione, nell’apparente carenza di una disposizione abilitante.
La questione è stata tuttavia affrontata e risolta dal Consiglio di Stato con il parere in data 14.9.2016 sullo schema di regolamento in parola.
Con tale parere la Commissione speciale di palazzo Spada ha osservato che, pure in assenza di una espressa disposizione abilitante, l’ANAC disponga comunque del potere di emanare un siffatto regolamento, il quale è da ascrivere al genus dei regolamenti di organizzazione essendo principalmente volto a disciplinare lo svolgimento della funzione precontenziosa per come definita dalla fonte primaria.
Le conclusioni cui è pervenuto l’Alto Consesso, pur se ampiamente argomentate, non risultano del tutto pacifiche atteso che il regolamento in questione (prima ancora di disciplinare – con valenza meramente organizzativa – l’operato dell’Autorità) sortisce una rilevante quanto evidente valenza esterna, fissando – inter alia – i presupposti e le condizioni al cui ricorrere è possibile riconoscere carattere vincolante ai pareri dell’Autorità.
È altrettanto evidente che il regolamento in parola produca l’effetto di conformare le prerogative partecipative dei soggetti interessati, in tal modo assumendo i caratteri tipici di un regolamento a rilevanza esterna (per il quale vige il generale principio della tipicità legale e della previsione ad opera di espresse previsioni di legge).
Si ritiene a questo punto di svolgere alcune considerazioni sul co. 2, dell’art. 211, relativo al – quanto mai controverso – tema delle raccomandazioni vincolanti dell’ANAC11.
Il comma in questione è stato abrogato dal decreto correttivo n. 56/2017 e la legge di conversione del d.l. n. 50/2017 (approvata in via definitiva a distanza di circa due mesi) vi ha sostituito un impianto disciplinare affatto diverso, riconoscendo un potere di impugnativa autonomo in capo all’ANAC (sul punto, v. amplius infra).
Ad avviso di chi scrive, tuttavia risulta quanto mai utile ripercorrere la breve parabola dell’istituto delle raccomandazioni vincolanti, sia in ragione dell’ampio dibattito che il tema aveva suscitato fra gli operatori del settore, sia perché la (ormai abrogata) disciplina delle raccomandazioni vincolanti consente comunque di comprendere in modo più completo la genesi e la ratio di fondo degli interventi apportati nel corso del 2017 all’art. 211.
In particolare, il richiamato co. 2, all’evidente fine di rendere più efficace il ruolo di vigilanza e controllo demandato all’ANAC, aveva introdotto ben tre meccanismi volti a rendere sostanzialmente vincolanti per l’Amministrazione le soluzioni individuate dall’ANAC nell’esercizio delle proprie funzioni:
• in primo luogo era stato previsto che, laddove l’Autorità avesse individuato profili di illegittimità degli atti della serie procedimentale della gara, avrebbe rivolto alla stazione appaltante una raccomandazione finalizzata ad ottenere un annullamento in autotutela ai sensi dell’art. 21 nonies l. 7.8.1990, n. 241 entro un termine stabilito (sessanta giorni). Si trattava, a ben vedere, di una particolarissima ipotesi di autotutela eteroindotta;
• in secondo luogo era stato previsto che, in caso di mancato adeguamento a quanto indicato in sede di raccomandazione, l’Autorità provvede ad irrogare nei confronti della stazione appaltante una sanzione amministrativa di importo compreso fra 250 e 25.000 euro, che sarebbe stata posta a carico del dirigente responsabile;
• in terzo luogo si era previsto che dell’irrogazione della sanzione si sarebbe tenuto conto ai fini del sistema reputazionale delle stazioni appaltanti di cui all’art. 36 del nuovo codice.
Il quadro disciplinare del meccanismo era stato completato attraverso l’adozione, da parte dell’ANAC, di un regolamento sull’esercizio dell’attività di vigilanza in materia di contratti pubblici12 con il quale era stato disciplinato con un certo livello di dettaglio l’iter del procedimento di vigilanza che avrebbe potuto condurre all’adozione della raccomandazione vincolante.
In ogni caso, la disposizione in questione aveva sin da subito prestato il fianco a numerosi rilievi critici.
Si era in primis osservato che l’introduzione del richiamato apparato sanzionatorio non sembrasse rinvenire un puntuale fondamento nell’ambito della l. delega n. 11/2016 (e che, pertanto, si ponesse in tendenziale contrasto con i generali canoni della tipicità e della nominatività, nonché della riserva di legge che presidiano la materia sanzionatoria).
Si era inoltre osservato che, nelle ipotesi di cui al co. 2, dell’art. 211, la sanzione non era irrogata a fronte della violazione di specifiche disposizioni del diritto ue, bensì per la pura e semplice mancata conformazione alla raccomandazione dell’ANAC, in tal modo riconfermando le perplessità circa l’effettiva conformità rispetto ai limiti della delega.
Si era inoltre osservato che la disposizione in esame determinasse il singolare effetto per cui la condotta antidoverosa (alla quale consegue l’irrogazione di una sanzione) non era rappresentata dalla violazione della disciplina sostanziale del settore, bensì dalla semplice inottemperanza ad un’indicazione impartita dall’Autorità di settore (indicazione che poteva essa stessa porsi erroneamente in contrasto con il quadro eurounitario di riferimento).
In sede di espressione del parere sullo schema di nuovo codice (1.4.2016), anche il Consiglio di Stato aveva evidenziato i numerosi profili di criticità – anche di ordine costituzionale – connessi alla disposizione in esame e aveva suggerito di sostituire la previsione con una diversa ispirata al modello di legittimazione processuale differenziata introdotta nella materia antitrust già dal dicembre del 2011 (si tratta dell’art. 21 bis della l. 10.10.1990, n. 287).
Il monito del Consiglio di Stato (rimasto inascoltato in sede di adozione del nuovo codice) è risultato invece prezioso per uscire dal vero e proprio stato di impasse che si era determinato all’indomani dell’adozione del decreto correttivo (aprile 2017).
Con il decreto correttivo n. 56/2017, infatti, il Governo aveva deciso di abrogare per intero il co. 2, dell’art. 211 (peraltro, con una scelta che aveva suscitato nei giorni e nelle settimane successive una vasta eco mediatica e politica).
Ed infatti, nei giorni immediatamente successivi all’abrogazione della disposizione in questione l’attenzione dell’opinione pubblica (piuttosto che concentrarsi sui numerosi e obiettivi profili di criticità che viziavano l’istituto delle raccomandazioni vincolanti e che erano emersi con evidenza sin dall’inizio) si era concentrata sulla ricerca degli ispiratori dell’abrogazione del comma in questione (ritenendosi da taluni che l’abrogazione in parola fosse parte di una più ampia manovra finalizzata a limitare i poteri e le prerogative dell’ANAC).
Di lì a poco, comunque, il Governo (dopo aver abbandonato l’opzione della riproposizione pura e semplice della – criticatissima – disposizione ormai abrogata) optò nel senso già indicato dal Consiglio di Stato con il parere dell’aprile 2016 e decise di introdurre nell’ambito dell’art. 211 alcuni nuovi commi (tre, per l’esattezza) il cui effetto era quello di introdurre una forma di legittimazione processuale speciale in capo all’ANAC, traendo ispirazione alle previsioni di cui all’art. 21 bis della l. n. 287/1990.
Nella sua attuale configurazione l’art. 211 risulta profondamente diverso rispetto al testo originario del codice, ma presenta ancora rilevanti profili di antinomia interna.
Il co. 1 (rimasto pressoché invariato anche a seguito del decreto correttivo del 2017) disciplina la tematica dei pareri di precontenzioso.
Il co. 1-bis (inserito con la l. n. 96/2017 di conversione del d.l. n. 50/2017) contempla la possibilità per l’ANAC di agire in giudizio «per l’impugnazione dei bandi, degli atti generali e dei provvedimenti relativi a contratti di rilevante impatto».
Il co. 1-ter (anch’esso inserito con la l. n. 96/2017) riconosce all’Autorità una speciale legittimazione ad agire dinanzi al giudice amministrativo laddove una stazione appaltante abbia adottato «un provvedimento viziato da gravi violazioni del presente codice».
Il co. 1-quater (introdotto dal medesimo strumento legislativo) demanda all’ANAC la potestà di individuare, con proprio regolamento, «i casi o le tipologie di provvedimenti in relazione ai quali esercita i poteri di cui ai commi 1-bis e 1-ter»13.
per quanto riguarda, poi, la tematica dei pareri di precontenzioso (co. 1), l’unica novità apportata al testo dal d.lgs. n. 56/2017 è rappresentata dalla specificazione (invero pleonastica) secondo cui l’espressione del parere da parte dell’Autorità di settore debba avvenire «previo contraddittorio» con le parti interessate.
Come si è già anticipato retro, sub § 2.2, con regolamento in data 5.10.2016 l’ANAC ha fissato le modalità procedurali per l’espressione dei pareri in questione.
Fra gli aspetti di maggiore interesse del regolamento in parola ci si limita qui a richiamare:
• l’inclusione, fra i soggetti legittimati a richiedere il parere, «[dei] soggetti portatori di interessi collettivi costituiti in associazioni o comitati» (art. 2, co. 1);
• la disciplina delle diverse modalità di presentazione dell’istanza (in modo singolo o congiunto), che possono condurre all’espressione di un parere vincolante ovvero non vincolante (artt. 3 e 4);
• la previsione secondo cui, in caso di presentazione dell’istanza di parere da parte di soggetti diversi dalla stazione appaltante, «l’Autorità formula alla stazione appaltante l’invito a non porre in essere atti pregiudizievoli ai fini della risoluzione della questione fino al rilascio del parere» (art. 3, co. 7);
• la previsione di una sorta di “filtro procedimentale” demandato a un non meglio identificato «ufficio» il quale ha il compito di vagliare i presupposti di ammissibilità e di procedibilità delle istanze. Solo a seguito di tale vaglio preliminare la questione può essere demandata agli organi dell’Autorità (artt. 7 e 9);
• la prevista possibilità di rendere pareri in forma semplificata (art. 10), «nei casi in cui la questione oggetto dell’istanza risulti di pacifica risoluzione, tenuto conto del quadro normativo e giurisprudenziale di riferimento». Nella sua attuale formulazione il regolamento prevede che, nonostante l’auspicata semplificazione, il parere debba comunque essere reso dal Collegio nella sua interezza;
• la previsione secondo cui, entro trentacinque giorni dalla ricezione del parere, la stazione appaltante debba comunicare l’eventuale proposizione di un’impugnativa avverso il parere (scil.: nei soli casi di parere vincolante), ovvero le misure adottate al fine di conformarvisi. È evidente che la scelta del termine per effettuare tale comunicazione sia stata individuata al fine di adattarsi alla tempistica per la proposizione di un eventuale ricorso avverso il parere (che segue le regole del cd. rito appalti ex art. 120 c.p.a. e deve essere proposto entro il termine – dimidiato – di trenta giorni).
A maggio del 2018 l’ANAC ha trasmesso al Consiglio di Stato uno schema di regolamento di (parziale) modifica del regolamento del 5.10.2016.
Le modifiche che l’Autorità ha proposto di apportare al testo non sembrano limitate a quelle (invero minime) rese necessarie dal decreto correttivo. Al contrario, sembra che l’Autorità abbia inteso operare una rimodulazione di numerosi aspetti della materia disciplinata, fruendo dell’esperienza applicativa di circa un anno e mezzo.
La più rilevante fra le modifiche proposte consiste nella prevista possibilità di demandare la soluzione delle questioni di più agevole soluzione (non già al Collegio, bensì) direttamente al dirigente di settore, il quale potrà rendere il parere (comunque non vincolante) «in forma breve e con procedimento semplificato» (nuovo art. 10).
Il 26.6.2018 il Consiglio di Stato ha reso un parere sostanzialmente soprassessorio sul testo trasmesso (indicando comunque alcuni aspetti di criticità) e, al momento in cui il presente contributo viene dato alle stampe, il nuovo regolamento non risulta ancora adottato in via definitiva.
Come si è già osservato, al fine di colmare il vuoto normativo determinato dall’abrogazione dell’istituto delle raccomandazioni vincolanti ad opera del decreto correttivo n. 56/2017 (e – almeno in parte – al fine di tacitare le voci di dissenso che avevano ascritto tale abrogazione alla volontà di limitare i poteri di vigilanza e controllo dell’ANAC), il legislatore ha introdotto nell’ambito dell’art. 211 tre nuovi commi (si tratta dei co. 1-bis, 1-ter e 1-quater). La ratio ispiratrice delle nuove disposizioni è evidentemente quella di salvaguardare i poteri di vigilanza e controllo dell’Autorità (nonché di enforcement delle relative decisioni), superando tuttavia i numerosi e rilevanti profili di criticità che avevano caratterizzato la (breve) parabola delle raccomandazioni vincolanti14.
I primi commentatori, tuttavia, hanno sin da subito sottolineato la profondissima diversità che caratterizza l’impostazione di fondo delle nuove disposizioni rispetto a quella abrogata nel corso del 2017 (il che testimonia che fra le prime e la seconda sussistono più aspetti di discontinuità che punti comuni).
È stato sottolineato in particolare che:
• mentre l’abrogato istituto delle raccomandazioni vincolanti (co. 2, dell’art. 211) riconosceva all’Autorità di settore il potere (pressoché unico nell’ordinamento giuridico) di rendere vincolanti e sanzionabili atti tipicamente privi del carattere della cogenza – le raccomandazioni, appunto – (riconoscendo di fatto alle stesse il carattere della paragiurisdizionalità);
• al contrario, le disposizioni introdotte nel corso del 2017 si muovono su un solco certamente più consolidato, impostando secondo una logica più lineare (e convincente) i rapporti fra gli apporti dell’Autorità di settore e il ruolo del giudice amministrativo.
Non a caso, del resto, la formulazione dei nuovi commi è stata ispirata dal parere espresso l’1.4.2016 dal Consiglio di Stato il quale aveva suggerito di modellare i poteri di intervento dell’ANAC sulla falsariga della legittimazione processuale speciale riconosciuta all’Autorità antitrust dall’art. 21 bis della l. n. 287/1990 (un modello che, come è noto, ha superato
indenne il vaglio della Corte costituzionale)15.
Più in particolare:
• il nuovo co. 1-bis stabilisce che l’ANAC sia legittimata ad agire in giudizio «per l’impugnazione dei bandi, degli altri atti generali e dei provvedimenti relativi a contratti di rilevante impatto, emessi da qualunque stazione appaltante, qualora ritenga che essi violino le norme in materia di contratti pubblici…». In questo caso l’esercizio del potere di impugnativa in via diretta non è subordinato a particolari condizioni e non viene collegato alla tipologia del vizio riscontrato, restando invece connesso al solo dato oggettivo (peraltro indeterminato) del «rilevante impatto» dell’appalto;
• il nuovo co. 1-ter, dal canto suo, stabilisce che «l’ANAC, se ritiene che una stazione appaltante abbia adottato un provvedimento viziato da gravi violazioni del presente codice, emette, entro sessanta giorni dalla notizia della violazione, un parere motivato nel quale indica specificamente i vizi di legittimità riscontrati. Il parere è trasmesso alla stazione appaltante; se la stazione appaltante non vi si conforma entro il termine assegnato dall’ANAC, comunque non superiore a sessanta giorni dalla trasmissione, l’ANAC può presentare ricorso, entro i successivi trenta giorni, innanzi al giudice amministrativo. Si applica l’articolo 120 del codice del processo amministrativo…». In questo caso, dunque – diversamente da quanto accade nelle ipotesi di cui al co. 1-bis – la legittimazione speciale ad agire non è connessa a un dato quantitativo (come il «rilevante impatto» di cui al comma precedente), bensì a un dato qualitativo
e relazionale, connesso al livello di gravità della violazione riscontrata. Si tratta evidentemente di un concetto giuridico indeterminato il quale, in assenza di adeguate misure attuative e di specificazione, potrebbe determinare rilevanti dubbi interpretativi. Inoltre (e, anche qui, diversamente rispetto al co. 1-bis) non viene riconosciuto all’ANAC un potere di impugnativa in via diretta degli atti di cui si assume la legittimità, restando tale possibilità subordinata al previo esperimento di una procedura chiaramente ricalcata sulla falsariga delle procedura di infrazione in ambito ue di cui all’art. 258 del TFUE. Il modello legale in tal modo delineato è evidentemente articolato su due fasi: i) nel corso della prima fase (ispirata al modello della vigilanza collaborativa) l’Autorità contesta all’amministrazione la violazione riscontrata e mira ad ottenere il ritiro in autotutela dell’atto ritenuto illegittimo; ii) nella seconda fase – che scatta in caso di infruttuosa conclusione della prima – l’Autorità agisce direttamente dinanzi al giudice amministrativo al fine di ottenere la rimozione giudiziale dell’atto che si assume affetto da «gravi violazioni»;
• il co. 1-quater, infine, demanda in modo espresso all’ANAC il potere di adottare un regolamento «[per] individuare i casi o le tipologie di provvedimenti in relazione ai quali esercita i poteri di cui ai commi 1-bis e 1-ter». La disposizione risulta evidentemente ispirata dall’esigenza di evitare qualunque dubbio in ordine alla sussistenza in capo ad ANAC di un potere regolamentare (in tal modo superando in radice i dubbi di legittimazione disciplinare che avevano accompagnato l’adozione del regolamento sui pareri di precontenzioso del 5.10.2016).
Con il parere del 4.4.2018 sullo schema di regolamento attuativo delle previsioni di cui ai nuovi co. 1-bis, 1-ter e 1-quater16 il Consiglio di Stato ha colto l’occasione per svolgere alcune considerazioni generali circa il nuovo impianto normativo delineato nel corso del 2017.
È stato in primo luogo osservato che i nuovi istituti si ispirano al modello della vigilanza collaborativa e si coniugano in modo coerente con i più generali poteri di vigilanza e controllo riconosciuti all’Autorità dall’art. 213 del codice.
È stato poi evidenziata la diversità di presupposti ed oggetto che caratterizza le due previsioni: mentre l’impugnativa diretta di cui al co. 1-bis (per «contratti di rilevante impatto») è possibile indipendentemente dalla gravità del vizio riscontrato, al contrario l’impugnativa previo parere motivato di cui al co. 1-ter (per il caso di «gravi violazioni») è possibile indipendentemente dal valore del contratto.
È stato inoltre sottolineato che il potere di impugnativa diretta di cui al co. 1-bis risulta evidentemente più incisivo rispetto a quello mediato dal previo esperimento di un parere motivato (il che dovrebbe rinvenire una giustificazione sistematica nel maggior rilievo economico dei «contratti di rilevante impatto» di cui al medesimo co. 1-bis).
Il Consiglio di Stato ha infine osservato (con notazione tutt’altro che scontata) che l’introduzione nell’ordinamento dei due richiamati istituti di vigilanza collaborativa mirerebbe a finalità deflattive del contenzioso.
L’affermazione suscita qualche riflessione in considerazione del fatto che le nuove disposizioni introducono una possibilità di agire in giudizio in precedenza sconosciuta, senza tuttavia eliminare alcuna delle facoltà di impugnativa già riconosciute agli operatori interessati a legislazione vigente. Le nuove forme di impugnativa, quindi, si affiancano e si sommano a quelle già esistenti, sì da rendere improbabile che esse potranno sortire un concreto effetto deflattivo.
Il 13.6.2018 l’ANAC ha approvato il regolamento attuativo dell’art. 211, co. 1-quater, in tal modo completando il quadro disciplinare delineato dal legislatore nel corso del 201717.
Il Consiglio di Stato ha chiarito che il regolamento in esame abbia natura «mista», risultando in parte attuativo della delega e in parte di carattere organizzativo18.
Il regolamento in questione risulta di notevole importanza sistematica in quanto contribuisce a chiarire numerosi e rilevanti aspetti del quadro normativo di riferimento.
In primo luogo risulta di indubbio interesse la previsione dell’art. 3, la quale fornisce la nozione di «contratti di rilevante impatto», svincolandola dal mero riferimento al valore economico dell’appalto e ricollegandola ad altri aspetti di rilievo (quali il numero degli operatori coinvolti, la presenza di condotte criminose, ovvero il «particolare impatto sull’ambiente, il paesaggio, i beni culturali, il territorio, la salute, la sicurezza pubblica o la difesa nazionale»).
In secondo luogo risulta di notevole interesse l’individuazione (che il regolamento individua – con formula perplessa – come «tassativa») delle ipotesi di «gravi violazioni» al nuovo codice.
Fra i casi in parola il regolamento menziona: i) l’affidamento diretto senza previa pubblicazione di un bando di gara al di fuori delle tassative ipotesi di legge; ii) il rinnovo tacito degli affidamenti; iii) la modifica sostanziale del contratto che avrebbe richiesto una nuova procedura di gara ai sensi degli artt. 106 e 175 del codice; iv) la mancata o illegittima esclusione di un concorrente nei casi previsti dagli artt. 80 e 83, co. 1, del codice; v) la mancata risoluzione del contratto nei casi di cui all’art. 108, co. 2, del codice; vi) la previsione nell’ambito della lex specialis di clausole o misure ingiustificatamente restrittive della partecipazione e, più in generale, della concorrenza.
In terzo luogo il regolamento in esame si occupa (sia pure in modo sintetico) dei rapporti fra gli strumenti di vigilanza collaborativa di cui all’art. 211 e gli ulteriori strumenti di vigilanza e controllo previsti dal nuovo codice. La questione risulta di particolare rilevanza e interesse in relazione alle ipotesi in cui, pur sussistendo «gravi violazioni» delle previsioni del codice, l’Autorità non abbia tempestivamente proposto ricorso al TAR secondo la tempistica di cui all’art. 120 c.p.a. ebbene, per tali ipotesi l’art. 11, co. 5, del regolamento stabilisce che «lo spirare dei termini per l’esercizio dell’azione in giudizio o per l’emissione del parere motivato non pregiudica l’esercizio degli altri poteri istituzionali dell’Autorità». Il successivo art. 12, co. 1, stabilisce inoltre che i ricorsi in sede giurisdizionale di cui ai co. 1-bis e 1-ter «determina[no] la sospensione dei procedimenti di vigilanza nonché dei procedimenti di precontenzioso preordinati all’emissione di pareri non vincolanti in corso presso gli uffici dell’Autorità, aventi il medesimo oggetto».
Le modifiche normative intervenute nel corso del 2017 hanno contribuito a correggere numerosi dei profili di criticità che caratterizzavano l’iniziale formulazione dell’art. 211 del nuovo codice (basti qui richiamare i numerosi aspetti problematici connessi alla controversa figura delle raccomandazioni vincolanti dell’ANAC).
Anche a seguito degli interventi del 2017, tuttavia permangono almeno due aspetti di criticità.
Il primo di essi riguarda i rapporti non del tutto chiari fra i diversi istituti di vigilanza collaborativa e di controllo che possono essere adottati dall’ANAC in relazione alle procedure di gara.
Il regolamento adottato dall’Autorità nel giugno del 2018 tenta di risolvere alcuni dei richiamati aspetti di interconnessione (ad esempio, disponendo la sospensione dei procedimenti di vigilanza e di precontenzioso già avviati per il periodo di durata dei giudizi di cui ai nuovi co. 1-bis e 1-ter).
Resta tuttavia fermo che il cumulo di poteri e di strumenti (talora di carattere evidentemente eterogeneo quanto a caratteristiche, limiti e cogenza) imporrebbe una più chiara delimitazione dei rispettivi ambiti.
Il secondo aspetto di criticità riguarda il carattere sostanzialmente indeterminato (nonostante il lodevole sforzo di definizione profuso dall’ANAC in sede regolamentare) delle nozioni di «contratti di rilevante impatto» e di «gravi violazioni» del codice (che rappresentano, come si è detto, l’ubi consistam delle nuove previsioni codicistiche).
Sotto tale aspetto (stante il carattere evidentemente ampio della formulazione legislativa) non appare condivisibile la scelta adottata in sede regolamentare di annettere il carattere di tassatività a un novero (peraltro, molto ragionato) di ipotesi.
1 Fra i commenti dedicati alla disciplina qui in esame ci si limita a richiamare: Contessa, C., Commento all’art. 211, in Contessa, C.-Crocco, D., Codice degli appalti e delle concessioni commentato, Roma, 2017, 798 ss.; Contessa, C., Il nuovo codice dei contratti pubblici – Le forme di tutela nel nuovo codice, in Giorn. dir. amm., 2016, 515 ss.; Lipari, m., Il pre-contenzioso, in giustizia-amministrativa.it, 2017; ponzone, L., Commento all’art. 211, in Garofoli, R.-Ferrari, G., a cura di, Codice dei contratti pubblici annotato, Roma-molfetta, 2017, 2962 ss.
2 In tal senso Giampaolino, L.-ponzone, L., L’Autorità di vigilanza sui contratti pubblici, in Sandulli, M.A.-De Nictolis, R.-Garofoli, R., diretto da, Trattato sui contratti pubblici, Milano, 2008, 697 ss.
3 Zanettini, L., Organi istituzionali e relative funzioni, in Clarich, M., a cura di, Commentario al Codice dei contratti pubblici, Torino, 2010, 130 ss.
4 Caranta, R., Commento all’art. 6, in Caringella, F.-Protto, m., a cura di, Codice e regolamento unico dei contratti pubblici, Roma, 2011, 66 ss.
5 Caranta, R., op. loc. ultt. citt.
6 Come è noto, infatti, ai sensi della disposizione richiamata «gli atti delle procedure di affidamento, ivi comprese le procedure di affidamento di incarichi e concorsi di progettazione e di attività tecnico-amministrative ad esse connesse, relativi a pubblici lavori, servizi o forniture, nonché i connessi provvedimenti dell’Autorità nazionale anticorruzione ad essi riferiti, sono impugnabili unicamente mediante ricorso al tribunale amministrativo regionale competente».
7 Contessa, C., Commento all’art. 211, loc. cit.
8 Contessa, C., op. loc. ultt. citt.
9 Contessa, C., op. loc. ultt. citt.
10 In G.U. del 19.10.2016, n. 245.
11 Sul punto cfr. Contessa, C., Dalla legge delega al nuovo ‘Codice’: opportunità e profili di criticità, in giustizia-amministrativa.it, 2016; veltri, G., Il contenzioso nel nuovo Codice dei contratti pubblici: alcune riflessioni critiche, in giustizia-amministrativa.it, 2016; Quinto, P., La morale del motorino e le “raccomandazioni” di Cantone, in lexitalia.it; Cosmai, p., I pareri di pre-contenzioso e le raccomandazioni ANAC nel nuovo codice dei contratti, in Aziendaitalia, 2016, 11.
12 Si tratta del regolamento del 15.2.2017 (pubblicato in G.U. del 28.2.2017, n. 49).
13 Come si vedrà nel prosieguo, l’ANAC ha esercitato la potestà riconosciuta dalla disposizione in questione e ha adottato il regolamento del 13.6.2018 (Regolamento sull’esercizio dei poteri di cui all’articolo 211, commi 1-bis e 1-ter, del decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50).
14 Sul punto cfr. Caputo, O.M., Linee guida, attribuzioni precontenziose e potere sanzionatorio dell’ANAC, in Urb. app., 2018, 5 ss.
15 C. cost., 14.2.2013, n. 20.
16 Cons. St., parere del 4.4.2018, n. 1119.
17 Si tratta del Regolamento sull’esercizio dei poteri di cui all’articolo 211, commi 1-bis e 1-ter, del decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50 e successive modificazioni e integrazioni, in G.U. del 17.7.2018, n. 164.
18 Cons. St., parere n. 1119/2018, cit., § II.6.