Vedi Il nuovo protagonismo turco dell'anno: 2012 - 2013
di Carlo Marsili
La politica estera turca prima della caduta del muro di Berlino era rimasta pressoché immobile nei termini che la geografia, la storia e soprattutto le esigenze della Guerra fredda imponevano. Filoamericana, antisovietica, diffidente verso il mondo arabo e l’Iran, in ossequio alla tradizione kemalista all’ombra dei militari, che favorirono invece le relazioni con Israele. Agli inizi degli anni Novanta, Ankara poteva essere considerata uno dei maggiori beneficiari della fine del sistema sovietico. Aveva visto sparire una minaccia ai propri confini e si schiudevano interessanti prospettive di proiezione economica e culturale nelle nuove repubbliche centro-asiatiche e nella regione balcanica. Le prospettive di allargamento della Nato e dell’Unione Europea ai paesi dell’Europa orientale conferivano alla Turchia una nuova finestra di opportunità in vista del suo avvicinamento all’Europa. Sulla frontiera sud-occidentale il maggior problema era rappresentato dalle conseguenze della Prima guerra del Golfo, con le loro ripercussioni sulla questione interna curda. La salda appartenenza della Turchia alla sfera di sicurezza occidentale consentì però di affrontare tali questioni in termini relativamente agevoli. Le conseguenze degli eventi dell’11 settembre 2001 hanno alterato il quadro, obbligando Ankara a confrontarsi con un contesto regionale più complesso, caratterizzato dall’intervento americano in Iraq. Ciò ha costretto la politica estera turca ad adattarsi a una situazione in cui l’alleato americano perseguiva la modifica degli equilibri nel Medio Oriente allargato. L’avvento al governo dell’Akp (il Partito per la giustizia e lo sviluppo) a fine 2002 coincise con una risposta immediata al nuovo quadro geopolitico, consistente nell’obiettivo dell’ingresso nell’Unione Europea. L’attuale riduzione della forza di attrazione europea, dovuta ai ripensamenti franco-tedeschi e allo stallo negoziale su Cipro più che a responsabilità interne, ha dato maggiore spazio alle correnti di politica estera inclini a rafforzare il rapporto con il mondo mediorientale, facendo leva sugli interessi economici e le affinità religiose e culturali. Si tratta di un fenomeno sviluppatosi lentamente, tanto che lo spartiacque può farsi risalire al maggio 2009, quando la titolarità del ministero degli esteri è passata al professor Ahmet Davuto˘glu. Il nuovo scenario, definito di ‘profondità strategica’ all’insegna del principio ‘nessun problema con i vicini’, si amplia quindi a dismisura verso le aree di crisi, favorito da una assertività turca basata sul successo economico di questi anni. Si assiste quindi a un rinnovato attivismo nei Balcani, articolato su una combinazione di elementi tradizionali quali la difesa delle minoranze musulmane, l’integrità territoriale della Bosnia, l’appoggio alle aspirazioni di Kosovo, Montenegro, Macedonia e Albania, e scelte innovative, quali l’intensificazione dei legami con Croazia e Slovenia, ma anche il riconoscimento del ruolo chiave della Serbia. Nel 2007 viene lanciata la trilaterale turco-afghano-pakistana sulla cui linea si pone la disponibilità a partecipare all’operazione di pace in Libano e il tentativo di mediazione tra Siria e Israele. Ankara assumeva quindi l’iniziativa per la stabilità del Caucaso, all’indomani del conflitto russo-georgiano in Ossezia del Sud, in cui essa stessa, Russia, Georgia, Armenia e Azerbaigian dovevano essere coinvolte. Ha cercato di ricucire i rapporti con l’Armenia nel settembre 2008 con la ‘diplomazia delle partite di calcio’ fino a giungere un anno dopo alle intese di Zurigo, rimaste congelate per la mancata ratifica di entrambi i parlamenti a causa soprattutto del nodo irrisolto del Nagorno Karabakh. I rapporti con la Siria sono nettamente migliorati, tanto da prospettare un meccanismo di libera circolazione delle merci e delle persone esteso a Giordania e Libano. Il rafforzamento delle relazioni con l’Iran, fino ad opporsi alle sanzioni, è legato soprattutto ai forti interessi economici e commerciali tra i due paesi, anche se al vertice Nato di Lisbona del novembre 2010 la Turchia ha aderito al nuovo concetto strategico, mettendosi a disposizione per il progetto di difesa missilistica a condizione che Teheran non venisse menzionata. Le relazioni con Israele sono peggiorate sia in relazione alla questione palestinese, sia per l’attacco alla flottiglia turca diretta a Gaza. Con la Russia si è addivenuti a un partenariato strategico, concretizzando progetti congiunti in campo energetico. I rapporti con gli Stati Uniti, e in certa misura con i paesi europei, hanno risentito di tutto ciò, ma chiedersi se l’Occidente abbia perduto la Turchia appare fuorviante. Il contesto globale è cambiato e ciò ha indotto Ankara ad adottare una strategia regionale più dinamica che in passato, ma non necessariamente conflittuale con le posizioni occidentali. Essa potrebbe anzi rappresentare una valenza in più per l’influenza stabilizzatrice nell’area mediorientale.