Il nuovo redditometro
Con l’emanazione del d.m. 24.12.2012 si completa il percorso di riscrittura delle regole dell’accertamento sintetico avviato, tre anni or sono, dal d.l. 31.5.2010, n. 78. Il Ministero dell’economia e delle finanze, dando seguito alle disposizioni recate dal riformato quinto comma dell’art. 38 del d.P.R. 29.9.1973, n. 600, ha infatti individuato una corposa serie di “elementi indicativi di capacità contributiva” fissando, al contempo, sia il criterio o, a seconda dei casi, i criteri da seguirsi per valorizzare le spese sostenute che le relative modalità di imputazione; restano, tuttavia, sul tappeto una serie di delicate questioni collegate, in particolare, al rapporto tra le spese certe e quelle stimate. Si tratta di questioni di grande rilievo operativo che, oltre a suscitare un forte clamore mediatico, devono fare i conti con le prime indicazioni fornite dall’Agenzia delle entrate e con una serie di recenti, e per certi versi inattesi, sviluppi giurisprudenziali.
Lo scorso mese di dicembre, a distanza di oltre due anni dalla pressoché integrale riscrittura della disciplina dell’accertamento sintetico, hanno finalmente visto la luce le disposizioni di attuazione dell’art. 38, co. 5, d.P.R. 29.9.1973, n. 600 a mente del quale la determinazione sintetica del reddito complessivo può anche essere fondata «sul contenuto induttivo di elementi indicativi di capacità contributiva individuato mediante l’analisi di campioni significativi di contribuenti, differenziati anche in funzione del nucleo familiare e dell’area territoriale di appartenenza, con decreto del Ministero dell’economia e delle finanze da pubblicare nella Gazzetta Ufficiale con periodicità biennale»1.
Lunga è stata la scia di polemiche e proclami che ha accompagnato, prima, e seguito, poi, l’elaborazione del d.m. 24.12.2012.
Emblematico è, da questo punto di vista, il comunicato stampa del 20.1.2013 a mezzo del quale l’Agenzia delle entrate, dopo aver precisato, in maniera invero assai discutibile, che già in fase di selezione non saranno prese in considerazione né determinate categorie di contribuenti (il riferimento è, in particolare, ai pensionati titolari della sola pensione) né, tantomeno, le posizioni con scostamenti inferiori ad una certa soglia (in specie, 12 mila euro), ha enfatizzato le virtù salvifiche del nuovo redditometro ritenendolo strumento capace di «individuare i finti poveri e, quindi, l’evasione “spudorata” ossia quella ritenuta maggiormente deplorevole dal comune sentire»2.
Altrettanto indicative del clima che si è respirato nei mesi scorsi sono alcune prese di posizione della giurisprudenza di merito le quali, oltre ad essere caratterizzate da alcune “forzature” sul piano processuale, appaiono animate da un approccio ideologico al tema che, non a torto, è stato definito “iconoclasta”3. Torna in particolare alla mente, anche per la vasta eco suscitata sugli organi di stampa, l’ordinanza del Tribunale di Napoli, sede di Pozzuoli, che, scorgendo dietro l’impiego del redditometro gravissime violazioni dei diritti fondamentali garantiti dalla Costituzione e dalla CEDU, ha tacciato il d.m. 24.12.2012 di radicale nullità ordinando all’Agenzia delle entrate di non intraprendere alcuna ricognizione, archiviazione, o comunque attività di conoscenza dei dati relativi a quanto previsto dall’art. 38, co. 4 e 5, del d.P.R. n. 600/1973 e di distruggere, al contempo, tutti i relativi archivi4. Nella stessa direzione, è poi degna di nota la successiva sentenza della Commissione tributaria di Reggio Emilia che, nel condividere le argomentazioni del Giudice partenopeo, ha dapprima ritenuto che il d.m. 24.12.2012 potesse essere applicato anche ad annualità antecedenti il 2009 e, quindi, lo ha letteralmente demolito giudicandolo capace, tra l’altro, di porre «in evidente pericolo l’integrità morale della sfera privata nella sua completezza con potenzialità pregiudizievoli irreparabili e imprevedibili nelle loro evidenti proiezioni in danno della dignità umana e della relativa libertà e vita privata»5.
Ebbene, è sin troppo evidente che l’esasperazione dei toni, tanto nell’uno quanto nell’altro senso, non può e non deve condizionare l’ineludibile analisi dei contenuti del decreto attuativo il quale, come vedremo di qui a poco, pone all’attenzione dell’interprete una serie di rilevanti questioni che, se non adeguatamente affrontate e sistematizzate, rischiano di vanificare il meritorio sforzo di “aggiornamento dell’accertamento sintetico” compiuto dal legislatore nella primavera del 20106.
In esito ad una analisi che, giusto quanto stabilito dal già citato quinto comma dell'art. 38 d.P.R. n. 600/1973, avrebbe dovuto tener conto di campioni significativi di contribuenti differenziati anche in funzione del nucleo familiare e dell’area territoriale di appartenenza, il Ministero dell’economia e delle finanze ha elaborato il decreto attuativo individuando, per un verso, una corposa serie di “elementi indicativi di capacità contributiva” (circa 100 voci di spesa divise in 11 macrocategorie) e fissando, per un altro verso, sia il criterio o, a seconda dei casi, i criteri da seguirsi per valorizzare le spese sostenute che le relative modalità di imputazione.
Tra le righe del decreto varato lo scorso mese di dicembre si possono, inoltre, cogliere alcune parziali e, come vedremo, ultronee precisazioni in ordine alle facoltà probatorie riconosciute al contribuente per superare le risultanze dell’accertamento sintetico. Nulla invece si dice, e non potrebbe essere diversamente attesa la chiara lettera del varie volte citato co. 5 dell’art. 38, in merito alla cd. “soglia di indifferenza” ed alle garanzie procedimentali riconosciute al contribuente. Resta, perciò, fermo che la ricostruzione sintetica potrà avere luogo solo e soltanto se il reddito complessivo accertabile eccede di almeno un quinto quello dichiarato (cfr. art. 38, co. 6); così come resta ineludibile l’obbligo per l’Ufficio che procede alla determinazione sintetica di invitare il contribuente, prima, al fine di fornire dati e notizie rilevanti per l’accertamento e di avviare, poi, il tentativo di accertamento con adesione ex art. 5 d.lgs. 19.6.1997, n. 218 (cfr. art. 38, co. 7).
2.1 Gli elementi indicativi di capacità contributiva
L’architrave su cui poggia il decreto è senza dubbio costituito dall’art. 1, co. 2, che, dopo aver chiarito che per «elemento indicativo di capacità contributiva si intende la spesa sostenuta dal contribuente per l’acquisizione di servizi e di beni e per il relativo mantenimento», rimanda al sostanzioso elenco di voci di spesa per consumi e per investimenti recato dalla tabella A. Avuto puntuale riguardo all’individuazione del contenuto induttivo dei predetti elementi di capacità contributiva, il Ministero avverte peraltro la necessità di precisare che tale contenuto «corrisponde alla spesa media risultante dall’indagine annuale sui consumi delle famiglie compresa nel Programma statistico nazionale, ai sensi dell’art. 13 del decreto legislativo 6 settembre 1989, n. 322, effettuata su campioni significativi di contribuenti appartenenti ad undici tipologie di nuclei familiari distribuite nelle cinque aree territoriali in cui è suddiviso il territorio nazionale» (cfr., in particolare art. 1, co.3, del decreto attuativo).
Il riferimento alle spese medie ISTAT non deve, tuttavia, considerarsi esaustivo. Dalla lettura del decreto si coglie, infatti, un chiaro e costante riferimento alla necessità di valorizzare, ove possibile, le spese considerando i dati disponibili o presenti in Anagrafe tributaria.
Ma non è tutto. Il decreto apre anche alla possibilità che il contenuto induttivo degli elementi di capacità contributiva sia determinato ricorrendo a non meglio specificate «risultanze di analisi e studi socio economici, anche di settore» (cfr. art. 1, co. 4, e la tabella A).
Riepilogando, ai fini della ricostruzione sintetica del reddito, possono essere prese in considerazione: spese di ammontare certo; spese di ammontare quantificato applicando ad elementi presenti in Anagrafe tributaria valori medi ISTAT o analisi degli operatori appartenenti ai settori economici di riferimento; spese per beni e servizi di uso corrente di ammontare pari alla spesa media ISTAT e, infine, la quota di spesa, sostenuta nell’anno, per l’acquisto di beni e servizi durevoli.
Orbene e venendo ad alcune brevi note di commento, corre innanzi tutto l’obbligo di rilevare che, avuto riguardo ai 56 capi di spesa che compongono l’elenco di cui alla tabella A, è presente in 26 casi un riferimento congiunto ai valori di spesa effettivi ed ai valori risultanti dall’indagine annuale sui consumi delle famiglie condotta dall’ISTAT ovvero dalle «analisi e studi socio economici, anche di settore»; nei restanti casi il riferimento è, invece, alle sole spese certe risultanti da dati disponibili o presenti in Anagrafe tributaria. Si registra, dunque, un numero non trascurabile di casi in cui può esservi coesistenza tra spese certe e spese stimate ed è proprio in tale contesto che entra in gioco l’opinabile criterio fissato dal decreto attuativo a mente del quale, ai fini della determinazione sintetica del reddito complessivo, si considera «l’ammontare più elevato tra quello disponibile o risultante dalle informazioni presenti in Anagrafe tributaria e quello determinato considerando la spesa media rilevata dai risultati dell’indagine sui consumi dell’Istituto nazionale di statistica o da analisi e studi socio economici, anche di settore» (cfr., in particolare art. 1, co. 5).
Ora, se è vero, come è vero, che la scelta di considerare il maggiore tra il dato di spesa effettiva e quello di spesa stimata appare priva di un fondamento razionale, è anche vero che, rispetto al d.m. del 10.9.1992, il nuovo redditometro si caratterizza per l’ampio peso riconosciuto alle spese certe risultanti, cioè, da dati disponibili o presenti in Anagrafe tributaria7. Trattasi di novità da salutarsi senz’altro con favore poiché mira ad ancorare la ricostruzione sintetica a dati tendenzialmente certi. Se così è, ci si deve tuttavia chiedere se non vada attenuandosi la tradizionale distinzione tra l’accertamento sintetico puro (il quale può essere effettuato sulla base di una valutazione direttamente svolta dall’Ufficio in relazione alle “spese di qualsiasi genere” individuate dall’ufficio stesso) e l’accertamento sintetico redditometrico (il quale, invece, si fonda “sul contenuto induttivo di elementi indicativi di capacità contributiva” individuati con apposito decreto ministeriale): ed invero, la numerosità e la varietà delle spese prese in considerazione dal nuovo redditometro, da una parte, ed il relativo peso delle spese stimate sulla base delle medie ISTAT ovvero sulla base delle risultanze di analisi e studi socio-economici, dall’altra parte, inducono a pensare che la distinzione cui si faceva testé riferimento, pur rimanendo ferma sulla carta, potrebbe perdere nella pratica molto del suo antico rilievo.
In un’ottica di convergenza, può forse anche leggersi la mancata riproposizione, nel testo riformato nel 2010, della previsione recata dalla seconda parte del previgente quarto comma che, limitatamente agli accertamenti sintetici basati sul redditometro, richiedeva che lo scostamento tra il reddito accertabile e quello dichiarato si protraesse per due o più periodi d’imposta.
Resta, infine, da ricordare che l’ultimo comma dell’art. 1 del decreto in rassegna ammette la possibilità che l’Agenzia delle entrate determini sinteticamente il reddito complessivo muovendo da elementi di capacità contributiva diversi da quelli riportati nella tabella A ovvero dalla quota risparmio formatasi nell’anno.
2.2 L’imputazione delle spese e la determinazione del reddito complessivo
La ricostruzione sintetica del reddito complessivo presuppone che le spese relative ai beni ed ai servizi siano imputate al soggetto che le ha effettivamente sostenute; ovvie sarebbero, in caso contrario, le conseguenze sul piano dell’attendibilità del risultato ottenuto. Di qui la previsione recata dall’art. 2, co. 1 del decreto attuativo alla cui stregua le spese si considerano sostenute dalla persona fisica cui risultano riferibili sulla base dei dati disponibili o delle informazioni presenti in Anagrafe tributaria ovvero, se trattasi di spese sostenute dal coniuge o da familiari fiscalmente a carico, dal soggetto che beneficia delle relative detrazioni fiscali.
A tale ultimo riguardo, se appare ineccepibile il riferimento al soggetto che effettivamente sostiene la spesa, qualche dubbio è lecito nutrire in relazione alle spese sostenute dal coniuge o dal familiare a carico. Ed invero, risulta essere di comune dominio l’assunto secondo cui, nelle moderne famiglie, le fonti di reddito sono molteplici ed è assai difficile, per non dire impossibile, stabilire se, a prescindere dalla spettanza delle detrazioni per carichi di famiglia, la spesa è sostenuta dal padre piuttosto che dalla madre oppure da entrambi i coniugi in parti uguali e ciò senza considerare la possibilità che la spesa sia sostenuta da uno dei figli o, perché no, da uno dei nonni.
In buona sostanza, ci troviamo dinanzi ad una disposizione non irragionevole, ma senz’altro discutibile e ciò deve indurre alla massima cautela pena il rischio di accertamenti arbitrari che potrebbero non reggere ad un serio vaglio giurisprudenziale.
Ancora sul piano dell’imputazione della spesa, corre l’obbligo di ricordare che, per espressa previsione regolamentare, non si tiene conto delle spese relative a beni e servizi utilizzati effettivamente ed esclusivamente nell’esercizio dell’impresa ovvero di arte e/o professione (cfr. art. 2, co. 2, stando al quale, peraltro, grava sul contribuente l’onere di documentare l’eventuale utilizzo promiscuo del bene8).
Passando alle modalità di quantificazione del reddito complessivo, occorre rammentare che, sulla scorta di quanto previsto dall’art. 3 del varie volte citato d.m. 24.12.2012, lo stesso si determina sommando: l’ammontare delle spese che, dai dati disponibili o dalle informazioni presenti nel Sistema informativo dell’Anagrafe tributaria, risultano sostenute dal contribuente; la quota-parte dell’ammontare della spesa media ISTAT riferita al nucleo familiare di appartenenza; l’ammontare delle ulteriori spese riferite a beni e servizi, presenti nella tabella A, nella misura determinata considerando la spesa rilevata da analisi e studi socio-economici; la quota relativa agli incrementi patrimoniali del contribuente imputabile al periodo d’imposta e, da ultimo, la quota risparmio nel medesimo tempo formatasi.
Degno di nota è il particolare criterio messo a punto per ripartire tra i componenti il nucleo familiare la spesa media ISTAT: si prevede, in particolare, che in presenza di redditi dichiarati l’imputazione della spesa deve aver luogo considerando il rapporto tra il reddito complessivo attribuibile al contribuente ed il totale dei redditi complessivi attribuibili ai componenti il nucleo familiare; in assenza, invece, di redditi dichiarati l’imputazione della spesa media deve avere luogo considerando il rapporto tra le spese effettive sostenute dal contribuente ed il totale delle spese effettive sostenute dall’intero nucleo familiare. Anche in questo caso, pertanto, si registra l’adozione di un criterio di natura forfettaria che, se non adeguatamente “tarato” in sede di contraddittorio, rischia di alimentare un’inutile quanto defatigante contenzioso.
Ma non è certamente questo l’aspetto più delicato della questione. Nel mese di luglio, l’Agenzia delle entrate, predisponendo la circolare di commento alla disciplina del nuovo redditometro, ha preso posizione rilevando che, in sede di selezione dei contribuente da verificare, «non avranno valenza le spese per beni di uso corrente che fanno riferimento alla spesa media risultante dall’indagine annuale ISTAT sui consumi delle famiglie»9; in buona sostanza, nella fase di selezione, si terrà conto esclusivamente delle spese certe. Le spese medie rilevate dall’ISTAT assumeranno invece rilievo, stando sempre alle prime indicazioni fornite dall’Agenzia delle entrate, in occasione del contraddittorio e spiegheranno pieno effetto ai fini della ricostruzione sintetica. Trattasi di una lettura piuttosto discutibile che, oltre ad essere estranea al dato testuale, rischia di compromettere la tenuta complessiva del nuovo redditometro: ed invero, o si ritiene che le spese ISTAT siano tanto “solide” da poter esser prese in considerazione sia in sede di selezione che in sede di contraddittorio, o, di converso, le si ritiene inadatte allo scopo ma, in questo caso, ciò che vale per la selezione deve valere anche per la ricostruzione del reddito. Tertium non datur.
E ciò senza considerare che, seguendo la tesi dell’Agenzia delle entrate, si finisce con il riconoscere all’impiego delle tanto vituperate spese ISTAT una valenza che, nella sostanza, è parasanzionatoria.
2.3 Gli incrementi patrimoniali e la quota risparmio
Il legislatore, nel riscrivere la disciplina dell’accertamento sintetico, ha omesso di riprodurre la disposizione che, un tempo, imponeva all’ufficio di considerare la spesa per incrementi patrimoniali sostenuta, salvo prova contraria, con redditi conseguiti, in quote costanti, nell’anno in cui è stata effettuata e nei quattro precedenti (cfr. il previgente co. 5 dell’art. 38).
Per parte sua, il decreto attuativo si è limitato a prevedere che l’ammontare degli investimenti effettuati nell’anno va assunto al netto di quello dei «disinvestimenti netti» effettuati nell’anno stesso e nei «quattro anni precedenti all’acquisto dei beni» (cfr., in particolare, la tabella A).
Orbene, se si ritiene, in linea con la comune esperienza, che è del tutto inverosimile assumere che la spesa per l’acquisto di taluni beni di investimento possa essere finanziata con provviste reddituali di origine annuale, non resta che spiegare la scelta del legislatore della primavera del 2010 in chiave di mitigazione o, meglio, di superamento di uno schema presuntivo che non teneva conto della complessità delle singole scelte di investimento e/o di risparmio.
In buona sostanza, posto che la propensione al risparmio varia di caso in caso, il superamento della presunzione in materia di spesa per incrementi patrimoniali mira a rimuovere un inutile fattore di rigidità: in occasione del contraddittorio, il contribuente potrà quindi dimostrare qual è l’effettiva natura ed origine temporale della quota risparmio utilizzata per far fronte alla spesa per investimenti10.
Quanto all’identificazione della quota risparmio, è appena il caso di sottolineare che, se si eccettua il fugace riferimento operato dall’ultimo comma dell’art. 1 del decreto, alla «quota risparmio riscontrata, formatasi nell’anno», nessuna utile indicazione è ritraibile dalla lettura del decreto ministeriale. Il che, peraltro, non è di ostacolo alla possibilità di identificare tale quota nell’incremento dei saldi di conto corrente ovvero di altri consimili rapporti finanziari.
2.4 La prova contraria
Quanto, infine, al tema della prova contraria, l’art. 4 d.m. 24.12.2012 amplia il perimetro tracciato dall’art. 38, co 4., riconoscendo al contribuente la facoltà di provare il diverso ammontare delle spese a lui attribuite ovvero di dimostrare che il finanziamento della spesa è avvenuto grazie al contributo di soggetti diversi. Di primo acchito, il decreto dello scorso dicembre sembra segnare un passo in avanti rispetto al d.m. 10.9.1992: si tratta, tuttavia, di novità meramente apparente giacché, da tempo, tanto la dottrina11 quanto la giurisprudenza12 hanno riconosciuto al contribuente illimitate possibilità probatorie per superare le risultanze dell’accertamento sintetico.
Ai profili di criticità emersi in sede di commento della disciplina attuativa se ne affiancano altri di portata più generale che interessano, segnatamente, l’applicazione retroattiva del nuovo redditometro e la natura delle presunzioni su cui esso si basa.
3.1. L’applicazione retroattiva
Quanto al primo profilo, molto si è detto e scritto. L’art. 22 d.l. n. 78/2010, in modo quantomeno originale, prevede che le novità legislative in punto di ricostruzione sintetica esplicano effetto per gli accertamenti relativi ai redditi per i quali il termine di dichiarazione non è ancora spirato alla data di entrata in vigore della novella legislativa e, quindi, per gli accertamenti relativi al periodo d’imposta 2009 e successivi; identica è l’indicazione fornita, in parte qua, dall’art. 5 del decreto attuativo. La questione è estremamente complessa e può essere scrutinata sotto molteplici punti di vista13: in questa sede ci si limita tuttavia a richiamare l’attenzione sulla possibilità di applicare il nuovo redditometro agli accertamenti relativi ai periodi d’imposta anteriori al 2009. Diciamo subito che, rimanendo fedele al dato letterale, l’Agenzia delle entrate s’è espressa contro tale possibilità e ciò anche se il nuovo redditometro costituisce una versione più evoluta della precedente capace di offrire, in taluni casi, risultati più favorevoli al contribuente14. Si tratta, a ben vedere, di una lettura rigida che, a tacer d'altro, ignora l’insegnamento delle Sezioni Unite le quali, avuto riguardo ai cd. accertamenti standardizzati15, hanno affermato un principio chiaro e difficilmente controvertibile: posto che gli strumenti di rilevazione della normale redditività sono il frutto di un processo di progressivo affinamento, deve in ogni caso riconoscersi la prevalenza «dello strumento più recente su quello precedente con la conseguente applicazione retroattiva dello standard più affinato è, pertanto, più affidabile»16. Del resto e per concludere sul punto, negare l’applicazione retroattiva di uno strumento che, per espressa ammissione del legislatore, mira ad adeguare l’accertamento sintetico al mutato contesto socio-economico rendendolo di fatto più efficiente, significa contraddire, in modo assolutamente illogico, la ratio stessa sottesa all’intervento della primavera del 201017.
3.2 La natura delle presunzioni
L’altra rilevante questione su cui è opportuno soffermarsi è quella che attiene alla natura delle presunzioni su cui poggia il redditometro. Anche in questo caso si tratta di un tema complesso che non può essere liquidato in poche battute: ragioni editoriali consentono, tuttavia, solo alcuni rapidi cenni agli sviluppi giurisprudenziali più recenti.
Com’è noto, per lungo tempo, granitico è apparso l’orientamento della Corte di cassazione che, qualificando le presunzioni redditometriche alla stregua di presunzioni legali relative, ha sottolineato che «la determinazione del reddito effettuata sulla base dell’applicazione del cosiddetto “redditometro” dispensa l’Amministrazione finanziaria da qualunque ulteriore prova rispetto ai fatti-indici di maggiore capacità contributiva … e pone a carico del contribuente l’onere di dimostrare che il reddito presunto sulla base del redditometro non esiste o esiste in misura inferiore»18.
Nei mesi scorsi, tuttavia, si è registrata un’imprevista e vistosa inversione di rotta che ha portato i Supremi giudici ad affermare che «l’accertamento sintetico disciplinato dall’art. 38 del d.P.R. n. 600/1973, già nella formulazione anteriore a quella successivamente modificata dall’art. 22 del D.L. 31 maggio 2010, n. 78, ... tende a determinare, attraverso l’utilizzo di presunzioni semplici, il reddito complessivo presunto del contribuente»19. In buona sostanza, siamo in presenza di un ragionamento presuntivo che, muovendo da dati di normalità economica, deve essere “personalizzato” dall’ufficio in sede di contraddittorio e la cui stessa plausibilità può essere contestata dal contribuente.
Ebbene, in attesa di capire se il nuovo orientamento troverà spazio per consolidarsi, un dato appare certo: numerosi sono, nel nuovo redditometro, i riferimenti a situazioni di normalità economica (il pensiero corre immediatamente alle medie ISTAT20 ed alle «risultanze di analisi e studi socio economici, anche di settore», ma non si devono trascurare altri profili quali, ad esempio, il criterio individuato per imputare le spese all’interno del nucleo familiare ovvero quello per ripartire le spese ISTAT) ed è fuor di dubbio che la corretta implementazione dell’istituto passerà per un attento e delicato processo di contestualizzazione mancando il quale forti sono i rischi di una ricostruzione avulsa, in tutto o in parte, dall’effettiva realtà reddituale.
1 Il ritardo registrato nell’elaborazione dell’imprescindibile decreto attuativo è giustamente stigmatizzato da Marongiu, G., I principi costituzionali del nuovo accertamento sintetico e redditometrico, in Corr. trib., 2013, 352, il quale si chiede se, in presenza di un tale sviluppo temporale, fossero effettivamente sussistenti i requisiti previsti dalla Costituzione per ricorrere alla decretazione d’urgenza.
2 Assai severo è il giudizio formulato dalla Corte dei conti che, licenziando il «Rapporto 2013 sul coordinamento della finanza pubblica», rileva come «il clamore mediatico suscitato dal nuovo meccanismo di ricostruzione sintetica dei redditi appare francamente sproporzionato alle limitate potenzialità dello strumento e alla presumibile efficacia dello stesso che, continuerà, inevitabilmente, a costituire un criterio complementare per l’accertamento dell’IRPEF».
3 L’efficace espressione è di Basilavecchia, M., Problemi veri e falsi del nuovo redditometro, in Corr. trib., 2013, 2138.
4 Cfr. Trib. Napoli, sez. civ. dist. di Pozzuoli, 21.2.2013, reperibile in Riv. giur. trib., 2013, 349 ed ivi nota di Giordano, S., Potenziali e irreparabili danni alla libertà personale con il “nuovo redditometro”. A mero titolo di cronaca, si segnala che il tribunale di Napoli ha successivamente revocato l’ordinanza de qua rilevando l’esistenza di un palese difetto di giurisdizione (cfr. Trib. Napoli, sez. civ. I, 11.7.2013).
5 Così, testualmente, Comm. trib. prov.le di Reggio Emilia, sez. II, 18.4.2013, n. 74, reperibile in Corr. trib., 2013, 2140, con nota di Basilavecchia, M., Problemi veri e falsi del nuovo redditometro.
6 Per una rassegna di alcune delle criticità insite nel nuovo redditometro v. il recente lavoro monografico di Giorgi, M., Spese personali ed accertamento del reddito, Roma, 2013, passim.
7 Nel descrivere il rapporto tra spese certe e spese stimate, l’Agenzia delle entrate rileva che «il nuovo metodo di accertamento del reddito è improntato ad una maggiore trasparenza e facilità di comprensione; si fonda, infatti, sulle ‘spese certe’ e sulle ‘spese per elementi certi’, tenendo conto, per tali ultime spese, della tipologia di famiglia del contribuente e dell’area geografica di appartenenza. Solo in via residuale e per le spese correnti, in quanto numerose e di importi non significativi, ma frequenti nel corso dell’anno, al fine di evitare ulteriori oneri di conservazione della documentazione da parte del contribuente, si utilizza la corrispondente spesa media ISTAT. I valori ISTAT, pertanto, hanno la funzione di integrare gli elementi presenti in Anagrafe tributaria. In ragione delle descritte caratteristiche, il contraddittorio è focalizzato su dati certi e situazioni di fatto oggettivamente riscontrabili, con la conseguente riduzione al minimo dell’incidenza delle presunzioni» (così, testualmente, la circ., 31.7.2013, n. 24/E).
8 Ai fini della ricostruzione sintetica, in presenza di beni suscettibili di utilizzo promiscuo, rileva la quota parte di spesa non riferibile al reddito professionale o d’impresa ovvero non deducibile fiscalmente (cfr., sul punto, la risposta al quesito 1.2. riprodotta nella circ. dell’Agenzia delle entrate, 15.2.2013, n. 1/E).
9 Così, testualmente, la circ. 31.7.2013, n. 24/E.
10 Anche Marongiu, G., Il nuovo accertamento sintetico e redditometrico, in AA.VV., La concentrazione della riscossione nell’accertamento, Glendi, C.-Uckmar, V., a cura di, Padova, 2011, 232, si orienta in questa direzione.
11 In questo senso, tra gli altri, Perrone, L., L’accertamento sintetico del reddito complessivo IRPEF, in Dir. prat. trib., 1990, I, 25 e 26, e La Rosa, S., Il redditometro avanti la Corte Costituzionale, in Riv. dir. fin. sc. fin., 1987, II, 595.
12 Cfr., tra le altre, Cass., sez. trib., 18.6.2008, n. 16472, e Cass., sez. trib., 29.8.2000, n. 11300.
13 In tema, v. le considerazioni di Marongiu, G., I principi costituzionali del nuovo accertamento sintetico e redditometrico, cit., 354 ss.
14 Cfr., in particolare, la risposta al quesito 1.3. riprodotto nella già citata circ. 15.2.2013, n. 1/E; nello stesso senso anche la successiva circ. 31.7.2013, n. 24/E.
15 In ordine all’inquadramento dell’accertamento sintetico nel genus dei c.d. accertamenti standardizzati, v. Cass., sez. trib., ord. 22.10.2010, n. 21661, e Cass., sez. trib., 17.6.2011, n. 13289, reperibile in Riv. giur. trib., 2011, 958 ss. ed ivi nota di Miscali, M., Ancora controversa la questione dell’utilizzabilità dei documenti non esibiti e poi prodotti in giudizio.
16 Così, testualmente, Cass., S.U., 18.12.2009, n. 26638, reperibile in Riv. giur. trib., 2010, 205 ss. ed ivi nota di Basilavecchia, M., Accertamento e studi di settore: soluzione finale; nello stesso senso, più di recente, v. Cass., sez. trib., 11.12.2012, n. 22599.
17 A favore dell’applicazione retroattiva si orientano le prime pronunce delle Corti di merito, v. tra le altre Comm. trib. prov.le di Reggio Emilia, sez. I, 9.1.2012, n. 272, e Comm. trib. prov.le di Torino, sez. IV, 8.1.2013, n. 3.
18 Cfr. Cass., sez. trib., ord. 6.8.2012, n. 14168, e Cass., sez. trib., ord. 29.10.2012, n. 18604.
19 Cass., sez. trib., 20.12.2012, n. 23554, reperibile in Corr. trib., 2013, 2042, ed ivi nota di Beghin, M., Il redditometro e gli altri accertamenti per “standard” nelle maglie della presunzione semplice; lo stesso precedente è reperibile in Riv. giur. trib., 2013, 338, annotato da Basilavecchia, M., Verso il giusto equilibrio tra effettività della ricchezza accertata e strumenti presuntivi di accertamento; nello stesso senso, più di recente, v. Cass., sez. VI, ord. 6.2.2013, n. 2806, reperibile in Riv. giur. trib., 2013, 333, con nota di Lovecchio, L., Spese per incrementi patrimoniali imputabili secondo il principio della quota risparmio anche nel “nuovo redditometro”.
20 Degna di nota è la presa di posizione dell’Agenzia delle entrate che, avuto riguardo alla valenza delle spese in discorso, sottolinea che «il contribuente potrà utilizzare argomentazioni logiche a sostegno di una sua diversa rappresentazione della situazione di fatto. A tale riguardo l’ufficio considera anche le evidenze e le argomentazioni in concreto rappresentate dal contribuente, logicamente sostenibili, pur se non supportate da documentazione, nell’ottica di assicurare l’economicità e l’efficacia dell’azione amministrativa» (in questo senso, ancora la circ. 31.7.2013, n. 24/E).