Il nuovo «rito superspeciale» in tema di appalti pubblici
Il nuovo Codice dei contratti pubblici (d.lgs. 18.4.2016, n. 50) affianca allo speciale rito in tema di procedure di affidamento di appalti pubblici già previsto dall’art. 120 c.p.a. un nuovo “rito superspeciale” relativo all’impugnativa degli atti di ammissione e di esclusione dalle gare. Il nuovo istituto (in parte modellato sulla falsariga del peculiare procedimento riferito alle elezioni locali e regionali ex art. 129 c.p.a.) mira al condivisibile obiettivo di deflazionare il contenzioso in tema di ammissioni alle gare, spesso foriero di un diffuso clima di “caccia all’errore”. Per altro verso il nuovo modello processuale pone rilevanti problematiche relative alla compatibilità con i generali canoni in tema di interesse all’azione, nonché all’effettiva capacità di ridurre il contenzioso in tema di pubbliche gare.
Negli ultimi quindici anni circa il Legislatore nazionale è intervenuto per ben sei volte sulla disciplina processuale del contenzioso in tema di procedure di affidamento di appalti pubblici1, delineando uno speciale rito le cui peculiarità hanno indotto i commentatori all’utilizzo di aggettivazioni talora iperboliche (“rito superspeciale”2, “rito superaccelerato”, etc.), non sempre idonee a descrivere in modo davvero adeguato il fenomeno oggetto di osservazione.
Dal canto suo la dottrina non ha mancato di rilevare che l’introduzione nell’ordinamento di riti “ancora più speciali”3 (ma con sostanziale invarianza delle risorse a disposizione della Giustizia amministrativa) rischi di produrre veri e propri fenomeni di “giudizi a due velocità”4, con evidente nocumento – nei settori diversi da quello qui in esame del generale canone della pienezza ed effettività della tutela giurisdizionale di cui all’art. 24, Cost.
Il Codice del processo amministrativo ha chiaramente distinto fra (da un lato) il cd. “rito abbreviato comune a determinate materie” di cui all’art. 119 e lo speciale “rito appalti” di cui al successivo art. 120 (caratterizzato da previsioni ulteriormente acceleratorie)5.
La l. 28.1.2016, n. 11 (recante delega al Governo per l’adozione del nuovo Codice dei contratti pubblici), apparentemente incurante delle critiche mosse nel corso del tempo ai due modelli di cui agli artt. 119 e 120 c.p.a., ha previsto l’introduzione di un’ulteriore tipologia di rito, ulteriormente differenziata rispetto a quella dell’art. 120, muovendosi in una duplice direzione.
Da un lato, infatti, il Legislatore del 2016 ha previsto una sorta di filtro preventivo per la proposizione dei ricorsi relativi all’ammissione e all’esclusione dalle gare (e ciò, al fine di arginare il proliferare del gran novero di controversie «formalistiche e postume»6 in tema di requisiti di partecipazione che ha caratterizzato fino a tempi recenti il contenzioso in tema di pubbliche gare, focalizzando l’attenzione degli interpreti sul titolo originario alla partecipazione piuttosto che sulla bontà dell’offerta in quanto tale). Dall’altro lato la legge di delega ha condotto a ulteriori conseguenze la recente tendenza del Legislatore a limitare la possibilità di somministrare la tutela cautelare in materie (quale quella dei pubblici appalti) caratterizzate da un evidente interesse pubblico alla continuità dell’azione amministrativa e alla stabilità dei relativi esiti.
Il nuovo Codice dei contratti pubblici d.lgs. n. 50/20167 ha quindi interpolato le disposizioni sul nuovo rito “anticipato e accelerato” in tema di ammissioni ed esclusioni all’interno dell’art. 120 c.p.a. dando vita a un nuovo modello processuale di carattere sostanzialmente ibrido, nel cui ambito è talvolta difficile individuare una precisa linea di confine fra le disposizioni – per così dire – “generali” e quelle riferibili al nuovo rito.
Il modello in esame mira quindi a superare le problematiche applicative determinate dal diffuso clima di “caccia all’errore” ha caratterizzato sino a tempi recenti (e che invero continua a caratterizzare) il contenzioso in tema di appalti, finendo per far dipendere l’aggiudicazione delle pubbliche gare piuttosto dall’individuazione degli errori ed omissioni delle domande di partecipazione che non dall’intrinseca qualità delle offerte formulate (la dottrina ha efficacemente parlato al riguardo di una vera e propria «ipertrofia delle verifiche preliminari alla gara»)8.
Nella logica del Legislatore del 2016 il contenzioso in tema di pubbliche gare dovrebbe quindi articolarsi secondo una struttura essenzialmente bifasica (rafforzata dalla fissazione di rigide preclusioni processuali): la prima fase avendo ad oggetto le ammissioni e le esclusioni; la seconda avendo ad oggetto le altre fasi della gara e segnatamente il momento cruciale dell’aggiudicazione.
Il meccanismo a tal fine individuato dal Legislatore del 2016 è consistito nella fissazione di un vero e proprio barrage processuale, con l’onere di immediata proposizione (in una fase preliminare) di qualunque contestazione relativa al titolo di ammissione alla gara di un concorrente e la correlativa preclusione a qualunque contestazione successiva sul punto (in specie, in sede di impugnazione dell’intervenuta aggiudicazione).
Dal punto di vista concettuale l’aspetto più rilevante (e invero più critico) di tale costruzione consiste nella nuova impostazione sistematica della nozione di interesse all’azione ex art. 100, c.p.c., attraverso il ricorso sul punto a una vera e propria fictio (evidente essendo la difficoltà di individuare un interesse davvero concreto e attuale all’impugnativa di un atto del tutto prodromico della procedura quale l’ammissione alla gara).
In sede di adozione del decreto correttivo al Codice n. 50/20169 il Governo ha condivisibilmente scelto di non apportare ulteriori modifiche al nuovo modello processuale, all’evidente fine di sottoporre tale modello a un adeguato periodo di osservazione prima di stabilire se esso abbia dato buona prova di sé e di adottare le eventuali determinazioni correttive. La scelta in tal modo operata appare del tutto condivisibile al fine di evitare la diffusa tendenza del Legislatore nazionale a introdurre rilevanti riforme di sistema senza un’adeguata analisi di impatto (ex ante) e, successivamente, ad abrogarle senza averne adeguatamente verificato l’idoneità a conseguire gli obiettivi prefissati (ex post).
Qui di seguito si traccerà dapprima un breve quadro ricostruttivo degli interventi che hanno preceduto la novella di cui all’art. 204 del nuovo Codice dei contratti pubblici e successivamente ci si soffermerà sui principali profili disciplinari. Nella parte finale del presente paragrafo ci si soffermerà su alcuni aspetti di particolare interesse per l’operatore del diritto, con particolare riguardo alla nuova configurazione dell’interesse ad agire (il quale, come è noto, rappresenta la prima condizione dell’azione) e alle complesse interrelazioni sistematiche fra il nuovo “rito superspeciale” e il pregresso “rito appalti” di cui all’art. 120 c.p.a.
Si è già osservato che, nel corso degli ultimi tre lustri circa, il Legislatore è intervenuto a più riprese sulla disciplina del contenzioso in tema di affidamento delle pubbliche gare, nella consapevolezza che un contenzioso rapido ed efficace sia idoneo a funzionalizzare un settore che “pesa” circa il sedici per cento del PIL e che risulta quindi di cruciale importanza per l’economia nazionale10.
Pur nella notevole varietà dei richiamati interventi, si può comunque osservare che la ratio di fondo di tali interventi risulti ispirata di fatto a tre linee di tendenza: i) la complessiva accelerazione del rito; ii) la limitazione delle ipotesi in cui è somministrabile la tutela cautelare; iii) il complessivo favor per il mantenimento degli effetti del contratto, una volta stipulato.
Nel corso degli anni più recenti (e in particolare a partire dal 2011) si è tuttavia assistito all’esponenziale aumento di controversie aventi ad oggetto (non tanto le caratteristiche delle offerte o i vizi della procedura di gara, bensì) la questione dell’originario possesso, da parte di taluno dei partecipanti, degli stessi requisiti di partecipazione alla procedura.
La dottrina ha icasticamente descritto la situazione in tal modo determinatasi richiamando l’affermarsi di un diffuso clima di “caccia all’errore”.
Occorre riconoscere che alla diffusione di tale filone contenzioso hanno contribuito in modo rilevante almeno tre fattori.
In primo luogo, l’enucleazione nel corso degli anni di un complesso sub-sistema normativo in tema di requisiti di ordine soggettivo per l’ammissione alle gare (art. 38 del Codice dei contratti del 2006)11, con correlative ricadute in relazione ai motivi di esclusione. In secondo luogo la giurisprudenza del Consiglio di Stato che, in una certa fase della propria evoluzione (Cons. St., A. P., 7.4.2011, n. 4), ha fondato i rapporti dell’ordine di esame fra ricorso principale e ricorso incidentale escludente riconoscendo ontologica prevalenza del secondo rispetto al primo. In tal modo, la vera e propria misura di “ritorsione processuale” rappresentata dalla proposizione di un ricorso incidentale escludente rappresentava l’ordinario mezzo per ottenere la prevalenza nel contenzioso in tema di appalti. In terzo luogo ha contribuito al diffondersi del richiamato clima di “caccia all’errore” la giurisprudenza amministrativa (in specie: Cons. St, A.P., 25.2.2014, n. 9) la quale, pur enfatizzando il principio legale della tipicità e tassatività delle cause di esclusione (art. 46, co. 1-bis del previgente Codice), comminava comunque l’esclusione dalle gare a fronte di qualunque violazione delle regole codicistiche (e segnatamente, per violazione dell’art. 38).
Si osserva inoltre che il descritto stato di fatto non ha subito rilevanti modificazioni neppure quando (sulla scorta delle decisioni della Corte di giustizia dell’UE) il Consiglio di Stato ha impostato su basi diverse la questione del rapporto fra ricorso principale e ricorso incidentale escludente nella materia delle pubbliche gare. Al contrario, il riaffermato obbligo per il Giudice di esaminare tendenzialmente entrambi i ricorsi (sulla scorta del generale principio di “parità delle armi”) ha rafforzato – piuttosto che attenuare – la rilevanza sistemica delle questioni relative alle ammissioni o alle esclusioni dalle pubbliche gare.
Ebbene, l’intervento del Legislatore del 2016 si pone sul solco della richiamata evoluzione e mira, in ultima analisi, ad elidere gli effetti processuali più nocivi del descritto stato di cose (mirando in particolare, ad evitare il ricorrente rischio che, a gara espletata e conclusa, i relativi esiti siano travolti dall’accoglimento di un motivo di ricorso riferito alla fase di ammissione del concorrente – in ipotesi esauritasi alcuni anni addietro).
Si badi che, al fine di deflazionare il richiamato filone contenzioso, la l. n. 11/2016 non ha ritenuto di incidere sulla disciplina sostanziale dei requisiti di ammissione e sulle cause di esclusione in quanto tali (in quanto riconducibili in massima parte a disposizioni del diritto UE); quanto – piuttosto – sulle relative ricadute processuali e sui mezzi di ricorso a tal fine attivabili.
L’art. 204 del nuovo Codice dei contratti pubblici trasfonde le previsioni sul cd. “rito superspeciale” in tema di ammissioni e esclusioni dalle gare direttamente all’interno dell’art. 120 c.p.a., in tal modo determinando una tripartizione fra i riti speciali disciplinati dal codice di rito e una peculiare compresenza di riti differenziati all’interno del medesimo articolo.
Ed infatti:
i) al rito abbreviato comune a determinate materie di cui all’art. 119 (in larga parte coincidente con il previgente art. 23 bis della l. TAR del 1971) e
ii) al “rito appalti” riferito alle procedure di affidamento di appalti e concessioni ex art. 120 c.p.a.
iii) si affianca ora una sorta di “terzo rito” (quello in tema di ammissioni ed esclusioni, appunto) che viene delineato come una sorta di “filtro” preventivo nell’ambito dei contenziosi ex art. 120. Ebbene, il nuovo co. 2-bis stabilisce che «il provvedimento che determina le esclusioni dalla procedura di affidamento e le ammissioni ad essa all’esito della valutazione dei requisiti soggettivi, economico-finanziari e tecnico-professionali va impugnato nel termine di trenta giorni, decorrente dalla sua pubblicazione sul profilo del committente della stazione appaltante, ai sensi dell’articolo 29, comma 1, del codice dei contratti pubblici (…)».
Si tratta, quindi, di un rito di carattere anticipatorio e accelerato rispetto alla tempistica propria dell’art. 120 c.p.a.
La disposizione in esame presenta una finalità evidentemente anticipatoria in quanto onera il concorrente ad impugnare l’ammissione alla gara di altro candidato non appena ne conosca (o abbia modo di conoscerne) l’ammissione, a pena di decadenza da qualunque successiva contestazione sul punto.
Al riguardo si segnala che con il recente “decreto correttivo” (aprile 2017) è stato modificato l’art. 29 del Codice, prevedendo che i provvedimenti di ammissione ed esclusione dalle gare debbano essere pubblicati («corredati di motivazione») entro due giorni «al fine di consentire l’eventuale proposizione del ricorso ai sensi dell’articolo 120, comma 2-bis [c.p.a.]».
Allo stesso modo il nuovo rito presenta alcuni aspetti di ulteriore accelerazione processuale rispetto al modello tipico ex art. 120 (di per sé caratterizzato – come è noto – da disposizione di carattere fortemente acceleratorio).
La ratio del recente intervento di riforma è quella di precludere, all’esito della fase di aggiudicazione, la deduzione in giudizio di questioni inerenti l’amissione dei concorrenti alla gara (le quali devono invece essere riservate a una fase-filtro fondata sulla logica dell’«ora o mai più»)12.
La dottrina ha al riguardo parlato di un’azione anticipata e in prevenzione, fondata su esigenze di speciale certezza preventiva in ordine al novero dei concorrenti legittimamente ammessi alla gara13.
Non può invece parlarsi, a proposito del cd. “rito superspeciale”, di una sorta di precondizione della successiva impugnativa avverso l’aggiudicazione, atteso che la mancata proposizione dell’azione preventiva ai sensi del co. 2 bis non incide sull’impugnabilità della successiva aggiudicazione in quanto tale, condizionando soltanto i motivi deducibili (e precludendo la deduzione dell’illegittimità derivata dell’aggiudicazione del concorrente illegittimamente ammesso, ma con atto non tempestivamente e ritualmente impugnato). L’impugnativa avverso l’aggiudicazione potrà quindi essere proposta per ragioni diverse da quelle relative alla fase di ammissione alla gara.
Nella richiamata logica risulta quindi del tutto coerente la previsione secondo cui «l’omessa impugnazione preclude la facoltà di far valere l’illegittimità derivata dei successivi atti delle procedure di affidamento, anche con ricorso incidentale» (co. 2-bis, secondo periodo).
Per quanto riguarda l’oggetto dell’impugnativa ci si limita qui ad osservare che l’ipotesi di maggiore interesse riguarda l’impugnativa avverso l’amissione del concorrente, mentre l’onere di immediata impugnativa avverso il provvedimento di esclusione (pure richiamata dal co. 2 bis) non presenta a ben vedere alcun profilo di novità, evidente essendo – anche nel previgente regìme – il carattere immediatamente lesivo di tale esclusione. Sotto tale aspetto la disposizione presenta un carattere meramente ricognitivo dell’esistente, sino a far dubitare in parte qua della sua stessa utilità.
Nel testo del Codice dei contratti pubblici approvato in via preliminare dal Governo era altresì previsto che l’onere di immediata impugnativa fosse esteso ai vizi nella composizione della Commissione giudicatrice. Tale disposizione è stata tuttavia espunta – e non figura quindi nel testo vigente – avendo il Consiglio di Stato fatto rilevare che essa non rinvenisse alcun fondamento nell’ambito della legge di delega14.
Resta quindi priva di un’effettiva ragione sistematica (e rappresenta ormai un mero refuso, neppure emendato dal recente decreto correttivo) la previsione dell’art. 29, co. 1, Codice dei contratti pubblici il quale, al fine di consentire l’eventuale proposizione del ricorso ex art. 120, co. 2-bis, onera le amministrazioni a pubblicare sul proprio profilo di committente (inter alia) gli atti relativi alla composizione della commissione.
Il co. 6-bis disciplina le questioni di puro rito del nuovo modello “superspeciale”, delineando un giudizio camerale dai caratteri particolarmente acceleratori che deve essere definito all’esito di una camera di consiglio «da tenersi entro trenta giorni dalla scadenza del termine per la costituzione delle parti diverse dal ricorrente» (nel rito appalti – per così dire – “ordinario” tale termine è invece pari a quaranta giorni).
La previsione secondo cui «su richiesta delle parti il ricorso è definito, negli stessi termini, in udienza pubblica» mira all’evidente scopo di prevenire qualunque possibile censura di violazione dell’art. 6 della CEDU (secondo cui, come è noto, «ogni persona ha diritto ad un’equa e pubblica udienza entro un termine ragionevole, davanti ad un tribunale indipendente ed imparziale (…)»).
La disposizione in esame, infatti, pur demandando in via ordinaria la definizione della controversia alla sede camerale, consente “alle parti” (ma è da ritenere a ciascuna delle parti singolarmente) di chiedere la trasposizione della trattazione in udienza pubblica. Ad avviso di chi scrive, tuttavia, l’eventuale trasposizione in udienza pubblica non comporta sotto alcun aspetto ulteriore la conversione del rito e, in particolare, non determina l’inapplicabilità delle speciali disposizioni previste dal co. 6-bis per il rito camerale. Fra le disposizioni del co. 6-bis che mirano alla particolare accelerazione del rito si citano, in particolare:
i) l’ulteriore abbreviazione (rispetto a quanto previsto in generale per il rito abbreviato comune ex art. 119 c.p.a.) dei termini per la produzione di documenti, memorie e repliche;
ii) l’abbreviazione del termine per la fissazione della nuova camera di consiglio laddove si palesino esigenze istruttorie, ovvero quando si renda necessario integrare il contraddittorio, proporre motivi aggiunti o ricorso incidentale;
iii) il divieto di cancellazione della causa dal ruolo;
iv) ’inapplicabilità del cd. “termine lungo” di centottanta giorni per l’eventuale proposizione dell’appello;
v) l’ulteriore abbreviazione (da sette a due giorni) del termine per l’anticipata pubblicazione del dispositivo, laddove ne sia fatta richiesta.
In sede di approvazione in via definitiva del nuovo Codice dei contratti pubblici il Governo ha invece espunto dall’articolato la possibilità (su cui si erano innestate le notazioni critiche del Consiglio di Stato in sede consultiva) di limitare la motivazione della sentenza di appello (di rigetto) «[alle] argomentazioni della sentenza del tribunale amministrativo regionale»15.
Il nuovo schema processuale introdotto dal Legislatore del 2016 ha inoltre inciso su alcuni rilevanti aspetti della tutela cautelare somministrabile in tutte le ipotesi di cui all’art. 120 (e quindi – si badi – non solo nelle controversie regolate dal cd. “rito superspeciale”) .
È stato previsto al riguardo che «nella decisione cautelare, il giudice tiene conto di quanto previsto dagli articoli 121, co. 1, e 122, e delle esigenze imperative connesse ad un interesse generale all’esecuzione del contratto, dandone conto nella motivazione».
Ne deriva (peraltro, sul solco di numerosi precedenti analoghi) un’ulteriore limitazione ex lege alla somministrabilità della tutela cautelare, atteso che:
i) la sospensione degli atti di gara potrà tendenzialmente essere disposta nei soli casi in cui il Giudice è tenuto a dichiarare l’inefficacia del contratto stipulato, come nelle più gravi ipotesi di carenza di pubblicità della gara (si tratta, a ben vedere, di un corollario del carattere strumentale e anticipatorio della tutela cautelare);
ii) nel valutare se disporre la sospensione degli atti il Giudice dovrà riconoscere tendenziale prevalenza all’interesse pubblico generale all’esecuzione del contratto, secondo uno schema logico che era stato già proprio del cd. “rito sulle grandi opere” (oggi: art. 125, co. 2, c.p.a.).
Uno dei principali aspetti di interesse che caratterizzano il nuovo “rito superspeciale” (e, allo stesso tempo, uno dei principali aspetti di criticità che ne connotano l’impianto complessivo) è rappresentato dal nuovo paradigma dell’interesse al ricorso che, nelle ipotesi di cui all’art. 120, co. 2-bis, riceve una disciplina del tutto peculiare16.
Va premesso al riguardo che nessuna particolare difficoltà sistematica è connessa alla previsione secondo cui il ricorrente è onerato ad impugnare immediatamente l’atto di esclusione dalla gara. In tale ipotesi, infatti, è di tutta evidenza che l’atto espulsivo determini una lesione immediata e diretta della sfera giuridica dell’interessato, in tal modo facendo sorgere in capo a lui un interesse diretto, concreto ed attuale all’impugnativa (e, correlativamente, un preciso obbligo in tal senso).
Allo stesso modo, nessuna particolare difficoltà concettuale (se non alcuni dubbi in ordine alla sua stessa utilità della disposizione) è connessa alla previsione secondo cui «[è] inammissibile l’impugnazione della proposta di aggiudicazione, ove disposta, e degli altri atti endoprocedimentali privi di immediata lesività» (art. 120, co. 2-bis, ultimo periodo). Anche in questo caso è evidente che il Legislatore delegato abbia accolto una nozione del tutto tradizionale dell’interesse al ricorso, connessa ai tipici canoni della concretezza e dell’attualità.
Evidentemente di ben maggior rilievo è la previsione secondo cui il concorrente è onerato ad impugnare l’ammissione di un altro candidato all’esito della valutazione dei requisiti soggettivi e oggettivi (i.e.: in una fase in cui non è ancora chiaro né se il concorrente leso avrà effettive chances di vittoria, né se l’altro candidato possa a propria volta utilmente contendere l’utilità finale dell’aggiudicazione).
L’assoluta peculiarità dello schema delineato dal Legislatore del 2016 consiste in ciò, che diviene oggi obbligatorio proporre (e a pena di decadenza) i medesimi ricorsi che, laddove proposti ante 2016, sarebbero stati certamente dichiarati inammissibili per carenza di un interesse diretto, concreto e attuale all’impugnativa (i.e.: per carenza della prima condizione dell’azione ex art. 100, c.p.c.).
In altri termini può affermarsi che, per effetto della novella del 2016:
i) quando non vi è un effettivo e concreto interesse all’impugnativa avverso l’ammissione del concorrente, vi è comunque un onere in tal senso,
ii) quando tale interesse si concretizza, non vi è più la possibilità di proporre l’impugnativa, stante l’espressa preclusione legale in tal senso (la quale, a ben vedere, rappresenta l’ubi consistam dell’intero ordito che caratterizza il nuovo modello processuale).
Nello schema processuale introdotto dal d.lgs. n. 50/2016, quindi, l’interesse a ricorrere (rectius: l’onere di ricorrere, a pena di decadenza) viene fondato su una vera e propria fictio iuris17, sì da indurre l’interprete a domandarsi se l’interesse al ricorso costituisca ancora un dato – per così dire – di carattere oggettivo (in quanto desumibile dall’effettiva dinamica sostanziale e processuale della singola vicenda), ovvero un dato di carattere parametrico e relazionale e in quanto tale liberamente modulabile dal Legislatore in relazione alle diverse esigenze regolatorie che via via si presentano.
Si è da molti osservato che il nuovo modello processuale in esame non rappresenta una novità assoluta in quanto riprende da vicino lo schema operativo dell’art. 129 c.p.a., in tema di tutela anticipata ed immediata avverso gli atti relativi al procedimento preparatorio per le elezioni locali e regionali.
L’osservazione risulta solo in parte condivisibile in quanto se (per un verso) anche lo schema processuale di cui all’art. 129 mira a somministrare una tutela di carattere anticipatorio, per altro verso tale schema processuale risulta espressamente riferito «[ai] provvedimenti immediatamente lesivi del diritto del ricorrente a partecipare al procedimento elettorale». Non vi è quindi una fictio in ordine alla sussistenza dell’interesse all’impugnativa, ma – al più – il riconoscimento legale della tipica sussistenza di un siffatto interesse a fronte di talune tipologie di atti propri del procedimento elettorale.
All’indomani dell’entrata in vigore del d.lgs. n. 50/2016 ci si è domandati se la proposizione da parte di un operatore del ricorso “anticipato” ex art. 120, co. 2 bis avverso l’ammissione alla gara di altro concorrente impedisca poi l’impugnativa della successiva aggiudicazione medio tempore intervenuta in favore del medesimo concorrente nell’ambito dello stesso giudizio (in particolare, attraverso la proposizione di motivi aggiunti nell’ambito del “rito superspeciale”). La possibilità in parola è tutt’altro che ipotetica se solo si consideri:
i) che il Legislatore del 2016 non ha connesso alla proposizione del ricorso ex art. 120, co. 2 bis, c.p.a. un effetto sospensivo automatico della procedura (i.e.: una sorta di standstill processuale che sarebbe risultato in contrasto con la stessa ratio acceleratoria sottesa alla novella del 2016);
ii) che, secondo una parte degli interpreti18, il rito in esame risulterebbe ex se incompatibile con la somministrazione di una tutela cautelare (il che impedirebbe di sospendere gli atti di gara nelle more della decisione sulla correttezza delle ammissioni);
iii) che, nonostante la brevissima durata del giudizio in esame, è ben possibile che la procedura di gara prosegua il proprio i.e. sino all’aggiudicazione (così facendo dubitare della stessa utilità della prosecuzione dell’azione anticipata e in prevenzione già incardinata ai sensi dell’art. 120, co. 2 bis).
La questione è stata esaminata (e risolta in senso negativo) dal Cons. St., ord. 14.3.2017, n. 1059. Con la pronuncia in esame la Quinta Sezione ha negato che, nell’ambito dello “specialissimo” rito ex art. 120, co. 2 bis, c.p.a., possa essere impugnata con motivi aggiunti l’aggiudicazione medio tempore intervenuta (i.e.: un atto la cui cognitio è ordinariamente demandata al diverso rito in tema di appalti di cui agli artt. 119 e 120 c.p.a.).
Secondo i Giudici di Palazzo Spada, infatti, «[deve] ritenersi ammissibile la proposizione di domande, cautelari e di merito, avverso l’aggiudicazione definitiva nell’ambito di un ricorso a tutela anticipata, preliminare e autonomo, che segue uno schema speciale nel contesto del già speciale “rito appalti”, proposto avverso un atto di ammissione e assoggettato come tale alla disciplina processuale dei commi 2-bis e 6-bis del citato articolo 120 Cod. proc. amm. – rito chiamato in dottrina “specialissimo” o “super speciale”, distinto per le speciali condizioni dell’azione e per la struttura del giudizio e finalizzato alla rapida costituzione di certezze giuridiche poi incontestabili sui protagonisti della gara, dovendo, invece anche agli strumentali fini cautelari trattarsi il ricorso avverso l’aggiudicazione definitiva secondo l’usuale rito, pur “speciale”, disciplinato dai restanti commi del citato articolo 120».
Occorre tuttavia domandarsi se la soluzione in parola (certamente esatta dal punto di vista tecnico-giuridico) risulti pienamente armonica con il generale canone di concentrazione, che rinviene una puntuale conferma nella disposizione codicistica in tema di pluralità delle domande e conversione delle azioni (art. 32 c.p.a.).
Occorre poi domandarsi se gli esiti cui perviene tale approccio siano pienamente compatibili con l’evidente finalità del Legislatore della riforma, che era quella di deflazionare il numero di ricorsi in tema di appalti e non di moltiplicarne artificiosamente le occasioni contenziose.
È opinione tanto diffusa quanto esatta quella secondo cui il settore della tutela giurisdizionale costituirà uno di quelli in cui si misurerà con maggiore forza e decisività l’effettiva carica innovativa del nuovo Codice dei contratti pubblici e la sua stessa riuscita.
Un rito veloce ed efficace in tema di appalti è assolutamente necessario affinché siano conseguiti gli obiettivi di celerità in un settore trainante per qualunque economia nazionale.
Il Legislatore del 2016 ha scommesso con forza, al riguardo, sull’introduzione di un processo articolato su due fasi tendenzialmente non comunicanti fra loro, sulla definizione anticipata delle questioni relative all’individuazione della platea dei partecipanti e su un rigido sistema di preclusioni processuali.
È ancora presto per stabilire se si sia trattato di una scommessa vincente e del tutto condivisibilmente il Governo ha ritenuto, in occasione del decreto correttivo del 2017, di non apportare in parte qua alcuna modifica al sistema varato appena un anno prima, al fine di non alterarne in corsa il funzionamento e di consentire quindi, fra qualche tempo di valutarne in modo consapevole gli effetti.
Il principale obiettivo sotteso all’istituzione del nuovo rito è chiaramente quello di deflazionare il gran numero di ricorsi in tema di ammissione alle gare, in tal modo superando il diffuso clima di “caccia all’errore” che ha caratterizzato sino a tempi recenti il settore.
D’altra parte non è neppure allo stato sicuro che l’obiettivo in questione potrà davvero essere conseguito.
Vi è infatti il rischio che l’impostazione rigidamente bifasica impressa dal Legislatore possa condurre (contro ogni sua intenzione) a una moltiplicazione delle occasioni contenziose.
D’altra parte, l’ipotesi di introdurre uno standstill processuale (impedendo l’aggiudicazione sino a quando non sia definito il nuovo rito anticipato) porterebbe verosimilmente a una dilatazione dei tempi delle procedure (e, anche in questo caso, a un risultato opposto rispetto a quello perseguito).
Ma anche se l’obiettivo di riduzione del contezioso venisse conseguito, ciò accadrebbe al costo (invero notevolissimo) di porre in discussione consolidate acquisizioni in tema di sussistenza dell’interesse ad agire e, in via mediata, alcuni fra i principali presìdi di garanzia della tutela giurisdizionale nel cruciale settore dei pubblici appalti.
Note
1 Sul punto sia consentito rinviare a Contessa, C., Commento all’art. 204, in Contessa, C.-Crocco, D., a cura di, Codice degli appalti e delle concessioni commentato articolo per articolo, Roma, 2017, 772 e passim.
2 La locuzione “rito superspeciale” è stata coniata dal Consiglio di Stato, Commissione Speciale nell’ambito del parere in data 1.4.2016 sullo schema di nuovo Codice dei contratti pubblici.
3 La locuzione è tratta da Ferrari, Gi., La tutela giurisdizionale, in Garofoli, R.-Ferrari, Gi., a cura di, La nuova disciplina degli appalti pubblici, Roma-Molfetta, 2016, 1075.
4 Sul punto, Contessa, C., Dalla legge delega al nuovo “Codice”: opportunità e profili di criticità, in www.giustiziaamministrativa.it (par. 3.5 e passim).
5 Come è noto, ad esempio, mentre nel rito abbreviato comune ex art. 119 il termine per la proposizione del ricorso è quello ordinario (pari a sessanta giorni dalla piena conoscenza dell’atto), nel rito “super-accelerato” ex art. 120 tale termine è pari a soli trenta giorni.
6 Severini, G., Il nuovo contenzioso sui contratti pubblici, in Contessa, C.-Crocco, D., Codice degli appalti e delle concessioni commentato, cit., 152.
7 Circa le previsioni del nuovo “Codice” in tema di rito degli appalti, v. Sandulli, M.A., Nuovi limiti alla tutela giurisdizionale in materia di contratti pubblici, in federalismi.it, 2016, par. 2 e passim.
8 Severini, G., Il nuovo contenzioso, cit., 152.
9 Si tratta, come è noto, del d.lgs. 19.4.2017, n. 56.
10 Contessa, C., Dalla legge delega al nuovo “Codice”, cit., par. 1.
11 A proposito dell’incessante lavorio svoltosi nel corso degli anni sul tema dei requisiti di ordine morale (o soggettivo) e sulle connesse cause di esclusione, Severini ha efficacemente parlato di una vera e propria «codificazione nella codificazione» (Severini, G., Il nuovo contenzioso, cit., 152).
12 Severini, G., Il nuovo contenzioso, cit., 163.
13 Severini, G., Il nuovo contenzioso, cit., 155.
14 In tal senso il parere 1.4.2016, n. 855 reso dalla Commissione speciale del Consiglio di Stato.
15 La Commissione speciale del Consiglio di Stato aveva osservato al riguardo che «la norma non appare del tutto rispettosa della portata costituzionale del doppio grado di giudizio, una decisione di appello motivata per relationem può non soddisfare le parti, che cercherebbero altri rimedi (revocazione, opposizione di terzo, ricorso per cassazione), con effetto opposto a quello perseguito (chiudere la lite in tempi brevi). Né la previsione appare particolarmente deflattiva ove si consideri che soccorrono già le disposizioni esistenti, contenute nell’art. 120, sulla sentenza resa in forma semplificata».
16 Sul generale tema dell’interesse ad agire nel rito amministrativo è qui sufficiente rinviare a Villata, R., Interesse ad agire (Diritto processuale amministrativo), in Enc. giur. Treccani, Roma, 1989.
17 Sia consentito nuovamente rinviare a Contessa, C., Dalla legge delega al nuovo “Codice”, cit., par. 3. Da parte sua, Severini (Severini, G., Il nuovo contenzioso, cit., 167) ha parlato al riguardo di un vero e proprio «interesse virtuale» all’impugnativa.
18 Ferrari, Gi., La tutela giurisdizionale, cit., 1075.