Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
Il pacifismo, come idea e atteggiamenti, e come movimento, è essenzialmente connotato dalla condanna della guerra come mezzo idoneo a risolvere le controversie internazionali e dalla considerazione della pace tra gli Stati come fine possibile e desiderabile. Il pacifismo è contrario a qualsivoglia teoria della guerra e combatte tutte quelle dottrine che esaltano la guerra come fattore di progresso politico e culturale. Combatte, inoltre, l’imperialismo e, cioè, tutte quelle forme che portano alla soggezione dei deboli da parte dei più forti o alla conquista degli Stati più deboli da parte di quelli più forti sul piano politico ed economico.
Alle radici del pacifismo moderno
Immanuel Kant
Per la pace perpetua
Lo stato di pace tra gli uomini, che vivono gli uni a fianco degli altri, non è uno stato naturale (status naturalis), il quale è piuttosto uno stato di guerra, ossia anche se non sempre si ha uno scoppio delle ostilità, c’è però la loro costante minaccia. Esso deve dunque venire istituito [...]. I popoli, in quanto stati, possono essere giudicati come singoli uomini che si fanno reciprocamente ingiustizia già solo per il fatto di essere l’uno vicino all’altro nel loro stato di natura (ossia nell’indipendenza da leggi esterne); e ciascuno di essi può e deve esigere dall’altro di entrare con lui in una costituzione simile a quella civile, nella quale a ciascuno sia garantito il suo diritto.
Il pacifismo moderno è nato con la dottrina dell’abate di SaintPierre (Charles-Irénée Castel). Egli crede nella possibilità di un’alleanza perpetua tra gli Stati che s’impegnano con un trattato internazionale a sottomettere ogni loro controversia al giudizio di tutti gli altri Stati riuniti in Assemblea permanente. Il pacifismo ha avuto la sua prima elaborazione nell’opera kantiana Per la pace perpetua (1795), che s’ispira al principio che la tendenza della storia umana è di realizzare una società giuridica sempre più vasta, inteso il diritto come l’insieme delle condizioni che rendono possibile la coesistenza pacifica delle libertà esterne: fine che può essere raggiunto da una federazione di liberi Stati allorché ognuno di essi si sia dato una forma repubblicana e in cui il potere di decidere della guerra e della pace non spetti più al monarca, ma al popolo. Nel 1814 Saint-Simon e lo storico Thierry scrivono un opuscolo in cui si auspica la formazione di un parlamento generale europeo a immagine di quello inglese che sia posto al di sopra di tutti i governi nazionali, investito del potere di giudicare le loro controversie.
Nel XIX secolo i progetti individuali vengono un po’ meno, mentre nascono associazioni per la pace di carattere religioso come la Società della Pace di New York (1815), la Società Americana per la Pace (1828), la prima società pacifista europea fondata in Svizzera nel 1830. Ispirate alla dottrina economica del libero scambio, se ne formano poi alcune in occasione dei congressi per la pace. Infine, gruppi democratici e radicali, che mirano alla pace attraverso il trionfo del principio di nazionalità, l’abbattimento dei vecchi imperi, e l’instaurazione di governi fondati sulla sovranità popolare, ne formano altre. Con la costituzione della seconda Internazionale Socialista (1889), una delle maggiori manifestazioni del pacifismo internazionale fu rappresentata dai congressi socialisti.
Le diverse correnti pacifiste si differenziano per il modo con il quale spiegano le ragioni delle guerre e per le proposte che avanzano al fine di eliminarle. Per il pacifismo etico-religioso la ragione della guerra va ricercata nella natura stessa dell’uomo. La soluzione bisogna dunque ricavarla dal mondo spirituale. A questa interpretazione si rifà la teoria psicologica che lega la guerra alla natura aggressiva dell’uomo e cerca il rimedio in forme alternative per la soddisfazione e lo sfogo dell’istinto aggressivo. Il pacifismo economico ritiene che la principale causa della guerra sia nel protezionismo economico che porta alla contrapposizione tra gli Stati. L’idea di Cobden che attraverso la liberalizzazione delle frontiere economiche il mercante avrebbe a poco a poco sostituito il guerriero, avrebbe affiancato la filosofia della storia di Spencer per il quale le leggi fatali dell’evoluzione avrebbero trasformato le antiche società militari che vivevano di guerra e sulla guerra in pacifiche società industriali.
Per Voltaire le ragioni della guerra vanno ricercate nel potere di pochi uomini che come principi o governanti decidono per tutti. Che la guerra sia dovuta a cause essenzialmente politiche e che pertanto l’unica speranza sia nel passaggio dal dispotismo alla democrazia è un’idea anche di Kant. I movimenti democratici dell’Ottocento riprendono questa idea. Mazzini fu tra i primi a credere che l’umanità si sarebbe liberata dalla guerra una volta che il popolo avesse acquistato il libero esercizio della sovranità. Per il socialismo la guerra è sempre spiegata con la prevalenza di una certa forma di produzione economica. Il capitalismo, infatti, per sopravvivere porta sempre a nuove conquiste di mercati, al colonialismo, all’imperialismo. In base a questa interpretazione della storia la pace internazionale può esserci solo con l’eliminazione del capitalismo. Mozioni di orientamento pacifista possono leggersi nei documenti finali di molti congressi socialisti. Dopo il 1917 e la rivoluzione sovietica si inizia a distinguere tra un pacifismo vero, quello appunto socialista, e un pacifismo falso, quello appunto delle potenze capitalistiche.
Il pacifismo giuridico crede, invece, che la guerra nasca dall’anarchia operante tra le nazioni e che, quindi, solo organizzazioni internazionali nel contesto di un diritto internazionale possano abolire un tale pericolo. Nel 1947 un disegno di costituzione dello Stato universale viene elaborato da un comitato per la costituzione mondiale. In effetti la stessa nascita prima della Società delle Nazioni e poi dell’Organizzazione delle Nazioni Unite risponde in qualche modo a una tale ispirazione.
Pacifismo attivo e passivo
Un’altra distinzione importante è tra pacifismo attivo e pacifismo passivo. Alcuni considerano, infatti, la pace una meta finale inevitabile. L’evoluzione fatale della società umana non rende, dunque, necessaria un’azione attiva. Altri ritengono, invece, necessaria un’azione intelligente e attiva da parte dell’uomo per raggiungere la pace. Si tratta di una differenza molto vicina a quella esistente fra chi ritiene di credere in una concezione deterministica della storia e chi, in nome di una concezione rivoluzionaria della stessa, ritiene di dover agire politicamente. Gran parte delle teorie pacifiste del XIX secolo erano guidate dall’idea che la guerra come lo Stato erano destinati a scomparire con lo sviluppo delle società industriali, con la nascita di sempre più Stati nazionali e popolari, con la graduale scomparsa delle società divise in classi. Il pacifismo passivo ha esaurito il suo compito una volta dimostrata l’inutilità della guerra per lo sviluppo dell’umanità. Il pacifismo attivo si propone, invece, di dimostrare che la guerra va combattuta sempre perché sempre esiste il pericolo di un tale evento. Le correnti pacifiste di oggi sono prevalentemente attive. Di fronte al pericolo di una guerra atomica si ritiene troppo importante la pace perché non si debba agire con determinazione in maniera congiunta e tenace.
Questi sforzi possono essere rivolti in direzione dei mezzi di cui ci si serve per fare le guerre, o delle istituzioni che le rendono possibili, o dell’uomo stesso. Per cui si parla di pacifismo strumentale, pacifismo istituzionale e pacifismo finalistico. Nel pacifismo strumentale esiste l’azione rivolta alla distruzione o alla drastica riduzione degli strumenti bellici (dottrina e politica del disarmo) e l’azione rivolta a sostituire i mezzi non violenti ai mezzi violenti e, quindi, a ottenere con altri mezzi lo stesso risultato – teoria e pratica della non violenza, in particolare la dottrina del Satyagraha di Gandhi. Al pacifismo istituzionale si collegano le teorie che puntano alla costituzione dello Stato universale quanto quelle che mirano all’abolizione dello Stato. Nel pacifismo finalistico confluiscono il pacifismo religioso che punta alla trasformazione morale e alla conversione dell’uomo, e punta, cioè, all’uomo nuovo, ma anche il pacifismo che mira a incanalare diversamente l’aggressività dell’uomo.
Ovviamente, tutte queste tendenze del pacifismo hanno subito e vissuto le condizioni che di volta in volta si sono succedute nel corso della storia. In particolare, durante le due guerre mondiali ci sono state delle prevalenze. Si è poi avuta una differente miscelazione delle diverse ideologie durante gli anni del secondo dopoguerra. Si è passati poi agli anni della guerra fredda. Infine, dopo la fine del mondo sovietico e comunista dell’Est europeo, si è giunti a una diversa pratica del pacifismo.
Dalla fine dell’Ottocento alla prima guerra mondiale il pacifismo è stato fortemente condizionato dalle vicende vissute dai Paesi conquistati dal colonialismo. Il primo imperialismo è stato fortemente caratterizzato dai fenomeni tipici dei primi processi capitalistici e, dunque, le resistenze alle conquiste di carattere economico e politico hanno portato i pacifisti a insistere sui tratti prevalenti in quel periodo. Il socialismo lo si può ritenere una prima forma razionalizzante il fenomeno pacifista secondo gli attributi di un’epoca. Le esperienze del nazismo e del fascismo hanno portato a un pacifismo che ha ricercato nella natura di sopraffazione delle due ideologie le ragioni della guerra e della supremazia dell’uomo sull’uomo. Il confronto-scontro durante gli anni della guerra fredda ha riproposto in nuova luce i caratteri già riscontrati sulla fine dell’Ottocento a proposito dell’imperialismo. Ma forse con il predominio ormai quasi incontrastato degli Stati Uniti, dopo il 1991, il pacifismo ha nuovamente assunto e ripreso tematiche e modalità di contrasto che si riteneva potessero essere state superate.
Con la prima guerra dell’Iraq e poi con la seconda guerra dell’Iraq sono ritornati vecchi temi, rimescolati tuttavia con questioni più antiche. L’identità religiosa è stata utilizzata come forma di contrasto a una cultura economica e politica che, soprattutto dai Paesi ancora non sviluppati, viene vissuta come una nuova modalità di dominio. Temi come quello della democrazia, che in passato avevano un contenuto anche per i pacifisti, si sono trasformati in formule di camuffamento per azioni legittimanti la guerra. Ci sono quindi ritorni e rimodulazioni di vecchi argomenti che vengono mischiati a valori e problematiche tipiche della realtà contemporanea. Fattori spirituali invocati da religioni antiche come l’islam si compenetrano con valori tipici del socialismo di fine Ottocento. Esperienze passate, prima individuate come negative per il pacifismo, vengono ora riprese e rivalutate secondo diverse categorie.