Il Paleolitico. Il primo popolamento dell'Eurasia
È opinione generalmente condivisa che l'iniziale popolamento dell'Eurasia abbia avuto origini africane (Wood - Turner 1995; Tattersall 1997). Diverse e spesso contrastanti sono tuttavia le ipotesi relative ai tempi in cui si verificò questo evento e alle direzioni seguite dagli ominidi che per primi raggiunsero l'Asia e l'Europa. La documentazione paleoantropologica eurasiatica, molto carente e variamente interpretata, è praticamente inesistente per quanto attiene alle primissime fasi del popolamento. La proliferazione in Africa di diverse specie del genere Homo tra la fine del Pliocene e l'inizio del Pleistocene non permette inoltre, al momento attuale, di stabilire una correlazione puntuale tra resti di ominidi e resti archeologici. Al contrario di quanto constatato per l'Africa, questi ultimi non sono chiaramente interpretabili come riflesso di un processo continuo di lenta trasformazione tecnologica; per quanto rari ed estremamente dispersi nella vastità del continente eurasiatico, essi sembrano piuttosto rispecchiare episodi talvolta privi di reciproci collegamenti evidenti. È stata inoltre più volte sottolineata l'esistenza di uno sfasamento cronologico importante rispetto alle prime tecnologie africane. Dal momento che gran parte della più antica documentazione asiatica è attualmente piuttosto discussa, tale sfasamento appare in particolar modo significativo e ormai sufficientemente dimostrato, soprattutto per l'Europa, dove le sporadiche testimonianze delle più antiche tecnologie litiche, salvo qualche eccezione di ancora difficile interpretazione, non sembrano risalire ad oltre 1 milione di anni fa (m.a.). In epoca contemporanea a questo primo popolamento dell'Europa, documentato da pochi siti con industrie su ciottolo e schegge prive di bifacciali, la tecnologia africana ha invece ormai già completato da diverse centinaia di migliaia di anni, praticamente in tutto il continente, la sua trasformazione verso tecnocomplessi tipicamente acheuleani. Industrie africane con reminiscenze olduvaiane di età mediopleistocenica, come ad esempio quelle segnalate nell'area di Bodo-Hargufia nella media valle dell'Awash, sono state recentemente interpretate come facies particolari di diverse attività dell'Acheuleano ed analoga spiegazione potrebbero avere complessi attribuiti all'Olduvaiano evoluto C delle Formazioni superiori dei Beds III e IV di Olduvai (Leakey 1975). Pur nella sua difficile interpretazione, la comprensione dei motivi che provocarono questo sfasamento tecnologico costituisce probabilmente la chiave di lettura più corretta degli eventi che hanno condotto al definitivo popolamento eurasiatico.
Evidenze archeologiche importanti in Israele sembrano confermare l'antichità di un primo probabile out of Africa verso l'Eurasia. Il sito di Yron in Galilea, dove sono state rinvenute alcune schegge e nuclei di selce (Ronen 1991) in un livello sottostante ad un basalto datato a 2,4 m.a., rappresenterebbe la più antica testimonianza di attività strumentale al di fuori del continente africano, anche se l'effettiva posizione stratigrafica dei manufatti attende conferma. L'industria litica dei più antichi livelli della Formazione di Ubeidiya, nella valle del Giordano, in Israele, è caratterizzata da un tecnocomplesso costituito da manufatti su ciottoli di calcare e basalto (choppers, poliedri, sferoidi) e piccole schegge di selce talvolta ritoccate, privo di bifacciali; questi ultimi compaiono nei livelli superiori, riferiti all'Olduvaiano evoluto B o all'Acheuleano inferiore, nell'ambito di una tecnologia che non mostra, per il resto, significative differenze rispetto a quella dei livelli più antichi. Considerazioni di ordine paleontologico suggeriscono che la fauna di Ubeidiya, caratterizzata da specie tardovillafranchiane, quali Ursus etruscus, Canis cfr. arnensis, Mammuthus meridionalis tamanensis, Dicerorhinus etruscus etruscus, Equus cfr. tabeti e Sus strozzi, alcune delle quali, come il facocero e l'ippopotamo, di origine saharo-arabica e nordafricana, possa avere un'età compresa tra 1,4 e 1 m.a. (Tchernov 1988). Più incerta è la cronologia dei pochi manufatti rinvenuti nella Formazione di Erq el-Ahmar (valle del Giordano) da K.L. Verosub ed E. Tchernov nel 1991, per i quali è stata suggerita una possibile anteriorità rispetto all'evidenza archeologica di Ubeidiya. Una segnalazione di industrie molto antiche nel sito di Riwat in Pakistan tenderebbe a colmare l'enorme lacuna geografica che separa la documentazione israeliana da quella dell'Asia orientale; tuttavia, l'attribuzione cronologica agli inizi del Pleistocene inferiore e la stessa intenzionalità dei pochi manufatti rinvenuti, sono state contestate da diversi autori. Le ricerche alla Grotta di Longgupo, al margine orientale della Provincia di Sichuan in Cina, scoperta nel 1984 e scavata tra il 1985 e il 1988, hanno rappresentato un'altra possibile chiave di interpretazione relativa al primo popolamento del continente asiatico. La grotta, localizzata a circa 20 km dal fiume Yangtze, presenta una complessa stratigrafia costituita essenzialmente da due fasi di riempimento, nell'inferiore delle quali, la cosiddetta Middle Zone, sono stati rinvenuti un incisivo destro superiore e un frammento di mandibola con due denti attribuiti a Homo sp., due possibili manufatti litici (una scheggia e un percussore) e una ricca associazione di resti faunistici, costituita da oltre un centinaio di specie, tra cui il primate erbivoro Gigantopithecus blacki, databile tra la fine del Pliocene e gli inizi del Pleistocene. Successivamente ad una iniziale attribuzione cronologica su basi paleomagnetiche all'episodio di Reunion (2,1 m.a.), le ricerche più recenti permettono di attribuire i livelli 7-8 con i resti di ominidi all'evento di Olduvai (tra 1,96 e 1,78 m.a.), interpretazione confermata da una datazione ottenuta con il metodo della risonanza di spin elettronico (ESR) su smalto dentario di un frammento di premolare di Cervide e dall'arcaicità dell'associazione faunistica. L'iniziale attribuzione dei resti umani ad una nuova sottospecie di Homo erectus (H. erectus wushanensis) è stata in seguito modificata; la morfologia dentaria indicherebbe caratteri più primitivi rispetto a quelli riscontrati in H. erectus asiatico e affinità con i più antichi rappresentanti africani di Homo (H. ergaster e H. habilis). L'origine esotica dell'andesite-porfirite su cui sono ricavati i due "manufatti", l'anomalia delle loro dimensioni rispetto al contesto sedimentario, che escluderebbe la possibilità di un eventuale trasporto idrico, unitamente alle tracce di percussione e di distacchi osservabili sulle loro superfici, sembrerebbero documentare l'introduzione intenzionale e l'utilizzazione prolungata di questi artefatti (Wanpo et al. 1995). L'insieme di queste considerazioni, in particolare per quanto riguarda l'attribuzione tassonomica dei resti umani, è stata tuttavia soggetta a critiche (Tattersall 1997) che tendono ad un ridimensionamento sia della posizione cronologica del sito sia dell'interpretazione filogenetica di questi resti, così come difficilmente dimostrabile appare l'effettiva intenzionalità dei due oggetti litici. Altrettanto controverse (Bosinski 1996) sono la datazione a 1,6 m.a. dei manufatti litici associati a fauna e a due incisivi umani dal sito di Yuanmou, nella regione di Kunming in Cina meridionale, e quella a 2 m.a. di un molare umano rinvenuto nella Formazione superiore Gantang di Yuanmou. Qualche altro sito cinese dimostra comunque la notevole antichità del primo popolamento di questa vasta area. Nella Cina settentrionale dal sito di Xihoudu, presso Ruicheng (Shanxi sud-occidentale), vicino Huang-Ho provengono faune e qualche manufatto su scheggia e su ciottolo recentemente datati a 1,2 m.a. A Gongwangling, vicino Lantian, resti umani attribuiti a H. erectus in associazione a strumenti e fauna potrebbero avere un'età intorno a 1,3 m.a. Se confermata, questa stessa data, attribuita a un bifacciale rinvenuto non lontano dal giacimento citato in situazione stratigrafica comparabile, mostrerebbe una precoce presenza acheuleana in questa parte del continente asiatico. Ancora alla stessa epoca, intorno a 1 m.a., nella Cina settentrionale è attestata una tradizione di tecnocomplessi su scheggia e rari manufatti su ciottolo, evidenziata dai siti di Donggutuo, sulla riva destra del Sangganhe, da cui provengono poco meno di 1500 manufatti, e dagli oltre 200 manufatti rinvenuti a Xiaochangliang (Prov. di Hebei), alla sommità della formazione del Pleistocene inferiore di Nihewan. La più antica evidenza paleontologica dell'isola di Giava proviene dai sedimenti del Pleistocene inferiore di Pucangan a Sangiran, con faune e fossili umani, tra cui la calotta cranica nota come Sangiran 31 e la mandibola Sangiran 9, recentemente datati tra 2 e 1,6 m.a. su basi paleomagnetiche e con metodi radiometrici, anche se, trattandosi di rinvenimenti di superficie, la loro età effettiva, che alcuni autori stimano intorno a 1,2 m.a., non è valutabile con precisione. La stessa difficoltà si presenta nell'attribuzione della datazione recentemente ottenuta di 1,9/1,8 m.a. per i livelli del sito di Perning a Mojokerto, da cui proviene una calotta cranica di un bambino di H. erectus (ma da alcuni attribuita a H. habilis) di circa 3 anni, rinvenuta nel 1936, anch'essa fuori contesto. Con un'età paleomagnetica di 850.000 anni, attribuita ai livelli archeologici inglobati nei paleosuoli 11 e 12 in una lunga sequenza di löss, il sito di Kuldara, nella regione di Khowaling del Tajikistan meridionale (Ranov et al. 1995), rappresenta una delle migliori testimonianze del più antico popolamento dell'Asia Centrale in epoca precedente il limite Matuyama-Brunhes, con decine di manufatti ricavati su piccole schegge. Il sito di Dmanisi, alla confluenza tra i due fiumi Pinezaouri e Mašavera in Georgia, rappresenta certamente un elemento focale per la comprensione delle modalità e dei tempi del primo popolamento eurasiatico attraverso un possibile corridoio caucasico (Bosinski 1996). Al contesto paleontologico e archeologico rinvenuto nei sedimenti fluviali accumulatisi immediatamente al di sopra di uno strato di lava, datato con il metodo del potassio-argon (⁴⁰K/⁴⁰Ar) a 2±0,1 m.a., si sono aggiunti nel 1991 la scoperta di una mandibola umana con caratteri arcaici, che diversi autori confrontano con alcuni resti di H. habilis e con forme arcaiche di H. erectus africano o asiatico, e nel 1999 l'ulteriore rinvenimento dei resti di due crani. La fauna è molto diversificata, con animali quali struzzo, orso, lupo, iena, tigre dai denti a sciabola, elefante meridionale, rinoceronte, cavallo, daino, cervo, Bovidi, gazzella, ecc. Nel suo insieme, le specie che costituiscono questa mammalofauna sono riferibili al Villafranchiano superiore, attribuzione confermata dalle indicazioni desunte dalla microfauna rinvenuta nello stesso giacimento. Alcune delle ossa presentano fratture, in qualche caso interpretate come intenzionali. Lo studio paleobotanico, effettuato su pollini rinvenuti in coproliti presenti nel sito, indica un'associazione tipica di un ambiente prevalentemente boschivo di montagna, caratterizzato da specie arboree quali abete, pino, faggio, olmo, castagno, tiglio, betulla e carpino, da piante caratteristiche di una bassa macchia, come il rododendro, il corniolo e il mirtillo, e da una vegetazione di Graminacee, Ciperacee e Poligonacee, caratteristiche di un ambiente di prateria di clima caldo. I manufatti litici rinvenuti in associazione con i resti paleontologici e ricavati da ciottoli alluvionali di rocce vulcaniche sono costituiti soprattutto da schegge, da qualche raschiatoio, da strumenti su ciottolo e da nuclei, per lo più poliedrici con negativi di distacchi multidirezionali, o più elaborati, di forma conica, con piano di percussione preparato con qualche distacco. Anche chi, tra i diversi autori, non è disposto ad attribuire a questo contesto la datazione di 1,8 m.a. ottenuta per il livello vulcanico ad esso sottostante, concorda nel ritenere probabile un'attribuzione cronologica di Dmanisi intorno a 1,4 m.a., età grossomodo coincidente con quella stimata per Ubeidiya (Gabunia 1992; Otte 1996). Oltre 200 manufatti, prevalentemente su schegge di quarzo e quarzite, recentemente raccolti in condizioni stratigrafiche controllabili da una cava a Dursunlu, nella pianura di Konya in Anatolia meridionale, e in associazione con una fauna riferibile al Galeriano, permettono di considerare anche questa porzione orientale del continente europeo come interessata, nel corso del Pleistocene inferiore, da questo iniziale popolamento. Nei sedimenti riferiti al Pleistocene inferiore che costituiscono il terrazzo di Vraz vicino Beroun, circa 30 km a sud di Praga, la cui formazione è attribuita all'inversione paleomagnetica di Olduvai, sono stati raccolti circa 80 manufatti su ciottolo, mentre una decina di altri possibili manufatti proviene dai sedimenti al di sopra della stessa Formazione; per entrambi questi insiemi è stata proposta una cronologia intorno a 1,5 m.a. (Valoch 1996). Secondo una reinterpretazione relativamente recente della complessa e controversa stratigrafia rilevata nella cava di Musov 1, in Moravia meridionale, alcuni manufatti su ciottolo provenienti da questa località, ma la cui intenzionalità è tuttavia egualmente controversa, dovrebbero risalire ad oltre 1 m.a. All'episodio paleomagnetico di Jaramillo, corrispondente allo stadio 23 della curva isotopica, sono stati attribuiti i pochi strumenti su ciottolo e la fauna, caratterizzata dalla presenza di ippopotamo, rinvenuti da K. Würges nel 1986 nella cava di Kärlich, vicino a Coblenza in Germania. Un più consistente insieme di manufatti rinvenuti nel sito di Korolovo, in Ucraina, è stato datato col metodo della termoluminescenza a 850.000 anni fa. Più volte, nel corso degli anni Ottanta e Novanta, scavi e scoperte in diverse località della Francia hanno riproposto l'attenzione su un possibile popolamento molto antico dell'Europa occidentale. Nelle località di Chilhac II e III, nell'alta valle dell'Allier, è stata recuperata un'importante fauna villafranchiana databile a 1,8 m.a., la cui relazione con le industrie su ciottolo e su scheggia rinvenute nelle stesse località non è stata tuttavia mai chiarita. Altrettanto discusse sono le segnalazioni relative ad una facies molto antica del Paleolitico inferiore, con datazioni intorno a 2 m.a., nel Massiccio Centrale. I materiali litici recuperati nel sito di Blassac-Les Battants, che numerose date ricavate con il metodo del potassio-argon pongono intorno a 2 m.a., come anche quelli di alcuni siti segnalati da E. Bonifay, sono stati recentemente riconsiderati come probabili tefrofatti, cioè oggetti prodotti da fenomeni vulcanici. Sempre in Francia, l'associazione faunistica e la microfauna della Grotta del Vallonnet (Nizza) permettono un inquadramento di questo complesso, da cui provengono alcuni manufatti su ciottoli di calcare e qualche scheggia, verso la fine del Pleistocene inferiore (episodio paleomagnetico di Jaramillo). Al momento attuale, la Grotta del Vallonnet rappresenta una delle testimonianze meno discutibili di presenza umana in Europa intorno a 1-0,9 m.a. Diversi giacimenti nella regione di Orce in Andalusia, tra cui Venta Micena, Fuentenueva III e Barranco Leon 5, presentano associazioni faunistiche che si collocano verso la fine del Villafranchiano superiore. Sulla base della ricostruzione stratigrafica proposta e dell'evidenza paleontologica, l'età di Venta Micena e Fuentenueva III può essere valutata intorno a 1,6 m.a., mentre leggermente più antico (1,8 m.a.) sarebbe il giacimento di Barranco Leon 5. Sia a Fuentenueva III sia a Barranco Leon 5 sono stati rinvenuti manufatti litici in selce, mentre tracce di incisioni intenzionali sono state riconosciute su tre frammenti ossei da Venta Micena. Dallo stesso sito provengono anche un frammento cranico, sulla cui iniziale attribuzione a Homo si è a lungo discusso, una diafisi omerale giovanile e un frammento di diafisi omerale di adulto egualmente riferite da J. Gibert nel 1995 a Homo sp., mentre a Barranco Leon 5 è stato rinvenuto un frammento di molare inferiore di difficile attribuzione. Con una datazione ad oltre 780.000 anni fa, i ritrovamenti spagnoli nel sito in grotta di Gran Dolina nella Sierra di Atapuerca (Burgos) si impongono per il loro significato riguardo al primo popolamento dell'Europa occidentale verso la fine del Pleistocene inferiore. Da uno dei livelli di base della sequenza TD sono stati recuperati diversi resti umani e industria litica preacheuleana riferibile al tardo Bihariano sulla base di una ricca associazione di micromammiferi caratterizzati, tra l'altro, da Mimomys savini databile al limite paleomagnetico Matuyama-Brunhes. Nonostante la presenza di numerosi siti con faune tardovillafranchiane, nessuna sicura documentazione archeologica consente finora di ritenere che l'Italia fosse stata raggiunta in epoca corrispondente alle più antiche fasi del popolamento dell'Europa. Ad epoca grossomodo corrispondente a quella del giacimento della Gran Dolina, nell'intervallo tra gli episodi paleomagnetici di Brunhes e Jaramillo, con un'età ESR intorno a 800.000 anni, sembrerebbe risalire, anche in base a considerazioni stratigrafiche, l'industria di Ca' Belvedere di Monte Poggiolo vicino a Forlì, mentre alcuni manufatti su scheggia e uno su ciottolo, rinvenuti fuori contesto, erano probabilmente associati alle faune tardovillafranchiane della breccia ossifera di Monte Peglia. Numerosi ritrovamenti effettuati soprattutto nella valle del Sacco-Liri, come Colle Marino, Arce, Fontana Liri e Castro dei Volsci, indicano la diffusione di complessi su ciottolo in epoca immediatamente anteriore e successiva all'inizio dell'attività del Vulcano Laziale, datata intorno a 700.000 anni fa. Di particolare rilievo, con una serie stratigrafica compresa tra datazioni ⁴⁰K/⁴⁰Ar 734.000±40.000 e circa 500.000 anni, confermate dalle indicazioni paleomagnetiche, è il sito di Isernia La Pineta nel Molise. I quattro livelli archeologici compresi in questa serie sono caratterizzati da forti concentrazioni di manufatti in calcare (schegge, denticolati e choppers) e in selce (tra cui frequenti schegge non ritoccate e denticolati di piccole dimensioni), ottenuti con la tecnica della percussione diretta su incudine di blocchetti di una selce di provenienza locale. In alcune delle paleosuperfici l'industria è associata ad una fauna a rinoceronte (Stephanorhinus hundsheimensis), bisonte (Bison schoetensacki), elefante [Elephas (Palaeoloxodon) antiquus] e orso (Ursus deningeri), con più rari ippopotami (Hippopotamus antiquus), cinghiali (Sus scrofa), Cervidi (Megacerinae, Dama sp., Capreolus capreolus), caprini (Hemitragus cfr. bonali), e qualche uccello acquatico. L'interpretazione tafonomica di alcune delle paleosuperfici esposte ha suggerito la possibile esistenza di un'intenzionale organizzazione spaziale dei resti, corrispondente a una sorta di struttura di insediamento (Peretto 1999). Intorno alla stessa data, o in epoca leggermente anteriore, si colloca il cranio rinvenuto a Campo Grande nel bacino di Ceprano (Lazio meridionale) fuori contesto stratigrafico da I. Biddittu. Alcuni suoi caratteri indicherebbero sia affinità sia divergenze rispetto ai caratteri propri di H. erectus (Ascenzi et al. 1996). La lunga sequenza posta in luce a Notarchirico, nel bacino di Venosa in Basilicata, permette di chiarire, per lo meno per quanto riguarda l'Europa meridionale mediterranea, le fasi immediatamente successive al più antico popolamento e in parte correlabili alla prima introduzione dell'Acheuleano in questo continente. Datazioni ESR di una cinerite alla base della serie di Notarchirico, immediatamente sovrastante il livello acheuleano F, indicano, insieme ad altre evidenze europee, che intorno a 650.000 anni fa questo tecnocomplesso era ormai largamente diffuso; nel corso dei successivi 300.000/400.000 anni le testimonianze archeologiche relative all'Acheuleano si moltiplicano, parallelamente a tecnocomplessi con industrie su ciottolo e su scheggia ma privi di bifacciali (Piperno 1999).
Tra gli anni Sessanta e Settanta, il problema del primo popolamento eurasiatico non sembrava porre alternative fra loro contrastanti. Una plausibile spiegazione era un modello di espansione "unilineare" di gruppi di H. erectus africani dall'Africa all'Eurasia, con l'ingresso in Eurasia attraverso le regioni mediterranee del Vicino Oriente e con una biforcazione delle vie di transito verso i due continenti pressappoco in corrispondenza dell'attuale Israele; la discussione verteva soprattutto nello stabilire quando questo "contatto" fosse avvenuto e quali vie di transito fossero state seguite, sia per raggiungere l'Asia sia per installarsi nel continente europeo. L'ostacolo principale alla plausibilità di questo modello di diffusione era costituito dal fatto che la maggior parte dei complessi del Pleistocene inferiore eurasiatico sono tipologicamente più affini all'Olduvaiano. Ciò significa che i responsabili del primo popolamento eurasiatico devono essere identificati in gruppi umani non "acheuleani", vale a dire che questo evento non dovrebbe essersi verificato, per quanto ne sappiamo attualmente, in epoca successiva a 1,4 m.a., quando ormai la maggior parte dell'evidenza africana disponibile è sostanzialmente "acheuleana". Un'ipotesi parzialmente alternativa propone che, successivamente ad una prima espansione dall'Africa verso l'Asia, si sia verificata un'evoluzione asiatica verso forme di tipo erectus, che portò, come una sorta di onda di ritorno, al popolamento dell'Africa e dell'Europa da parte di questa specie. Entrambi gli scenari, come in genere tutti i modelli che ammettono un iniziale popolamento dell'Eurasia a partire dall'Africa, ritengono probabile che tale popolamento abbia seguito due possibili rotte, il cosiddetto Corridoio Levantino o l'Arabia attraverso lo Stretto di Bab el-Mandeb. Per quanto concerne in particolare l'Europa, tre vie di transito sono state proposte da alcuni autori come più probabili: lo Stretto di Gibilterra, gli stretti del Bosforo provenendo dalla Turchia e a nord del Mar Nero. Un argomento contrario alla prima ipotesi consiste soprattutto nel fatto che ricerche in Marocco, effettuate da J.-P. Raynal, sembrano indicare che l'evidenza archeologica nella regione di Casablanca non sia anteriore a circa 800.000 anni. Relativamente alla seconda possibile via di transito, non vi è evidenza di presenza umana in Grecia e Turchia anteriore all'inizio del Pleistocene medio. I già citati siti di Ubeidiya in Israele e Dmanisi in Georgia potrebbero rappresentare due tappe di una possibile migrazione di ominidi verso l'Europa centrale. Alcuni ricercatori ritengono che le modalità del primo popolamento dell'Europa non siano interpretabili come un evento "singolo", con risultati immediatamente positivi e duraturi, ma siano piuttosto rappresentate da una serie di occasionali contatti iniziali e forse privi di esiti, seguiti, dopo qualche centinaia di migliaia di anni, da una più consistente "colonizzazione" delle fasce più temperate del bacino del Mediterraneo da parte di gruppi umani che ormai utilizzavano una tecnologia pienamente acheuleana (Otte 1996). L'idea di un'unica origine africana per il popolamento dell'Eurasia deve pertanto essere rimessa in discussione. Sembrerebbe preferibile pensare a più contatti, non tutti con conseguenze permanenti, fra loro separati nel tempo e intervallati da momenti di abbandono di alcune vaste aree per così dire periferiche, come ad esempio l'Europa occidentale. Uno scenario possibile degli eventi che hanno portato al popolamento eurasiatico può sintetizzarsi sostanzialmente in tre principali fasi. La prima di esse, sulla base delle sia pure discusse testimonianze archeologiche e paleoantropologiche eurasiatiche, sembra suggerire un iniziale probabile out of Africa verso l'Asia, o piuttosto, come è stato suggerito da qualche studioso, una prima generale area di diffusione di gruppi umani tipo Homo sp. cfr. erectus/ergaster, intorno a 2 m.a., con tecnologia litica caratterizzata da complessi su ciottolo e schegge. Questo evento deve comunque collocarsi in epoca precedente all'emergere e al diffondersi, probabilmente intorno o poco prima di 1,5 m.a., dei più antichi tecnocomplessi acheuleani tipo Konso Gardula. In una seconda fase, intorno a poco più di 1 m.a. fa, dovrebbe essere datato un allargamento di questo iniziale scenario asiatico al continente europeo. La stessa tecnologia su ciottolo, dovuta a gruppi umani simili, sembra estendersi in effetti verso occidente. L'ipotesi di un'origine puramente asiatica del primo popolamento europeo tende a superare l'evidente sfasamento cronologico tra manifestazioni tecnologiche africane ed europee all'epoca considerata: non vi è in effetti traccia, in tutto il continente eurasiatico, di industrie acheuleane databili tra 1,5 e 1 m.a. che sono ormai viceversa ben attestate in Africa orientale e in Sudafrica. Come si è già accennato, è probabile che questo iniziale popolamento sia stato senza esiti: le scarse testimonianze che ne sono rimaste in diversi Paesi europei non rifletterebbero, in altri termini, una lacuna nelle nostre conoscenze, ma piuttosto un'effettiva scarsa consistenza di questo primo "contatto" con il continente europeo. A una terza fase sembra, infine, potersi identificare (o ipotizzare) un secondo importante out of Africa con la diffusione in Europa e verso l'Asia meridionale di tecnologie tipicamente acheuleane (o più genericamente mediopleistoceniche) intorno a 800.000/700.000 anni fa o in epoca di poco precedente, ad opera di gruppi di H. erectus. La parziale sovrapposizione sul substrato asiatico di questi tecnocomplessi mediopleistocenici potrebbe rappresentare una delle possibili spiegazioni della cosiddetta Movius Line osservata nel continente asiatico. La rapida diffusione (sia in termini cronologici sia in termini di espansione geografica) di questi tecnocomplessi in Europa rifletterebbe, da un lato, la completa discontinuità con le precedenti manifestazioni di attività strumentale e, dall'altro, la possibile molteplicità delle vie di transito seguite da questa osmosi. Le datazioni assolute intorno a 700.000 anni fa delle fasi arcaiche dell'Acheuleano europeo, ottenute per sequenze come ad esempio quella di Notarchirico (Piperno 1999), sembrano portare qualche effettiva conferma a questa ipotesi.
Nel 1872 G. de Mortillet propose per la prima volta di definire come "epoca di Saint-Acheul", paese nei dintorni di Amiens in Francia, un periodo anteriore alle epoche di Moustier, di Aurignac, di Solutré e di La Madeleine, da lui stesso utilizzate fin dal 1869 per la sua suddivisione dei tempi preistorici. Nella successiva opera Le Préhistorique, del 1883, lo stesso de Mortillet anteponeva un periodo iniziale, il cosiddetto Chelleano, al periodo intermedio rappresentato dall'Acheuleano, a sua volta seguito dal Musteriano, dal Solutreano e dal Maddaleniano. Il termine Chelleano, dalla località di Chelles, vicino a Parigi, suggerito da Ernest d'Acy nel 1878 per una presunta anteriorità delle industrie ivi raccolte rispetto a quelle di Saint-Acheul considerate mescolate a manufatti del Musteriano, sarebbe caduto lentamente in disuso, diversi anni dopo, sia nella terminologia del Paleolitico inferiore europeo sia in quella relativa alle più antiche fasi della preistoria africana, pur essendo ancora occasionalmente utilizzato da qualche autore fino agli anni Ottanta. Nel 1932 l'abate H. Breuil coniò il termine di Abbevilliano per designare le industrie raccolte nelle alluvioni antiche dei terrazzi alti di Abbeville nella bassa valle della Somme; Abbevilliano e Chelleano diverranno presto sinonimi nella letteratura paletnologica come indicatori delle più antiche fasi del Paleolitico inferiore, fino alla scoperta, in Africa, di industrie cronologicamente anteriori all'origine e alla progressiva diffusione di quelle a bifacciali, denominate Olduvaiano e Olduvaiano evoluto dal giacimento di Olduvai in Tanzania. Alle suddivisioni in sette fasi proposte da Breuil per l'Acheuleano, sulla base della cronostratigrafia delle alluvioni dei terrazzi della Somme e dell'evidenza tipologica delle industrie ivi raccolte, seguì un tentativo di sintesi da parte di F. Bordes per il Paleolitico inferiore dell'Europa occidentale, con una suddivisione in Acheuleano inferiore, medio e superiore alla quale tuttora si fa spesso riferimento, anche con sfumature e interpretazioni notevolmente divergenti per quanto riguarda un più preciso inquadramento cronologico ed una definizione tecnologica di ciascuna di queste partizioni di comodo. Più recentemente, per l'Europa occidentale e meridionale alcuni autori tendono ad una distinzione tra Acheuleano classico antico con numerosi bifacciali, presente in Francia settentrionale e in Inghilterra dalla fine del Mindel al Mindel- Riss, e Acheuleano meridionale arcaico, caratterizzato da strumenti su ciottolo e su scheggia, hachereaux e bifacciali in percentuali variabili, diffuso dal Mindel in Francia meridionale, Spagna e Italia (Broglio - Kozłowski 1986). Secondo altri autori infine (Villa 1991), il termine Acheuleano deve essere riferito alle sole industrie a bifacciali più antiche del Paleolitico medio, considerando quest'ultimo come comprendente tutti i complessi con industrie su scheggia di tipo musteriano e con presenza o meno di bifacciali, che risalgano fino allo stadio 8 della cronologia basata sulle variazioni del rapporto tra gli isotopi dell'ossigeno ¹⁶O/¹⁸O presenti nei gusci dei Foraminiferi delle carote oceaniche, vale a dire a circa 250.000/300.000 anni fa in termini di cronologia assoluta. Nell'accezione ampia del termine, si designano come tipologicamente acheuleani quei complessi litici caratterizzati da una percentuale variabile di strumenti caratteristici, ricavati su ciottoli o su grosse schegge, con distacchi bifacciali, dotati o meno di simmetria bilaterale, di dimensioni variabili da pochi centimetri a diverse decine di centimetri e con una forma che tende a richiamare più o meno fedelmente quella della mandorla. Tale strumento, noto nella terminologia tipologica italiana, francese e anglosassone con i nomi di amigdala, bifacciale, coup-de-poing, biface e handaxe, è accompagnato da uno strumentario articolato in diversi altri tipi, ricavato su ciottolo (choppers, chopping-tools, poliedri, sferoidi, picchi, ecc.) o su schegge ritoccate o meno (hachereaux, raschiatoi, perforatori, denticolati, intaccature e, meno frequenti, grattatoi e bulini), che varia, a seconda delle epoche, delle aree geografiche, delle diverse materie prime utilizzate e, probabilmente, delle diverse funzioni alle quali è destinato, sia nei rapporti percentuali fra i diversi tipi, sia nella tendenza alla specializzazione e standardizzazione di alcuni di essi rispetto agli altri. Sotto l'aspetto tecnologico, all'uso iniziale di un percussore duro (pietra) che produce generalmente bifacciali spessi con distacchi ampi, si sostituisce, nelle fasi successive, l'utilizzazione più frequente di percussori teneri (legno, osso), con miglioramento della simmetria bilaterale, assottigliamento dello spessore, perdita della sinuosità di uno o di ambedue i margini e conseguente perfezionamento della capacità di taglio; sulla base di questi e di altri parametri, numerosi autori distinguono diversi tipi di bifacciali su basi morfologiche e tipometriche. L'Acheuleano, inteso in senso generale come sequenza di stadi tecnico-culturali dell'umanità preistorica, trae probabilmente origine in Africa dai precedenti complessi della fine dell'Olduvaiano (Olduvaiano evoluto) in un periodo che si può valutare intorno a 1,6/1,5 m.a. fa. Se alcuni bifacciali sono presenti, sia pure in numero statisticamente insignificante, in contesti della fine dell'Olduvaiano, come Garba IVD, intorno a 1,5 m.a., e del resto qualche bifacciale atipico è segnalato, sempre a Melka Kunturé, anche nel già citato sito olduvaiano di Gomboré I, la scoperta nel 1991 del sito di Konso Gardula nel margine occidentale del Rift, nel bacino del fiume Segen (Konso, Etiopia meridionale), rappresenta una delle maggiori acquisizioni recenti dell'archeologia delle origini, per le implicazioni che essa comporta nella comprensione delle più antiche tecnologie litiche. Infatti, nell'ambito della serie sedimentaria di Konso Gardula, compresa tra 1,9 e 1,3 m.a., in livelli immediatamente al di sopra e al di sotto del tufo datato con il metodo argon-argon (⁴⁰Ar/³⁹Ar) a 1,34-1,38 m.a., sono state rinvenute diverse località con industria litica acheuleana associata a fauna fossile (complessivamente, nelle diverse località, sono stati identificati resti di elefante, rinoceronte, ippopotamo, giraffa, Bovidi, Suidi, ecc.) che presenta spesso evidenti interventi intenzionali, i quali hanno lasciato tracce di percussione, strie, scheggiature e segni di taglio. Sebbene alcuni autori considerino acheuleani soltanto quei complessi comprendenti oltre il 40% di bifacciali, è opinione generalmente più diffusa che la presenza di questo strumento anche in percentuali inferiori, insieme ad una generale modificazione di altri parametri relativi al modo di vita, all'economia di caccia e a comportamenti afferenti alla sfera sociale, indichi sostanziali trasformazioni culturali intorno a 1,5 m.a. La definizione del limite cronologico superiore dell'Acheuleano risulta invece più difficile; la tendenza generale dei bifacciali acheuleani va in direzione di un perfezionamento morfotecnico, mentre il resto dell'industria litica, già intorno a circa 250.000/200.000 anni fa, assume talvolta aspetti ormai tipicamente musteriani, con definitiva standardizzazione di alcuni tipi (tra cui in particolare i raschiatoi), regolarizzazione dimensionale e morfologica dei supporti, variabilità dei rapporti percentuali tra diversi tipi nell'ambito di tecnocomplessi ben caratterizzati, progressivo ricorso alla tecnica Levallois, ecc. Complessi generalmente riferiti all'Acheuleano finale sono tuttavia ancora ben attestati in diverse aree geografiche intorno a 150.000 anni fa circa. Al Paleolitico medio è riferita infine una facies denominata Musteriano di tradizione acheuleana, che presenta bifacciali nell'ambito di un'industria musteriana tipica, ricca di denticolati, di epoca würmiana. Nell'arco di questa lunga durata dell'Acheuleano deve essere sottolineato l'importante sfasamento cronologico, già ricordato, tra le sue prime manifestazioni africane e la cronologia assoluta finora disponibile per la comparsa dei più antichi tecnocomplessi acheuleani dell'Europa occidentale, che non risale, se non con eccezioni tuttora da confermare, oltre 650.000/500.000 anni fa, vale a dire oltre gli stadi isotopici 13-15. Per ragioni tuttora non evidenti, l'Acheuleano europeo mostra dunque un ritardo di poco meno di 1 m.a. rispetto a quello africano e le sue prime manifestazioni tecnico-tipologiche non sono confrontabili con quelle coeve africane, mentre richiamano piuttosto proprio le fasi iniziali dell'Acheuleano africano, per lo meno per quanto attiene più limitatamente alla tipologia e alle tecniche di taglio dei bifacciali. Ad una così ampia cronologia corrisponde un'altrettanto vasta distribuzione geografica dei siti riferiti alle diverse fasi dell'Acheuleano, comprendente tutto il continente africano, il Vicino Oriente, l'Europa centro-occidentale e, in minor misura, quella orientale; una sorta di barriera tecnologica (la già citata Movius Line dall'autore H.L. Movius che per primo la evidenziò) sembra invece escludere, sia pure con qualche eccezione, l'intera Asia orientale e settentrionale dalla diffusione delle industrie a bifacciali, che si estendono fino a tutto il Subcontinente indiano, con qualche segnalazione più orientale di industrie con protobifacciali o bifacciali, la cui interpretazione come "acheuleane" non è tuttavia universalmente condivisa, in Corea, a Chongokni e in Cina a Lantian, Tingtsun e, in particolare, nel bacino di Bose (Cina meridionale), dove una industria acheulana è datata a circa 800.000 anni fa (Yamei et al. 2000).
Accanto alle industrie a bifacciali, e in loro parziale contemporaneità, sono noti in diverse aree del continente eurasiatico e dell'Africa complessi ricavati su ciottolo o su scheggia del tutto, o quasi, privi di questo strumento: il Clactoniano in Europa occidentale e centrale; il Tayaziano essenzialmente nei Paesi che si affacciano sul Mediterraneo occidentale; l'Evenosiano in Francia; l'industria Buda di Vertesszőllős in Ungheria; il Soaniano in India e Pakistan, nel quale tuttavia secondo alcuni autori sarebbe rilevabile la presenza di protobifacciali o di veri e propri bifacciali; l'Anyatiano in Birmania; l'industria di Zhoukoudian in Cina; il Pacitaniano di Giava, ecc. Tali complessi pongono problemi non ancora risolti riguardo al loro significato in relazione alle stesse industrie acheuleane, alla loro effettiva autonomia culturale e spesso anche alla loro esatta posizione cronologica nell'ambito del Pleistocene medio. Le diverse interpretazioni di questa dicotomia nelle tradizioni litiche del Pleistocene medio si sono orientate verso la possibile esistenza di differenziazioni funzionali tra questi tecnocomplessi, derivanti dalla sostanziale variabilità delle situazioni ambientali nelle diverse aree del Vecchio Mondo, o hanno ipotizzato la difficoltà nel reperimento di materia prima, costituita da arnioni o ciottoli di dimensioni medio/grandi e idonei all'ottenimento di grosse schegge, o ancora hanno identificato alcune tradizioni, ad esempio il Clactoniano, come semplici stadi iniziali di messa in forma di industrie a bifacciali. Le industrie delle prime fasi dell'Acheuleano africano sono direttamente o indirettamente associate a resti umani attribuiti a H. erectus (parte superiore del Bed II e Bed III a Olduvai, Gomboré II a Melka Kunturé). In epoca più recente, sia in Africa che nel continente eurasiatico, l'Acheuleano è associato a varianti regionali della stessa specie o a forme arcaiche di H. sapiens (Ternifine, attuale Tighennif, in Algeria; Bodo e Garba III in Etiopia; Saldanha, noto anche come Elandsfontein, in Sudafrica; Lantian in Cina; Lazaret in Francia; Atapuerca in Spagna; Fontana Ranuccio, Notarchirico, Castel di Guido, Grotta del Principe in Italia, ecc.).
Acquisizioni culturali a livello tecnologico e socio-economico di notevole importanza si verificano nel corso della lenta maturazione dell'Acheuleano. Il costante controllo del fuoco è stato probabilmente raggiunto intorno a 500.000/400.000 anni fa, ma l'evidenza archeologica è scarsa e controversa fino a circa 200.000/150.000 anni fa. La debole capacità di sopravvivenza fossile di tracce di fuochi di modesta entità lascia tuttavia dibattuta l'ipotesi di un possibile controllo del fuoco in siti molto antichi, come Koobi Fora e Chesowanja in Kenya (1,5 m.a.) e nel sito acheuleano di Gadeb in Etiopia, mentre più consistente appare, sempre in Africa, la sua documentazione nell'Acheuleano di Kalambo Falls in Zambia, con una datazione assoluta molto recente (oltre 60.000 anni da oggi per i livelli acheuleani), ma per il quale si ritiene più probabile un'attribuzione cronologica intorno a 200.000 anni fa. Relativamente all'Acheuleano europeo, possibili evidenze di controllo del fuoco sono state riconosciute da alcuni autori a Lunel-Viel, a Port Pignot, a Terra Amata e alla Grotta del Lazaret in Francia; nessun sito acheuleano italiano ha finora restituito tracce di fuoco, ma alcuni frustoli di carbone e di ossa combuste suggeriscono la presenza di un focolare alle Cave del Ghiardo, un sito con industria su scheggia di tecnica Levallois e un bifacciale acheuleano, localizzato sui terrazzi del pedeappennino emiliano-romagnolo e datato alla fine del Penultimo Glaciale, che può essere riferito alla fase di transizione Paleolitico inferiore-Paleolitico medio. Importanti modificazioni dell'economia di sussistenza e delle strategie di adattamento sono anche osservabili durante l'Acheuleano. Ad una probabile iniziale e occasionale assunzione di carne, prevalentemente attraverso lo sfruttamento di carcasse uccise da altri predatori, si sostituisce o si affianca presto la caccia regolare a mammiferi di piccola o media taglia, i cui resti sono spesso associati alle industrie nei siti acheuleani in contesti non disturbati. Siti di macellazione, che presuppongono o meno la cattura e l'uccisione di grossi pachidermi (soprattutto ippopotami ed elefanti), sono noti in contesti acheuleani (Barogali a Gibuti, con industria riferita all'Olduvaiano evoluto o all'Acheuleano antico e datazione a 1,3 m.a.; Gomboré II a Melka Kunturé in Etiopia, riferibile all'Acheuleano medio e datato a 700.000 anni fa; Aridos I e II attribuiti al Mindel-Riss e Arriaga con industria dell'Acheuleano superiore in Spagna; Gröbern in Germania; Notarchirico in Basilicata, con industria riferita all'Acheuleano medio-inferiore; Gester Benot Yaaqov in Israele, ecc.). Di grande interesse è l'utilizzazione di grosse schegge di diafisi di ossa generalmente di pachidermi, come materia prima alternativa alla pietra per la preparazione di bifacciali (sito FC di Olduvai, Rhede e Bilzingsleben in Germania, Castel di Guido e Fontana Ranuccio in Italia) e di altri manufatti (sorta di raschiatoi, levigatoi, picchi, ecc.), che presentano ritocco variamente localizzato sui margini e/o levigatura dovuta ad un loro uso prolungato. Recenti ritrovamenti nel sito di Schöningen in Germania dimostrano come l'utilizzazione del legno avesse raggiunto, già circa 400.000 anni fa, un elevato livello tecnologico. Lunghe lance di legno di abete con estremità accuratamente appuntite sono eccezionalmente conservate in questa miniera di lignite, in associazione a industria su scheggia e fauna a Palaeoloxodon antiquus, Stephanorhinus kirchbergensis, Cervus elaphus, orso e cavallo. L'esistenza di simili manufatti, sia pure di gran lunga meno raffinati rispetto a quelli di Schöningen, era già nota dai precedenti rinvenimenti effettuati a Lehringen in Bassa Sassonia nel 1948 e a Clacton-on-Sea in Inghilterra. Esistono confronti significativi relativi ad una simile utilizzazione del legno in periodi più recenti, dai siti musteriani di Abric Romani in Spagna, dei vulcani di Eifel in Germania e da Stoke Newington in Inghilterra, per manufatti la cui destinazione d'uso era probabilmente identica a quella delle lance di Schöningen. Nonostante sia stata segnalata in diversi siti (Latamne in Siria, Solheilac, Tautavel, Terra Amata e Grotta del Lazaret in Francia, ecc.) l'esistenza di strutture o di un'organizzazione delle superfici di frequentazione in aree di attività particolari (ad es., attività di scheggiatura della pietra, aree di macellazione, di riposo, di transito, focolari, ecc.) e, più in generale, di una delimitazione intenzionale dello spazio abitato, l'effettiva consistenza di strutture in elevato chiaramente documentabili è ancora piuttosto discussa per buona parte dei siti acheuleani del Pleistocene medio. Fatta eccezione per i già ricordati casi dei siti di macellazione, analogamente a quelle olduvaiane, le più vaste paleosuperfici acheuleane, che si estendono talvolta anche per diverse centinaia di metri quadrati, mostrano in genere una certa uniformità nella distribuzione spaziale dei resti litici e paleontologici e sembrano spesso il risultato di palinsesti dovuti ad accumuli di materiali derivati da rioccupazioni successive di una medesima area, particolarmente favorevole a stanziamenti di breve o lunga durata.
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