di Emidio Diodato
Lo studio scientifico della geopolitica è attraversato da un profondo mutamento paradigmatico: da una ricerca centrata sugli stati e sul rapporto tra politica interna e politica estera, si passa a un metodo centrato sul sistema internazionale e sul rapporto tra politica regionale e politica globale. In questo cambiamento, le dimensioni naturali dello spazio perdono gran parte della loro rilevanza. Un tempo, il dibattito geopolitico riguardava pochi fattori considerati essenziali per determinare la politica estera di uno stato. Tali fattori erano, principalmente, i) l’acquisizione di frontiere naturali, ii) l’accesso alle vie marittime e commerciali, iii) il controllo strategico di vaste aree. Oggigiorno, il dibattito geopolitico include nuove dimensioni geopolitiche dello spazio, medianti le quali si struttura il sistema internazionale.
La prima dimensione è quella ‘geoculturale’ e concerne, al contempo, il processo di polarizzazione della struttura globale (bipolarità, multipolarità) e di legittimazione internazionale. Nell’attuale mondo globalizzato, si sostiene, la legittimità internazionale dipende dalla capacità dei principali attori di agire su scala regionale, ottenendo cioè consenso entro i principali spazi culturali del mondo, prima che nel sistema internazionale preso nel suo insieme. Da ciò consegue la tesi per cui la polarità è un prodotto congiunto dell’egemonia di alcuni stati e della costruzione di identità politiche sovranazionali. Il principale esempio è l’Occidente guidato dagli Stati Uniti, dove però si assiste a un processo di emancipazione da parte dell’Unione Europea e, almeno parzialmente, dell’America del Sud. Un altro esempio è la regione asiatica, dove emerge il ruolo di guida della Cina e, in seconda battuta, dell’India e del Giappone. Infine, abbiamo una vasta regione a prevalenza islamica, dove tuttavia non emerge alcun egemone capace di assumerne la guida.
La seconda dimensione è quella ‘geostrategica’. Nonostante il superamento della dicotomia classica tra dominio marittimo e territoriale, la gran parte degli studiosi contemporanei di geopolitica considera rilevante anzitutto la fascia di terra posta tra la massa territoriale dell’Eurasia e gli oceani che la circondano (Atlantico, Indiano e Pacifico). Lungo questa ampia fascia si sono ramificate le principali rivalità negli ultimi due secoli di storia. Anche dopo la conclusione della Guerra fredda, i bordi dell’Eurasia sono rimasti cruciali per le sorti del pianeta, soprattutto nell’area mediorientale e centro-asiatica, dove si concentra la produzione di greggio e gas. Inoltre, in questa area vi sono le più importanti fratture religiose legate alla questione islamica. Tuttavia, alla dimensione geostrategica si sovrappone una dimensione aggiuntiva, che concerne la capacità di controllo dei flussi di comunicazione globale.
Abbiamo quindi la dimensione ‘geoeconomica’. Dalla ricerca contemporanea emergono due processi, solo apparentemente divergenti, di centralizzazione delle funzioni (produttive, finanziarie, commerciali) e di aggregazione economica sovranazionale. Da una parte, cioè, singoli territori a concentrazione urbana si sviluppano più rapidamente rispetto ai contesti nazionali nei quali sono inseriti, producendo frammentazione e, in alcuni casi, richieste di autonomia e indipendenza. Dall’altra, si assiste viceversa a processi di convergenza tra più territori che si integrano tra loro a livello regionale o sovranazionale. I due processi, pur se divergenti, non si contraddicono. Anzi, la frammentazione indotta dall’accelerazione dell’economia globale trova proprio nei processi di regionalizzazione dell’economia una risposta di tipo geopolitico. Per esempio, ciò avviene con il rafforzamento di istituzioni come l’Unione Europea. Anche in Asia orientale, nell’ambito dell’ASEAN Plus, è in corso un analogo fenomeno di rafforzamento reciproco tra i due livelli regionali (subnazionale e sovranazionale). Tali dinamiche sono tuttavia condizionate dalle altre due dimensioni geopolitiche.