Il periodo persiano in Egitto e le ultime fasi di autonomia
Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
L’equilibrio determinatosi in Egitto nel corso della Dinastia saita termina con la conquista persiana: la nuova potenza straniera, dopo aver annientato lo Stato assiro, si affaccia ora sul Mediterraneo con un programma imperiale del quale fa parte anche la Terra del Nilo. A differenza degli Assiri, che pur conquistando l’Egitto non ne fanno una propria provincia effettiva (a tal punto che i principi che devono essere vassalli del re danno vita alla casata regnante saita), i Persiani operano un’effettiva presa di possesso del territorio, determinando in questo modo una dimensione nuova per il Paese: per la prima volta l’Egitto è dominato da un re straniero che risiede al di fuori dei confini del Paese e che, pur facendosi rappresentare in veste faraonica, tenderà a mediare i tratti egizi con quelli dell’ideologia imperiale persiana. L’esperienza persiana, giudicata dalla tradizione successiva come un momento di massima crisi, è in realtà un passaggio significativo della storia: l’Egitto si misura con una potenza sovranazionale che determinerà una serie di cambiamenti sostanziali nei modi della gestione dello stato. Al termine di questa dominazione l’Egitto saprà ancora esprimere un’ultima fase di autonomia, prima che l’arrivo di un nuovo conquistatore, Alessandro, non sancisca definitivamente l’ingresso del Paese all’interno del mondo ellenistico e di una nuova temperie culturale e sociale.
La linea dinastica saita viene interrotta dopo il brevissimo regno di Psammetico III, con l’arrivo di Cambise, re di Persia, il quale porta a termine un programma egemonico di conquista che ha interessato precedentemente l’area vicino orientale. La conquista persiana è suggellata dal riconoscimento di Cambise quale legittimo faraone; come tale, il re promuove una politica di controllo territoriale e di sfruttamento delle rotte commerciali. La tradizione successiva associa l’arrivo dei Persiani con atti di empietà di cui si sarebbe macchiato lo stesso re, come l’uccisione a Menfi del toro Api; tuttavia, proprio Cambise commemora la sepoltura di tori Api nel Serapeo di Saqqara, cimitero fondato nel Nuovo Regno e particolarmente prestigioso in Epoca tarda. Affermando il suo potere in Egitto, il re organizza due spedizioni, una in Nubia e una verso l’oasi di Siwa; pur non riuscendo nell’intento (le due spedizioni risultano infatti fallimentari), il re cerca di affermare la propria posizione seguendo una tradizione regale consolidata in Egitto: quella del faraone che sottomette le ostili forze straniere. Un fattore determinante per i rapporti con le regioni desertiche lontane dalla valle è l’introduzione (o forse l’affermazione) del dromedario, animale che si era affermato nel Vicino Oriente e legato alle genti arabiche. Sul piano economico l’intervento più significativo è la riduzione delle rendite dei templi, atto che può aver concorso alla caratterizzazione negativa postuma della sua figura.
Il successore Dario I ha un atteggiamento più conciliante verso il Paese e, soprattutto, verso i templi che rientrano in possesso delle loro prerogative economiche. Seguendo la politica già promossa dal predecessore, attribuisce particolare importanza alle oasi, e nel centro di Hibis (oasi di el-Kharga) fa costruire un santuario che costituisce l’unico esempio di struttura sacra tra Nuovo Regno ed epoca greco-romana, giunto pressoché intatto sino a oggi. Il suo nome è legato allo scavo di un canale tra il Nilo e il Mar Rosso, commemorato da diverse stele che sono caratterizzate da uno stile eclettico, egizio-persiano; lo stesso che possiamo riscontrare su una statua regale da Susa, con un interessante testo celebrativo in accadico, elamico, persiano ed egizio.
Dai testi in geroglifico della statua di Dario I da Susa
Il dio perfetto, che agisce col suo braccio, il sovrano che governa con la Doppia Corona, dal terrore immenso nei cuori degli uomini, signore del rispetto sul volto di chi lo vede, il cui potere ha conquistato tutte le Due Terre (= l’impero), che agisce conformemente all’ordine del dio, figlio di [Ra?], discendenza di Atum, immagine vivente di Ra, che egli ha posto sul suo trono per migliorare ciò che egli aveva iniziato sulla terra.
Il dio perfetto che si compiace della Maat, che Atum signore di Eliopoli ha scelto per essere signore dell’interno circuito del disco solare, perché egli sa che è suo figlio, il suo campione.
Egli gli ha ordinato di conquistare tutte le Due Terre mentre Neith gli ha dato il suo arco che è nella sua mano per rovesciare tutti i suoi nemici come aveva fatto per suo figlio Ra al momento della creazione, ed egli è forte grazie a lei per respingere i suoi ribelli e per sminuire i suoi ribelli in tutte le Due Terre.
Re forte dalla potenza immensa, signore della forza come Colui che presiede a Letopoli, signore dell’azione che imprigiona i Nove Archi, dal consiglio efficace e dal proposito positivo, signore del vigore quando entra nella mischia, che scocca la freccia a colpo sicuro, senza che la sua freccia manchi il bersaglio, la cui forza è come quella di Montu.
Il re dell’Alto e Basso Egitto, signore delle Due Terre Dario, che viva in eterno! Il grande, il re dei re, il capo della terra [intera, figlio] del padre del dio Ushtipa, l’Achemenide, che sale al trono come re dell’Alto e Basso Egitto sul trono di Horo dei viventi come Ra tra gli dèi, in eterno.
Poche sono le fonti relative alla storia del periodo: tra queste va ricordata l’autobiografia di un funzionario di Sais, Udjahorresnet, riportate sulla sua statua (il cosiddetto Naoforo Vaticano). Un’altra fonte di particolare interesse è costituita dai papiri relativi alla comunità ebraica stanziata a Elefantina; si tratta di documenti soprattutto amministrativi, relativi alla vita di una comunità straniera che viveva a stretto contatto con le genti locali, con cui aveva stretto rapporti di varia natura. La lingua di questi documenti è l’aramaico, lingua semitica affermatasi nell’Impero persiano come lingua amministrativa che ha soppiantato, nello scritto e soprattutto nel parlato, le lingua antiche. Il contenuto dei testi è particolarmente illuminante, perché dà uno spaccato della vita e della cultura di una comunità che si riconosceva in un tempio che voleva avere il suo rimando ideale in quello di Gerusalemme.
L’arrivo dei Persiani segna un passaggio epocale nella storia egiziana: se gli Assiri avevano operato una conquista che non aveva avuto conseguenze politiche in Egitto, i Persiani inseriscono la stessa operazione all’interno di un quadro imperiale. Se per l’Egitto il re è faraone, l’Egitto per il re non è la sua sede ideale, ma piuttosto la provincia di un Impero; questo mutamento di prospettiva prelude certo al ben più significativo passaggio all’Ellenismo di epoca tolemaica, ma soprattutto delinea le caratteristiche di una realtà nuova, nella quale il modello egizio si fonde con l’ideologia imperiale.
Un primo dato che appare nell’analisi dei dati forniti dall’Egitto persiano è la corrispondenza che viene istituita tra l’ideologia faraonica e quella persiana: il re non risiede in Egitto, ma non per questo rinuncia a farsi riconoscere nel rispetto di un modello ormai connaturato con la stessa idea di Stato: l’Egitto faraonico esiste perché è retto da un sovrano con determinate caratteristiche.
È certo interessante notare che questa rielaborazione ideologica tra Egitto e Persia non venga proclamata solo in Egitto, ma anche nel cuore stesso dell’Impero, a Susa, dove Dario I viene rappresentato in una statua già citata precedentemente; qui l’ideologia faraonica e quella persiana si combinano in una sovrapposizione di linguaggi epigrafici e figurativi che sanno esprimere la natura complessa di un potere sovranazionale. Questa commistione di stili si afferma, a un livello diverso, nella statuaria privata: gli alti funzionari dello Stato, infatti, si fanno facilmente rappresentare con il cosiddetto abito persiano, indossato da una figura che stilisticamente rispetta il canone rappresentativo egizio.
La necessità della dinastia persiana di essere riconosciuta legittimamente faraonica si può leggere anche tra le motivazioni della spedizione di Cambise a Siwa, dove risiedeva Zeus-Amon, divinità di confine il cui oracolo era divenuto particolarmente prestigioso presso le popolazioni dell’area libica; un procedimento analogo sarà ripetuto, con maggiore fortuna, da Alessandro Magno, che proprio a Siwa viene riconosciuto essere figlio del dio. Questo legame con il mondo divino, presente anche nei testi della statua di Dario, trova una conferma nel complesso programma decorativo del tempio di Amon a Hibis: qui sono raccolti in forma enciclopedica tutti quegli elementi – principalmente tebani – che diventano fondamentali nella concezione più tarda del santuario, ricettacolo di tradizioni e di cultura, e non solo dimora del dio.
Infine, la cultura del periodo persiano è contraddistinta dall’introduzione dell’aramaico come forma di comunicazione scritta; diffusosi nel Vicino Oriente come lingua parlata, viene adottata nel sistema amministrativo delle potenze del periodo: prima gli Assiri (come documentano alcune scene in cui i due sistemi grafici, su papiro con ceratteri alfabetici e su tavoletta d’argilla in cuneiforme, sono direttamente giustapposti), poi i Persiani, che ne favoriscono la diffusione in tutte le province dell’Impero. La presenza dell’aramaico in Egitto è supportata dalla comunità ebraica di Elefantina, la cui documentazione costituisce il lotto più corposo di testi aramaici d’Egitto; tuttavia, la diffusione dell’aramaico è un fenomeno diffuso nel paese, e si accompagna anche a un interessante processo di “traduzione”, o anche di assimilazione, di tradizioni e temi faraonici. La sua diffusione, pur indotta dal potere centrale, rispetta quella tendenza vernacolare che, dall’epoca ramesside, è divenuta un tratto distintivo della cultura linguistica in Egitto. L’uso di una lingua (e scrittura) amministrativa diversa da quella di tradizione accomuna l’Egitto con altri stati che compongono il quadro articolato dell’Impero: una giustapposizione simile si può riconoscere nel confronto tra il sistema alfabetico di questa nuova lingua e il cuneiforme; in Egitto questa giustapposizione viene mediata con l’affermazione, accanto alle forme tradizionali della scrittura e della lingua (redazione epigrafica in lingua classica, redazione libraria su papiro in vernacolo), di una evoluzione del sistema corsivo, chiamata demotico: si tratta di un ulteriore passaggio verso il registro parlato, usato in origine nei documenti amministrativi e che solo in epoca romana entrerà a far parte della cultura libraria ufficiale, identificata con le biblioteche dei templi.
La fine della dominazione persiana è suggellata dall’ascesa al trono di Amirteo di Sais, che da solo rappresenta la XXVIII Dinastia; ben presto però il potere viene usurpato da una famiglia di Mendes, nel Delta orientale, che per mano di Neferite I fonda la XXIX Dinastia. Il suo regno inaugura una fase di interventi architettonici in diverse località del Paese, mirati soprattutto a interventi di restauro, che proseguono con il regno dei successori Psammuti e Akori; tra gli altri, si possono ricordare i lavori di Akori nel tempio della XVIII Dinastia a Medinet Habu, con iscrizioni che menzionano il fondatore del tempio, Thutmosi III. I sovrani della dinastia devono fronteggiare una nuova minaccia persiana, che riescono a respingere anche con l’intervento di mercenari greci.
Nonostante la stabilità del Paese, la XXIX Dinastia termina bruscamente: un militare originario di Sebennito (nel Delta), Nectanebo I, usurpa il potere e fonda l’ultima dinastia indigena d’Egitto. Con lui ha inizio un’epoca di prosperità e ricchezza, di cui si ha percezione nella produzione artistica del periodo: la statuaria e i rilievi di questi monumenti, spesso giuntici in condizioni frammentarie, dimostrano tangibilmente la perizia di artigiani che avevano affinato le tecniche e le capacità poste in essere nel periodo saita (XXVI Dinastia). La costante pressione orientale, chiaramente dominata dalla potenza persiana, continua a minacciare il Paese, e per fiancheggiare le province dell’Impero il suo successore, Teos, si spinge sino in Palestina, rinnovando così un’immagine del potere che non ha ormai più alcuna aderenza con uno scenario politico internazionale dominato da una potenza più forte, come i Persiani.
L’ultimo re della dinastia, Nectanebo II, deve fronteggiare un primo attacco dei Persiani, che però non riescono nell’impresa; riusciranno a conquistare il Paese nel 343 a.C., con Artaserse III: ha termine in questo modo l’ultima linea dinastica indigena, e inizia una seconda dominazione persiana, più breve della prima, ma sentita dall’Egitto come particolarmente oppressiva. Nel corso del periodo è documentato anche l’interregno di Khababash, un sovrano indigeno che per circa due anni riesce a mantenere il controllo del Delta. La dominazione persiana ha termine con l’arrivo di una figura che legherà la sua fama con l’Egitto, Alessandro Magno. Il suo breve soggiorno nella Terra del Nilo (meno di un anno) determinerà una serie di trasformazioni del Paese – non ultimo l’affermazione di una dinastia di origine macedone, che si insedia nella città fondata dal conquistatore, Alessandria – che delineeranno l’Egitto in una realtà complessa: accanto al modello faraonico infatti si afferma l’Ellenismo che trasformerà Alessandria in uno dei maggiori centri culturali del Mediterraneo.
I decenni che vanno dalla dominazione persiana all’arrivo di Alessandro precisano il quadro di un Egitto nel quale l’interazione culturale e sociale riceve uno sviluppo decisivo; se già con i re saiti, ad esempio, mercenari e mercanti greci avevano fatto il loro ingresso nel Paese, con i persiani la componente etnica e linguistica straniera si arricchisce: genti levantine e greche si incontrano in un terreno ricettivo e pronto alle trasformazioni derivate da questa diversità. Il fenomeno si articola in fasi diverse, che dipendono dal quadro politico del Paese: dalla presenza di mercenari greci, alla fondazione di Naucrati, emporio mercantile affidato alla comunità greca, alla comunità ebraica di Elefantina. La situazione è resa più complessa perché anche la cultura egizia interagisce con gli elementi che operano in questo quadro; la partecipazione egizia a questo fenomeno è un elemento importante nella riuscita del processo, ed è testimoniato da evidenze epigrafiche e documentarie importanti. Un personaggio come il funzionario saita Udjahorresnet, vissuto all’epoca dei Persiani, svolge un ruolo fondamentale per la riuscita del processo; nella sua autobiografia egli anzi afferma: “La sua maestà [Cambise] mi assegnò l’incarico di capo dei medici e mi fece stare accanto a sé come amico unico e direttore del palazzo, [come] colui che crea la sua titolatura nel suo nome di re di alto e basso Egitto Mestura” [= nome di Cambise nella titolatura faraonica]. Nel passo il funzionario afferma esplicitamente una sua funzione determinante nel processo di assimilazione del re persiano all’ideologia faraonica: la creazione di una titolatura quale re di alto e basso Egitto; il suo operato non è quello di un semplice ufficiale, ma piuttosto di un operatore culturale che “traduce” un modello ideologico per adattarlo a una realtà politica nuova e diversa.
Udjahorresnet può essere considerato effettivamente l’espressione di una cultura bilingue, in grado di introdurre il re persiano alla cultura faraonica, e quindi capace di elaborare l’immagine del re nel rispetto di un modello di tradizione; questa tendenza culturale si accresce negli ultimi anni di indipendenza egizia (XXVIII-XXX Dinastia) e si arricchisce di un elemento che avrà un peso fondamentale da Alessandro in poi: il greco. A cavallo tra la seconda dominazione persiana, l’arrivo di Alessandro e l’ascesa al trono di Tolomeo I, fondatore della dinastia lagide, si riconoscono diversi personaggi che, in vari centri del Paese, svolgono un’importante funzione di collegamento tra cultura greca e indigena; in alcuni casi, si tratta di figli di genitori misti (greco-egizi), ma tutti sembrano aver avuto accesso alla cultura e alla lingua greca.
L’esempio più rappresentativo del multiculturalismo egizio alle soglie dell’Ellenismo è costituito dal monumento funebre di Petosiri a Tuna el-Gebel (necropoli dell’antica Ermopoli di Bassa Epoca, presso l’odierna Ashmunein), datato al periodo immediatamente precedente ad Alessandro Magno: le scene di vita quotidiana e del rituale funerario presentano evidenti commistioni stilistiche greco-egizie, mentre le scene di adorazione e funerarie sono improntate al più puro stile faraonico. Anche le iscrizioni sono particolarmente interessanti, con rimandi alla tradizione egizia (anche di tipo arcaizzante), greca e biblica: un compendio culturale straordinario, espressione dello spirito di un Paese che si apre alle prossime esperienze dell’Ellenismo.
Parole dell’Osiride, grande dei cinque, direttore dei troni Thotrekh, giusto di voce, figlio del grande dei cinque, direttore dei troni Petosiri, possessore di onorabilità, che la signora della casa Renpetneferet ha messo al mondo:
Oh viventi che siete sulla terra e che verrete in questa necropoli e chiunque venga a presentare offerte a questa tomba, possiate pronunciare il mio nome mentre è fatta una libagione, e Thot vi benedica per [questo]!
È uno che sarà ricompensato colui che agisce per chi non può più agire: sarà Thot che saprà ricompensare chi ha agito a mio vantaggio, [colui che farà del bene, si farà (altrettanto) per lui, chi loderà il mio ka], sarà lodato il suo ka; ma chi agirà in modo malvagio contro di me, si agirà [allo stesso modo] contro di lui.
Io sono stato una persona della quale bisogna pronuciare il nome, e chi presta ascolto alla mia storia si rattristerà [lett.: il suo cuore si rattristerà], perché io ero un bambino piccolo, portato via con violenza, dagli anni abbreviati, come gli innocenti, rapito brutalmente, essendo ancora piccolo, come un uomo quando lo rapisce il sonno.
Io ero un bambino di 10 anni quando [la morte] mi ha portato via, verso la città della perpetuità,
verso la città degli spiriti beati. Io vi sono arrivato al cospetto del signore degli dèi, senza essere riconosciuto colpevole. Io ero uno dai molti amici tra gli abitanti della città [lett.: tra ogni uomo della città] ma non ce ne è stato uno tra loro che sia stato in grado di aiutarmi.
Ogni abitante della città, maschio o femmina, si lamentò moltissimo vedendo quello che mi era capitato, e per l’essere caro ai loro cuori. Tutti i compagni mi piangevano, mio padre e mia madre supplicavano la morte, mentre i loro fratelli tenevano la testa sulle loro ginocchia dopo che io ero partito verso questa terra della miseria.
E al momento del conteggio degli uomini alla presenza del signore degli dèi, non è stato trovato [alcun] peccato [contro di me]: mi è stato dato pane nella sala delle Due Maat e l’acqua presso il sicomoro, come agli spiriti eletti.
Possiate voi durare in vita, seguire Sokar e vedere il volto di Ra al mattino, al Nuovo Anno quando appare dal Tempio Eccelso verso il tempio di Ermopoli; voi seguirete Thot in quel bel giorno del primo della stagione dell’Inondazione, sentirete le grida di gioia all’interno del tempio di Ermopoli quando esce la Dorata per fare ciò che vuole, in modo da dire in ogni momento che verrete a questa necropoli: che il tuo ka sia in ogni cosa buona, piccolo bambino la cui vita è trascora [troppo] in fretta, senza seguire il suo cuore sulla terra.