Il piano della portualità e della logistica
Mentre la riforma organica della l. 28.1.1994, n. 84, istitutiva delle autorità portuali nei maggiori porti, è ancora in gestazione, sta emergendo una linea di intervento normativo che, attraverso misure puntuali, mira a ridare slancio alla competitività dei porti italiani, rivelatisi inadeguati sotto il profilo infrastrutturale ed in particolare dei collegamenti con la rete dei trasporti nazionale e transnazionale.
L’ultima tappa di tale processo è rappresentata da una norma contenuta nel d.l. 12.9.2014, n. 133 (cd. sblocca-Italia, convertito dalla l. 11.11.2014, n. 164), la quale prevede l’adozione del piano strategico nazionale della portualità e della logistica. Lo strumento programmatico è orientato a conseguire una duplice finalità: da un lato, porre le basi per delineare un nuovo assetto logistico per le autorità portuali; dall’altro, attraverso una nuova procedura che coinvolge tali enti, rendere più efficiente e spedita la selezione delle infrastrutture di logistica portuale.
La l. 28.1.1994, n. 84 è intervenuta a riformare organicamente la disciplina dell’ordinamento portuale e delle attività portuali, introducendo profonde modifiche anche all’assetto dell’amministrazione dei porti, soprattutto alla luce dei principi di matrice comunitaria1 e degli obiettivi della pianificazione generale dei trasporti allora vigente2.
Fra le maggiori e più qualificanti novità recate dalla l. n. 84/1994 va annoverata l’adozione di un modello organizzativo del porto che, al fine di migliorare l’efficienza e la concorrenza delle imprese che vi operano, si fonda sul principio di separazione tra la sfera privata dell’amministrazione e dell’espletamento delle attività imprenditoriali, riservata alle imprese, e la sfera pubblica del controllo e della regolazione di tali attività, che viene affidata, nei porti di rilevanza economica nazionale e internazionale3, a soggetti di nuova istituzione: le autorità portuali.
A differenza delle preesistenti organizzazioni portuali (enti portuali e consorzi portuali) che, oltre a svolgere funzioni di controllo dell’attività esercitate nei porti, assumevano direttamente il compito di gestione dei servizi portuali, alle autorità portuali vengono attribuiti principalmente compiti di «indirizzo, programmazione, coordinamento, promozione e controllo» delle attività di impresa svolte nei porti, essendo loro precluso di esercitare direttamente o indirettamente operazioni portuali ed attività ad esse strettamente connesse (art. 6, co. 6).
Non si tratta però di un divieto assoluto, ove si consideri che la norma dispone che le autorità portuali possano esercitare attività accessorie o strumentali rispetto a quelle istituzionali «anche ai fini della promozione e dello sviluppo dell’intermodalità, della logistica e delle reti trasportistiche».
In coerenza con tali compiti, la l. n. 84/1994 assegna poi alle autorità portuali anche rilevanti funzioni di pianificazione e programmazione portuale, prevalentemente mediante l’adozione del piano regolatore portuale4, volto a delimitare l’ambito portuale, a disegnare l’assetto complessivo del porto «ivi comprese le aree destinate alla produzione industriale, all’attività cantieristica e alle infrastrutture stradali e ferroviarie» nonché ad individuare «le caratteristiche e la destinazione funzionale della aree interessate» (art. 5, co. 1)5.
Svolta questa necessaria premessa, occorre evidenziare che, pur in un contesto di generale apprezzamento per il modello organizzativo adottato per l’amministrazione dei porti e, in generale, per i meriti della legge di riordino, definita come l’intervento più innovativo che la parte marittima del codice della navigazione ha subìto a far tempo dalla sua promulgazione6, quello della disciplina dell’ordinamento portuale è un tema in continuo divenire, tanto da far parlare icasticamente di processo di «riforma continua».
La spinta verso la revisione della legislazione portuale muove oggi da una motivazione di natura sostanzialmente economica, coincidente con la necessità di ridare vigore alla competitività dei porti italiani nella consapevolezza del loro ruolo strategico per lo sviluppo del paese.
Recentemente si è osservato che, pur rimanendo viva l’esigenza alla base della l. n. 84/1994, ossia quella di garantire la concorrenza nei porti, attualmente importanza preminente è assunta dal tema della concorrenza tra i porti7.
Si assiste, cioè, ad un profondo cambiamento vuoi della geografia e della dinamica dei traffici internazionali – caratterizzati da una delocalizzazione dei centri produttivi verso l’area dell’estremo oriente e della consequenziale centralità del Mediterraneo nelle strategie commerciali8 – vuoi della loro fisionomia, avuto riguardo alla sempre maggiore incidenza della intermodalità dei trasporti e al predominio di un numero ridotto di grandi operatori in grado di controllare l’intera catena del trasporto.
Quanto sopra evidenziato va di pari passo con una mutata visione del porto che da luogo di approdo si è evoluto fino a divenire snodo di una rete logistica e ad assumere, quindi, un ruolo strategico nell’intero processo di distribuzione delle merci9.
Attualmente, infatti, si ritiene che i livelli di competitività dell’intero comparto portuale e logistico siano determinati dalla presenza simultanea di tre fattori: una buona accessibilità nautica in grado di garantire servizi adeguati al vettore marittimo; ampie aree portuali e interportuali per l’efficiente movimentazione delle merci; connessioni ferroviarie, stradali e di navigazione interna capaci ed adeguate.
In questo quadro i porti italiani, chiamati a competere con gli altri porti europei nella difficile sfida finalizzata all’acquisizione dei traffici internazionali, hanno manifestato delle carenze, soprattutto sul piano infrastrutturale ed in particolare dei collegamenti con la rete dei trasporti, in uno scenario nel quale alcuni di essi costituiscono nodi della rete di trasporto transeuropea (cd. TEN-T) e dunque in una situazione di marcata competitività.
Sennonché, la vigente legislazione portuale si è dimostrata non sempre in grado di fornire strumenti idonei a risolvere i riferiti profili di criticità, in quanto – si è detto10 – risente di una concezione superata del porto, più focalizzata sul porto in sé che sul sistema portuale.
Ciò ha fatto sì, peraltro, che si determinasse un assetto connotato dall’estrema difficoltà di effettuare una programmazione degli investimenti differenziata in base alle caratteristiche e alle vocazioni di ciascun porto, considerato congiuntamente al territorio di cui fa parte e nel complesso di tutti gli altri sistemi portuali.
A queste e alle altre problematiche emerse nell’esperienza applicativa della legislazione portuale11 cerca da anni di porre rimedio il legislatore ove si consideri che la l. n. 84/1994 è al centro di numerose iniziative di riforma, nessuna delle quali ad oggi è giunta a compimento. Perfino il disegno di legge che, nell’ambito della sedicesima legislatura, era stato approvato dal Senato e che pertanto faceva fondatamente prevedere il suo varo12, è decaduto a seguito dello scioglimento delle camere e risulta essere stato riproposto con un testo pressoché identico nella corrente diciassettesima legislatura.
Ora, se la legge di riforma organica della disciplina dell’ordinamento portuale è ancora in gestazione, occorre dar conto di una linea di intervento normativo che, sul presupposto che il rilancio della competitività dei porti, oltreché necessario è anche urgente, mira ad introdurre soluzioni puntuali nel settore attraverso lo strumento del d.l.
Solo negli ultimi anni, tale sistema ha portato alla formulazione dell’art. 18 bis della l. n. 84/1994 in materia di autonomia finanziaria delle autorità portuali e di finanziamento della realizzazione delle opere nei porti13 nonché all’introduzione della possibilità per le autorità portuali di costituire sistemi logistici attraverso atti di intesa e di coordinamento con le regioni, le province e i comuni interessati nonché con i gestori delle infrastrutture ferroviarie14.
Il presente contributo sarà dedicato alla più recente espressione di tale tendenza, costituita dall’art. 29 del d.l. 12.9.2014, n. 133 (cd. decreto sblocca-Italia, convertito dalla l. 11.11.2014, n. 164) che, al fine di raggiungere l’obiettivo dichiarato, ossia «migliorare la competitività del sistema portuale e logistico, agevolare la crescita dei traffici delle merci e delle persone e la promozione dell’intermodalità nel traffico merci», ha previsto un nuovo strumento di pianificazione dei porti denominato «piano strategico nazionale della portualità e della logistica».
La previsione di un piano nazionale strategico della portualità e della logistica appare misura di sicuro interesse, atteso che l’assenza di una compiuta e coordinata programmazione in grado di integrare, in una visione unitaria, portualità e logistica, per giunta in uno scenario caratterizzato da un numero per molti eccessivo di autorità portuali, è generalmente ritenuta uno dei principali elementi di ostacolo all’affermazione della competitività del settore portuale nazionale.
In realtà, la pianificazione generale non costituisce una novità in materia di infrastrutture logistiche, ove si consideri che il settore è sempre stato interessato da atti di programmazione generale dei trasporti, anche di livello europeo, il cui numero negli ultimi tempi è, peraltro, in aumento.
La stessa l. n. 84/1994 dichiara in esordio di voler adeguare l’ordinamento e le attività portuali al piano generale dei trasporti (art. 1, co. 1); non è un caso che, come anticipato, il modello organizzativo delineato dalla l. n. 84/1994 per l’amministrazione dei porti è pienamente conforme ai principi del piano generale dei trasporti allora vigente.
Nel piano generale dei trasporti più recente (adottato nel gennaio 2001 e integrato dallo strumento attuativo costituito dal Piano nazionale della logistica 2011-2020, elaborato dalla Consulta generale per l’autotrasporto e la logistica su iniziativa del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti), si coglie chiaramente la sollecitazione alla realizzazione, in un’ottica sistemica, delle infrastrutture necessarie all’integrazione dei porti nei sistemi logistici nazionali, così come chiaramente si coglie l’indicazione nel senso della valorizzazione dei compiti delle autorità portuali in tale specifico ambito15.
Nonostante le indicazioni presenti nella pianificazione generale già esistente, il mero richiamo di cui all’art. 1, co. 1, non si è rivelato sufficiente a consentire un adeguamento del sistema portuale in chiave logistica.
Dal contenuto della norma in rassegna, sembra però di poter escludere che il nuovo strumento di pianificazione sia destinato ad accrescere inutilmente il già consistente numero di atti programmatori di natura generale. In primo luogo perché si tratta di pianificazione espressamente dedicata alla portualità e alla logistica e definita «strategica»16; in secondo luogo perché la stessa si propone di essere strumentale alla realizzazione di un disegno più ampio, avente ad oggetto finalità in parte già positivamente delineate e consistenti nella razionalizzazione, nel riassetto e nell’accorpamento delle autorità portuali esistenti.
2.1 Procedura di selezione dei progetti sulla logistica portuale
L’art. 29 del d.l. n. 133/2014 introduce una procedura di selezione dei progetti più urgenti inerenti alla logistica portuale.
Un primo esame si scorgono affinità tra la procedura dettata dalla citata norma e quella prevista dall’art. 5, co. 9 e 10, l. n. 84/1994, per la realizzazione delle opere di grande infrastrutturazione nei porti sede delle autorità portuali. La citata disposizione stabilisce, infatti, che il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti è chiamato ad individuare annualmente le opere di grande infrastrutturazione da realizzare sulla base delle proposte contenute nei piani operativi triennali elaborati dalle autorità portuali.
Nel sistema di selezione di cui all’art. 29 cit., tuttavia, a differenza di quello appena descritto, si è in presenza di una procedura caratterizzata da una scansione temporale molto (forse troppo, per quanto in seguito si dirà) serrata e da fasi tra loro strettamente interconnesse. Peraltro, si tratta di procedura non circoscritta alle sole opere di infrastrutturazione come espressamente indicate nell’art. 5, co. 9, l. n. 84/1994.
Volendo seguire la scansione temporale dettata dalla norma, si osserva che entro il termine di trenta giorni decorrente dall’approvazione della legge di conversione del d.l. cit., le autorità portuali sono chiamate a presentare alla Presidenza del Consiglio dei ministri «un resoconto degli interventi correlati a progetti in corso di realizzazione o da intraprendere, corredato dai relativi cronoprogrammi e piani finanziari».
Nel successivo termine di sessanta giorni, la Presidenza del consiglio dei ministri, d’intesa con il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, è tenuta a selezionare, fra le proposte pervenute, gli interventi ritenuti più urgenti «anche al fine di valutarne l’inserimento nel piano strategico» ovvero al fine di «valutare interventi sostitutivi».
Il procedimento si conclude con la previsione, di cui al primo comma, secondo cui, non più tardi di novanta giorni dall’entrata in vigore della legge di conversione del d.l. cit. (periodo che evidentemente è frutto della sommatoria delle precedenti fasi) il Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, previa deliberazione del Consiglio dei ministri, è chiamato ad adottare il piano strategico nazionale della portualità e della logistica, nel quale possono essere inserite anche le proposte contenute nei documenti presentati dalle autorità portuali.
In sede di conversione del d.l. cit.ad opera della l. n. 164/2014 è stato aggiunto un ulteriore passaggio, consistente nella trasmissione del decreto recante il piano alle Camere, ai fini dell’acquisizione del parere delle competenti Commissioni parlamentari nel termine perentorio di trenta giorni, decorso il quale il decreto può essere comunque emanato.
2.2 Il piano di riorganizzazione delle autorità portuali
Il piano strategico nazionale della portualità e della logistica si propone anche di essere strumento programmatico attraverso cui pervenire al significativo risultato della «razionalizzazione», del «riassetto» e dell’«accorpamento» delle autorità portuali esistenti, «da effettuare ai sensi della legge n. 84/1994».
Gli obiettivi espressi nella disposizione in esame delineano – per la prima volta in sede normativa e addirittura in controtendenza rispetto a pregresse ipotesi di riforma (in alcune delle quali si progettava di ripristinare autorità precedentemente soppresse) – la necessità della riduzione del numero delle autorità portuali e parallelamente quella della ridefinizione della giurisdizione territoriale di riferimento in chiave logistica.
Per meglio comprendere la portata innovativa della disposizione, deve premettersi che la l. n. 84/1994 ha originariamente disposto l’istituzione delle autorità portuali in diciannove scali, demandando a successivi decreti ministeriali l’individuazione della circoscrizione territoriale assegnata a ciascuna autorità. La medesima legge ha previsto però la possibilità di variare, sia in aumento che in diminuzione, i porti retti da autorità portuali attraverso un meccanismo legato al raggiungimento ovvero al venir meno, nell’arco di prefissati periodi temporali, di determinati requisiti in termini di volume di traffico (art. 6, co. 7-10).
Di qui l’attuale situazione, nella quale la possibilità di istituire nuove autorità portuali è stata spesso utilizzata, mentre assai esigui sono stati i casi di soppressione, con la conseguenza che il numero delle autorità è aumentato fino a venticinque, per poi ridursi a ventitre con la soppressione delle autorità portuali di Manfredonia e Trapani.
Il numero delle autorità portuali è stato da alcuni ritenuto fin dall’origine eccessivo, tenuto conto del fatto che molti degli scali in cui ne è stata prevista l’istituzione, in ragione delle loro caratteristiche, ben avrebbero potuto essere retti dall’autoritàmarittima17.
Ciò premesso, dall’esame della novella legislativa e, in particolare, dalla locuzione «da effettuare ai sensi della legge n. 84/1994», sembra emergere che la direzione delineata è quella di una ridefinizione del numero dell’autorità portuali, con modalità ancora da stabilire in concreto ma in relazione alle quali non è difficile prevedere vivaci opposizioni e l’emersione di notevoli e contrapposti interessi locali.
In ogni caso l’individuazione di tali modalità dovrà essere oggetto di specifica pianificazione, per poi confluire in una vera e propria modifica della legge istitutiva. Pare anche doversi rilevare, alla luce delle ipotesi allo studio del Governo, che la ridefinizione del numero delle autorità portuali non andrà disgiunta da una complessiva riconfigurazione dell’ambito territoriale di riferimento e dal ruolo delle autorità portuali, di cui si profilano compiti di governance in relazione a più porti e, in generale, al complesso delle infrastrutture e dei servizi destinati a svolgere funzioni connettive di valore strategico, soprattutto nei rapporti fra scali portuali e rete transnazionale dei trasporti.
Se una compiuta valutazione dell’impatto della norma in esame sull’assetto dell’ordinamento portuale potrà essere svolta solo all’esito dell’elaborazione del piano, alcune perplessità emergono fin d’ora.
La prima è di ordine generale e deriva dalla natura e dalla finalità dell’intervento normativo. Il dubbio è che le soluzioni tracciate si risolvano, non diversamente da quelle del recente passato, soltanto in interventi di piccola manutenzione, dettati sostanzialmente dall’urgenza di tentare di ridare slancio alla competitività dei sistemi portuali italiani agendo sulla leva delle infrastrutture logistiche, mentre per giungere ad una effettiva modernizzazione dei porti appare necessaria quella riforma organica dell’assetto normativo vigente che da troppo tempo si attende.
Vi è certamente da augurarsi che i momenti di discussione, di confronto istituzionale e di coordinamento, che necessariamente verranno indotti dalla necessità di provvedere all’elaborazione del piano della portualità e della logistica, si tramutino in un decisivo impulso per la revisione organica della l. n. 84/1994. È difficile, tuttavia, prevedere che gli aspetti che necessitano di riflessione potranno essere tutti compiutamente trattati nell’ambito di tale progettazione, anche tenuto conto dei tempi strettissimi in cui la stessa dovrà venire alla luce.
Volendoci limitare al solo tema della concreta realizzazione delle infrastrutture logistiche, la norma in rassegna non dice – ma è lecito supporlo – che il «resoconto» che le autorità portuali sono chiamate a presentare debba avere per oggetto opere indicate nel piano regolatore portuale.
A parte il rilievo che l’espressione «resoconto» sembra evocare più opere già eseguite o in corso di esecuzione che progetti «da intraprendere», è evidente, avuto riguardo al chiaro riferimento ai cronoprogrammi, che l’intenzione è quella di ottenere l’obiettivo del contenimento dei tempi.
Ora, se è innegabile che tale previsione potrebbe determinare nel breve termine l’effetto di consentire la velocizzazione dell’esecuzione dei progetti, la stessa certamente non affronta, e tantomeno risolve, il vero problema che risiede a monte del resoconto.
Si allude all’estrema complessità del procedimento di adozione e di attuazione del piano regolatore portuale18, per il quale, peraltro, non è previsto alcun termine nonché al connesso problema della risoluzione degli eventuali conflitti tra le previsioni del piano regolatore portuale e quelle degli strumenti urbanistici vigenti19.
Un secondo ordine di perplessità riguarda la compatibilità dello strumento di pianificazione nazionale con i principi costituzionali in tema di riparto di competenze tra Stato e regioni e muove dal nuovo art. 117, 3 co., Cost. che, come è noto, stabilisce la potestà legislativa concorrente anche in materia di «grandi reti di trasporto e di navigazione».
Vi è da chiedersi, in altri termini, se un sistema, come quello previsto dalla novella in esame, che si fonda sulla scelta selettiva a livello centrale dei progetti di infrastrutture logistiche, possa dirsi conforme alla formulazione attuale della norma costituzionale citata, che impone allo Stato soltanto l’enunciazione dei principi generali. A giudicare dal dibattito dottrinale sul punto, la questione sembra aperta.
Invero vi è chi, auspicando una revisione dell’ordinamento portuale in senso compiutamente federale, ha osservato che, già anche luce del nuovo dettato costituzionale, la regione si rivela l’unico ente istituzionale in cui è possibile la necessaria opera di coordinamento e di confronto in un’ottica di pianificazione20.
Da altra angolazione21 è stata tuttavia avanzata una soluzione interpretativa diversa, in grado di superare l’ostacolo apparentemente costituito dall’art. 117 Cost., prendendo le mosse dal dato positivo della norma nella parte in cui lega l’attività legislativa di Stato e regioni al rispetto dei «vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali».
In questa prospettiva, la procedura di selezione, di tipo centrale, prevista dall’art. 29 d.l. n. 133/2014, essendo finalizzata allo sviluppo dei porti facenti parte delle reti transeuropee, potrebbe trovare fondamento nell’obbligo del Governo italiano di prestare adesione agli indirizzi resi in sede europea, sebbene qualche dubbio permanga, alla luce del totale mancanza di coinvolgimento delle regioni nel processo di selezione.
Un terzo ed ultimo ordine di perplessità riguarda lo schema della pianificazione e della connessa selezione.
Si tratta di un sistema precipuamente teso a consentire un processo di graduazione delle priorità «dall’alto», nell’ottica della realizzazione delle infrastrutture logistiche più urgenti.
Il sistema introduce, seppur in forma molto essenziale e limitata agli interventi più urgenti, un momento di integrazione e coordinamento tra i vari livelli di pianificazione – tanto auspicata da alcuni autori22 – e ciò attraverso la descritta concatenazione degli adempimenti (presentazione resoconto degli interventi da parte delle autorità portuali/selezione di quelli più urgenti ad opera del Ministero e della Presidenza del Consiglio dei Ministri/redazione piano strategico nazionale).
Al tempo stesso, tuttavia, non può non rilevarsi come sarebbe auspicabile che alle autorità portuali fossero assegnate non solo funzioni legate alla presentazione del resoconto, ma, ferma restando la necessità della visione d’insieme, anche compiti di effettiva partecipazione alla discussione in ordine all’individuazione dei progetti più urgenti.
Non mancano poi aspetti del testo della norma che non convincono del tutto. Si pensi al fatto che, nell’attuale versione, non è previsto alcun aggiornamento del piano oppure alla circostanza che non è stabilito alcun intervallo tra il termine entro cui dev’essere portata a compimento la procedura di selezione delle proposte da inserire eventualmente nel piano e il termine entro cui il piano deve venire alla luce.
1 Si allude soprattutto a C. giust., 10.12.1991, causa C-179/90, che ha rilevato il contrasto dell’assetto del lavoro portuale nei porti italiani con i principi comunitari in materia di monopolio.
2 Si trattava del piano generale dei trasporti approvato con d.P.C.m. 10.4.1986 (poi aggiornato con d.P.C.m. 29.8.1991) che auspicava la separazione in ambito portuale tra la sfera pubblicistica di programmazione, promozione e controllo delle attività di impresa e quella propriamente imprenditoriale. Il piano generale dei trasporti è uno strumento di indirizzo e coordinamento nei confronti dell’apparato statale e regionale, nel quale parti con specifico contenuto precettivo convivono con altre parti con valore dimere raccomandazioni o suggerimenti; cfr. sul punto il parere reso dall’adunanza generale del Cons. St., 10.7.1986, n. 18.
3 In tali porti l’autorità portuale coesiste con l’autorità marittima, alla quale, ai sensi dell’art. 14, co. 1, sono assegnate soltanto le «funzioni di polizia e di sicurezza previste dal codice della navigazione e dalle leggi speciali» oltre che le funzioni amministrative residue rispetto a quelle attribuite all’autorità portuale. Nei porti privi dell’autorità portuale, l’autorità marittima svolge in via esclusiva le funzioni amministrative e di vigilanza proprie dell’amministrazione statale, secondo il disposto degli artt. 62-82 c. nav. Cfr. Carbone, S.M.-Munari F., La disciplina dei porti tra diritto comunitario e diritto interno, Milano, 2006, 185 ss.
4 Per un recente approfondimento del tema, anche nella prospettiva di riforma della legislazione portuale, cfr. Bocchese, D., Il piano regolatore portuale, in Demanio marittimo e porti. Spunti di studio per una ri-codificazione, Tullio, L.-Deiana, M., a cura di, Cagliari, 2014.
5 L’autorità portuale è chiamata ad elaborare anche il piano operativo triennale che ha finalità diverse ma interconnesse con quelle del piano regolatore portuale, avendo ad oggetto «le strategie di sviluppo delle attività portuali e gli interventi volti a garantire il rispetto degli obiettivi prefissati» (art. 9, co. 3, lett. a).
6 Tullio, L., Introduzione, 133, in Demanio marittimo e porti, Tullio, L.-Deiana M., a cura di, cit.
7 Così Zunarelli, S., Competenze amministrative inerenti le attività nei porti, ruolo dell’autorità portuale e principio dello «sportello unico portuale», in Impresa e lavoro nei servizi portuali, Xerri A., a cura di, Milano, 2012, 85-86.
8 Saccà,G., I corridoi europei in Italia a servizio del trasporto merci containerizzato, disponibile all’indirizzo: http://www.univr.it.
9 Si parla al riguardo di porti di terza generazione, rispetto a quelli di prima generazione (cd. porti emporio) e a quelli di seconda, affermatisi in concomitanza con l’avvento della produzione industriale di massa. Il porto di terza generazione «non si limita ad essere un luogo di passaggio delle merci, ma si è evoluto fino a divenire un luogo di convergenza di forze commerciali logistiche e industriali e diventare elemento di attrazione per lo svolgimento di attività economiche, anche non strettamente collegate alle operazioni portuali tradizionali e ubicate al di fuori della cinta portuale»; cfr. Vezzoso,G. Le occasioni mancate di una proposta di riforma portuale, in Dir. mar., 2010, 438 ss.
10 Munari, F., I primi quindici anni della l. n. 84/1994. Esperienze, valutazioni e alcuni suggerimenti per future prospettive di riforma, in Scritti in onore di Francesco Berlingieri,Genova, 2010, 767.
11 In generale per un’analisi delle questioni più rilevanti poste dalla vigente legislazione portuale, anche in una prospettiva de iure condendo si vedano: Carbone, S.M.–Maresca, D., Prospettive di riforma della legislazione in materia portuale, in Dir. mar., 2009, 1058; Munari, F., I primi quindici anni della l. n. 84/1994, cit.; Vezzoso, G., Le occasioni mancate di una proposta di riforma, cit.; Mastrandrea, G., Il disegno di legge governativo in materia di riforma della legislazione in materia portuale: una breve panoramica delle principali novità de iure condendo, in Riv. dir. nav., 2010, 201, nonché i contributi contenuti in Tullio, L.-Deiana,M., a cura di, Demanio marittimo e porti, cit. Sullo specifico tema dell’autorità portuale cfr. Marchiafava, G., Ruolo e funzioni dell’autorità portuale, ivi, 135 ss.
12 Cfr. Calabrò,M., Il disegno di legge di riforma dell’ordinamento portuale, in Libro dell’anno del diritto 2013, Roma, 2013, 480 ss.
13 Ad opera del d.l. 22.6.2012, n. 83, convertito in l. 7.8.2012, n. 134. Sul tema cfr. Calabrò,M., L’autonomia finanziaria delle Autorità portuali, in Il libro dell’anno del diritto 2013, Roma, 2013, 483 ss.
14 Cfr. art. 46 d.l. 6.12.2011, n. 201, convertito in l. 22.12.2011, n. 214.
15 Cfr. Marchiafava, G., op. cit., 154 ss.
16 L’aggettivo sembra rimandare al cd. Programma delle infrastrutture strategiche, ossia all’elenco degli interventi infrastrutturali di interesse prioritario per lo sviluppo e la modernizzazione del Paese che il Governo è chiamato ad adottare ai sensi dell’art. 1, co.1, l. 21.12.2001, n. 443.
17 Maltoni, A., Considerazioni sulle autorità portuali ai sensi della legge n. 84/1994 in Studi in onore diG. Romanelli, Milano 1997, 812. Da altra angolazione (Casanova,M.-Brignardello, M.,Diritto dei trasporti, I,Milano, 2011, 90) si è osservato che il problema non risiede tanto nel numero, quanto nella mancata differenziazione del modello organizzativo utilizzato, identico per tutti i porti, indipendentemente dalle loro dimensioni e dal ruolo svolto nel sistema dei trasporti.
18 Da segnalare che i disegni di legge di riforma presentati vanno tutti nella direzione dello snellimento e della semplificazione del procedimento di pianificazione portuale; cfr. Mastrandrea, G., op. cit., 210 s.; Bocchese, D., op. cit., 280 s.; Calabrò, M., Il disegno di legge, cit., 481.
19 L’attuale testo della l. n. 84/1994, all’art. 5, stabilisce che «le previsioni del piano regolatore portuale non possono contrastare con gli strumenti urbanistici vigenti».
20 Così Valente,M., Autorità portuale ed enti locali a dieci anni dalla riforma portuale, in Dir. trasp., 2003, 435, 445 s.
21 In tal senso Vezzoso, G., op. cit., 446 - 447.
22 Cfr. Vezzoso, G., op. cit., 438 ss. In particolare si è rilevato che l’attuale processo di programmazione, nel quale vari documenti si formano separatamente e in tempi molto diversi, risulta essere frammentario e disomogeneo, tale da non favorire la razionalizzazione delle risorse e la selezione degli investimenti portuali rispetto alle peculiarità di ciascuno scalo per giunta in uno scenario caratterizzato da un numero eccessivo di autorità portuali. Sul tema cfr. altresì Carbone, S.M.-Munari, F., op. cit.., 190 ss.