PORDENONE, Il
Giovanni de' Sacchis o Sacchiense, chiamato anche Curticello e più tardi Regillo, detto il P., pittore, nacque a Pordenone circa il 1484, morì a Ferrara nel 1539. Formatosi all'arte nell'ambiente dei pittori da Tolmezzo, seguì poi Giovanni Bellini e il Giorgione; e, per quanto impressionato da altri sommi maestri, divenne artista di grande originalità, di grande impeto immaginativo, di ricco e caldo colorito. Amante dei grandi effetti, predilesse forme eroiche e atteggiamenti magniloquenti, conservando tuttavia un gusto piuttosto popolano. Tra i grandi veneti egli emerge particolarmente nell'affresco. Tra le sue prime opere, le scene della vita di Cristo in S. Salvatore di Collalto, che si accostavano al Montagna, andarono distrutte nella guerra mondiale. Dal medesimo castello pervenne nell'Accademia di Venezia una sua tavola assai bellinesca, del 1511. Poco più tardi nella pala di Susegana e in altre opere ricorda il Palma. Prima del 1520 il P. deve essere stato a Roma, poiché nelle opere seguenti si notano influssi raffaelleschi e michelangioleschi a cominciare da un suo affresco ad Alviano in Umbria, feudo di quel Bartolomeo Orsini che fu generale della repubblica veneta. Delle sue pitture molto ammirate circa quel tempo a Mantova nulla più rimane. Nel 1520 dipinse la cappella Malchiostri nel duomo di Treviso e subito dopo (circa 1521-22) nel duomo di Cremona le scene della Passione con tale grandiosità drammatica forse talvolta brutale, tale slancio ardimentoso di movenze e di scorci e tale intensità cromatica da innalzare l'artista al rango dei maggiori frescanti. Nel 1529 terminò a Venezia gli affreschi dell'abside di S. Rocco, che andarono distrutti, come altri da lui dipinti nella stessa città, tranne in parte quelli del chiostro di S. Stefano (1537). Distrutte anche le sue pitture in palazzo ducale, rimangono di lui a Venezia due grandiosi Santi in S. Rocco, una tavola di S. Giovanni Elemosinario (1530) e quella di S. Lorenzo Giustiniani (1532) all'Accademia. È di questi medesimi anni l'altro più importante ciclo di affreschi che il P. eseguì a Piacenza nella Madonna di Campagna: due cappelle e la cupola, sotto la palese influenza del Correggio. Verso la fine del 1538, chiamato a più riprese da Ercole II il P. si recò a Ferrara, ma vi morì il 12 gennaio successivo, con sospetto di veleno. Tutto il Friuli risplende di opere di questo maestro: Valeriano (1506, 1524, 1527), Villanova (1514), Pordenone (v.), Rorai Grande (1516), Udine (1526), San Daniele (1535), Pinzano, Corbolone, Cividale, Moriago, ecc. Per Cortemaggiore, feudo dei Pallavicini, il P. dipinse una cappella, la cui pala si ammira nella pinacoteca di Napoli e uno stendardo con la Deposizione nel sepolcro, uno dei suoi capolavori per sentimento ed equilibrio scenico. L'ultima sua pala è l'Annunciazione di S. Maria degli Angioli a Murano (1537). Suoi quadri o ritratti in collezioni pubbliche e private sono rarissimi.
Suo principale allievo e copioso volgarizzatore dell'arte sua fu Pomponio Amalteo, che operò lungamente nel Friuli.
Giulio Licinio passò per suo nipote e scolaro, ma nato circa il 1527, nei suoi dipinti della vòlta della Marciana (1556) si manifesta piuttosto ligio alla corrente mantovana e perciò forse fu chiamato anche Giulio Romano (v.). Nel 1559 andò ad Augusta dove si ammira ancora di lui la facciata della casa dei Rehlinger; tra il 1563-67 fu a Bratislavia, dove dipinse la cappella del castello imperiale e nel 1575 a Graz, dove si conserva una sua tavola d'altare. Tornato a Venezia, viene nominato per l'ultima volta nel 1593.
Bibl.: C. Ridolfi, Le meraviglie dell'arte, ed. v. Hadeln, I, Berlino 1914, pp. 112-32; F. Sansovino, Venezia descritta, Venezia 1663, p. 376; A. M. Zanetti, Della pittura veneziana, ivi 1771, p. 124 segg.; F. di Maniago, Elogio di G. A. P., ivi 1826; A. Venturi, Storia dell'arte italiana, IX, iii, Milano 1930, pp. 630-739; Wart Arslan, in Thieme-Becker, Künstler-Lexikon, XXVII, Lipsia 1933 (con ampia bibliografia).